Le lezioni di biologia sono lontane di decenni oramai, sebbene non smetta di
essere curioso e di leggere. Quando penso alle razze, alle etnie e al colore
della pelle la mia mente va alla legge di Mendel o a processi di
microevoluzione; ma qui non abbiamo a che fare con ibridi come per la legge di
Mendel né abbiamo a che fare con processi genetici accertabili come per la
microevoluzione. E poi resta il dubbio: «Che cos’è una razza?». È una specie o
solo una varietà? A guardarci bene, noi tutti siamo una varietà all’interno
della nostra famiglia e parentela.
Ammetto per me stesso di non avere tutte le risposte. Ho capito che ci sono vari
fattori che inducono a un qualche mutamento, sebbene non sia codificato nel DNA,
ad esempio: l’influenza di alimentazione, territorio, clima e stile di vita e
adattamento a loro; l’isolamento delle popolazioni e la riproduzione in ambito
sociale ristretto per lunghi periodi. Se qualcosa non è accertabile come
modificazione genetica (ossia del DNA), che cosa si modifica allora? E allora
come fa a essere trasmesso come peculiarità ai posteri?
Inoltre, se non è accertabile una modificazione del DNA, sarebbe equivoco di
parlare addirittura di «razze», sebbene esse siano evidenti in qualche modo. Se
è possibile in poche generazioni diluire di nuovo delle razze in altre,
allora ciò non ha nulla a che fare con una presunta «evoluzione» e con Darwin.
Allora perché gli evoluzionisti fanno valere tale pretesa? È meglio che chieda
maggiori lumi a chi è della materia.
Il trucco evoluzionista è grossolano, eppure non solo nemmeno molti di «loro» se
ne avvedono, ma anche molti credenti nella Bibbia abboccano, senza essere
consapevoli dell’incongruenza. Per chiarire, Darwin (e poi gli evoluzionisti)
mostrano che si formano razze nuove
e con questo pretendono d’aver dimostrato che si possono formare
specie, famiglie e
tipi nuovi.
Non mi dilungo, però, perché nel sito stesso c’è una risposta più organica. Nel
«Dizionario
sull'evoluzione», presente su questo sito, si vedano le seguenti voci:
«Darwin
e le razze», «Macroevoluzione»
e «Microevoluzione».
{15-08-2008}
Nota redazionale: Su Fernando De Angelis si veda la sua introduzione alla
rubrica «Proiezioni
Culturali». Egli ha pubblicato in italiano il «Trattato
critico sull’evoluzione» di Reinhard Junker - Siegfried Scherer. Egli è autore anche di proprie pubblicazioni sul tema creazione ed
evoluzione [cfr. Fernando De Angelis, L'origine della vita per evoluzione, un
ostacolo allo sviluppo della scienza (Casa Biblica, Vicenza)].
2.
{Nicola Berretta}
▲
Nota redazionale: Nicola Berretta è biologo. Si veda il suo «Cristiani
nella scienza: missione impossibile?», Lux Biblica 30 (Ibei, Roma
2007).
Prima di parlare d’origine delle razze occorrerebbe forse chiedersi se
esistano delle
razze chiaramente definibili nell’ambito della specie umana. Capisco bene
che questa affermazione possa a prima vista lasciare perplessi, se si
considerano quelle differenze, a nostro giudizio, macroscopiche tra popolazioni
come quella degli aborigeni australiani e degli eschimesi della Lapponia,
tuttavia dovremmo innanzitutto chiederci quanto queste differenze non siano
invece frutto della nostra esperienza soggettiva.
Mi spiego meglio. Immaginiamo un essere extraterrestre — se mai ce ne
fosse uno — che giunge sulla terra senza avere la benché minima idea di cosa sia
un essere umano, che valore darebbe alle differenze che noi giudichiamo
macroscopiche tra i vari esseri umani? Probabilmente per lui noi saremmo tutti
uguali. È però ipotizzabile che, stando sempre più a contatto con gli umani,
comincerebbe anche lui a rendersi conto di differenze che, col tempo, lo
porterebbero a individuare varie tipologie.
Infondo anche per noi vale lo stesso principio. Chi di noi non ha mai detto o
pensato frasi del tipo: «… questi cinesi sono tutti uguali!!!». Se però
si va a vivere in Cina, piano piano ci s’accorge di differenze che lentamente
divengono sempre più ovvie e macroscopiche. Sono certo, infatti, che un cinese
saprebbe distinguere i suoi conterranei provenienti da zone distinte del sue
enorme Paese, semplicemente osservando certi tratti distintivi della loro
fisonomia. La stessa cosa, se ci pensiamo bene, s’applica anche a noi; anni fa,
quando i matrimoni si consumavano prevalentemente all’interno d’uno stesso
paese, i nostri nonni erano in grado di distinguere addirittura il paesino da
cui una persona proveniva dalla semplice osservazione del suo volto, pur vivendo
nella stessa regione.
