Una lettrice ci
ha presentato le seguenti questioni.
Carissimo Nicola avrei un paio di domande da farti.
Sono una figlia di Dio che, però, ha sposato un non-credente ed è ora sono per
di più separata da lui. Io ho riconosciuto la mia debolezza carnale, ho chiesto
perdono a Dio e alla chiesa mia d’appartenenza. Essa, però, non mi permette
neanche d’andare ad ascoltare la Parola di Dio nella sala, per non essere di
scandalo agli altri. Mia figlia non può frequentare la scuola domenicale, perché
ritenuta figlia del peccato. Ora frequento un’altra chiesa evangelica e mi trovo
bene in essa.
Adesso arrivo alle mie due
domande: ▪
1. Posso avvicinarmi ai simboli secondo la tua
conoscenza scritturale? ▪ 2. Spesso parlo del
Signore a chi mi sta vicino nel lavoro, nel luogo di vacanze e fra le amicizie
mondane, e m’accorgo che, non per merito mio ma per la grazia di Dio, loro
sentono il profumo di Dio nelle mie parole; facendo ciò, però, una nube di
dubbio passa sul mio cuore: mi è lecito parlare di Dio ad altri? Vista la mia
scelta sbagliata, però, qualcosa dentro mi spinge a confortare con la Parola di
Dio chi è nel bisogno. Aiutami ad avere più chiarezza in questo. {Stella
Graziani, ps.; 1+8 settembre 2009}
Ad aspetti rilevanti di tali questioni rispondiamo qui di seguito. |
Una risposta
sommaria
Certo per dare una
risposta più completa, bisognerebbe conoscere le motivazioni dei conduttori
della prima chiesa della lettrice. Ma se ella si è veramente ravveduta e pentita
e ha chiesto perdono a Dio e alla chiesa, cambiando pure modo di vivere, non
avrebbero dovuto impedire un suo ritorno in comunione. Avrebbero potuto
applicare per un certo periodo una qualche disciplina di chiesa, magari
limitando il suo servizio in seno alla comunità, ma non impedirle d’ascoltare la
Parola di Dio.
Visto che frequenta ora
un’altra comunità, dovrebbe affrontare con i suoi conduttori attuali la
questione della partecipazione sia alla vita di chiesa, sia ai simboli. Con le
premesse fatte sopra, non vedo nessun impedimento da parte mia.
Parlare agli altri
della grazia di Dio non solo le è permesso, ma è un obbligo cristiano. Al
riguardo non bisogna avere scrupoli, se non quelli che le anime si perdono. Chi
più d’un peccatore fallito e pentito può annunciare la misericordia e il perdono
di Dio in Cristo? Paolo stesso ne è un esempio; ma non è il solo.
Qui di seguito tratto
ora questo tema in modo più approfondito. Prendo l'occasione per
suggerire a Stella
di scrivere una testimonianza per il sito
riguardo alla sua scelta matrimoniale sbagliata, che ha fatta in passato, e alle
conseguenze di tale connubio sia per il matrimonio stesso, sia per la sua
esistenza personale, sia per la sua vita spirituale, sia per il rapporto con Dio
e la chiesa locale. Essa potrebbe aiutare lei stessa per chiarirsi, come pure
gli altri che la leggeranno. Il titolo potrebbe essere, ad esempio: «Ho sposato
un non-credente: tribolazioni e conseguenze».
Cadere e rialzarsi
Come seguaci di Cristo
facciamo sempre bene a essere sottomessi a Dio e a mettere in pratica la sua
Parola in ciò che Egli ci comanda. Chi compie ciò che è giusto, ha altresì la
pace (Eb 12,11). Facciamo anche bene a essere sottomessi ai nostri conduttori
per quanto concerne questioni spirituali e morali e fintantoché tagliano
rettamente la Parola della Verità.
D’altra parte, però, nessuno
ha la garanzia che non cadrà mai. Ci sono tentazioni e prove, la debolezza della
carne e sviamenti. Sebbene facciamo bene a camminare strettamente uniti a Cristo
(Col 2,6), svestendo il vecchio uomo e rivestendo il nuovo (Col 3,10), può
succedere che cadiamo in tentazione e nel peccato in momenti di particolare
debolezza o per negligenza nel vegliare. Dove avviene una caduta, la premessa
del ristabilimento è un sincero pentimento, facendo opere degne del ravvedimento
(At 26,20).
Se cadere è male, peggio è
restare atterrati senza alzarsi. Ciò distingue il giusto dall’empio: «Il
giusto cade sette volte e si rialza, ma gli empi sono travolti dalla sventura»
(Pr 24,16). Essere compunti nel cuore per il peccato commesso, ravvedersi e
pentirsi: tutto ciò mostra che lo Spirito Santo ha potuto operare in chi crede.
Solo dov’è entrata la luce, si vede la polvere! I cuori induriti nelle tenebre
non sono sensibili al peccato. Un cuore ravveduto vuol mettere a posto le cose,
per quanto è possibile, dinanzi a Dio e agli uomini. Nel caso di Stella,
da quanto lei afferma, questo c’è stato.
