Un taglio netto alle convenzioni anti-bibliche e pseudo-bibliche, all'ignoranza e alle speculazioni — Ein klarer Schnitt zu den anti-biblischen und pseudo-biblischen Konventionen, zur Unwissenheit und den Spekulationen — A clean cut to the anti-biblical and pseudo-biblical conventions, to the ignorance and the speculations — Une coupe nette aux conventions anti-bibliques et pseudo-bibliques, à l'ignorance et aux spéculations — Un corte neto a las convenciones anti-bíblicas y pseudo-bíblicas, a la ignorancia y a las especulaciones

La fede che pensa — Accettare la sfida nel nostro tempo

«Glaube gegen den Strom»: Für das biblische Unterscheidungsvermögen — «Faith countercurrent»: For the biblical discernment — «Foi contre-courant»: Pour le discernement biblique — «Fe contracorriente»: Por el discernimiento bíblico

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Dall’avvento alla parusia

 

Prassi di chiesa

 

 

 

 

La prima parte del «Panorama del NT» porta il titolo «Dall’avvento alla parusia», ossia dalla prima alla seconda venuta del Signor Gesù. Questo titolo evidenzia la tensione in cui erano posti i cristiani del primo secolo (e noi oggi). Essi guardavano indietro all’incarnazione, ai patimenti e alla risurrezione di Gesù quale Messia (primo avvento) e guardavano parimenti avanti alla manifestazione del Signore, del suo regno e della sua salvezza. Il termine «avvento» mette quindi in evidenza l’abbassamento del Messia , mentre «parusia» (gr. parousía «venuta, arrivo») evidenzia la manifestazione gloriosa del Signore alla fine dei tempi. Questo è altresì l’uso che si fa di questi due termini nella teologia.

   Ecco le sezioni dell'opera:
■ Aspetti introduttivi
■ Gesù di Nazaret
■ Gli Evangeli
■ Dall’ascensione alla fine dei tempi
■ Aspetti conclusivi

 

► Vedi al riguardo la Recensione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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CONFRONTO SU CALICI O BICCHIERINI 1

 

 di Michele Papagna - Nicola Martella

 

1. Le tesi {Michele Papagna} 2. Osservazioni e obiezioni 1 {Nicola Martella}

3. La replica {Michele Papagna}

4. Osservazioni e obiezioni 2 {Nicola Martella}

 

Clicca sul lemma desiderato per raggiungere la rubrica sottostante

 

Il seguente contributo e la risposta di Nicola Martella dovevano trovare posto nel tema «Calice o bicchierini? Parliamone», in cui abbiamo discusso l’articolo «Calice o bicchierini?» di Tonino Mele. A causa della specificità e della lunghezza del contributo e della risposta, abbiamo preferito mettere il tutto extra. La formattazione nel contributo di questo lettore è redazionale; il grassetto indica una diretta corrispondenza nella risposta. A questo confronto fa seguito poi un secondo articolo, che va più nel merito riguardo alle questioni dell'articolo di Tonino Mele.

 

 

1. Le tesi {Michele Papagna}

 

Caro Nicola, ti saluto nell’amore del Signore Gesù Cristo. Credo che tu non ti sia dimenticato di me, come nemmeno io di te, sebbene siano passati anni dai nostri incontri. Ho letto alcune tue osservazioni sul tema «Calici o bicchierini?». Non voglio entrare nel merito di tutta la discussione. Perlomeno non adesso.

     Ho letto però la tua seguente frase: «È difficile pensare che in una chiesa di 1.000 o 2.000 persone ci sia un solo “calice della benedizione” (1 Cor 10,16) e un “unico pane” (v. 17), e che il culto debba durare tutta una giornata perché tutti partecipino. Si tratta invece solo di simbolismi ideali. A volte pensiamo con orizzonti abbastanza piccoli. Inoltre diamo ai contenitori più significato che ai contenuti».

     Mi dispiace che si facciano apprezzamenti del genere: «A volte pensiamo con orizzonti abbastanza piccoli» su credenti. Non ho capito se stavi parlando d’altri o di te stesso (perdonami l’irriverenza). Mi spiego.

     In aprile scorso ho partecipato con altri credenti a un convegno delle assemblee austriache, presso Salisburgo. Eravamo più di mille persone. La domenica abbiamo partecipato alla rammemorazione (ci tengo a dire rammemorazione / ricordo in senso d’anamnesi e non memoriale) del Signore Gesù con la Cena del Signore.