Insomma, ciò che voglio dire è che la distinzione tra razze non è così definita
come noi la dipingiamo, per cui le distinzioni sono in larga parte frutto della
nostra
esperienza soggettiva, piuttosto che d’elementi chiaramente definibili.
Quali sono gli elementi oggettivi che
ci permettono di definire una razza? Per rispondere a questa domanda rimando a
una dichiarazione congiunta di vari scienziati di chiara fama, pubblicata su internet. La
dichiarazione di questi studiosi si propone soprattutto di
contrastare qualsiasi presunta base biologica che giustifichi le discriminazioni
razziali, ma per la nostra discussione è interessante leggere i punti II e III,
in cui viene evidenziato come non esistono distinzioni genetiche tra le
etnie spesso identificate impropriamente col termine di razze. Viene dunque
affermato che le differenze genetiche presenti all’interno degli individui
appartenenti alla stessa (presunta) razza non sono inferiori a quelle
riscontrabili tra individui che appartengono a (presunte) razze diverse.
Detto questo, pur non essendoci chiare distinzioni nel DNA (differenze
genotipiche), resta comunque il fatto che esistano peculiarità nell’apparenza esteriore
(differenze fenotipiche) che caratterizzano le varie etnie della specie
umana. A mio giudizio, l’origine di queste differenze potrebbe essere ascrivibile a meccanismi di tipo
epigenetico. Si parla infatti di meccanismi epigenetici quando il fenotipo d’un determinato
individuo manifesta delle differenze non perché vi siano state delle
modificazioni del patrimonio genetico in sé, ma per l’intervento di fattori che
modificano il modo in cui la catena del DNA codifica la propria informazione. Il
meccanismo più diffuso è quella dell’aggiunta di piccole molecole nel DNA
impacchettato (cromosoma), le quali interferiscono con il modo in cui la catena
di DNA viene srotolata per consentirne la lettura.
Varie ricerche hanno evidenziato come gli organismi possano andare incontro a
modificazioni legate a fattori epigenetici quando sono sottoposti a forti
sollecitazioni da parte dell’ambiente circostante, ma la cosa più interessante è
che le ricerche più recenti hanno dimostrato che queste modificazioni
epigenetiche possono essere ereditate dalle generazioni successive.
Questa osservazione è di particolare rilievo, perché in passato si riteneva che
tali meccanismi si verificassero solo a livello di singolo individuo, ma non
fossero trasmissibili alla prole.
La scoperta di questi meccanismi ha suscitato un notevole interesse nella
comunità scientifica evoluzionista, rimettendo in discussione la dogmatica
darwinista che vede la selezione delle mutazioni genetiche come unico e solo
meccanismo che starebbe alla base della diversificazione delle specie. Molti
infatti parlano d’un neo-Lamarckismo che presto prenderà prepotentemente piede
nella Biologia dei prossimi anni, proprio a causa della scoperta
dell’ereditarietà delle modificazioni d’origine epigenetica. Questi dibattiti
non sono ancora molto diffusi a livello di mass-media, ma immagino che ben
presto dovremo, come credenti biblici, confrontarci con queste teorie.
Per chi non ne ha familiarità è utile ricordare cosa diceva Jean-Baptiste
Lamarck, vissuto poco prima di Darwin e latore d’una teoria dell’evoluzione che fu subito soppiantata da
quella di Darwin. Lamarck affermava che l’ambiente potesse esercitare una
pressione sull’individuo facendo sì che, generazione dopo generazione, la specie
si modificasse in accordo alle sollecitazioni dell’ambiente. L’esempio spesso
citato è quello della giraffa: lo «sforzo» di raggiungere fiori che stanno in
alto sulla pianta avrebbe determinato un progressivo allungamento del collo
nelle generazioni successive, a partire da giraffe primordiali provviste d’un
collo corto. Il punto debole di questa teoria risiedeva nel fatto che non s’era
in grado d’identificare il meccanismo attraverso cui lo «sforzo» d’un individuo
potesse poi tradursi in cambiamenti trasmissibili alle generazioni successive,
per cui queste teorie furono abbandonate a favore da quelle di Darwin, basate su
meccanismi di selezione naturale.
Comprenderete dunque come queste recenti scoperte sull’ereditarietà epigenetica
abbiano riportato sulla scena le
teorie di Lamarck, in quanto risulterebbe effettivamente possibile che le sollecitazioni dell’ambiente
sull’individuo (p.es. lo «sforzo») si traducano in modificazioni
nell’espressione dei geni, le quali sono poi trasmissibili alle generazioni
successive.