Riaccettazione e
ristabilimento
Nella ricostruzione dei fatti posso solo prendere per vero ciò che afferma la
lettrice, non conoscendo il punto di vista di altri. In ogni modo, ho conosciuto
personalmente casi simili; posso quindi parlare della questione a prescindere da
questo caso singolo e particolare. [►
I provvedimenti di fuori comunione]
Quanto abbiamo detto finora è la premessa per la riaccettazione nella comunione.
È opera della cura d’anime perché si arrivi a ciò. Anche la disciplina
ecclesiale dev’essere finalizzata al recupero e all’integrazione nella
comunione.
Purtroppo è qui che alcune chiese falliscono. Esse hanno una concezione
integralista della fede e il loro metodo per mantenere una presunta «purezza
morale» della chiesa locale è quello di tagliare fuori della comunione coloro
che hanno fallito, sebbene si siano ravveduti, pentiti, abbiano mutato la loro
vita e abbiamo chiesto perdono a Dio e alla chiesa. Tutto ciò è molto pericoloso
come dottrina e come pratica, visto che, come mostra la storia, i più grandi
giudici spesso cadono essi stessi sotto giudizio! È anche una specie di
pericolosa cecità, pensando che alcuni credenti siano oramai capaci di vivere
una tale vita di santità che sono immuni da cadute, almeno da quelle di un certo
tipo. Inoltre così negano agli altri la grazia che essi stessi reclamano per sé.
La pratica sapienza di Giacomo gli fece scrivere a conclusione della sua
epistola: «Fratelli miei, se qualcuno fra voi si
svia
dalla verità e qualcuno lo riconduce,
sappiate che colui, che riconduce un peccatore dallo sviamento della sua via,
proteggerà l’anima di lui dalla morte e coprirà moltitudine di peccati» (Gcm
5,19s). Similmente Paolo scrisse di un certo caso di disciplina ecclesiale:
«Ora, se qualcuno ha causato tristezza, egli non ha
contristato me, ma, in parte, per non esagerare, voi tutti. Basta a quel tale la
riprensione inflittagli dalla
maggioranza; affinché ora, al contrario, dovreste piuttosto
perdonarlo e
confortarlo, che talora non abbia a rimanere sommerso da
eccessiva tristezza. Perciò vi prego di
confermargli l’amore vostro; poiché anche per questo vi ho scritto: per
conoscere alla prova se siete ubbidienti in ogni cosa. Ora a chi voi perdonate
qualcosa, perdono anch’io; poiché anch’io quel che ho perdonato, se ho perdonato
qualcosa, l’ho fatto per amor vostro, nel cospetto di Cristo, affinché non siamo
soverchiati da Satana, poiché non ignoriamo le sue macchinazioni» (2 Cor
2,5-11). È probabile che qui Paolo si riferisse al caso di fornicazione
descritta precedentemente (1 Cor 5,1ss).
Com’era diverso il
linguaggio pastorale di Giacomo e di Paolo rispetto all’atteggiamento
integralista di coloro che conoscono un solo metodo per curare il male:
«tagliare fuori» chi è caduto, sebbene si sia pentito e ravveduto. È triste una
chiesa locale che non solo non accetta nuovamente in comunione una credente che
si è ravveduta dalle sue trasgressioni, ma non le permette neppure di
frequentare le riunioni. E tutto ciò per non dare scandalo agli altri! Che dire
in merito? Scandalo è qui l’atteggiamento di tali conduttori, che non le
permettono di frequentare le riunioni, non curano l’anima sua e non la
riabilitano. Una peccatrice sinceramente pentita è una grande testimonianza!
Il
ministero di riabilitazione
Gesù praticò tale ministero di riabilitazione. Che
farebbero certe chiese integraliste, se l’ex indemoniato di Gerasa «in
buon senno» venisse nella loro comunità: s’impaurirebbero anche loro? (Mc 5,15).
Anche alle chiese fu
affidato un ministero di riabilitazione. Come si comporterebbero con un Saulo
da Tarso, dopo il suo ritorno da Damasco? Probabilmente anche lui non avrebbe
una chance di essere accettati in comunione da certe chiese!?
Specialmente Barnaba
si prese a cuore di riabilitare Saulo, portandolo agli apostoli e accreditandolo
presso di loro a causa del cambiamento avvenuto (At 9,27s); in seguito, dopo
anni, lo andò a prendere a Tarso e lo associò al ministero in Antiochia (At
11,25s). Similmente fece poi riguardo a Marco, suo cugino, il quale aveva
fallito in precedenza; riabilitarlo gli costò la separazione dallo stesso Paolo
(At 15,37ss). In seguito Marco, essendo stato riabilitato, divenne molto
prezioso sia per Paolo (Col 4,10; 2 Tm 4,11; Flm 1,24), sia per Pietro (1 Pt
5,13).