     Prima di giungere nel grande salone mi sono chiesto: come si farà a distribuire il pane e il vino nell’arco di 2 ore (la cena del Signore cominciava alle 10.30 e sarebbe dovuta finire alle 12.30, con la tipica puntualità teutonica), e allo stesso tempo realizzare una vera rammemorazione e adorazione del Signore Gesù?

     Siccome credo che la Bibbia presenti certi simbolismi pure nel Nuovo Testamento (capo coperto della donna e capo scoperto dell’uomo nella preghiera, cena del Signore, battesimo, unzione dell’olio — non nel senso cattolico o d’alcuni «santoni evangelici»), e che questi simbolismi in sé trasmettano un messaggio anche nella forma, oltreché nella sostanza (pensa per esempio al battesimo), ho provato disagio nel pensare che ci sarebbero stati bicchierini e pezzettini di pane pretagliato. Stavo mostrando di pensare «con orizzonti abbastanza piccoli», come tu dici.

     Con mia grande sorpresa, non ci sono stati né bicchierini né pezzettini di pane. Il simbolismo non è stato ideale, ma reale, permettendo la partecipazione di tutti, ripeto più di mille credenti, in gran parte giovani e giovanissimi, e trasmettendo l’idea, pure nella forma esteriore, della compartecipazione allo stesso pane e allo stesso calice.

     Il culto con la Cena del Signore, è stato fortemente cristocentrico (non come molti culti moderni che hanno dimenticato Cristo, il Redentore, soprattutto con la nuova innologia anonima e sciapa, provenienti dall’ambito carismatico intriso d’esistenzialismo), con una partecipazione massiva all’adorazione, con una attenzione e concentrazione generale elevatissima e con i simboli che venivano distribuiti a tutti.

     Da parte mia posso dire che è stato uno dei culti più intensi dal punto di vista spirituale ed emotivo, a cui io abbia partecipato. Una intensità emotiva non epidermica, perché ogni preghiera e ogni canto sottolineavano qualche aspetto e gloria del Signore Gesù Cristo verso cui tutto il culto era proteso.

     E il culto d’adorazione e rammemorazione del Signore Gesù Cristo è terminato alle ore 12.30. Puntualità teutonica. E non è stato né un italico arrangiarsi né un miracolo!

     Siccome «pensiamo con orizzonti abbastanza piccoli», qualcuno si chiederà come avranno fatto. Non voglio darvi la risposta subito. Quando si hanno orizzonti piccoli, è bene riflettere un po’ di più (gli orizzonti si possono sempre allargare, senza tradire né la sostanza né la forma dell’insegnamento e della prassi biblica). Ciò che a noi sembra impossibile, non sempre è impossibile. Ed a Dio nulla è impossibile! Perlomeno se desideriamo ubbidire alla Parola di Dio, Egli ci concederà la sapienza che viene dall’alto.

     Certe volte, ed è questo il tono della tua frase, innanzi citata, mi sembra che qualcosa (in questo caso il simbolismo) sia vera solo perché praticabile. Pertanto va a finire ch il pragmatismo determina ciò che è possibile credere e ciò che è possibile praticare.

     Infine un’osservazione: è vero che 1 Corinzi non parli essenzialmente della cena del Signore. Ricordo che la Cena del Signore è istituita negli evangeli, praticata negli Atti e regolamentata in 1 Corinzi 11.

     Tuttavia voglio ricordare che quasi sempre le verità bibliche non sono insegnate mediante delle dissertazioni a mo’ di teologia sistematica, con dei capitoli dedicati specificamente. Le verità bibliche si trovano disseminate in tutta la Scrittura e concatenate con altre verità e calate nell’umana esperienza. Pertanto noi le raccogliamo, come diceva Lutero, come raccoglieremmo la frutta dagli alberi.

     Faccio un esempio: la divinità di Gesù Cristo e la sua volontaria umiliazione. Non abbiamo a tal riguardo nella Bibbia un capitolo specifico insegnante in modo ordinato sistematicamente tutti gli aspetti di questa verità. Però troviamo vari testi, inseriti in vari contesti diversi che correlati insieme ci ricordano l’identità divina di Gesù Cristo e la sua discesa nelle parti profonde della terra.

