Un taglio netto alle convenzioni anti-bibliche e pseudo-bibliche, all'ignoranza e alle speculazioni — Ein klarer Schnitt zu den anti-biblischen und pseudo-biblischen Konventionen, zur Unwissenheit und den Spekulationen — A clean cut to the anti-biblical and pseudo-biblical conventions, to the ignorance and the speculations — Une coupe nette aux conventions anti-bibliques et pseudo-bibliques, à l'ignorance et aux spéculations — Un corte neto a las convenciones anti-bíblicas y pseudo-bíblicas, a la ignorancia y a las especulaciones

La fede che pensa — Accettare la sfida nel nostro tempo

«Glaube gegen den Strom»: Für das biblische Unterscheidungsvermögen — «Faith countercurrent»: For the biblical discernment — «Foi contre-courant»: Pour le discernement biblique — «Fe contracorriente»: Por el discernimiento bíblico

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La prima parte del «Panorama del NT» porta il titolo «Dall’avvento alla parusia», ossia dalla prima alla seconda venuta del Signor Gesù. Questo titolo evidenzia la tensione in cui erano posti i cristiani del primo secolo (e noi oggi). Essi guardavano indietro all’incarnazione, ai patimenti e alla risurrezione di Gesù quale Messia (primo avvento) e guardavano parimenti avanti alla manifestazione del Signore, del suo regno e della sua salvezza. Il termine «avvento» mette quindi in evidenza l’abbassamento del Messia , mentre «parusia» (gr. parousía «venuta, arrivo») evidenzia la manifestazione gloriosa del Signore alla fine dei tempi. Questo è altresì l’uso che si fa di questi due termini nella teologia.

   Ecco le sezioni dell'opera:
■ Aspetti introduttivi
■ Gesù di Nazaret
■ Gli Evangeli
■ Dall’ascensione alla fine dei tempi
■ Aspetti conclusivi

 

► Vedi al riguardo la Recensione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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ISRAELE ODIERNO FRA AMMIRAZIONE E BIASIMO?

PARLIAMONE

 

 a cura di Nicola Martella

 

Nell’articolo «Israele odierno fra ammirazione e biasimo», Giampaolo Natale e Nicola Martella hanno cercato di mettere a fuoco la problematica storica e attuale d’Israele quale entità storica, teologica e politica. Con un discorso così articolato si rischia di essere fraintesi dagli uni o dagli altri per opposte tesi. Infatti la tentazione è quella di non vedere l’intero panorama, ma di cogliere solo il particolare che magari fa dissentire. Anche la stretta identificazione fra l’Israele delle promesse, il giudaismo rabbinico, lo Stato d’Israele attuale (e la sua dirigenza politica) e l’Israele escatologico. Ciò è possibile solo idealizzando e sublimando Israele. Volentieri si dimentica che, durante la storia dell’AT, Israele è stato il popolo infedele che, dopo aver rifiutato e, a volte, ucciso i suoi profeti, fu mandato poi in cattività; e anche quello che ha rifiutato Gesù quale Messia, preferendo a lui Barabba, un partigiano per la causa contro i Romani; e anche quello che ha ostacolato la missione degli apostoli giudaici, seguaci di Gesù il Messia. Certo Israele è anche l’oggetto delle promesse escatologiche di Dio. Israele è oggigiorno anche uno Stato, creato per la grazia di Dio; ma esso è lontano dall’essere il regno messianico, e i suoi governanti (con i loro pregi e difetti) non sono i servi di giustizia del Messia sovrano.

     Per tanti motivi, Israele attira a sé l’ammirazione. Per tanti altri motivi, Israele suscita disapprovazione. Solo un’analisi sobria e realistica, così come facevano gli antichi profeti, che metta a nudo il vero stato delle cose e getti luce delle promesse di Dio, può essere salutare a tutti, alla verità e allo stesso Israele.

 

     Che cosa ne pensate? Quali sono al riguardo le vostre esperienze, idee e opinioni?

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I contributi sul tema

(I contributi rispecchiano le opinioni personali degli autori.

I contributi attivi hanno uno sfondo bianco)

 

1. Volto Di Gennaro

2. Nicola Martella

3. Enrico Bonaiti

4. Nicola Martella

5. Marcello Favareto

6. Nicola Martella

7. Giampaolo Natale

8. Marcello Favareto

9. Nicola Martella

10. Vincenzo Russillo

11. Nicola Martella

12.

