Un taglio netto alle convenzioni anti-bibliche e pseudo-bibliche, all'ignoranza e alle speculazioni — Ein klarer Schnitt zu den anti-biblischen und pseudo-biblischen Konventionen, zur Unwissenheit und den Spekulationen — A clean cut to the anti-biblical and pseudo-biblical conventions, to the ignorance and the speculations — Une coupe nette aux conventions anti-bibliques et pseudo-bibliques, à l'ignorance et aux spéculations — Un corte neto a las convenciones anti-bíblicas y pseudo-bíblicas, a la ignorancia y a las especulaciones

La fede che pensa — Accettare la sfida nel nostro tempo

«Glaube gegen den Strom»: Für das biblische Unterscheidungsvermögen — «Faith countercurrent»: For the biblical discernment — «Foi contre-courant»: Pour le discernement biblique — «Fe contracorriente»: Por el discernimiento bíblico

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Uniti nella verità

 

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Le diversità possono essere una risorsa oppure diventano un problema.
 Ecco le parti principali:
■ Entriamo in tema (il problema)
■ Uniti nella verità
■ Le diversità quale risorsa
■ Le diversità e le divisioni
■ Aspetti connessi.
 
Il libro è adatto primariamente per conduttori di chiesa, per diaconi e per collaboratori attivi; si presta pure per il confronto fra leader e per la formazione dei collaboratori. È un libro utile per le «menti pensanti» che vogliano rinnovare la propria chiesa, mettendo a fuoco le cose essenziali dichiarate dal NT.

 

Vedi al riguardo la recensione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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CONDUTTORI IMPEDISCONO IL MINISTERO DEI MEMBRI

 

 di Nicola Martella

 

 

1.  LE QUESTIONI: Di storie come quella, che narro qui di seguito, me ne giungono diverse per iscritto, a voce e per telefono. Esse, pur essendo differenti l’una dall’altra, mostrano una tipologia ricorrente, dettata dalla problematica, che le accomuna. Qui di seguito riporto una situazione stereotipata, una delle tante, che potrebbe essere successa ovunque. Sintetizzo qui le questioni, che come sempre mi vengono descritte con molti particolari. A noi qui interessa il fenomeno, spesso ricorrente nelle chiese, e non tanto le persone particolari e la situazione specifica.

     Immaginiamoci un credete, che chiamiamo qui Carlo Sabatino; egli potrebbe abitare ovunque e la sua chiesa attuale potrebbe essere una delle tante. Chi si trova in tale particolare contingenza, mi presenta spesso la sua situazione ecclesiale, ministeriale, esistenziale e familiare, e specialmente la difficile relazione con i conduttori della sua chiesa.

     Immaginiamoci una chiesa locale sorta, decenni or sono, per scissione da un’altra, e immaginiamoci tutte le conseguenze del caso: sofferenze, lotte, ostracismo reciproco, fuori comunione, e così via. In casi del genere, un gruppo, per così dire, «rivoluzionario», dopo molti contrasti con la conduzione in carica — generalmente ritenuta, secondo i casi, massimalista, legalista, incapace, autoritaria, eccetera — decide di uscire da tale «dittatura», per gettare nuove basi all’essere chiesa, ossia secondo il loro intendimento. In casi del genere, c’è un grande fermento nella nuova formazione, e ciò le permette di espandersi e di perseguire importanti obiettivi.

     Immaginiamoci che, decenni dopo tale scissione, le vicende personali di Carlo lo avessero portato in un’altra zona d’Italia. Qui entrò a far parte di una comunità, dove poté sviluppare un suo ministero polivalente (musica, predicazione, guida del gruppo giovani, attività pratiche, ecc.), che era ben visto e apprezzato. Ciò continuò ancor più, dopo essersi sposato. Nelle ferie tornavano al loro paese d’origine e frequentavano la loro attuale chiesa.

     Immaginiamoci pure che Carlo e la sua famiglia, dopo svariati anni, decisero di trasferirsi nel paese d’origine e di frequentare la loro attuale chiesa. Carlo pensava di poter svolgere lì le stesse o simili attività dell’altra chiesa, da cui proveniva. Si presentò ai conduttori della comunità e portò con sé una lettera di presentazione della chiesa, da cui proveniva al momento; in tale scritto i conduttori confermavano i compiti e i servizi svolti fin lì da lui. I conduttori della nuova chiesa gli fecero capire che per lui praticamente non c’era spazio per tali mansioni, essendo esse già occupate da altri. Ebbe altresì l’impressione soggettiva di non essere poi molto gradito.