     Ad esempio Filippesi 2: in quel testo si parla «essenzialmente» della deità di Gesù Cristo oppure dell’atteggiamento d’umiltà che deve caratterizzare i fratelli? È chiaro che si parla dell’umiltà che deve caratterizzare i fratelli. Però Paolo nell’inciso, a mo’ d’esempio, ricorda chi è Gesù e cosa ha fatto.

     E tutto ciò non è meno vero riguardo a Gesù solo perché «essenzialmente» il testo abbia una finalità parenetica e non abbia invece una finalità didattica intorno alla cristologia. Come scrivi tu si potrebbe dire: il Signore Gesù fu usata come termine di paragone positivo. Ma le verità su Gesù Cristo quivi enunciate continuano a essere tutte vere, anche nei dettagli. Infatti usiamo, e i «grandi teologi», tutti, utilizzano Filippesi 2 per esplicare la doppia natura di Gesù Cristo e i passi della Sua volontaria umiliazione.

     Tornando a 1 Corinzi 11: il testo regola le anomalie di Corinto. Ma non per questo ciò che dice intorno alla prassi della chiesa di Corinto, emendata dalle deviazioni e dagli errori, sia sbagliata o che non ci riguardi.

     Caro Nicola, non proseguo. Volevo soltanto portare una testimonianza personale e qualche riflessione, su qualche aspetto della Cena del Signore.

 

P.S.: Uno dei motti dei riformatori che più mi piace è «Ecclesia semper reformanda», la chiesa si deve del continuo riformare; beninteso alla luce chiara della Parola di Dio scritta e non delle convenzioni o delle pressioni sociali del tempo, in cui viviamo (di ieri o d’oggi). Con affetto in Cristo… {Manfredonia, 17 ottobre 2009}

 

 

2. Osservazioni e obiezioni 1 {Nicola Martella}

 

Premetto che Michele Papagna ha il diritto alle sue opinioni. Conoscendolo, mi sarei sinceramente aspettato che lui prendesse posizione sull’articolo di Tonino Mele, che è stato discusso nel tema collegato e non su una frase presente in quest'ultimo. Nel suo scritto ho cercato inutilmente argomentazioni in merito. Mi meraviglia che il lettore si sia concentrato su una pulce (la mia frase: «A volte pensiamo con orizzonti abbastanza piccoli», che vale per tutti, essendo nella prima persona plurale) e abbia del tutto trascurato l’elefante (l’articolo). Ha preso anche l’occasione per essere sarcastico, sebbene poi chieda che si sorvoli sulla sua «irriverenza».

     Il lettore ha parlato della sua esperienza in Austria, ma non spiegato come hanno fatto in pratica con le 1.000 persone a bere da un solo «calice della benedizione» e mangiare da un «unico pane». E non si comprende neppure perché, se avessero usato bicchierini e pezzettini di pane, il simbolismo non avrebbe potuto essere concreto, visto che ogni simbolo è un segno ideale che rimanda a una realtà specifica, che dipende dal contesto particolare (cfr. i simboli biblici quali «l’Agnello», «chiave di Davide», «stella del mattino»; i segnali stradali; i logo; gli acronimi come ichtys).[1]

     Mi sfugge che cosa abbia a che fare «l’anamnesi» — un termine mutuato dalla psicologia e dalla psicanalisi — con la «rammemorazione», e come quest’ultima contrasti col «memoriale», visto che ambedue questi ultimi termini sono tipici della tradizione delle Assemblee.

     Non mi dilungo sul fatto che «questi simbolismi in sé trasmettano un messaggio anche nella forma, oltreché nella sostanza» riguardo ai simboli della Cena del Signore, visto che Tonino Mele ha risposto sufficientemente.

     Il lettore converrà che si può dimenticare Cristo, usando sia il calice sia i bicchierini. Al contrario, si può avere un culto fortemente cristocentrico, usando sia i bicchierini, sia il calice. L’intensità spirituale ed emotiva, con cui viviamo delle esperienze (p.es. un culto), dipende dal nostro atteggiamento mentale, dalla nostra empatia verso di esse e dal nostro assenso a farci coinvolgere da esse. Tale intensità non dipende di per sé da aspetti formali, visto che altrove altri affermano la stessa cosa, pur usando bicchierini e pezzettini di pane. Inoltre il nostro vissuto psicologico non può essere il metro di misura per la verità, altrimenti dovremmo dare ragione agli entusiastici e ai mistici.