Vorrei sottolineare però la differenza sostanziale tra il darwinismo e questo
neo-Lamarckismo: mentre la selezione darwiniana prevede una modifica del
patrimonio genetico, la seconda prevede modificazioni (presumibilmente
reversibili) nell’espressione genica, senza cambiamenti nel genoma, limitandone
dunque notevolmente il raggio d’azione. L’epigenetica infatti non può dare luogo
a «nuove specie» ma può portare a modificazioni che, seppur profonde e
macroscopiche, rimangono comunque confinate all’interno d’una stessa specie. E
per questo motivo che ritengo molto interessante il neo-Lamarckismo, e lo
ritengo in linea di massima compatibile col creazionismo biblico.
Tornando comunque al tema sollevato riguardo alle razze umane, non
escluderei la possibilità che le caratteristiche tipiche di determinate etnie
siano state sollecitate da forme d’adattamento all’ambiente, attraverso
meccanismi epigenetici. Queste modificazioni epigenetiche si sarebbero poi
trasmesse alle generazioni successive, consolidandosi anche grazie a incroci tra
individui appartenenti alla stessa popolazione.
Francamente non capisco come tutto questo possa essere usato come argomentazione
contro la
fede biblica da parte d’atei. Io al contrario trovo straordinario come il
Signore sia stato capace di creare le specie animali e vegetali provviste della
capacità d’adattamento alle variazioni dell’ambiente circostante. Chiedersi poi
di quale «razza» fossero Adamo e Eva la trovo una questione irrilevante, magari
un giorno verremo a sapere che non erano né bianchi, né neri, né gialli e
nemmeno rossi, ma… erano «verdi»!!! {29-08-2008}
3.
{Paola De Propris}
▲
■
Contributo: Per quale motivo i pesci del mare sono tutti colorati? Perché
gli uccelli del cielo, le farfalle, i fiori sono così tanti e di così tanti
colori? Perché il nostro Dio ha una fantasia sfrenata... Le leggi, prima che
d’essere di Mendel, sono del buon Dio, noi possiamo sperare solo d’avvicinarci a
capire... Tutto qua...
Perché vogliamo sapere come erano Adamo e Eva? Perché vogliamo sapere come era
il volto di Gesù? Sicuramente non era biondo con i boccoli e gli occhi azzurri,
la Bibbia stessa dice che non era bello da attirare gli sguardi; secondo me era
anche un po’ scuretto, visto la tipologia degli abitanti del luogo di quel
tempo... Ma poi che importa che faccia avesse? Concentriamoci su quello che ha
fatto e ha detto, e su quello che s’aspetta Lui da noi, senza perderci in
elucubrazioni inutili. Pace a tutti. {01-09-2008}
▬
Risposta: Cara Paola, perché un contributo venga pubblicato, bisogna aver
letto l’articolo o il tema di riferimento nella sua interezza (e non solo
l’invito alla lettura), bisogna rispondere nel merito. T’incoraggio quindi a
leggere i contributi altrui e a formulare un contributo che vada nel merito dei
temi veramente affrontati (p.es. nessuno ha parlato di Gesù e del suo volto).
Nella sua lettera la lettrice, che ha posto la domanda, vuole avere delle
risposte per così poter replicare ai suoi accusatori atei. Vuoi tentare?
Shalom... Nicola Martella
▬
Replica: Nicola, pace. Nonostante che io sia infermiera professionale, non
so dare una risposta tecnicamente valida alla domanda posta dalla sorella. Sono
15 anni che sono convertita, e nessuno mai mi ha fatto una domanda così;
onestamente risponderei proprio così: il nostro è un Dio fantasioso... Pace del
Signore. {01-09-2008}
4.
{Anna Farina}
▲
Nota redazionale: Nel secondo capoverso la lettrice fa dell’ironia, come
ella stessa spiega nel terzo capoverso, per rendere chiara l’inconsistenza della
cosiddetta «evoluzione teista»
Frequento l’università di medicina e proprio poco tempo fa, a una lezione di
genetica, il professore ci disse che il concetto di «razza» non è un concetto
genetico, ma solo una costruzione mentale che è saltata fuori a un certo punto
grazie a persone «poco avvedute». il numero dei cromosomi è lo stesso per tutti,
e tutti codificano per proteine uguali o quanto più analoghe tra loro, sia che
si parla dello stangone svedese biondo e con gli occhi azzurri, che del pigmeo
di un metro e 40 che vive nelle foreste africane, sia che si parla d’un bambino
che d’un ottantenne. Darwin stesso, che parla d’evoluzione delle specie, non ha
mai avuto prove certe che l’uomo discendesse dalla scimmia, la sua è solo una
deduzione. E la somiglianza delle prime fasi della gestazione del feto umano con
quello d’altri cuccioli animali è semplicemente dovuto al fatto d’avere in
comune alcuni geni, quelli che sono essenziali per la vita di tutti gli esseri
viventi. Dal fatto d’avere qualche base azotata in comune a quello di dire che
l’uomo discende dagli animali, il passo è lungo.