     Col tempo gli furono affidati solo alcuni compiti marginali. Con il consenso dei conduttori, Carlo si dedicò al ministero di predicazione in altre chiese, che avevano bisogno. Tuttavia, sebbene egli riuscisse bene, anche in ciò i conduttori mostrarono un continuo mutamento di umori e di atteggiamenti, ora condiscendenti, ora restrittivi. Anche in loco si alternavano periodi di completa marginalità a tempi con piccoli spazi, in cui gli si concedeva qualche meditazione infrasettimanale o domenicale, più o meno e nulla di più. A tempi, in cui veniva permesso a Carlo di impegnarsi esternamente in opere interecclesiali, guidate da stimati credenti, seguivano situazioni, in cui essi ne inibivano il suo coinvolgimento; così facendo, lo avvertivano che egli avrebbe commesso un peccato, se non fosse stato sottomesso a loro in tale questione.

     Negli anni, a più riprese, Carlo scrisse lettere ai conduttori, chiedendo loro di veder riconfermati i suoi doni e di poter esercitare i corrispondenti ministeri. Ogni volta, le risposte furono lapidarie e negative, e sempre senza spiegazioni.

     Credenti come Carlo, dopo molti anni, in cui si sono sentiti in balia degli umori e dell’arbitrio dei conduttori della loro comunità, credono di essere arrivati a un momento di svolta. Essi sono consci di aver ricevuto dei doni dal Signore, che li hanno portati a esercitare un ministero, sia dentro che fuori delle chiese, in cui sono stati membri. Essi si rendono conto che Dio non abbia ritirato loro tali doni. Sebbene le ristrettezze nelle loro attuali comunità, tali credenti si vedono confermati anche dal fatto che, quando portano la Parola in altre comunità, i credenti d’esse danno loro atto di essere stati edificati e li incoraggiano a tornare e a proseguire. In genere, credenti come Carlo sono consapevoli che, non potendo esercitare liberamente i loro doni nelle loro chiese locali, non si sentono in pace con se stessi e con Dio, verso cui hanno la consapevolezza di disubbidire.

     Arrivato a tale bivio, credenti come Carlo si chiedono concretamente che cosa debbano fare. Essi si pongono la questione della sottomissione ai conduttori e dei limiti d’essa, specialmente quando tali guide mostrano gravi lacune di conduzione e di parzialità come nel loro caso. In genere, essi arrivano a un punto, in cui si chiedono se la soluzione non potrebbe essere quella di cambiare chiesa. Certo, però, sono anche consapevoli che ciò porterebbe disagi di vario genere a loro e alle loro famiglie; perciò, si trovano in un continuo e snervante altalenare fra i pro e i contro, fra andarsene e restare. Vista l’impossibilità di poter esercitare dei ministeri conformi ai loro doni, tali credenti si chiedono pure quanto segue: Dio chi riterrà responsabile, ossia i credenti stessi o i loro conduttori, che impediscono tale esercizio. In genere, credenti come Carlo desiderano fare la volontà di Dio, anche se ciò significasse di non esercitare più i loro doni; tuttavia, non vogliono neppure rendersi colpevoli verso Dio. Per questo, quando mi scrivono, chiedono un consiglio chiaro, sincero e soprattutto scritturale, che porti chiarezza nella loro vita.

 

 

2.  ALCUNE RISPOSTE

 

2.1.  ASPETTI GENERALI SULLA CONDUZIONE: Questa riflessione è di carattere generale e non ha direttamente a che fare con la situazione sopra descritta. Perciò, qui di seguito mi limiterò a parlare del fenomeno generale, tipizzandolo quale categoria ricorrente, e non della situazione concreta.

 

     ■ In situazioni del genere bisogna sempre ascoltare ambedue le campane, ma ciò non è possibile in casi del genere. E se ciò fosse possibile, getterebbe solo benzina sul fuoco, alimentando probabilmente specialmente i sentimenti della carne. Quando, nel tempo, arrivano richieste di consigli con problematiche simili inerenti alla stessa comunità e alla sua conduzione, posso immaginarmi che la stragrande maggioranza delle cose affermate abbia un nocciolo obiettivo di verità.