Infine, che farebbero tali
chiese integraliste con un Cefa (Pietro)? Egli era così attaccato a Gesù,
per primo riconobbe la sua messianicità (Mt 16,15ss) e aveva così seriamente
protestato contro l’idea che egli avrebbe mai potuto rinnegare Gesù (Mt
26,33ss). Eppure ciò accadde, suo malgrado, in un momento di particolare
travaglio (Mt 26,69-75). Pietro si precipitò alla tomba, dopo aver sentito della
risurrezione (Lc 24,12). Gesù non lo tagliò fuori, non mise in forse l’amore di
Pietro per Lui, ma lo riabilitò come persona e come apostolo, dandogli un
compito in mezzo agli altri discepoli e nella chiesa (Gv 21,15ss). L’esperienza
di questo suo fallimento e della sua riabilitazione lo segnarono profondamente,
rendendolo misericordioso verso coloro che, sebbene fossero caduti, erano
sinceramente pentiti. Le due sue epistole sono piene di un particolare pathos
pastorale (cfr. 1 Pt 5,1ss).
Anche Paolo aveva
imparato dalla sua propria biografia. Per questo esortò come segue: «Fratelli,
quand’anche uno sia stato trovato in
qualche trasgressione, voi, che siete spirituali, rialzatelo con spirito
di mansuetudine. E
bada bene a te stesso, che talora
anche tu non sii tentato. Portate i pesi gli uni degli altri, e così adempirete
la legge di Cristo» (Gal 6,1s).
Ho dovuto pensare a ciò che
Gesù disse ai farisei: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i
malati. Ora andate e imparate che cosa significhi: “Voglio misericordia e non
sacrificio”. Infatti io non sono venuto a chiamare dei giusti, ma dei peccatori»
(Mt 9,12s).
La nuova
comunità
La lettrice afferma di
frequentare ora un’altra chiesa evangelica e di trovarsi bene là. La domanda,
che mi pongo, è la seguente: Non ha chiarito nulla con i conduttori della nuova
comunità? Non sanno essi nulla del passato e della nuova svolta? A ciò sono
connesse le risposte alle due domande.
■
1. Se c’è stato tale profondo e radicale ravvedimento
e la nuova chiesa ne è al corrente, accettandola in comunione, non c’è nulla che
impedisce la partecipazione alla cena del Signore. Tali simboli
rappresentano appunto la capitolazione del peccatore dinanzi alla grazia
immeritata di Dio manifestata in Cristo; essi rappresentano la manifestazione
della comunione con le sofferenze e con la risurrezione di Cristo; infine,
rappresentano l’impegno a vivere in modo moralmente santo per Colui che ci ha
riscattati e a cui perciò apparteniamo. Quindi perché non partecipare alla cena
del Nuovo Patto?
■
2. È naturale per ogni peccatore ravveduto e pentito
di parlare agli altri della misericordia divina che ha sperimentato. Chi
dovrebbe farlo altrimenti? Paolo fu un omicida e uno stragista, eppure divenne
il grande evangelizzatore delle genti (At 9,20ss). A causa del suo passato, si
paragonò all’aborto e si ritenne il «minimo degli apostoli», non sentendosi
neppure degno di tale nome, avendo egli «perseguitato la chiesa di Dio»; eppure,
come lui stesso ammise, la grazia di Dio verso di lui non era stata vana, ma
anzi aveva faticato oltremodo per l’Evangelo (1 Cor 15,8ss).
Quindi, non solo è lecito
parlare di Dio agli altri, ma è un dovere cristiano. Chi più di un
peccatore fallito, ma che ha sperimentato la misericordia divina, potrà parlare
agli altri della grazia e del perdono divino? La Samaritana faceva fin lì una
vita da emarginata a causa della sua convivenza; quando però incontrò Gesù ed
Egli le disse il fatto suo (Gv 4,17s) e le rivelò di essere il Messia (v. 26),
ella non ebbe remore ad andare per il villaggio e a chiamare tutti a raccolta,
proclamando il suo peccato e la messianicità di Gesù (vv. 28s). In tal modo
anche gli altri Samaritani poterono credere in Gesù Messia (vv. 39-42). Ecco il
comando di Gesù ai peccatori liberati, convertiti e trasformati: «Va’ a casa
tua dai tuoi, e racconta loro le grandi cose che il Signore ti ha fatto, e come
egli ha avuto pietà di te. E quello se ne andò e cominciò a pubblicare per la
Decapoli le grandi cose che Gesù aveva fatto per lui. E tutti si meravigliarono»
(Mc 5,19s).
■
3. Il mio consiglio, che do a questa lettrice,
è il seguente. Preghi il Signore per la sua particolare situazione; se ci sono
cose da mettere a posto, lo faccia. Poi si rechi dai conduttori della chiesa,
che frequenta attualmente, ed esprima loro il desiderio di essere in comunione e
di partecipare sia alla vita della chiesa, sia alla cena del Signore. Dio darà
loro saggezza.
►
Uso e abuso della disciplina ecclesiale {Nicola Martella} (D)
► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_TP/A1-Caduta_pentita_chiesa_EnB.htm
03-09-2009; Aggiornamento: 08-11-2009
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