Ok, ora consideriamo che l’espressione «e Dio creò l’uomo» sia solo un
modo semplicistico della Bibbia di descrivere qualcosa di più complicato (cosa
che pensavo io tempo fa…). Il passo successivo però è: giacché gli animali, a
differenza nostra, non hanno lo spirito, quand’è stato il momento il cui Dio poi
ha detto: «Ok, questa scimmia mi sembra abbastanza uomo da poterle dare uno
spirito»? E a questo punto perché la scimmia è meno degna dell’uomo d’uno
spirito? E ancora, poiché «l’uomo è di poco inferiore agli angeli», la
scimmia quindi dove la collochiamo?
È chiaro che qui sopra banalizzo e faccio anche un po’ d’ironia, ma secondo me a
volte è il metodo migliore per capire dove sta la verità, senza fare troppi
ragionamenti arzigogolati e intellettualoidi. E si fa bene a informarsi un po’
meglio sulle teorie evoluzionistiche, a cui spesso si fa dire cose che Darwin,
Lamarck o gli altri non hanno mai nemmeno pensato. {01-09-2008}
5.
{Francesco Troiano}
▲
Premesse
■ Il 70% del genoma del Ratto è identico a quello
dell’Uomo; una percentuale molto più alta nello scimpanzé, credo superiore al
98%.
■ Il numero di bulbi piliferi nell’uomo è
superiore a quello dello scimpanzé, probabilmente il gene che codifica la
peluria è lo stesso, l’espressione genica no.
■ La melanina è prodotta dallo stesso gene in
tutti gli uomini, l’espressione genica non è però la stessa.
Ciò detto
Tenuto conto che solo il 10% del genoma a disposizione delle cellule umane è
espresso, viene da chiedersi se anche il restante 90% inespresso prenda parte a
una possibile evoluzione della specie umana. Non è da escludersi che la
frequenza con cui un gene è espresso rappresenti già un’evoluzione della specie.
Sul fatto che l’Uomo nasca come specie Uomo sono d’accordo (non credo alla
teoria dell’anello mancante); reperti storici dimostrano però che questo si è
evoluto in armonia con l’evoluzione di tante altre creature della terra.
Un’ultima cosa: Adamo e Eva sono dei miti… miti comuni ad altri popoli riportati
nella Bibbia sono letti sempre in rapporto alla fede in Dio prima e Gesù dopo.
Ciao. {02-09-2008}
6.
{Nicola Martella}
▲
Prendo qui posizione sull’ultimo contributo. Parto dall’ultimo capoverso,
lasciando per il resto la parola al biologo nel prossimo contributo.
Un’asserzione così lapidaria su ciò che dovrebbe essere «mito» non ce lo si
dovrebbe aspettare in chi vorrebbe dare l’apparenza di attenersi ai risultati
della «scienza». Infatti la scienza (non le opinioni scientifiche) parte da ciò
che è stato dimostrato al momento con gli strumenti che possiede. Dire che
qualcosa è «mito» o meno, non è un’asserzione scientifica, ma ideologica. Come
tale non è accettabile in un discorso che affronta la questione delle razze che
alcuni prendono a pretesto per ritenere dimostrata l’evoluzione.
Tutto ciò fa sospettare che la parvenza scientista del lettore miri soltanto a
screditare i contenuti della fede cristiana. Se così fosse non sarebbe un buon
esempio per l’onestà intellettuale e mostrerebbe com’è facile strumentalizzare
il discorso scientifico per mire ideologiche, rispettivamente agnostiche o
gnostiche.
Un breve excursus nella Bibbia stessa mostra com’essa ha da sempre combattuto i
«miti». Strano che ora le si voglia attribuire un discorso mitologico.
■ Paolo aveva esortato Timoteo, suo collaboratore, a «rimanere ad Efeso per
ordinare a certuni che non insegnino dottrina diversa
né si occupino di miti e di genealogie senza fine, le quali producono
questioni, anziché promuovere l’economia di Dio, che è in fede» (1 Tm 1,3s).
Come si vede, la «dottrina diversa» e i «miti» contrastavano con la dottrina e
il piano di Dio.
■ Gli ingiunse anche quanto segue: «Rappresentando queste cose ai fratelli,
tu sarai un buon ministro di Cristo Gesù, nutrito delle parole della fede e
della buona dottrina che hai seguita da vicino. Ma
schiva i miti profani e da vecchie; esèrcitati invece alla devozione»
(1 Tm 4,6). Si noti che le «parole della fede e della buona dottrina»
erano considerate in contrasto con i «miti profani».
