Un taglio netto alle convenzioni anti-bibliche e pseudo-bibliche, all'ignoranza e alle speculazioni — Ein klarer Schnitt zu den anti-biblischen und pseudo-biblischen Konventionen, zur Unwissenheit und den Spekulationen — A clean cut to the anti-biblical and pseudo-biblical conventions, to the ignorance and the speculations — Une coupe nette aux conventions anti-bibliques et pseudo-bibliques, à l'ignorance et aux spéculations — Un corte neto a las convenciones anti-bíblicas y pseudo-bíblicas, a la ignorancia y a las especulaciones

La fede che pensa — Accettare la sfida nel nostro tempo

«Glaube gegen den Strom»: Für das biblische Unterscheidungsvermögen — «Faith countercurrent»: For the biblical discernment — «Foi contre-courant»: Pour le discernement biblique — «Fe contracorriente»: Por el discernimiento bíblico

Per il discernimento biblico

Prima pagina

Contattaci

Domande frequenti

Novità

Arte sana

Bibbia ed ermeneutica

Culture e ideologie

Confessioni cristiane

Dottrine

Religioni

Scienza e fede

Teologia pratica

▼ Vai a fine pagina

 

Manuale Teologico dell’AT

 

Strutture paraecclesiali

 

 

 

 

Dopo una introduzione alle problematiche della teologia dell’AT, segue il dizionario teologico dell’AT.

   Ecco le parti principali dell’introduzione alla teologia dell’AT:
■ Il compito e l’oggetto della Teologia dell’AT
■ Le posizioni teologiche più ricorrenti
■ I patti e gli altri approcci
■ Contro l’appiattimento storico e teologico dell’AT.

 

Al dizionario teologico dell’AT sono acclusi un registro delle voci e un registro ragionato delle stesse detto «percorsi teologici».

 

► Vedi al riguardo le recensioni.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Serviti della e-mail sottostante!

E-mail

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

IL VERME DELL’ACCADEMISMO (2)

 

di Nicola Martella

 

4. I limiti didattici dell’accademismo

5. Alcune osservazioni costruttive

6. Punti da ponderare

 

Clicca sulle frecce iniziali per andare avanti e indietro.

 

Prima parte: ► Il verme dell’accademismo (1).

   ■ 1. Entriamo in tema

   ■ 2. Accademismo e «istituti biblici»

   ■ 3. Approfondiamo la questione

 

 

4.  I LIMITI DIDATTICI DELL’ACCADEMISMO: L’accademismo è sinonimo di «scolasticismo». Esso antepone alla libera creazione la pedante osservanza di canoni e norme, che le accademie hanno elaborato nelle varie epoche. In campo artistico e letterario si riferisce alle opere realizzate senza libera iniziativa, seguendo le impostazioni accademiche. In campo teologico le cose non sono diverse.

     Gli insegnanti cultori dell’accademismo rischiano «indottrinare» gli studenti e di creare dei «cloni» di se stessi (un po’ come fanno i guru e gli ideologi); perciò in genere non amano il dissenso, la divergenza e il libero pensiero. A ciò si aggiunga che al primo posto c’è il «piano di studi», il «curriculum» e i «programmi» da raggiungere assolutamente. Tutto è finalizzato al raggiungimento del grado accademico.

     Al «maestro» invece non interessano primariamente i programmi, ma gli studenti stessi e la loro crescita personale; a lui non interessa di indottrinare i suoi studenti (= clonare se stesso in loro), ma di portarli a maturità. Non vuole creare dei «disabili» dalla testa grande, ma dai piedi fragili. Non vuole rispondere solo a domande che gli studenti non hanno (ma suggerite perché richiesto dal programma), ma intende prendersi a cuore anche le questioni che «bollono» nella loro mente e nella loro esistenza di giovani in cerca di risposte personali nel loro tempo particolare.

     L’accademismo e lo scolasticismo rischiano di trascurare la persona nel suo complesso e di mettere come priorità livelli da raggiungere, specializzazioni, sistemi di crediti e gradi accademici. A ciò si aggiunga anche il rischio che tali «istituti biblici», così facendo, vogliano in fondo accreditare specialmente se stessi nel panorama accademico.