     È uno strano modo quello di agire per enigmi, negando di svelare il «mistero» su come avranno fatto a bere da un solo «calice della benedizione» e mangiare da un «unico pane» lì in Austria. Michele dovrebbe sapere che io nel mondo teutonico (= tedesco) ci sono di casa (faccio notare che gli austriaci non sono teutoni!) e ne conosco abbastanza bene usi e costumi. Faccio notare che anche fra le Assemblee teutoniche ci sono tante comunità che usano i bicchierini, da soli o unitamente a calici, sia con vino sia con succo d'uva.

     Mi sembra di percepire una sottile e infelice insinuazione, secondo cui le comunità, che usano i bicchierini, non desiderino ubbidire alla Parola di Dio; se così fosse, non potrei certamente fare altro che dissentire. Infatti sono i frutti che mostrano l’albero, specialmente il frutto dello Spirito. In tali casi noi tutti dovremmo riportarci alla mente il rimprovero di Gesù ai ciechi scribi e Farisei: «Voi colate il moscerino e inghiottite il cammello… voi nettate il di fuori del calice e del piatto, mentre dentro sono pieni di rapina e d’intemperanza» (Mt 23,24s; cfr. il contesto).

     Quando alla praticabilità di una cosa (fatto non trascurabile), ricordo che in molte parti del mondo non esistono neppure la vite vinifera né il pane di frumento. Quando pretendiamo d'essere «fiscali» su certe cose, facciamo bene a non dimenticarcene, e cioè sia per rimanere realistici (il Signore poteva richiedere qualcosa di irrealizzabile in certe zone della terra?), sia per pudore verso l'altrui cultura e le diverse circostanze contingenti. A differenza del lusso, con cui ne disquisiamo noi occidentali, i credenti poveri e spesso angariati e perseguitati in varie parti del mondo non hanno tempo per discutere di calici e bicchierini, oggetti che neppure si sognano, né se ci sia una differenza tra rammemorazione e memoriale, né se dovranno celebrare la Cena del Signore solo quando avranno importato dall’occidente il frutto della vite e il pane di frumento. Inoltre Tonino Mele non è partito dalla praticabilità, ma la sua rappresenta un’analisi attenta ed esegetica di brani biblici.

     Un altro mistero è questo: se è vero che 1 Corinzi 11 non parla essenzialmente della cena del Signore, come il lettore conviene, come fa proprio questo brano a regolamentarla? (cfr. invece 1 Cor 5,7s). In ogni modo, Tonino Mele ha spiegato sufficientemente questo brano.

     Quanto alle verità bibliche, se da esse si intende trarre delle precise norme di comportamento, non ci si può basare su brani che si prestano a varie interpretazioni e arbitri, perché oscuri, ma è evidente che bisogna fare capo a quelli che sono chiari e incontrovertibili. Prendere ad esempio la persona e l’opera di Gesù, non mi sembra una questione troppo ardua da trovare nel NT, visto che egli è il centro e il contenuto del nuovo patto. Se non ci fosse Filippesi 2 (grazie a Dio che c’è!), non saremmo certo orfani né sprovveduti di cristologia. La questione non riguarda quindi le cose chiare, ma quelle meno chiare.[2]

     Riguardo a 1 Corinzi 11 e alla citazione che Paolo fa essenzialmente del testo di Luca, non vedo dove sta il problema. Tonino Mele ha spiegato sufficientemente anche questo.

     Ringrazio Michele per la sua testimonianza personale e per le sue riflessioni. Ammetto però che tutto il suo scritto lascia più incertezze che risposte e più «misteri» che rivelazioni; egli affronta questioni marginali invece di concentrarsi sull’analisi esegetica fatta da Tonino Mele. Ammetto di non capire fino in fondo il senso del suo scritto; comunque ho risposto per quello che ho capito o intuito.