■ Per l’avvenire Paolo esortava Timoteo pure al riguardo: «Predica la Parola,
insisti a tempo e fuor di tempo, riprendi, sgrida, esorta con grande pazienza e
sempre istruendo. Perché verrà il tempo che non sopporteranno la sana dottrina;
ma per prurito d’udire si accumuleranno insegnanti secondo le loro proprie
voglie e distoglieranno le orecchie dalla
verità e si volgeranno ai miti» (2 Tm 4,2ss). Come qui si vede la
verità predicata, ossia la Parola di Dio, era in contrasto proprio con i miti.
■ Anche a Tito, un altro collaboratore di Paolo, quest’ultimo scrisse: «Riprendili
perciò severamente, affinché siano sani nella fede, non dando retta
a miti giudaici né a comandamenti
d’uomini che voltano le spalle alla verità» (Tt 1,14). Anche qui miti e
verità biblica sono in netto contrasto.
■ L’apostolo Pietro, uno dei primi testimoni di Gesù, scrivendo ai
giudeo-cristiani, rese chiaro quanto segue: «Non è con l’andare dietro a
miti artificiosamente composti che
vi abbiamo fatto conoscere la potenza e la venuta del nostro Signor Gesù Cristo,
ma perché siamo stati testimoni oculari della sua maestà» (2 Pt 1,16). Come
si vede, i «miti artificiosamente composti» e la testimonianza oculare
sono posti in contrasto.
L’atteggiamento dei profeti legittimi e degli apostoli legittimi è stato sempre
anti-mitologico. Chi mischia, senza discernere, cose di per sé eterogenee fra
loro, non può certo vantarsi di avere un atteggiamento scientifico! Egli mostra
solo di non conoscere sufficientemente le verità bibliche.
7.
{Nicola Berretta}
▲
Non mi è chiaro l’obiettivo di questo contributo al tema. Più che altro non ne
comprendo la logica di ragionamento né le conclusioni che si trarrebbero dalle
premesse poste.
Pur non entrando nel merito di queste premesse, voglio comunque sottolineare che
le conclusioni a cui sembra giungere Francesco, riguardo all’evoluzione, che
s’evincerebbe dalla frequenza con cui un gene s’esprime, la presunta
dimostrazione dell’evoluzione umana (tra l’altro contraddetta dalla convinzione
d’assenza d’anelli mancanti), così come l’interpretazione mitologica d’Adamo e
d’Eva, sono indubbiamente ipotesi lecite. Purché le si riconosca come tali e non
le si rivesta con un manto d’obiettiva deduzione logica dalle premesse poste.
Approfitto però d’alcune giuste osservazioni di Francesco per dire che
effettivamente solo una minima parte del DNA contiene informazioni per la
codifica di proteine. Il restante DNA fino a poco tempo fa veniva definito «DNA
spazzatura» (junk DNA), perché non se ne comprendeva il ruolo. Questa
definizione sprezzante era di per sé indice di quella presunzione presente in
molti ricercatori, i quali, di fronte alla propria ignoranza non hanno l’umiltà
di riconoscere i limiti delle proprie conoscenze e sono subito pronti a
liquidare le questioni con risposte affrettate e saccenti. Si diceva infatti che
questo «DNA spazzatura» doveva essere una sorta di pattumiera che conteneva vari
relitti evolutivi di geni utilizzanti in passato. Al contrario, stanno venendo
fuori sempre più dati sull’importanza funzionale di questo DNA, in particolare
nella regolazione dell’espressione genica. Questa è una funzione, tra l’altro,
determinante nell’ambito dei meccanismi epigenetici di cui parlavo nel
contributo precedente.
{03-09-2008}
8.
{Vincenzo Russillo}
▲
La Bibbia ci dice che tutti gli uomini sulla Terra dei giorni nostri, sono i
discendenti di Noè, di sua moglie, dei suoi tre figli e delle loro mogli e a
loro volta questi discendono da Adamo ed Eva (Genesi 1,11).
Oggi noi siamo suddivisi in molti gruppi diversi, chiamati «razze», che
si diversificano per alcune peculiarità fisiche (come p.es. il colore della
pelle). Molte persone considerano questo, un motivo abbastanza ragionevole per
dubitare del racconto biblico. Poiché si tende a credere che questi diversi
gruppi, si sono venuti a creare dopo un’evoluzione di centinaia d’anni. Ma la
biologia ci dice tutt’altro e si può dimostrare facilmente.