     L’accademismo e lo scolasticismo rischiano, così facendo, di creare soprattutto degli «idioti specializzati» (ossia esperti in un piccolo campo, p.es. lingue bibliche), incapaci di affrontare poi i problemi reali della vita e i molteplici compiti che troveranno. Sullo scoglio della pratica si infrangono spesso i loro sogni e le loro vocazioni.

     Gli «istituti biblici» stanno assomigliando sempre più alle università. Mi ha colpito quello che ha scritto in rete uno studente di Lettere in una università italiana: «...il sistema dei crediti mi sembra la raccolta punti delle merendine, si promuove la mediocrità, la mancanza di spirito, di fantasia, di indipendenza intellettuale. L’esame è ripetere quel centinaio di pagine di appunti del professore e i quattro libri assegnati per prendere il voto e quindi, dopo che hai totalizzato i punti necessari, il servizio da dodici detto anche laurea». Egli parla del terrore dello studente prima dell’esame come se fosse in procinto di farsi operare per una grave malattia; poi segue la delusione che l’insegnante non gli ha chiesto proprio quelle cose che aveva studiato. Poi prosegue: «Nessuno o quasi studia per il piacere, l’esigenza di sapere cose che prima non sapeva. Sto estremizzando, ma sono esempi per dire che l’università, Lettere soprattutto, dovrebbe promuovere la curiosità, l’amore per la cultura intesa come strumento di comprensione della realtà e invece educa solo alla logica del profitto, del riuscire “presto e facilmente”, del “tanto ce la fanno tutti”». Risparmiamo qui il seguito, aggiungendo che parla però anche di «un’istituzione di ragazzi senza spirito e senza nerbo e di professori disperati, o rinchiusi nel loro sterilissimo accademismo» (http://forum.ilmucchio.it/showthread.php?t=27568&page=3). Non è strano che alcuni «istituti biblici» si siano proposti il traguardo di assomigliare proprio alle università?

     Ho letto da qualche parte che la scuola italiana è impiccata e bloccata a una feroce dittatura del più vetusto intellettualismo e accademismo formale ed è in sostanza una scuola della immobilità e della fissità. Mi sembra che alcuni di questi aspetti potrebbero anche valere per gli «istituti biblici».

     Mi ha colpito l’analisi fatta dall’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) sull’argomento, che si potrebbe applicare anche agli «istituti biblici» con mire accademiche. «Nella maggior parte dei sistemi educativi, le responsabilità formali sono legate a un quadro normativo piuttosto che al buon insegnamento o ai buoni risultati conseguiti dagli studenti (…) L’istruzione dovrebbe instillare valori, risvegliare l’interesse e la curiosità, sviluppare il gusto e condurre a una certa padronanza, a una certa autonomia attraverso la pratica della lettura, della scrittura, delle arti, delle attività manuali. Essa cade, invece, nell’astratto, concentrandosi e nell’accademismo e nella memorizzazione di fatti, formando giovani che, secondo alcuni criteri, sanno tutto e sono capaci di ottenere buoni voti agli esami, ma non hanno imparato a pensare, non hanno acquisito una reale cultura (…) Il rapporto alunni/insegnanti è eccezionalmente basso (…) eppure nelle scuole che abbiamo visitato, prevalevano ancora metodi didattici tradizionali» [OCSE, Esami delle politiche nazionali dell’istruzione. L’Italia (Armando, Roma 1998)].

 

 

5.  ALCUNE OSSERVAZIONI COSTRUTTIVE: Ho letto una frase di Tavo Burat che mi ha colpito (è esponente storico dei movimenti di difesa delle minoranze etno-linguistiche); egli ha detto che «l’accademismo non è necessariamente il criterio di una cultura superiore».