     Inoltre quando si parla e si intende accaparrarsi di una «prassi veramente biblica della Cena del Signore», devo ammettere che ciò mi lascia alquanto scettico. Per fare un esempio, che Michele conosce benissimo, ecco che cosa mi è successo una volta proprio nella sua assemblea, quando osai predicare senza giacca. Mi trovavo con la mia famiglia per un paio di giorni in una località non molto distante da Manfredonia; un fratello lo venne a sapere casualmente, mi venne a cercare, insistette e mi costrinse ad andare a predicare in tale comunità, sebbene gli avessi detto che avevo solo un pantalone lungo e una camicia a mezze maniche, visto che ero ospitato in località marina per un paio di giorni e non era prevista una partecipazione a un culto. Appena salito sul pulpito, un fratello si tolse la sua giacca grondante di sudore al punto d'essere bagnata anche fuori e venne a darmela, perché tassativamente me la mettessi alla presenza del Signore. Mi feci una sauna incredibile. Alla fine della predicazione, uno degli anziani, un fratello di nostra conoscenza, mi disse in dialetto: «La predica era buona, ma la prossima volta portati la giacca!». Come si vede, anche questa viene considerata un’interpretazione veramente biblica.[3]

     Sebbene questo non sia probabilmente il caso di questo lettore, faccio notare che esistono situazioni, in cui alcuni si vogliono accaparrare per sé «verità veramente vere e biblicamente scritturali» (per usare un pleonasmo sovrabbondante), sebbene in merito ci siano varie convinzioni (cfr. Rm 14), poiché la Scrittura non chiarisce sufficientemente tale cosa; in tali casi sono spinto a subodorare che alla base ci sia spesso un’ideologia dottrinaria, portata avanti da chi si sente parte di un eletto e ristretto «resto fedele», con cui si vuole magari cantare «Oh, gioia dei puri…», trovando così quell'identificazione e quell'intensità spirituale, che si vorrebbe negare come possibilità ad altri. Voglio credere che questo non sia il caso qui.

     Per quanto ne so, da esperienza diretta e da conferma altrui, nella chiesa di questo lettore di domenica passano normalmente ben 4 calici. Come si può ancora parlare di bere da un solo «calice della benedizione»?

     Si vedano inoltre anche le risposte date da Nicola Martella e da Tonino Mele al contributo di Gianni Siena: Calice o bicchierini? Parliamone (interventi 7-9). 

 

 

3. La replica {Michele Papagna}

 

Caro fratello Nicola, non volevo sollevare tutto quel polverone con il mio intervento sulla tua «pulce». Con il fratello Tonino Mele ho affrontato «l’elefante» in altra sede. Preciso che già prima di scriverti concordavo col fratello Mele e con le sue conclusioni, arricchite da altre osservazioni che gli ho fatto pervenire.

     Quanto al «nostro dibattito» credo di dovermi spiegare. Con la mia non entravo nel merito dell’articolo di Mele e nemmeno pensavo di rispondere alle sue argomentazioni bibliche con il presunto valore canonico d’una esperienza soggettiva. Non era così. E non ero nemmeno così ingenuo da pensare di controbilanciare una solida argomentazione biblica con una esperienza soggettiva. D’altro canto già concordavo in genere con quanto egli affermava.

     Il mio intervento era solo per evidenziare che le tue argomentazioni, in quell’inciso, e solo in quello, che chiami «pulce» erano smentibili da una esperienza personale. Nulla più. Non eravamo su un terreno di confronto biblico, ma di confronto d’esperienze vissute ma non ispirate.

     Premesso questo vengo a chiarire quelli che sono diventati punti di dibattito pubblico, ma che ritengo essere frutti di fraintendimento.

 

     ■ 1. Riguardo la questione «rammemorazione (gr. anamnesi) - memoriale» rimando all’approfondimento fatto con Tonino Mele. La psicologia e la psicanalisi non centrano nulla nel mio caso. È vero che nelle assemblee questi termini sono usati in modo simile e intercambiabile. Ma mi permetto di dire che quest’uso è superficiale ed erroneo.

 

     ■ 2. Riguardo al «messaggio anche nella forma» (ripeto ciò che ho detto sull’articolo di Mele, al quale rimando per il mio approfondimento): nel bere allo stesso calice alla cena del Signore, io esprimo esteriormente questo senso d’appartenenza reciproca alla medesima famiglia, ribadita anche nella pratica del prendere da uno stesso pane (concordo con Mele nella distinzione del significato di comunione tra il calice e il pane in 1 Corinzi 10,16-17). È questo anche il senso dell’uso dei 4 calici nella mia assemblea. Non ho e non abbiamo la «dottrina del calice unico». Preferiamo i calici grandi perché a nostro avviso esprimono visibilmente il senso d’appartenenza reciproca alla stessa famiglia.