 

     ■ Esercitare la funzione ministeriale di conduttori non è cosa facile. Espone a tanti pericoli, a critiche, a tentazioni e anche a errori. Le raccomandazioni di Paolo ai conduttori (cfr. At 20,28ss) e ai suoi collaboratori (1-2 Tm; Tt) e quelle di Pietro (1 Pt 5,1ss) mostrano la complessità di tale ministero e i pericoli, a cui essi sono esposti, qualora manchino di integrità, irreprensibilità, discernimento, saggezza e umiltà. Le lettere del Signore Gesù a sette conduttori (Ap 2s) mostrano come i conduttori possono essere, per motivi diversi, la deleteria causa perché le chiese, a cui essi sovrintendono, si estinguano (il candelabro viene tolto). Purtroppo non tutti coloro, che oggigiorno rivestono la funzione di conduttore, corrispondono ai chiari prerequisiti richiesti dalla Scrittura (1 Tm 3; Tt 1). Altri, semmai hanno posseduto tali qualità in passato, le hanno perse nel tempo, trasformandosi in «conduttori di paglia» (cfr. Ap 2s «se non ti ravvedi»). Allora, non avendo l’autorità spirituale, che proviene dalla Parola tagliata rettamente e da una irreprensibilità spirituale e morale, diventano un calamità per la loro comunità, ad esempio così facendo: assurgono la loro soggettività (spesso carnale) a principio oggettivo, le loro opinioni vengono spacciate per precetti scritturali, la loro pretesa autorità è solo autoritarismo, la richiesta di sottomissione diventa asservimento al loro arbitrio, e così via.

 

     ■ Dopo tale premessa, vedo che in casi del genere il problema principale non sta spesso in un deficit dei conduttori riguardo ai loro carismi, al loro zelo, al loro impegno, ai loro sacrifici e quant’altro, ma già nella concezione della stessa funzione della conduzione. Essi intendono la loro supervisione (da cui la loro richiesta di sottomissione) come l’esercizio di un potere sovrano da imporre alle anime e non come una funzione di servizio. Per cui, tale autorità mal interpretata sfocia spesso nella pratica nell’autoritarismo, ossia in una guida monarchica (dominio di uno) o oligarchica (dominio di pochi), assoluta e incontestabile.

 

     ■ I conduttori di chiesa dovrebbero essere allenatori o istruttori, che addestrano ed equipaggiano gli altri credenti, perché siano efficaci collaboratori; perciò, essi non dovrebbero trasformarsi in addomesticatori o domatori, che si impongono con frusta e verga e che tengono tutti sotto il dominio, per assicurarsi il predominio di casta intoccabile. Essi dovrebbero favorire una crescita spirituale, morale e ministeriale, non impedirla.

 

     ■ Ci sono certe chiese locali, che hanno un «collegio di conduttori», che da alcuni decenni rimane sempre uguale nel numero e nelle persone e che è impenetrabile da parte di altri aspiranti alla conduzione. Tale situazione palesa un vero problema di gestione da parte di tale piccola «nomenclatura» diventata oligarchia, che nutre un falso concetto di autorità. Quando un giorno essi non saranno più capaci di condurre la chiesa, per vari motivi (salute, problemi familiari, morte di qualche conduttore, ecc.), altri non saranno capaci di prendere tale ruolo da un giorno all’altro; allora ci saranno lotte di carne e potere fra fazioni contrapposte, e probabili divisioni ecclesiali multiple, cosa che avvelenerà la fratellanza e rovinerà la testimonianza.

 

     ■ La sottomissione ai conduttori non è asservimento all’arbitrio altrui, ma rispettoso riconoscimento da parte del credente di un ruolo pastorale di coloro, che si curano della sua anima per il suo bene e lo equipaggiano del necessario, per servire meglio il Signore con i carismi, che egli possiede. Conduttori, che impediscono la chiamata a un servizio, se essa è evidente ed è confermata da altri, si rendono colpevoli; se non sono in grado di fornire motivazioni probanti, mostrano pure delle lacune ministeriali e palesano gravi pregiudizi, che non sono consoni per coloro, che dovrebbe essere irreprensibili (1 Tm 3,2; Tt 1,6s) e imparziali (1 Tm 5,21; cfr. Gcm 3,17).

 

2.2.  IL CASO SPECIFICO E LA CONDUZIONE

     ■ Quella, descritta dal lettore, è la tipica situazione di un gruppo dirigente affiatato, reduce da una «rivoluzione» del passato e che, in genere, resta in carica fino alla fine dei giorni dei componenti, senza pensare a un ricambio o a un’integrazione. I «rivoluzionari» possono essere i fondatori di una chiesa locale ex novo, oppure coloro che si sono distaccati da una realtà precedentemente esistente, per iniziare una nuova esperienza differente. In genere, essi rimangono nel tempo un gruppo affiatato e con una grande coesione. Anche dopo decenni, agiscono in base agli «atti gloriosi» del passato e ai meriti guadagnati sul campo in tempi difficili, in cui si sono distinti per coraggio e intraprendenza. Tale «passato glorioso» diventa così importante (e ingombrante) nel tempo, da far ritenere tali «eroi della prima ora» (ed essere ritenuti) degli «intoccabili» (cfr. Che Guevara, Fidel Castro, Mao Tse-tung e altri). Si crea un «clima mitico», che fa sì che chi tocca o contraddice tali «rivoluzionari» della fede, assurti oramai a una specie di «unti del Signore», peccherebbe direttamente contro Dio stesso. Tutto ciò, inoltre, diventa spesso un filtro importante (se non l’unico) per giudicare le persone o i fatti presenti, annebbiando spesso il senso realistico ed oggettivo nell’analisi dell’attualità.