I fatti biblici ci dicono che la popolazione che discese dalla famiglia
di Noè aveva una lingua comune e vivevano tutti in uno stesso luogo fino a
quando non disubbidirono al comando divino, costruendo la torre di Babele
(Genesi 9,1-11,4). Dio allora confuse la loro lingua e divise la popolazione in
piccoli gruppi che furono sparsi per la Terra (Genesi 11,8s).
La moderna genetica, ci spiega che a seguito di tale disgregazione della
popolazione, le variazioni nel colore della pelle per esempio, si può sviluppare
in poche generazioni. Andando ad analizzare bene la situazione, il termine razza
non c’indica niente di nuovo. Esiste una sola razza, quell’umana. La Bibbia
c’insegna che Dio ha «ha tratto da uno solo tutte le nazioni degli uomini
perché abitino su tutta la faccia della terra, avendo determinato le epoche loro
assegnate, e i confini della loro abitazione» (Atti 17,26). La Bibbia non
distingue i gruppi di persone dal loro colore della pelle o dalle sembianze
fisiche, ma dai loro usi e costumi. Tutte le persone possono incrociarsi e
produrre dei discendenti fertili. Da questa semplice osservazione, i ricercatori
hanno scoperto che le differenze biologiche tra le «razze» non sono grandi.
Infatti le differenze di DNA sono banali. Cifre alla mano si può ben affermare
che il DNA di due persone, in due parti diverse nel mondo in genere differisce
d’appena 0,2 %.
Gli antropologi in genere dividono in 5 grandi gruppi la popolazione, per
separare le «differenze razziali»:
■ Caucasica: razza europea o bianca;
■ Mongola: che include diverse popolazione come: Cinesi, Inuit, Eschimesi
e Indiani d’America;
■ Negroide: neri Africani;
■
Australoide: Aborigeni e Australiani.
All’interno d’ogni classificazione, ci possono essere diversi sottogruppi.
Opinione diffusa anche tra molti evoluzionisti è che i diversi gruppi,
provengono dalla stessa popolazione originaria. Ovviamente ritengono che i
cinesi o gli aborigeni, si sono evoluti dopo un centinaio d’anni dalla
separazione dal gruppo iniziale.
Se andiamo ad analizzare una caratteristiche fisica che viene usata per
individuare a quale razza appartiene individuo, ad esempio il colore della
pelle scopriremo che non tutto va come affermano gli evoluzionisti. È facile
pensare che, dal momento che diversi gruppi di persone hanno la pelle «gialla»,
«bianca», «nera», «marrone», a questo punto viene da chiedersi ma esistono
diversi pigmenti o coloranti della pelle. Tuttavia diversi pigmenti chimici per
la colorazione della pelle, vorrebbe dire diverso codice genetico o diversa
programmazione nell’eredità del codice genetico, in ogni persona del gruppo; ma
questo sarebbe una cosa impossibile. Tutti abbiamo la stessa pigmentazione che
colora la nostra pelle, la melanina. La melanina viene prodotta in alcune
cellule speciali della nostra pelle ed è di colore marrone scuro. Se ne
produciamo poca, siamo di colorazione bianca e quindi Europei; se ne produciamo
molta siamo di colorazione più scura, e così via con le varie sfumature. Quindi
il fattore davvero importante per determinare la colorazione della pelle è il
variare dell’importo di produzione della melanina. Lo stessa cosa si potrebbe
dire d’altre caratteristiche fisiche, come ad esempio il taglio degli occhi;
magari osserveremo subito quello d’un cinese, il cui tipico occhio a mandorla è
tale poiché c’è meno grasso attorno all’occhio.
Ma la domanda, che forse sembra cruciale, è come queste caratteristiche si sono
trasmesse in maniera così veloce?
È facile pensare a una coppia composta da una donna bianca e da un uomo nero, il
loro figlio molto probabilmente sarà mulatto. Se questo poi sposerà un altro
individuo del suo gruppo, il loro figlio potrà acquisire un colore nero intenso
o un nero più chiaro. Questo perché è tutto codificato nel nostro DNA, le
informazioni vengono copiate e rielaborate di generazione in generazione per poi
stabilire come sarà il nuovo individuo. Tutte le trasmissioni avvengono grazie
ai geni che trasportano dati, per ogni singolo enzima: come l’enzima per la
costruzione dell’emoglobina. Le informazioni vengono per metà dal padre e
l’altra metà dalla madre. Un incrocio di geni avviene, nella creazione del nuovo
individuo. Una cosa simile avviene anche per l’esempio della colorazione della
pelle. Se ci mettiamo in una situazione ipotetica in cui tutti i gruppi di
persone si potessero imparentare liberamente, e poi divise in piccoli
sottogruppi divisi tra di loro avremmo la nostra condizione iniziale con un
sacco di combinazioni genetiche. Anche oggi, all’interno d’un particolare gruppo
di persone si potrebbe notare una caratteristica che è peculiare d’un altro
gruppo. Ad esempio un Europeo con un naso piatto e molto largo. Quindi gli
scienziati sono concordi che il significato di «razza» non ha alcun valore
biologico.