     Non voglio certamente creare una scelta esclusivistica fra accademismo e vocazione sperimentale: in ambedue c’è il rischio dell’unilateralità e dell’esagerazione. Da una parte troveremo una visione di natura squisitamente intellettuale, che cercherà la sua giustificazione nelle premesse teoriche. Dall’altra troveremo una visione eminentemente pragmatica, che cercherà di giustificarsi con i risultati. Anche qui la soluzione sta probabilmente nel mezzo e nell’equilibrio di ambedue queste istanze.

     Un «istituto biblico» che voglia evitare ogni accademismo, si guarderà dal trasformare i progetti affidati agli studenti (ma anche quelli degli insegnanti stessi, specialmente nelle riviste teologiche in cui scrivono) in futili esercizi teorici o di stile, senza alcun aggancio nella realtà e senza beneficio per essa. Al contrario si dovrebbe incoraggiare gli studenti a rapportare i loro studi e le loro ricerche al loro presente; in ciò bisogna avviarli a praticare una reale indagine del loro tempo, individuando le linee di passione, le preferenze, le sofferenze e i problemi dei loro contemporanei e incoraggiandoli ad abbozzare modelli di soluzione. Di ciò gioverebbero anche gli insegnanti e il relativo «istituto biblico» diverrebbe una «fucina d’idee», una «voce profetica». Il tempo degli studi diverrebbe un periodo in cui accumulare competenze ed esperienze (non solo nozioni) e capacità comunicativa di risposte e soluzioni per il loro ambiente, a cui si è lavorato durante gli studi. L’insegnante in qualità di «maestro» cercherà di elaborare con gli studenti i problemi che troveranno sul campo per evitare anche comportamenti nocivi come spontaneismi e demagogie.

 

 

6.  PUNTI DA PONDERARE

     Mentre gli esperti del settore mostrano che la pedagogia dell’università soffre di accademismo, perché è distaccata dalla pratica, gli «istituti biblici» sono tentati di assomigliare a qualcosa come una facoltà universitaria [Per approfondire la problematica universitaria si legga p.es. www.culturaitaliana.it/hm/newatti/oltre_le_tecniche_lo_stile.html].

     ■ Parafrasando quanto ha detto qualcuno, posso affermare che se anche gli «istituti biblici» fanno dell’accademismo, se insegnano a vivere la cultura (religiosa e non) come accademia, allora questo è la rovina anche della cultura. Infatti, la cultura è anche vivere i fatti reali; e direi che questa era la prospettiva teologica dei profeti dell’AT, di Gesù, degli apostoli e degli altri discepoli al tempo del NT.

     ■ I vecchi (e risaputi) mali della cultura scolastica, da cui devono liberarsi le scuole italiane e, nel nostro caso, particolarmente gli «istituti biblici», sono i seguenti:

            ● L’accademismo porta con sé come conseguenza la separazione della teoria dalla pratica.

            ● L’enciclopedismo porta con sé come conseguenza il suo corredo di genericità, superficialità e pressappochismo.

            ● Il disciplinarismo porta con sé come conseguenza la separatezza dei saperi e la frammentazione dell’orario scolastico, che è deleteria per la qualità degli apprendimenti e i livelli della motivazione e del coinvolgimento.

            ● Inoltre tutto ciò crea l’autoreferenzialità e la chiusura al territorio (se non addirittura alla realtà concreta) e all’innovazione come pratica diffusa [cfr. www.flcgil.it/content/ download/27263/191929/version/2/file/Convegno+Orvieto+DS_Intervento+Valentino_4-5+ maggio+2006.pdf].

     ■ Qualcuno ha scritto: «Uno dei grossi problemi del nostro sistema educativo in genere (sia scolastico che universitario) è stato l’eccessivo accademismo, cioè la preferenza dell’aspetto teorico del sapere a scapito delle conoscenze pratiche che il mondo del lavoro richiede. Una distonia, questa, che ha portato i giovani ad essere quasi completamente disorientati dopo aver terminato gli studi…» [www.ragionpolitica.it/testo.1648. cammino_della_riforma_universitaria.html]. È interessante come questo sia vero anche per gli studenti di «istituti biblici» in riferimento al rapporto con le loro chiese mandanti e al loro ministero futuro.

