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BASTA SENTIRSI A POSTO CON LA COSCIENZA?

 

 di Nicola Martella

 

Un lettore ci ha presentato le seguenti questioni.

 

Recentemente una persona che conosco davanti alla mia richiesta di spiegazioni su una sua decisione presa, mi ha risposta di avere la pace nel cuore. Quello che mi chiedo è questo: Può essere la serenità interiore un criterio affidabile nel comprendere la volontà di Dio e di aver fatto una scelta oculata? {Marco Demo; 06 marzo 2010}

 

Ad aspetti rilevanti di tali questioni rispondiamo qui di seguito.

 

Entriamo in tema

     A tali questioni si può rispondere: «sì e no». Ciò dipende, ad esempio, dal tempo, dalle circostanze e dalle persone. Bisognerebbe conoscere a fondo la persona in questione, la sua condotta morale e spirituale, la testimonianza che altri danno di lei, il problema specifico, la sua valutazione delle cose, la sua argomentazione e i precedenti paragonabili, riusciti poi in bene o in male a distanza di tempo.

     Al riguardo ci possono essere diversi scenari. Una tale risposta può essere un buon alibi di un ipocrita sornione. La persona può essere sincera, ma incosciente; un’analisi oggettiva dei fatti e il tempo mostrano che aveva torto. In altri casi, tale persona, non solo è sincera, ma ha anche ragione, avendo fatto una decisione oggettivamente giusta.

     Ecco un esempio concreto. All’ammonizione rivolta a un giovane riguardo a una ragazza, egli risponde di aver agito così, dopo aver pregato e aspettato un segno o una risposta da parte di Dio, e di essere sereno e convinto che tale fidanzamento sia la volontà di Dio. Mesi dopo, si viene a sapere che tutto è andato a monte. Il giovane, interrogato, risponde: «Si vede che non era la volontà di Dio!». Quindi, la «volontà di Dio» e la serenità d’animo possono essere un alibi per la propria mancanza di discernimento e per la propria incoscienza.

     Inoltre ci sono casi, in cui una data persona credente, pur essendo giudiziosa e ragionevole per tanti aspetti generali della vita, nel campo sentimentale può avere un certo debole, può legarsi facilmente alle persone con cui ha a che fare, può fare più di una volta fallimento e può passare non di rado dalla padella alla brace. Tale persona credente pare sempre molto convinta; non fa valere i consigli di prendere tempo e conoscere meglio l’altra persona, prima di legarsi. Ti risponde che ha una grande serenità. Bisogna chiedersi: La serenità è davvero un criterio obiettivamente affidabile? Conosciamo persone che hanno fatto scelte risultate poi palesemente sbagliate; eppure all’inizio della cosa, quando si chiedeva loro come valutavano le cose, affermavano di provare pace e serenità. Che dire? La serenità non è un criterio oggettivo per poter dichiarare di essere sulla via giusta e nella volontà di Dio. In tutto ciò c’è un aspetto d’incoscienza ammantato spesso di elementi biblicizzati; infatti, tali persone affermano di aver pregato Dio per avere chiarezza e vedono poi i «segni» che in fondo desiderano vedere, pur di credere di avere Dio dalla loro parte e di poter fare secondo la propria volontà.

 

La questione della coscienza

     Sul piano generale, la coscienza può riprendere l’uomo in circostanze particolari (Gv 8,9). Nella persone di questo mondo essa può rendere testimonianza riguardo a una legge morale e ciò fa sì che «i loro pensieri si accusino o anche si scusino a vicenda» (Rm 2,15).

     Sul piano spirituale, per avere una buona coscienza, si può supplicare Dio al riguardo nel momento della conversione (1 Pt 3,21). Non sono i sacrifici imperfetti a poterla dare, ma solo il sangue di Cristo può purificare la coscienza dalle opere morte per servire il Dio vivente (Eb 9,9.14). Dipende infatti dal tipo di sacrificio se gli adoratori, una volta purificati, non hanno alcuna «coscienza di peccati» (Eb 10,2). Non sono i sacrifici di animali, ma solo l’aspersione dei cuori col sangue di Cristo «li purifica dalla mala coscienza» (v. 11).

     La coscienza è una istanza morale e impone al credente d’essere sottomesso alle autorità (Rm 13,5).

 

Diversi tipi e stadi di coscienza

     Da un’analisi della coscienza di credenti o meno, essa può risultare secondo i casi: pura, buona, debole, contaminata e addirittura marchiata a fuoco.