Cercando di riordinare un po’ le idee possiamo cercare di riassumere le cose
come segue, sfruttando il racconto della Genesi e tenendo conto degli
effetti dell’ambiente. Il primo uomo creato, Adamo, da cui discendono tutti gli
uomini fu creato con la migliore combinazione genetica. Tempo dopo la creazione
un’enorme diluvio di caratura mondiale spazzò via l’umanità a eccezione di Noè,
sua moglie, i suoi tre figli, e le loro mogli. Questo provocò un enorme
cambiamento per l’ambiente. In seguito Dio, comandò ai sopravvissuti di
ripopolare la terra (Genesi 9,1). Centinaia d’anni dopo, la gente disubbidì a
Dio, costruendo la torre di Babele, simbolo di trasgressione e di conseguenza
punita. Fin a quel momento possiamo notare dal racconto biblico che l’intera
umanità parlava una sola lingua. Ma la popolazione fu punita con l’imposizione
di lingue diverse e fu dispersa per tutta la Terra. Quindi tutti i gruppi di
persone: neri africani, indoeuropei, mongoli, e altri si sono creati dopo
Babele. È molto facile pensare che sia Noè che sua moglie avessero una pelle
olivastra per proteggersi dai raggi del Sole, inoltre un dato rilevante è che
oggi la maggioranza della popolazione mondiale ha gli occhi e i capelli scuri.
Ma cosa accadde dopo Babele? Le popolazioni furono separate, così le persone si
sposavano solo tra di loro, impossibilitate nel capire altre lingue. Questo
porta a tenere il colore della pelle e le altre caratteristiche, lontani dagli
estremi. Quindi dopo Babele ogni gruppo si separò da quell’originario, «portando
con sé» una gamma di pigmentazione diversa dalla popolazione iniziale. È
probabile che un gruppo abbia geni più chiari e un altro più scuri. La stessa
cosa accadrebbe con le altre caratteristiche: forma del naso, forma dell’occhio,
eccetera.
E poiché ogni persona s’imparenterebbe con un’altra del proprio gruppo
linguistico, le differenze sarebbe più nette rispetto al gruppo di partenza.
Inoltre in diverse località geografiche ogni gruppo, incontrò diverse
situazioni climatiche. Ma questi effetti dell’ambiente non ebbero nessun
effetto nella «miscela genetica» iniziale d’ogni gruppo. È facile pensare che in
seguito le condizioni ambientali, intervennero creando così una selezione
naturale, senza però favorire la creazione di nuove specie. Prendiamo ad esempio
dei gruppi con scarsa facilità di creazione di melanina (poiché non riescono a
produrre abbastanza vitamina D), questi non riuscirebbero a sopravvivere in
ambiente molto soleggiati, poiché i raggi solari avrebbero effetti devastanti
come il tumore alla pelle. Quindi predominano in queste zone le persone con la
carnagione molto scura, dove si è modificata la produzione di melanina. Quindi
gli agenti climatici possono colpire l’equilibrio di geni presenti nel gruppo o
eliminare addirittura interi gruppi; per questo all’equatore abbiamo persone con
la pelle molto scura e le persone nordiche con la pelle pallida. Ma non sempre è
così; ad esempio, gli Eschimesi hanno il colorito di pelle scuro e invece i sud
Americani non sono neri. Questi esempi confermano che la selezione naturale non
crea informazioni nuove, se la composizione genetica d’un gruppo di persone non
consente la variazione di colore verso il desiderabile, la selezione naturale
non può creare tale variazione. Ma le prove a sostegno della Bibbia non sono
solamente genetiche, bensì anche i racconti sul diluvio universale sono
comuni e molti dati s’assomigliano come, ad esempio: le otto persone salvate in
barca, l’invio degli uccelli o l’arcobaleno.
Così si può
concludere che Babele ha rotto un grande gruppo, creando un incrocio di
piccoli gruppi. Quello che ne deriva è una grande miscela di geni per diverse
caratteristiche fisiche. Di per sé questo succede, per garantire la dispersione
in un breve periodo di tempo. Creando differenze stabili che denotano poi le
diverse «razze». Inoltre la pressione della selezione dell’ambiente, hanno
portato la modificazioni dei geni in modo che le caratteristiche fisiche d’ogni
gruppo tendessero a soddisfare il loro ambiente. Non c’è stata nessuna
evoluzione genetica da semplice a complessa, poiché ogni gene era già presente.