 

     ■ 3. Quanto al dimenticare Cristo, il Redentore: è chiaro che si possa dimenticare Cristo sia con i bicchierini sia con il calice. Ma io non avevo fatto la connessione bicchierini = dimenticare Cristo.

     Ho lamentato soltanto che spesso, molto spesso (sia che si tratti di calici che di bicchierini) alla cena del Signore e al culto d’adorazione Cristo è dimenticato, mentre in quell’esperienza austriaca l’adorazione era stata fortemente cristocentrica.

     Perciò non è necessario agitarsi sulla connessione bicchierini = dimenticare Cristo.

 

     ■ 4. Quanto all’intensità spirituale, è vero che molto dipende dall’atteggiamento mentale. Ma io ho collegato l’intensità spirituale ed emotiva con la centralità di Cristo nel culto. Ho visitato oltre 100 chiese evangeliche (tra le cosiddette assemblee e non) in Italia e all’estero, chiese con modi di fare abbastanza difformi dal mio. Per esempio circa due mesi fa ero a Londra alla All Souls Church, dove per anni ha predicato John Stott. Anche là tuttavia ho provato intensità spirituale ed emotiva, sebbene il mio atteggiamento mentale non fosse d’assenso verso alcuni aspetti formali del culto.

     Alla cena del Signore, e al culto d’adorazione, come opportunamente spiego, il mio coinvolgimento viene da una adorazione teocentrica e cristocentrica (nelle preghiere e nei canti) e non antropocentrica o narcisista (intendo con preghiere e canti in cui si parla più dell’uomo e dei suoi sentimenti, che di Dio).

 

     ■ 5. Non ho preso le chiese austriache o tedesche a modello; ho parlato solo di quell’esperienza.

 

     ■ 6. Riguardo la presunta insinuazione: non ho insinuato né sindacato sulla sincerità dell’ubbidienza alla Parola di Dio di quelle comunità che utilizzano i bicchierini. Ho ribadito un principio generale. Credo che sempre, e questo vale per tutti, se vogliamo ubbidire, il Signore ci mostrerà sempre i modi, in cui farlo. Ricordo che l’ubbidienza è il miglior organo di conoscenza spirituale (Giovanni 7,17).

 

     ■ 7. Quanto alla praticabilità, non sono stato io a istituire la Cena del Signore con il pane e il vino. Sicuramente ci sono posti nel mondo in cui mancano sia il pane che il vino. Il Signore dà a quei credenti la saggezza d’onorarlo e ubbidirli nel modo migliore nel praticare comunque la cena del Signore. Proprio su questo punto apprezzo l’intervento di Tonino Mele; è partito dall’analisi dei passi biblici e non da considerazioni contingenti come la presunta impraticabilità in grosse comunità.

 

     ■ 8. Quanto alla nota a piè di pagina riguardante il darbismo e la preghiera pubblica della donna. Io non ho posto queste questioni in essere. Sorvolo sulla questione «darbista». Ormai è diventato un luogo comune. Parafrasando Luciano de Crescenzo, che ricordò che «siamo sempre meridionali di qualcuno», si potrebbe dire che tutti, in qualcosa, «siamo darbisti per qualcuno». Un esempio estremo: se non condividi l’omosessualità per alcuni «evangelici» sei un «darbista», uno stretto che presume d’appartenere a un rimanente fedele con la giusta interpretazione.

     Quanto alla preghiera della donna, sei proprio sicuro che chi crede che siano gli uomini a dover condurre la preghiera pubblica e non le donne, si basi su 1 Corinzi 14,34? Non voglio essere accusato d’essere enigmatico perciò rimando a 1 Timoteo 2.

 

     ■ 9. Quanto alla questione della «giacca», so ciò di cui tu parli, visto che quando sei venuto a Manfredonia, io c’ero. Non capisco perché io sia stato chiamato in causa su questo, quando non rispecchia la mia posizione e pratica personale. Detto questo chiarisco quanto io ho capito della pratica a Manfredonia e altrove. Alcuni fratelli, non tutti e non io, nel corso del tempo hanno ravvisato l’opportunità d’indossare la giacca quando predicano, per una questione d’apparente decoro e dignità connessa al ruolo del predicatore. E questa è una questione giusta. Niente di biblico (non ho mai sentito addurre altre motivazioni se non quelle del decoro e del ruolo, anche a Manfredonia).