 

     ■ Dove in una comunità ci sono già troppi galli, che cantano, è difficile trovare spazio da parte di altri. I ruoli acquisiti vengono allora spesso difesi di là, se si è ancora efficaci o meno, o se altri possono svolgere meglio tale ministero. Spesso tali meccanismi non sono neppure coscienti, ma si prosegue semplicemente su un binario, che si è accreditato nel tempo e che si perpetua con la convenzione e la consuetudine. Oltre a ciò, succede spesso che i figli e i parenti prossimi dei conduttori siano titolari di ministeri chiave nella comunità. I conduttori, conoscendoli al meglio, credono di trovare in loro importanti alleati nel ministero e meno problemi di gestione. Anche loro non sempre si rendono conto di tali meccanismi e del loro pericolo.

 

     ■ Dove una chiesa trova l’obiettivo in se stessa e non nella moltiplicazione delle testimonianze e della missione, ognuno difenderà la posizione acquisita. Una comunità attiva nella moltiplicazione e nella missione trova spazio per tutti. È singolare che una comunità, nata da un’altra chiesa per gemmazione o per rottura (a causa di mancanza di spazio per altri), trova spesso nell’espansione di se stessa l’obiettivo primario, senza una «fase due» di moltiplicazione. Quindi, una comunità nata per contrasti e divisione, perpetua spesso lo stesso errore della comunità, da cui è nata; infatti, prima o poi, si arriva alla prossima saturazione con eventuale spaccatura o «rivoluzione».

 

     ■ I conduttori dovrebbero favorire i membri della loro chiesa, qualora vogliono essere attivi col ministero in chiese circonvicine, che hanno bisogni e carenze, e in opere interecclesiali o paraecclesiali sane. E questo tanto più se localmente c’è un’abbondanza di credenti, che può svolgere gli stessi ministeri, e non c’è posto per tutti. Se i conduttori impediscono, senza giusta causa, l’impegno dei credenti, che hanno una chiamata e dei carismi corrispondenti a un certo servizio, essi impediscono l’opera di Dio e, perciò, si rendono colpevoli.

 

     ■ È insensato, a dir poco, creare dighe in un luogo, per impedire all’acqua di scorrere, quando altrove ci sono deserti, che languono. Perché macerarsi in un luogo ostile o limitante, quando altrove c’è da fare una grande opera? Certe chiese, come già accennato, invece di essere delle palestre di allenamento spirituale e morale, si trasformano in gabbie anguste, in cui i conduttori, quasi fossero addomesticatori, mostrano il loro opprimente potere con frusta e bastone. Dei domatori si ha timore, ma nessun vero rispetto. Conviene seguire il consiglio di Dio, che recita: «Dissodatevi un campo nuovo, e non seminate fra le spine!» (Gr 4,3). Tuttavia, è meglio farsi i conti prima (cfr. Lc 14,28-32), ponderando se la nuova situazione sarà migliore della prima, e scegliendo con discernimento e saggezza.

 

     ■ Quando c’è uno «scollamento» cronico fra un gruppo dirigente e un credente, e quest’ultimo è la vittima dell’arbitrio altrui e della mancanza di realismo e lungimiranza, allora se il credente, che si crede trattato ingiustamente decide di andare altrove, è importante che scelga il momento migliore per farlo, che se ne vada in pace (lasciando un buon profumo di sé alla gloria di Cristo) e che non si accolli colpe dinanzi a Dio, che impedirebbero al Signore di benedirlo nel luogo dove andrà (e ciò darebbe ragione ai suoi detrattori!).

 

2.3.  ASPETTI CONCLUSIVI: Certo, bisognerebbe parlare del tema che cosa sia la sottomissione ai conduttori, ma ciò andrebbe molto di là dallo spazio adeguato di questo scritto. Bisognerebbe parlare pure dell’atteggiamento dei conduttori verso doni dei membri; ma poiché anche questo tema ci porterebbe troppo lontano, suggerisco di studiare ciò Paolo disse riguardo al suo collaboratore Timoteo. Mi riservo di scrivere e pubblicare su tali temi a parte.

 

► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_TP/A1-Conduttori_imped_UnV.htm

11-11-2013; Aggiornamento: 13-11-2013

 

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