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La fede che pensa — Accettare la sfida nel nostro tempo

«Glaube gegen den Strom»: Für das biblische Unterscheidungsvermögen — «Faith countercurrent»: For the biblical discernment — «Foi contre-courant»: Pour le discernement biblique — «Fe contracorriente»: Por el discernimiento bíblico

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CADUTA E PENTITA, MA NON ACCETTATA DALLA CHIESA

 

 di Nicola Martella

 

Una lettrice ci ha presentato le seguenti questioni.

 

Carissimo Nicola avrei un paio di domande da farti. Sono una figlia di Dio che, però, ha sposato un non-credente ed è ora sono per di più separata da lui. Io ho riconosciuto la mia debolezza carnale, ho chiesto perdono a Dio e alla chiesa mia d’appartenenza. Essa, però, non mi permette neanche d’andare ad ascoltare la Parola di Dio nella sala, per non essere di scandalo agli altri. Mia figlia non può frequentare la scuola domenicale, perché ritenuta figlia del peccato. Ora frequento un’altra chiesa evangelica e mi trovo bene in essa.

     Adesso arrivo alle mie due domande: 1. Posso avvicinarmi ai simboli secondo la tua conoscenza scritturale? 2. Spesso parlo del Signore a chi mi sta vicino nel lavoro, nel luogo di vacanze e fra le amicizie mondane, e m’accorgo che, non per merito mio ma per la grazia di Dio, loro sentono il profumo di Dio nelle mie parole; facendo ciò, però, una nube di dubbio passa sul mio cuore: mi è lecito parlare di Dio ad altri? Vista la mia scelta sbagliata, però, qualcosa dentro mi spinge a confortare con la Parola di Dio chi è nel bisogno. Aiutami ad avere più chiarezza in questo. {Stella Graziani, ps.; 1+8 settembre 2009}

 

Ad aspetti rilevanti di tali questioni rispondiamo qui di seguito.

 

Una risposta sommaria

     Certo per dare una risposta più completa, bisognerebbe conoscere le motivazioni dei conduttori della prima chiesa della lettrice. Ma se ella si è veramente ravveduta e pentita e ha chiesto perdono a Dio e alla chiesa, cambiando pure modo di vivere, non avrebbero dovuto impedire un suo ritorno in comunione. Avrebbero potuto applicare per un certo periodo una qualche disciplina di chiesa, magari limitando il suo servizio in seno alla comunità, ma non impedirle d’ascoltare la Parola di Dio.

     Visto che frequenta ora un’altra comunità, dovrebbe affrontare con i suoi conduttori attuali la questione della partecipazione sia alla vita di chiesa, sia ai simboli. Con le premesse fatte sopra, non vedo nessun impedimento da parte mia.

     Parlare agli altri della grazia di Dio non solo le è permesso, ma è un obbligo cristiano. Al riguardo non bisogna avere scrupoli, se non quelli che le anime si perdono. Chi più d’un peccatore fallito e pentito può annunciare la misericordia e il perdono di Dio in Cristo? Paolo stesso ne è un esempio; ma non è il solo.

     Qui di seguito tratto ora questo tema in modo più approfondito. Prendo l'occasione per suggerire a Stella di scrivere una testimonianza per il sito riguardo alla sua scelta matrimoniale sbagliata, che ha fatta in passato, e alle conseguenze di tale connubio sia per il matrimonio stesso, sia per la sua esistenza personale, sia per la sua vita spirituale, sia per il rapporto con Dio e la chiesa locale. Essa potrebbe aiutare lei stessa per chiarirsi, come pure gli altri che la leggeranno. Il titolo potrebbe essere, ad esempio: «Ho sposato un non-credente: tribolazioni e conseguenze».

 

Cadere e rialzarsi

     Come seguaci di Cristo facciamo sempre bene a essere sottomessi a Dio e a mettere in pratica la sua Parola in ciò che Egli ci comanda. Chi compie ciò che è giusto, ha altresì la pace (Eb 12,11). Facciamo anche bene a essere sottomessi ai nostri conduttori per quanto concerne questioni spirituali e morali e fintantoché tagliano rettamente la Parola della Verità.

     D’altra parte, però, nessuno ha la garanzia che non cadrà mai. Ci sono tentazioni e prove, la debolezza della carne e sviamenti. Sebbene facciamo bene a camminare strettamente uniti a Cristo (Col 2,6), svestendo il vecchio uomo e rivestendo il nuovo (Col 3,10), può succedere che cadiamo in tentazione e nel peccato in momenti di particolare debolezza o per negligenza nel vegliare. Dove avviene una caduta, la premessa del ristabilimento è un sincero pentimento, facendo opere degne del ravvedimento (At 26,20).

     Se cadere è male, peggio è restare atterrati senza alzarsi. Ciò distingue il giusto dall’empio: «Il giusto cade sette volte e si rialza, ma gli empi sono travolti dalla sventura» (Pr 24,16). Essere compunti nel cuore per il peccato commesso, ravvedersi e pentirsi: tutto ciò mostra che lo Spirito Santo ha potuto operare in chi crede. Solo dov’è entrata la luce, si vede la polvere! I cuori induriti nelle tenebre non sono sensibili al peccato. Un cuore ravveduto vuol mettere a posto le cose, per quanto è possibile, dinanzi a Dio e agli uomini. Nel caso di Stella, da quanto lei afferma, questo c’è stato.

