Un lettore ci ha presentato le seguenti questioni.
Recentemente una persona che conosco davanti alla mia richiesta di spiegazioni
su una sua decisione presa, mi ha risposta di avere la pace nel cuore.
Quello che mi chiedo è questo: Può essere la serenità interiore un
criterio affidabile nel comprendere la volontà di Dio e di aver fatto una scelta
oculata? {Marco Demo;
06 marzo 2010}
Ad aspetti rilevanti di tali questioni rispondiamo qui di seguito. |
Entriamo in tema
A tali questioni si può
rispondere: «sì e no». Ciò dipende, ad esempio, dal tempo, dalle
circostanze e dalle persone. Bisognerebbe conoscere a fondo la persona in
questione, la sua condotta morale e spirituale, la testimonianza che altri danno
di lei, il problema specifico, la sua valutazione delle cose, la sua
argomentazione e i precedenti paragonabili, riusciti poi in bene o in male a
distanza di tempo.
Al riguardo ci possono essere
diversi scenari. Una tale risposta può essere un buon alibi di un ipocrita
sornione. La persona può essere sincera, ma incosciente; un’analisi oggettiva
dei fatti e il tempo mostrano che aveva torto. In altri casi, tale persona, non
solo è sincera, ma ha anche ragione, avendo fatto una decisione oggettivamente
giusta.
Ecco un esempio concreto.
All’ammonizione rivolta a un giovane riguardo a una ragazza, egli risponde di
aver agito così, dopo aver pregato e aspettato un segno o una risposta da parte
di Dio, e di essere sereno e convinto che tale fidanzamento sia la volontà di
Dio. Mesi dopo, si viene a sapere che tutto è andato a monte. Il giovane,
interrogato, risponde: «Si vede che non era la volontà di Dio!». Quindi, la
«volontà di Dio» e la serenità d’animo possono essere un alibi per la propria
mancanza di discernimento e per la propria incoscienza.
Inoltre ci sono casi, in cui
una data persona credente, pur essendo
giudiziosa e ragionevole per tanti aspetti generali della vita, nel campo
sentimentale può avere un certo debole, può legarsi facilmente alle
persone con cui ha a che fare, può fare più di una volta fallimento e può
passare non di rado dalla padella alla brace. Tale
persona credente pare sempre molto convinta; non fa valere i consigli di
prendere tempo e conoscere meglio l’altra persona, prima di legarsi. Ti risponde
che
ha una grande serenità. Bisogna
chiedersi: La serenità è davvero un criterio obiettivamente affidabile?
Conosciamo persone che hanno fatto scelte risultate poi palesemente sbagliate;
eppure all’inizio della cosa, quando si chiedeva loro come valutavano le cose,
affermavano di provare pace e serenità. Che dire? La serenità non è un criterio
oggettivo per poter dichiarare di essere sulla via giusta e nella volontà di
Dio. In tutto ciò c’è un aspetto d’incoscienza ammantato spesso di
elementi biblicizzati; infatti, tali persone affermano di aver pregato Dio per
avere chiarezza e vedono poi i «segni» che in fondo desiderano vedere, pur di
credere di avere Dio dalla loro parte e di poter fare secondo la propria
volontà.
La questione della coscienza
Sul piano generale, la
coscienza può
riprendere l’uomo in circostanze particolari (Gv 8,9). Nella persone di
questo mondo essa può rendere testimonianza riguardo a una legge morale
e ciò fa sì che «i loro pensieri si accusino o anche si scusino a vicenda»
(Rm 2,15).
Sul piano spirituale, per
avere una buona coscienza, si può supplicare Dio al riguardo nel momento
della conversione (1 Pt 3,21). Non sono i sacrifici imperfetti a poterla dare,
ma solo il sangue di Cristo può purificare la coscienza dalle opere morte
per servire il Dio vivente (Eb 9,9.14). Dipende infatti dal tipo di sacrificio
se gli adoratori, una volta purificati, non hanno alcuna «coscienza di peccati»
(Eb 10,2). Non sono i sacrifici di animali, ma solo l’aspersione dei cuori col
sangue di Cristo «li purifica dalla mala coscienza» (v. 11).
La coscienza è una istanza
morale e impone al credente d’essere sottomesso alle autorità (Rm 13,5).
Diversi tipi e stadi di coscienza
Da un’analisi della coscienza
di credenti o meno, essa può risultare secondo i casi: pura, buona, debole,
contaminata e addirittura marchiata a fuoco.
Sulla coscienza influiscono
molti fattori quali la famiglia, la religione, l’istruzione, la cultura
dominante, le compagnie, le scelte personali e così via. La coscienza può essere
più o meno sensibile alle istanze morali: l’uno può avere la coscienza sporca
per un nonnulla, l’altro ha buon discernimento e buon senso, l’altro ancora ha
un filtro a grana grossa e, infine, un altro ha la coscienza ottenebrata.