 

Clicca sul lemma desiderato per raggiungere la rubrica sottostante

 

 

1. {Volto Di Gennaro}

 

Egregio fratello Martella, Dio ci benedica! La rinascita dello Stato d’Israele ha «spiazzato» sia il Cattolicesimo romano, sia l’Ortodossia, sia il Protestantesimo e infine anche la diverse Chiese evangeliche. Il Cattolicesimo ha rivisto le sue posizioni (Concilio Vaticano II), l’Ortodossia non so se ha deciso qualcosa, il Protestantesimo già da tempo ne ha «preso nota». E le chiese evangeliche? Anche noi siamo interrogati e obbligati a rileggere le Scritture. Dunque, Dio ha reinnestato Israele! Le dico in breve il mio personalissimo pensiero:

     Il nuovo Israele ci dice che a camminare verso la venuta (per gli Ebrei) e il Ritorno (per i cristiani) del Messia ci sono due strade diverse ma parallele: Ebraismo e Cristianesimo. I due «figli» del Signore: il maggiore e il minore. Saprà il Signore come rivelare Cristo al Suo popolo. È mia convinzione, basata sulle Scritture, che NON sarà Israele e riconosce il suo Messia, ma sarà il Messia che si rivelerà a Israele, come fu Giuseppe a rivelarsi ai suoi fratelli e non viceversa. Un saluto nel Signore. {19 gennaio 2009}

 

 

2. {Nicola Martella}

 

La rinascita dello Stato d’Israele non si è realizzata per calcolo politico delle superpotenze d’allora né per la bravura degli ebrei sionisti, ma è stata l’opera di Dio. Per paragone, anche la caduta del «muro di Berlino» è stata qualcosa che ha preso di contropiede gli stessi politici della Germania Federale (ovest), oltre che quelli della Germania Democratica (est). In ogni modo, la dichiarazione dello Stato d’Israele ha «spiazzato» solo coloro che dichiaravano che la chiesa (ossia la loro) fosse il «nuovo Israele», che aveva sostituito quello storico.

     D’altra parte, è meglio usare opportunamente i termini. Dire che «Dio ha reinnestato Israele», è teologicamente inesatto. L’albero su cui si possa essere innestati è Gesù Cristo, il «seme d’Abramo»: «Ora, ad Abramo furono fatte le promesse e alla sua discendenza. Egli non dice: “E alle discendenze”, [quindi] di molte; ma di una [sola]: “E alla tua discendenza”, ch’è Cristo» (Gal 3,16). Nel 1948 o oggigiorno gli Israeliti non credono nel complesso che Gesù sia il loro Messia. La Scrittura parla di loro come «increduli» (Rm 3,3; 1 Pt 2,7). Sebbene eletti ed amati, sono nel complesso nemici per quanto concerne l’Evangelo (Rm 11,28). A essere innestati sono nei secoli e fino a tutt’oggi un resto dei giudei, che hanno creduto: «E così anche nel tempo presente, v’è un residuo secondo l’elezione della grazia», che ha ottenuto che ha cercato, a differenza della massa d’Israele (vv. 5.7). Solo coloro che non persevereranno nella loro incredulità riguardo a Gesù quale Messia, saranno innestati (v. 23). Quando sarà entrata la «pienezza dei Gentili» (v. 25), alla fine dei tempi, Israele passerà per la grande tribolazione, per separare dagli increduli i credenti in Gesù e per salvare infine questi ultimi nel regno messianico, talché si potrà dire allora che «tutto Israele sarà salvato» (v. 26).

     Perciò si potrà dire che nel 1948 Dio ha permesso al suo popolo storico di tornare nella sua terra; ciò è solo una caparra rispetto al ritorno escatologico. La terra attuale d’Israele è solo un piccola parte della Terra Promessa e non saranno i suoi sforzi politici e militari a dargli di più. Sarà solo il Messia che elargirà per decreto sovrano a Israele la sua antica terra nella sua interezza.

     Dio non ha due figli né due strade. Dio ha un solo Figlio, Gesù il Messia, il quale è l’unica Via per tutti Giudei e Gentili. Chi è innestato in Lui, è progenie ed erede d’Abramo «La legge è stata il nostro pedagogo per condurci a Cristo, affinché fossimo giustificati per fede. Ma ora che la fede è venuta, noi non siamo più sotto pedagogo; perché siete tutti figli di Dio, per la fede in Cristo Gesù. Poiché voi tutti che siete stati immersi in Cristo vi siete rivestiti di Cristo. Non c’è qui né Giudeo né Greco; non c’è né schiavo né libero; non c’è né maschio né femmina; poiché voi tutti siete uno in Cristo Gesù. E se siete di Cristo, siete dunque progenie d’Abramo; eredi, secondo la promessa» (Gal 3,24-29). Ci sono promesse storico-politiche per Israele per il ritorno di Gesù Messia, ma esse si realizzeranno solo per coloro tra gli Ebrei che lo accetteranno come Salvatore e Signore.