 

Riaccettazione e ristabilimento

     Nella ricostruzione dei fatti posso solo prendere per vero ciò che afferma la lettrice, non conoscendo il punto di vista di altri. In ogni modo, ho conosciuto personalmente casi simili; posso quindi parlare della questione a prescindere da questo caso singolo e particolare. [ I provvedimenti di fuori comunione] Quanto abbiamo detto finora è la premessa per la riaccettazione nella comunione. È opera della cura d’anime perché si arrivi a ciò. Anche la disciplina ecclesiale dev’essere finalizzata al recupero e all’integrazione nella comunione.

     Purtroppo è qui che alcune chiese falliscono. Esse hanno una concezione integralista della fede e il loro metodo per mantenere una presunta «purezza morale» della chiesa locale è quello di tagliare fuori della comunione coloro che hanno fallito, sebbene si siano ravveduti, pentiti, abbiano mutato la loro vita e abbiamo chiesto perdono a Dio e alla chiesa. Tutto ciò è molto pericoloso come dottrina e come pratica, visto che, come mostra la storia, i più grandi giudici spesso cadono essi stessi sotto giudizio! È anche una specie di pericolosa cecità, pensando che alcuni credenti siano oramai capaci di vivere una tale vita di santità che sono immuni da cadute, almeno da quelle di un certo tipo. Inoltre così negano agli altri la grazia che essi stessi reclamano per sé.

     La pratica sapienza di Giacomo gli fece scrivere a conclusione della sua epistola: «Fratelli miei, se qualcuno fra voi si svia dalla verità e qualcuno lo riconduce, sappiate che colui, che riconduce un peccatore dallo sviamento della sua via, proteggerà l’anima di lui dalla morte e coprirà moltitudine di peccati» (Gcm 5,19s). Similmente Paolo scrisse di un certo caso di disciplina ecclesiale: «Ora, se qualcuno ha causato tristezza, egli non ha contristato me, ma, in parte, per non esagerare, voi tutti. Basta a quel tale la riprensione inflittagli dalla maggioranza; affinché ora, al contrario, dovreste piuttosto perdonarlo e confortarlo, che talora non abbia a rimanere sommerso da eccessiva tristezza. Perciò vi prego di confermargli l’amore vostro; poiché anche per questo vi ho scritto: per conoscere alla prova se siete ubbidienti in ogni cosa. Ora a chi voi perdonate qualcosa, perdono anch’io; poiché anch’io quel che ho perdonato, se ho perdonato qualcosa, l’ho fatto per amor vostro, nel cospetto di Cristo, affinché non siamo soverchiati da Satana, poiché non ignoriamo le sue macchinazioni» (2 Cor 2,5-11). È probabile che qui Paolo si riferisse al caso di fornicazione descritta precedentemente (1 Cor 5,1ss).

     Com’era diverso il linguaggio pastorale di Giacomo e di Paolo rispetto all’atteggiamento integralista di coloro che conoscono un solo metodo per curare il male: «tagliare fuori» chi è caduto, sebbene si sia pentito e ravveduto. È triste una chiesa locale che non solo non accetta nuovamente in comunione una credente che si è ravveduta dalle sue trasgressioni, ma non le permette neppure di frequentare le riunioni. E tutto ciò per non dare scandalo agli altri! Che dire in merito? Scandalo è qui l’atteggiamento di tali conduttori, che non le permettono di frequentare le riunioni, non curano l’anima sua e non la riabilitano. Una peccatrice sinceramente pentita è una grande testimonianza!

 

Il ministero di riabilitazione

     Gesù praticò tale ministero di riabilitazione. Che farebbero certe chiese integraliste, se l’ex indemoniato di Gerasa «in buon senno» venisse nella loro comunità: s’impaurirebbero anche loro? (Mc 5,15).

     Anche alle chiese fu affidato un ministero di riabilitazione. Come si comporterebbero con un Saulo da Tarso, dopo il suo ritorno da Damasco? Probabilmente anche lui non avrebbe una chance di essere accettati in comunione da certe chiese!?

     Specialmente Barnaba si prese a cuore di riabilitare Saulo, portandolo agli apostoli e accreditandolo presso di loro a causa del cambiamento avvenuto (At 9,27s); in seguito, dopo anni, lo andò a prendere a Tarso e lo associò al ministero in Antiochia (At 11,25s). Similmente fece poi riguardo a Marco, suo cugino, il quale aveva fallito in precedenza; riabilitarlo gli costò la separazione dallo stesso Paolo (At 15,37ss). In seguito Marco, essendo stato riabilitato, divenne molto prezioso sia per Paolo (Col 4,10; 2 Tm 4,11; Flm 1,24), sia per Pietro (1 Pt 5,13).