Come credenti ci si può
esercitare «ad avere del continuo una coscienza pura dinanzi a Dio e
dinanzi agli uomini» (At 24,16). Specialmente i conduttori di chiesa devono
ritenere «il mistero della fede in pura coscienza» (1 Tm 3,9). Paolo
serviva Dio con pura coscienza (2 Tm 1,3). Lo stesso vale per una «buona
coscienza» (1 Tm 1,5.19).
Essa può essere moralmente
debole e sentirsi contaminata molto facilmente (1 Cor 8,7) o essere
facilmente incoraggiata al male, seguendo l’esempio sbagliato altrui (vv. 10.12;
cfr. 1 Gv 3,20s il cuore che condanna o meno). Per tali motivi, la coscienza del
debole ha bisogno di essere assicurata da precise direttive di
comportamento in casi specifici, sia per non incappare in continue auto-analisi
(1 Cor 10,25.27), sia per non dare false interpretazioni alla coscienza altrui
(vv. 29s).
Quando la mente e la
coscienza delle persone sono contaminate, nulla appare loro come puro (Tt
1,15); allora, pur professando di conoscere Dio, lo rinnegano con le loro opere,
essendo abominevoli, ribelli e incapaci di compiere il bene (v. 16).
Infine, una coscienza può
essere marchiata a fuoco, ossia cauterizzata al punto da palesarsi con
ipocrisia e menzogna e a insegnare dottrine di demoni e a vietare cose che Dio
ha permesso (1 Tm 4,1ss).
La coscienza nel credente fedele
Nel credente la coscienza può
esprimere convinzioni attestate per lo Spirito Santo (Rm 9,1). Tale
testimonianza della coscienza è credibile però quando essa si accompagna
oggettivamente «con santità e sincerità di Dio, non con sapienza carnale, ma
con la grazia di Dio» 2 Cor 1,12). In seguito Paolo parlando di sé e della
sua squadro missionaria e mostrando il proprio cammino, si assoggettò a un’analisi
oggettiva, attestando il fatto che «abbiamo
rinunciato alle cose nascoste e vergognose,
non procedendo con astuzia né
falsificando la parola di Dio, ma mediante la manifestazione della
verità raccomandando noi stessi
alla coscienza di ogni uomo nel cospetto di Dio» (2 Cor 4,2).
Come amministratore di
qualcosa si può anche avere coscienza di non essersi reso colpevole di
alcuna cosa, ma questo non è un criterio oggettivo per essere giustificato, come
ammette lo stesso Paolo (1 Cor 4,4). Solo all’arrivo del Signore, Egli «metterà
in luce le cose occulte delle tenebre, e manifesterà i consigli dei cuori»
(v. 5).
La coscienza e i criteri di genuinità
È vero che Paolo attestò
dinanzi al Sinedrio, che lo interrogava: «Mi sono condotto dinanzi a Dio in
tutta
buona coscienza» (At 23,1). La
serenità interiore da sola non è un criterio oggettivo. La buona coscienza deve
accompagnarsi ad altri elementi morali per essere genuina, ad esempio:
onestà, cuore puro, fede non finta, timore di Dio (o di Cristo), sensibilità
alla volontà di Dio.
L’autore dell’epistola agli
Ebrei menzionò insieme alla buona coscienza anche il desiderio di condursi
onestamente
in ogni cosa (Eb 13,18). Paolo, ricordando il ministero affidato a Timoteo in
Efeso, aggiunse che il «fine di questo incarico è l’amore procedente da un
cuore puro, da una
buona coscienza e da
fede non finta» (1 Tm 1,5).
Egli mise in guardia che si può deviare da tali cose, diventando falsi maestri
(v. 6). Alcuni, smettendo di combattere la «buona guerra» per la sana dottrina e
mettendo via «fede e buona coscienza»,
«hanno naufragato quanto alla fede», diventando falsi maestri (vv. 18ss).
Pietro consigliò di
rispondere a difesa della propria speranza cristiana «con dolcezza e
rispetto, avendo una buona coscienza», dopo aver menzionato il «santo
timore di Cristo, il Signore» (1 Pt 3,15). Il credente può accettare, «a
motivo di
coscienza davanti a Dio», anche di sopportare afflizioni, patendo
ingiustamente (1 Pt 2,19).
►
Basta sentirsi a posto con la coscienza? Parliamone {Nicola Martella} (T)
► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_TP/A1-A-posto_con-coscienza_EnB.htm
29-03-2010; Aggiornamento: 05-07-2010 |