     ■ I rischi vecchi e nuovi che gli esperti vedono nella pedagogia scolastica sono ad esempio i seguenti: il verbalismo, lo scolasticismo, che è strettamente legato al primo, e una certa rigidità metodologica.

     ● Il verbalismo: È la «tendenza a dare eccessiva importanza alle parole, alla forma espressiva, a scapito della sostanza e del contenuto». In pedagogia si intende un «metodo d’insegnamento basato su un’esposizione prevalentemente verbale e sulla trasmissione meccanica di informazioni, che non promuove la partecipazione attiva dell’allievo» [www.demauroparavia.it/126698].

     ● Lo scolasticismo: Si intende qui il «modo di ragionare per sillogismi, proprio della Scolastica» [www.demauroparavia.it/104013]. «Quando la parola si stacca totalmente dai suoi riferimenti esperenziali per diventare precocemente astratta si ha lo scolasticismo che è l’altra faccia del verbalismo. La dimensione cognitiva assume qui un valore più formale che sostanziale e nello stesso tempo il sapere appare depurato da ogni rilevanza emotiva ed affettiva» [http://www.infantiae.org/persi101104.asp].

     ● La rigidità metodologica: Essa è data dalla staticità metodologica e dalla pretesa della direzione scolastica che l’insegnante si attenga solamente alla disciplina e al tema del suo corso. In tal modo l’insegnante non diverrà mai maestro. A ciò si aggiungano gli atteggiamenti di chiusura verso esperienze innovative, la rigidità di schemi mentali, l’eccessiva formalizzazione di alcuni aspetti didattici, le strutture spesso inefficaci e inadeguate per affrontare nuove esperienze.

 

     Pericoli e alternative: Nella mia esperienza d’insegnante ho visto spesso che sono mancate a livello del corpo docente occasioni di riflessione, in cui ciò che ogni insegnante diceva, veniva preso veramente sul serio. In tali incontri la direzione scolastica presentava in genere ciò che aveva già deciso. Intanto le «novità risolutive» di un anno scolastico potevano essere completamente diverse da quelle dell’anno prima (in pratica nel nuovo anno scolastico si curavano sempre i mali dell’anno prima). Spesso il dissenso o l’invito a pensare diversamente era preso come un affronto personale.

     Sono convinto che la disponibilità al confronto (direzione - insegnanti - studenti) e al cambiamento possano favorire la costruzione di una vera comunità scolastica. Invece di un accademismo e di una rigidità metodologica, si fa bene a creare una piattaforma di valori essenziali e di visioni condivise, per i quali impegnarsi come docenti e nei quali coinvolgere gli studenti. È auspicabile che si concretizzi all’interno dell’«istituto biblico» una «comunità di apprendimento». In essa gli studenti possono fare la loro parte, condividendo la responsabilità di controllare e regolare il proprio comportamento. In essa i docenti possono definire i rapporti tra di loro, sentendosi partecipi di una «comunità professionale», al cui centro dell’interesse ci siano gli studenti in quanto persone. All’interno di tale «comunità di apprendimento» il professore diventa professante e testimone; il docente diventa un «allievo» che sta un po’ più avanti ma che è anch’egli ancora alla ricerca; l’insegnante diventa un «maestro di vita» che suscita il fermento e le curiosità che egli stesso possiede, che sa sfuggire a schematismi ideologici e a forme di inquadramento forti, che è aperto a percorsi alternativi, che sa rinnovare il suo sguardo e la sua operatività. Allora può svestire i panni del «domatore» per rivestire quelli dell’«allenatore», per essere così una guida che aiuta lo studente a essere protagonista consapevole nel suo percorso verso la consapevolezza e la maturità.

 

Il verme dell’accademismo? Parliamone {Nicola Martella}

Il verme dell’accademismo nelle chiese {Paolo Jugovac}

 

► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_TP/A1-Accademismo_verme2_MT_AT.htm

09-02-2007; Aggiornamento: 09-04-2009

 

▲ Vai a inizio pagina ▲
Proprietà letteraria riservata
© Punto°A°Croce