     Infine, che farebbero tali chiese integraliste con un Cefa (Pietro)? Egli era così attaccato a Gesù, per primo riconobbe la sua messianicità (Mt 16,15ss) e aveva così seriamente protestato contro l’idea che egli avrebbe mai potuto rinnegare Gesù (Mt 26,33ss). Eppure ciò accadde, suo malgrado, in un momento di particolare travaglio (Mt 26,69-75). Pietro si precipitò alla tomba, dopo aver sentito della risurrezione (Lc 24,12). Gesù non lo tagliò fuori, non mise in forse l’amore di Pietro per Lui, ma lo riabilitò come persona e come apostolo, dandogli un compito in mezzo agli altri discepoli e nella chiesa (Gv 21,15ss). L’esperienza di questo suo fallimento e della sua riabilitazione lo segnarono profondamente, rendendolo misericordioso verso coloro che, sebbene fossero caduti, erano sinceramente pentiti. Le due sue epistole sono piene di un particolare pathos pastorale (cfr. 1 Pt 5,1ss).

     Anche Paolo aveva imparato dalla sua propria biografia. Per questo esortò come segue: «Fratelli, quand’anche uno sia stato trovato in qualche trasgressione, voi, che siete spirituali, rialzatelo con spirito di mansuetudine. E bada bene a te stesso, che talora anche tu non sii tentato. Portate i pesi gli uni degli altri, e così adempirete la legge di Cristo» (Gal 6,1s).

     Ho dovuto pensare a ciò che Gesù disse ai farisei: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Ora andate e imparate che cosa significhi: “Voglio misericordia e non sacrificio”. Infatti io non sono venuto a chiamare dei giusti, ma dei peccatori» (Mt 9,12s).

 

La nuova comunità

     La lettrice afferma di frequentare ora un’altra chiesa evangelica e di trovarsi bene là. La domanda, che mi pongo, è la seguente: Non ha chiarito nulla con i conduttori della nuova comunità? Non sanno essi nulla del passato e della nuova svolta? A ciò sono connesse le risposte alle due domande.

     ■ 1. Se c’è stato tale profondo e radicale ravvedimento e la nuova chiesa ne è al corrente, accettandola in comunione, non c’è nulla che impedisce la partecipazione alla cena del Signore. Tali simboli rappresentano appunto la capitolazione del peccatore dinanzi alla grazia immeritata di Dio manifestata in Cristo; essi rappresentano la manifestazione della comunione con le sofferenze e con la risurrezione di Cristo; infine, rappresentano l’impegno a vivere in modo moralmente santo per Colui che ci ha riscattati e a cui perciò apparteniamo. Quindi perché non partecipare alla cena del Nuovo Patto?

 

     ■ 2. È naturale per ogni peccatore ravveduto e pentito di parlare agli altri della misericordia divina che ha sperimentato. Chi dovrebbe farlo altrimenti? Paolo fu un omicida e uno stragista, eppure divenne il grande evangelizzatore delle genti (At 9,20ss). A causa del suo passato, si paragonò all’aborto e si ritenne il «minimo degli apostoli», non sentendosi neppure degno di tale nome, avendo egli «perseguitato la chiesa di Dio»; eppure, come lui stesso ammise, la grazia di Dio verso di lui non era stata vana, ma anzi aveva faticato oltremodo per l’Evangelo (1 Cor 15,8ss).

     Quindi, non solo è lecito parlare di Dio agli altri, ma è un dovere cristiano. Chi più di un peccatore fallito, ma che ha sperimentato la misericordia divina, potrà parlare agli altri della grazia e del perdono divino? La Samaritana faceva fin lì una vita da emarginata a causa della sua convivenza; quando però incontrò Gesù ed Egli le disse il fatto suo (Gv 4,17s) e le rivelò di essere il Messia (v. 26), ella non ebbe remore ad andare per il villaggio e a chiamare tutti a raccolta, proclamando il suo peccato e la messianicità di Gesù (vv. 28s). In tal modo anche gli altri Samaritani poterono credere in Gesù Messia (vv. 39-42). Ecco il comando di Gesù ai peccatori liberati, convertiti e trasformati: «Va’ a casa tua dai tuoi, e racconta loro le grandi cose che il Signore ti ha fatto, e come egli ha avuto pietà di te. E quello se ne andò e cominciò a pubblicare per la Decapoli le grandi cose che Gesù aveva fatto per lui. E tutti si meravigliarono» (Mc 5,19s).

 

     ■ 3. Il mio consiglio, che do a questa lettrice, è il seguente. Preghi il Signore per la sua particolare situazione; se ci sono cose da mettere a posto, lo faccia. Poi si rechi dai conduttori della chiesa, che frequenta attualmente, ed esprima loro il desiderio di essere in comunione e di partecipare sia alla vita della chiesa, sia alla cena del Signore. Dio darà loro saggezza.

 

Uso e abuso della disciplina ecclesiale {Nicola Martella} (D)

 

► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_TP/A1-Caduta_pentita_chiesa_EnB.htm

03-09-2009; Aggiornamento: 08-11-2009

 

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