     È vero che alcuni fratelli (li chiamerai forse «deboli») sono stati più veementi nel richiedere questo ad altri, oltre che a sé stessi. Ma se uno è forte spiritualmente (Romani 14,13-23), saprà anche rinunciare a un diritto (forse sudando) per evitare di disturbare il fratello. Ho sudato spesso, con la giacca, per evitare di molestare qualche fratello. E questo molto più quando si va in casa d’altri.

     Infine, per conoscenza, al momento non ci sono fratelli che fanno pressione su questa «pratica della giacca», anche se personalmente preferiscono indossarla (non io). Pertanto è bene prima informarsi. Rimane sempre vero il fatto che ogni credente, e chi predica in modo particolare, debba essere vestito in modo adeguato (decoro e dignità) in relazione al posto in cui ci si trova e alla funzione che esplica. Soprattutto d’estate, in un posto di mare quale è Manfredonia.

 

     ■ 10. A questo punto è necessario «svelare l’enigma» della prassi austriaca. Ma siccome sono stato accusato di lasciare incertezze, misteri ed enigmi riguardo all’esperienza in Austria, è giusto che chiarisca tutto, se ve ne fosse ancora bisogno.

     La Cena del Signore è cominciata alle ore 10,30. Su un tavolo era posto un unico grande pane, che qualcuno aveva provveduto a incidere / intagliare accennando con una divisione 6 grandi parti; sul tavolo erano pure posti 6 grandi calici contenenti il vino.

     Quando è cominciato il culto con la cena del Signore, questi grandi pezzi di pane sono stati spezzati e passavano, cosicché ciascun credente spezzava una parte per sé. Subito dopo passavano i calici, da cui in sequenza i credenti bevevano il vino. Mentre i simboli venivano distribuiti i credenti intervenivano dal loro posto, ad alta voce, con preghiere, proponendo canti e con letture bibliche centrate sulla persona e sull’opera di Dio e sulla persona e sulla salvezza in Cristo Gesù. Tutto questo con grande partecipazione e attenzione.

     Semplice no! Quindi sia nella distribuzione del vino che nella distribuzione del calice si è trasmessa anche esteriormente quest’idea della condivisione, della partecipazione comune agli stessi simboli (ripeto: comunque ha fatto bene Mele a distinguere il significato di comunione tra il calice e il pane).

     Fatte queste precisazioni, credo che si possa concludere qui tutta la questione, che credo nasca da fraintendimenti. Per la questione «calici o bicchierini» rimando al mio scambio col fratello Tonino Mele. {30 ottobre 2009}

 

 

4. Osservazioni e obiezioni 2 {Nicola Martella}

 

Ringrazio Michele per la sua replica, che considero un buon segno e per cui lo ringrazio. Egli ha cercato di chiarire meglio il suo punto di vista e ciò ci ha fatto scoprire che sullo spirito delle cose concordiamo abbastanza; su ciò che ancora ci differenzia, possiamo avere le nostre convinzioni nel rispetto di quelle altrui. Ogni giorno mi trovo a confrontarmi con varie richieste di chiarimento biblico, esegetico, pastorale, ecc. Sono quindi continuamente dietro alle cose e trovare tempo per tutto è alquanto difficile. Prendo sempre sul serio ciò che m’arriva e do in genere una risposta esauriente, partendo da ciò che capisco del testo ricevuto. Per non ripetermi, mi limito a poche cose.

     La questione della giacca e della preghiera della donna, tratta da 1 Corinzi 14,34s, non riguardavano le convinzioni personali di Michele Papagna, ma erano solo due esempi da noi ben conosciuti riguardo a come si possa interpretare soggettivamente la Parola, reclamando per sé  una particolare «biblicità» e rischiando così, invece, di piegarla alle proprie convenzioni personali o di gruppo.

     Quanto alla sua esperienza in Austria, nella prima chiesa fondata a Roma-Finocchio da me, Bernardo Oxenham e dalle nostre consorti, abbiamo praticato da sempre la cena del Signore con l’accompagnamento di brevi e molte preghiere, sia che usassimo il calice o i bicchierini; ciò accade anche oggigiorno. Tale pratica la usiamo anche a Tivoli, dove io e mia moglie collaboriamo attualmente alla formazione d’una nuova chiesa.

