Desidero approfittare di
questo spazio offerto da «Fede controcorrente» per stimolare una riflessione
che, per quel che mi riguarda, non è puramente teorica, ma mi coinvolge in prima
persona. Fino a che punto è lecito utilizzare gli esseri viventi a
beneficio dell’uomo? Su quali basi possiamo proporre una corretta teologia
biblica riguardo al rapporto uomo-animale?
Questi temi sono oggigiorno un cavallo di battaglia di movimenti ambientalisti.
Essi, nelle loro frange più estreme, giungono non solo ad affermare la necessità
di tutelare la vita di tutti gli esserti viventi, ma anche a garantirne dei
«diritti», dove questa parola assume un valore etico paragonabile
all’affermazione dei «diritti dell’uomo». Sulla base di questi diritti, viene
contestato l’utilizzo degli animali per fare dalle loro pelli dei capi
d’abbigliamento. Ne viene contestato l’utilizzo anche per il puro piacere ludico
dell’uomo (vedi i movimenti contro la caccia). Sotto tiro vi è anche il loro uso
nella sperimentazione bio-medica (vedi i movimenti anti-vivisezionisti). Alcuni
arrivano anche fino al rifiuto di usufruirne come cibo (movimenti vegetariani).
Quale è l’atteggiamento che un credente deve assumere di fronte a queste
problematiche? Non deve a mio giudizio sfuggire il fatto che questo tipo di
sensibilità è conseguenza di due fattori principali:
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1) Il primo fattore dipende dall’introduzione di
filosofie religiose orientali, di natura panteista, per cui la vita manterrebbe
un carattere divino in tutte le sue forme espressive.
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2) Il secondo fattore dipende dalla cultura
evoluzionista che caratterizza il pensiero moderno, per cui la differenziazione
che vediamo oggi tra le specie sarebbe solo quantitativa
e non qualitativa, provenendo tutti da uno stesso antenato comune. Questa
visione, tra l’altro, si riflette nel fatto che la vita animale richieda di
essere tutelata in relazione alla sua vicinanza evolutiva all’uomo (usare
dunque per la sperimentazione una Drosophila melanogaster — moscerino
della frutta — non è equivalente a usare un macaco o uno scimpanzé).
I
credenti di fronte a questo tipo di tematiche possono cadere nell’errore di
sfuggirle, giustificando dunque l’utilizzo più scellerato degli animali, magari
proprio a causa delle radici non-bibliche sopra citate. Oppure invece possono
abbracciare emotivamente le posizioni dei movimenti ambientalisti, non
rendendosi conto delle basi filosofiche che vi stanno alla base. Risulta dunque
urgente porsi la domanda se esista una teologia biblica sull’uso degli animali
per il beneficio dell’uomo.
Non credo esistano dubbi sul fatto che l’uomo sia autorizzato a usare gli
animali come fonte di cibo. Questo è chiaramente espresso in Gn 9,3. Per quanto
in seguito vengano introdotte normative riguardanti gli animali puri e impuri
che possono o meno essere usati come cibo (Lv 11), resta chiaro che all’uomo è
data l’autorizzazione ad «ammazzare e mangiare» (Atti 10,13). L’uccisione di
animali è ovviamente anche prevista nell’ambito sacrificale, secondo normative
procedurali descritte soprattutto nel Levitico. Queste evidenze bibliche possono
giustificare l’uso degli animali per qualsiasi scopo?
A
questo riguardo, risulta un grave monito la seguente affermazione di Dio: «Certo,
io chiederò conto del vostro sangue, del sangue delle vostre vite. Ne chiederò
conto a ogni animale. Chiederò conto della vita dell’uomo alla mano dell’uomo,
alla mano di ogni suo fratello» (Gn 9,5). Certamente questo verso fa
principalmente riferimento al fatto che ogni uomo che ha sparso il sangue di
un altro uomo ne dovrà rendere conto a Dio, ma mi chiedo se suggerisca anche
una nostra responsabilità sullo spargimento di sangue di animali (dove per
«chiedere conto» non si intende necessariamente una condanna, ma una
consapevolezza dei
limiti entro cui ci è consentito spargere sangue). Da questo punto di
vista, questo brano suscita in me un forte richiamo, perché, in quanto biologo
impegnato in attività di ricerca sperimentale, spargo sangue animale quasi ogni
giorno. Come ogni credente, è con Dio e con la sua Parola che devo confrontarmi,
ed è dunque urgente per me sapere se, e in che termini, Dio mi chiamerà in
giudizio per il sangue che sto spargendo. Forse per molti questa sarà una
domanda puramente accademica, ma per me è una domanda viva e reale, che richiede
una risposta chiara, e non un’opinione spassionata.