     Sulla coscienza influiscono molti fattori quali la famiglia, la religione, l’istruzione, la cultura dominante, le compagnie, le scelte personali e così via. La coscienza può essere più o meno sensibile alle istanze morali: l’uno può avere la coscienza sporca per un nonnulla, l’altro ha buon discernimento e buon senso, l’altro ancora ha un filtro a grana grossa e, infine, un altro ha la coscienza ottenebrata.

     Come credenti ci si può esercitare «ad avere del continuo una coscienza pura dinanzi a Dio e dinanzi agli uomini» (At 24,16). Specialmente i conduttori di chiesa devono ritenere «il mistero della fede in pura coscienza» (1 Tm 3,9). Paolo serviva Dio con pura coscienza (2 Tm 1,3). Lo stesso vale per una «buona coscienza» (1 Tm 1,5.19).

     Essa può essere moralmente debole e sentirsi contaminata molto facilmente (1 Cor 8,7) o essere facilmente incoraggiata al male, seguendo l’esempio sbagliato altrui (vv. 10.12; cfr. 1 Gv 3,20s il cuore che condanna o meno). Per tali motivi, la coscienza del debole ha bisogno di essere assicurata da precise direttive di comportamento in casi specifici, sia per non incappare in continue auto-analisi (1 Cor 10,25.27), sia per non dare false interpretazioni alla coscienza altrui (vv. 29s).

     Quando la mente e la coscienza delle persone sono contaminate, nulla appare loro come puro (Tt 1,15); allora, pur professando di conoscere Dio, lo rinnegano con le loro opere, essendo abominevoli, ribelli e incapaci di compiere il bene (v. 16).

     Infine, una coscienza può essere marchiata a fuoco, ossia cauterizzata al punto da palesarsi con ipocrisia e menzogna e a insegnare dottrine di demoni e a vietare cose che Dio ha permesso (1 Tm 4,1ss).

 

La coscienza nel credente fedele

     Nel credente la coscienza può esprimere convinzioni attestate per lo Spirito Santo (Rm 9,1). Tale testimonianza della coscienza è credibile però quando essa si accompagna oggettivamente «con santità e sincerità di Dio, non con sapienza carnale, ma con la grazia di Dio» 2 Cor 1,12). In seguito Paolo parlando di sé e della sua squadro missionaria e mostrando il proprio cammino, si assoggettò a un’analisi oggettiva, attestando il fatto che «abbiamo rinunciato alle cose nascoste e vergognose, non procedendo con astuzia né falsificando la parola di Dio, ma mediante la manifestazione della verità raccomandando noi stessi alla coscienza di ogni uomo nel cospetto di Dio» (2 Cor 4,2).

     Come amministratore di qualcosa si può anche avere coscienza di non essersi reso colpevole di alcuna cosa, ma questo non è un criterio oggettivo per essere giustificato, come ammette lo stesso Paolo (1 Cor 4,4). Solo all’arrivo del Signore, Egli «metterà in luce le cose occulte delle tenebre, e manifesterà i consigli dei cuori» (v. 5).

 

La coscienza e i criteri di genuinità

     È vero che Paolo attestò dinanzi al Sinedrio, che lo interrogava: «Mi sono condotto dinanzi a Dio in tutta buona coscienza» (At 23,1). La serenità interiore da sola non è un criterio oggettivo. La buona coscienza deve accompagnarsi ad altri elementi morali per essere genuina, ad esempio: onestà, cuore puro, fede non finta, timore di Dio (o di Cristo), sensibilità alla volontà di Dio.

     L’autore dell’epistola agli Ebrei menzionò insieme alla buona coscienza anche il desiderio di condursi onestamente in ogni cosa (Eb 13,18). Paolo, ricordando il ministero affidato a Timoteo in Efeso, aggiunse che il «fine di questo incarico è l’amore procedente da un cuore puro, da una buona coscienza e da fede non finta» (1 Tm 1,5). Egli mise in guardia che si può deviare da tali cose, diventando falsi maestri (v. 6). Alcuni, smettendo di combattere la «buona guerra» per la sana dottrina e mettendo via «fede e buona coscienza», «hanno naufragato quanto alla fede», diventando falsi maestri (vv. 18ss).

     Pietro consigliò di rispondere a difesa della propria speranza cristiana «con dolcezza e rispetto, avendo una buona coscienza», dopo aver menzionato il «santo timore di Cristo, il Signore» (1 Pt 3,15). Il credente può accettare, «a motivo di coscienza davanti a Dio», anche di sopportare afflizioni, patendo ingiustamente (1 Pt 2,19).

 

Basta sentirsi a posto con la coscienza? Parliamone {Nicola Martella} (T)

 

► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_TP/A1-A-posto_con-coscienza_EnB.htm

29-03-2010; Aggiornamento: 05-07-2010

 

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