     Quanto al brano di 1 Timoteo 2, evito di trattarlo qui, poiché questo ci farebbe deviare dalla discussione principale; magari possiamo riprendere la questione in un altro momento più propizio. Ho affrontato la questione già nel libro «Generi e ruoli» e sul sito in diversi articoli e temi di discussione. Inoltre io ho parlato solo di 1 Corinzi 14,34s.

    Incoraggio Michele a continuare a partecipare costruttivamente alle discussioni correnti presenti sul sito. Penso che tale confronto possa servire a noi tutti. Anche i suoi interventi, se vanno nel merito, possono essere d’aiuto a tanti.

 

Confronto su calici o bicchierini 2 {Papagna - Mele - Martella} (T/A)

 

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Note

    [1] Nessun simbolo ha forza e significato in sé, ma è sempre una costruzione ideale, introdotta per significare qualcosa, e tale connessione fra segno e significato si regge sulla tradizione e sulla convenzione, a cui ci si attiene (cfr. p.es. i gesti con le mani, tanto cari agli italiani). Gli stessi simboli, segni e gesti hanno un significato differente a seconda del contesto, in cui sono inseriti; ad esempio, i movimenti della testa che da noi significano «sì» e «no», altrove sono invertiti. Neanche il pane e il vino hanno lo stesso significato nelle varie religioni, in cui vengono usati come simboli all’interno di un rito; neppure il giudaismo (pasqua mosaica) e il cristianesimo biblico (pasqua messianica; Cena del Signore) li usano allo stesso modo, sebbene l’ultima pasqua messianica tragga significato dalla prima. Per la forma e il contenuto di quest’ultimo simbolismo, rimando all’articolo di Tonino Mele.

    [2] Ecco un esempio classico, più adatto a questioni che generano differenze di convinzioni e di comportamenti ecclesiali, e cioè tali da far dividere, a volte, le comunità. Lo introduco soltanto come esempio per rendere l'idea, non perché questa sia per forza la convinzione di Michele, visto che non ne ha parlato. La parte più massimalista (o darbista) delle Assemblee (e non solo loro), si basano sul «si tacciano le donne nelle assemblee» (1 Cor 14,34) per non far pregare le donne. Nell’ermeneutica vige la regola che non bisogna interpretare un brano chiaro mediante uno oscuro. Eppure è ciò che si fa in tali Assemblee: sebbene esso sia un brano oscuro e perciò molto controverso (si interpreta al riguardo il verbo greco lalein p.es. come chiacchierare, parlare in lingue, interpretare le altrui profezie, pregare), esso viene usato per sterilizzare e vanificare un brano molto chiaro: «Ogni uomo che prega o proclama e ha [qualcosa] sul capo, disonora il suo capo. Ogni donna però che prega o proclama a capo scoperto, disonora il suo capo; infatti lei è la stessa cosa come la rasata» (1 Cor 11,4s; cfr. 14,3).

    Per l’approfondimento di «profetare» nel senso di «proclamare in modo estemporaneo e ispirato», diverso da insegnare, si vedano i seguenti articoli: ► Profeti nel Nuovo Testamento; ► Profeti del nuovo patto; ► Profezia e profetare nel NT] Non voglio iniziare una controversia su questo tema, visto che è solo un esempio e visto che è un argomento, che abbiamo già dibattuto altrove in questo sito. [ Profetare significa insegnare? Il ruolo della donna nel culto; ► Il ruolo della donna nel culto? Parliamone. Per l’approfondimento rimando in Nicola Martella, Generi e ruoli 2 (Punto°A°Croce, Roma 1996), agli articoli: «La donna in 1 Corinzi 11», pp. 9-27; «La donna in 1 Corinzi 14», pp. 28-41.

    [3] Per l’approfondimento dell’abuso del concetto «biblico», si veda Nicola Martella (a cura di), «Il bianco, il nero e il grigio», Uniti nella verità, come affrontare le diversità (Punto°A°Croce, Roma 2001), pp. 82-91.

 

► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_TP/A1-Calici_bicchier_cfr_Avv.htm

20-10-2009; Aggiornamento: 27-11-2009

 

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