Il motivo più noto per cui viene fatta la sperimentazione sugli animali è quello
di scoprire nuove strategie applicative per combattere determinate malattie
(verifica di nuovi farmaci, studi sulla tossicità di determinati prodotti,
pratica di nuove tecniche di intervento chirurgico o di nuove tecniche
diagnostiche, eccetera). Da questo punto di vista ci si può però chiedere se il
benessere fisico dell’uomo sia un fine di per sé sufficiente a giustificare
l’uso degli animali. Spesso nei dibattiti televisivi sull’argomento i due
contendenti si scontrano proprio su questo punto, e i fautori dell’uso degli
animali fanno leva proprio sui benefici alla salute umana che l’utilizzo degli
animali nella sperimentazione ha indubbiamente portato. Da credenti credo però
che sia opportuno porci la domanda se questi benefici siano di per sé
sufficienti. Esistono priorità che vanno ben oltre il nostro benessere fisico
(Mc 8,36; 9,45), e sarebbe del tutto anti-biblico se noi giustificassimo la
sperimentazione animale solo su questa base. Allo stesso tempo però la
libertà che ci è data di utilizzare gli animali per il nostro sostentamento (Gn
9,3) potrebbe anche estendersi alla nostra «salute» in senso più generico. Come
dunque usiamo l’animale per la nostra salute alimentare (per non morire di
fame), così possiamo usarli anche per altri aspetti della nostra salute fisica
(ad esempio, per non morire di tumore).
Continuando però in questo commino di esposizione
sincera, devo riconoscere che la sperimentazione animale non è fatta solo per
scoprire nuove terapie utili per l’uomo. Per quel che mi riguarda, non essendo
io un medico, il motivo principale è piuttosto la curiosità di conoscere e
scoprire i meccanismi che stanno alla base del funzionamento di determinati
organi. Un po’ come quei bambini a cui viene regalato un giocattolo e lo
smontano per capire come funziona. Indubbiamente, scoprire dei meccanismi di
funzionamento di un organo sono utili affinché si possa intervenire
opportunamente in caso di «rotture», per cui mi fa piacere pensare che il mio
lavoro possa essere usato da altri per interventi più pratici legati alla
salute dell’uomo. Devo però onestamente riconoscere che questa eventualità, per
quanto vista da me con favore, non è una motivazione forte tanto quanto il
desiderio di conoscere, indipendentemente da possibili applicazioni
terapeutiche. Questa «conoscenza» non è poi un puro esercizio intellettuale, ma
un modo di scoprire ancora di più le meraviglie del creato e trovare ulteriori
motivi per adorare quel Dio che ci ha fatto in modo meraviglioso e stupendo (Sal
139,14).
Al di là però di questo, che potrebbe da molti essere
visto come un bel paravento spirituale al mio egoismo infantile, è
giustificabile uccidere animali per «conoscere»?
Mi sembra ovvio che l’esposizione di una corretta
teologia sui limiti entro cui è possibile uccidere degli animali debba portare
me a riflettere sulle mie responsabilità quando spargo sangue nel mio
lavoro, ma anche tutti coloro che d’estate, con non curanza, accendono quel
fornelletto con le pasticche di insetticida, per liberarsi di quelle zanzare che
gli procurano, non dico la malaria, ma un fastidioso prurito cutaneo.
2.
{Egle Paolucci
Ho letto la riflessione di N. Berretta sulla responsabilità come cristiani di
sacrificare animali da laboratorio ai fini di ricerca e studio. Anch’io ho
lavorato per diversi anni con animali da laboratorio e spesso mi interrogavo
sull’eticità di ciò che facevo, e sulla reale utilità di quel lavoro. Sono
convinta dell’utilità della sperimentazione su animali riconoscendo la validità
della ricerca volta a conoscere i meccanismi biologici che sottendono ai
processi fisiologici e anche patologici del nostro organismo, e penso a tutte le
cure farmacologiche che vengono sperimentate su animali. Personalmente mi ha
sempre affascinato conoscere, in quanto più mi addentravo e più percepivo la
perfezione e l’ordine di Dio, il
perfetto Ingegnere e Creatore.
Nella Bibbia non possiamo trovare degli espliciti
riferimenti contro la vivisezione, ciò non toglie che non dobbiamo porci un
problema di coscienza etica e di fede. D’altra parte non troviamo neppure un
divieto a curare chi soffre, e oggi per curare molte malattie occorre studiarne
i meccanismi e questo richiede dei modelli sperimentali, che per affinità
genetica sono animali, i più vari in relazione al tipo di studio che si conduce.
Credo quindi che non ci sia un chiaro divieto ma che
dobbiamo svolgere questo lavoro con coscienza, rispetto ed etica, in quanto pur
riconoscendo la differente dignità di fronte e Dio tra uomo e animale, anch’essi
sono esseri viventi e meritano rispetto poiché anch’essi occupano una scala
gerarchica nella creazione. Non credo ci sia una risposta chiara e definitiva,
ma se qualcuno volesse illuminare me e Berretta sarei lieta di ascoltare.