Le caratteristiche dominanti d’ogni gruppo risultano dalla combinazione dei geni
preesistenti, più qualche cambiamento degenerativo minore che risulta dalle
mutazioni ovvero dai cambiamenti fortuiti dei geni che possono essere ereditati.
Le originarie informazioni genetiche sono sia rimaneggiate che degenerate, ma
niente è stato aggiunto al codice genetico originario.
Come era
Adamo? Di sicuro, se parliamo fisicamente non aveva l’ombelico essendo il
primo uomo e con una costola mancante (ma questo non vuol dire che gli uomini
debbano avere una costola in meno, poiché le informazioni genetiche sono
contenute nei nostri geni). Sul piano intellettivo, si può dedurre che fosse
molto intelligente poiché diede il nome agli oggetti animati e non.
{03-09-2008}
9.
{Gianni Siena}
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Secondo i risultati più recenti della genetica noi uomini siamo sostanzialmente
uguali, il Dna dell’uomo è lungo un metro e mezzo e — si faccia attenzione (!!!)
— tutte le differenze fra noi umani stanno in meno di 1/1.000 dello stesso.
Questa scoperta è la migliore «connessione» con la narrazione biblica della
creazione dell’uomo.
Chi ha fatto questa scoperta, ha cercato di «ciurlare» nel proverbiale manico
facendo risalire la nostra origine a un tipo d’uomo esistente 40... 70... 120
mila anni fa. Gli anni in mano agli evoluzionisti si sprecano!
Ma noi credenti abbiamo un Testo Sacro che, oltre a essere tale, è un informato
resoconto di fatti successi nel passato remoto della specie umana e della terra:
in Esso leggiamo che l’uomo primordiale venne all’esistenza così com’è oggi...
dal punto di vista della morfologia e delle funzioni organiche.
Lascio da parte le implicazioni etiche e teologiche della questione, ma la
scoperta è il punto di partenza d’un nuovo modo d’affrontare le questioni
relative. L’evoluzione non può più «bypassare» Adamo e Eva quali progenitori
della razza umana: l’informazione biblica sulla immutabilità della attuale
specie umana trova conferma dagli studi sul Dna umano.
La domanda alla quale dovranno rispondere gli avversari della Fede e della
Narrazione Biblica e «che cosa esisteva prima» di loro (dei progenitori). Il
confronto sul tema va, secondo me, a una stretta finale; non si può continuare a
eludere le domande fondamentali sull’argomento.
Se l’uomo attuale, com’è evidente dalle scoperte, è lo stesso del passato, ciò
carica coloro che non lo vogliono accettare dell’onere di dimostrare da dove
proviene la coppia umana primordiale... ma se hanno sbagliato così
grossolanamente sulla derivazione immediata dell’uomo, essi sono ancora più in
errore sulle «precedenti» pseudo-connessioni ancestrali ... tutte da dimostrare!
Evito di formulare una spiegazione «creazionista» ma la mia Fede nel Dio della
Bibbia è sempre più ferma al riguardo. Il motivo? Non è per paura di dover
affrontare spinosi problemi di conferma scientifica ma per l’evidenza stessa
delle vicende narrate. Nel 15° secolo a.C., Mosè raccontava questa storia a un
popolo che aveva appena finito di scontare una lunga schiavitù. In Egitto, la
religione era basata sul servizio che il popolo (e gli schiavi) dovevano
tributare al dio-uomo, il faraone. Questo era reputato discendente d’Osiride e
al quale doveva uniformarsi nella vita per meritare l’immortalità. [Nella Genesi
Mosè mostrò invece che Dio aveva creato l’uomo (quindi ogni uomo) a sua
immagine e somiglianza (Gn 1,26s; 5,1s); N.d.R.]
Nell’esodo dall’Egitto appare in tutta la sua gloria l’opera redentrice del
Signore che, nel liberare Israele, pagò la «caparra» salvifica della redenzione
offerta poi a tutta l’umanità.
Mosè anticipò Lutero e Calvino che denunciarono l’iniquità dell’idolatria e
della «deificazione» umana e riaffermarono la gratuità della salvezza: un
decreto di Dio reso possibile dalla morte espiatrice di Cristo.
Gli evoluzionisti non rendono un buon servizio agli uomini ma li preparano alla
prevedibile schiavitù sotto un futuro dittatore: se noi non siamo stati fatti
dalla Mano di Dio, dunque, le sperimentazioni genetiche e le manipolazioni
relative sono il migliore progresso possibile.
Ma noi siamo stati creati da Dio e solo questo deve intimorire chiunque e
renderlo responsabile di non guastare l’opera del Signore: il giudizio attende
chiunque non rispetta il suo volere. {09-09-2008}
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► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_Sci/T1-Razze_evoluzione_Ori.htm
30-08-2008; Aggiornamento: 23-11-2012