     Sarà Israele a riconoscere Gesù (e accettarlo come Messia) oppure sarà quest’ultimo a rivelarsi Israele? Le due cose vanno insieme. Da una parte vediamo l’Agnello tra i 144.000 Ebrei maschi e vergini (Eb 7,4ss; 14,1ss), dall’altra è scritto che lo «vedranno anche quelli che lo trafissero» (1,7) e che «guarderanno a colui che essi hanno trafitto» (Zc 12,10), facendo cordoglio. Non basta che Gesù si manifesti, ma dev’essere anche riconosciuto e acclamato come Messia; alla sua prima venuta, quando entrò in Gerusalemme come re, secondo le promesse, fu rigettato; anzi fu condannato a morte per aver asserito d’essere lui il Messia promesso. Già oggigiorno ci sono migliaia e migliaia di Giudei che riconoscono in Gesù il loro Messia. Preghiamo Dio che ne saranno sempre più.

 

 

3. {Enrico Bonaiti}

 

Caro Nicola, che dire, ancora, su Israele? È bastato lo schifo di un Santoro o no?

     Sono ebreo, da parte di madre. La settimana scorsa sono andato a Milano alla manifestazione a sostegno di Israele.

     Certo, un paese, come tutti, con luci ed ombre, ma trattare la sola democrazia nel Medio Oriente come un emulo del nazismo mi sembra troppo. Cosa avrebbero fatto gli italiani, i nostri preti semi-rossi, se, un bel giorno, gli fossero piovuti sulla cocuzza i graziosi missili di Hamas?

     Usare i bambini come scudi umani, cosa cara al defunto premio nobel per la pace, signor Arafat, servirà anche a fomentare il solito odio antisemita, personalmente lo trovo cosa da Medioevo, come è da Medioevo lapidare le donne in mezzo alla pubblica piazza. Credo che con certa gente non serva discutere: l’odio li acceca. Con stima. {19 gennaio 2009}

 

 

4. {Nicola Martella}

 

Non ho visto la trasmissione di Michele Santoro, ho sentito e letto alcune voci critiche e che Lucia Annunziata ha lasciato lo studio, ritenendo il tutto troppo sbilanciato e partigiano nella direzione dei Palestinesi.

     Sono contento di aver visto in televisione manifestazioni a sostegno di Israele. In Israele gli stessi membri del governo hanno dichiarato di non avercela contro i Palestinesi, ma contro Hamas. Chiaramente vedere una Striscia di Gaza così distrutta, fa un certo effetto; lo fa anche sentire che sono morti circa 1.300 persone, anche bambini e donne. Tra di loro c’erano probabilmente anche cristiani. Non si può negare che l’effetto psicologico è grande, sebbene Israele sia stato per otto anni il bersaglio dei razzi di Hamas. Certamente si può affermare che i militanti di Hamas si siano nascosti nelle case, nelle scuole esimili; ma ciò non toglie che il bilancio sia disastroso; anche gli effetti postumi sono incerti: Hamas smetterà di lanciare missili? Si radicalizzerà ancora di più?

     Il nazismo era tutt’altra cosa: era una distruzione sistematica di massa per motivi ideologici (superiorità della razza ariana). Chi fa tali accostamenti fa semplicioneria storica.

     Nell’articolo in questione ho evidenziato che se su una piccola nazione europea fossero caduti così tanti razzi, da tempo ci sarebbe stato un intervento della Nato contro tale terrorismo. Il problema è che fintantoché non si arriva a un accordo vero fra Palestinesi e Israeliani (sono sempre i falchi di ambedue gli schieramenti ad averlo impedito!), che preveda il riconoscimento reciproco e confini sicuri per ambedue, ogni azione provocherà una reazione e a odio si aggiungerà odio.

     La soluzione del conflitto mediorientale può venire solo da Dio mediante il Messia alla fine dei tempi. Fin lì la cosa peggiore che possa succedere a Israele è quella di perdere il sostegno degli USA e dell’Europa e la solidarietà verso un Paese democratico. Aspettando i tempi di Dio, bisogna cercare una soluzione pacifica a tale annoso problema.

     Certamente ci sono tante cose che ci ripugna vedere nella pratica dei Paesi mussulmani teocratici. Mostrare tali problemi non può di per sé rappresentare la soluzione a una questione irrisolta nel Medio Oriente; ciò riesploderà continuamente, se la comunità internazionale non troverà una soluzione con i contendenti, che hanno mostrato l’incapacità di farlo da soli. L’odio purtroppo acceca ognuno, da qualunque parte stia. Esso impedisce anche la realizzazione del «grande mandato» di Cristo: la predicazione dell’Evangelo a tutti gli uomini, mussulmani ed ebrei compresi. Solo la rigenerazione può far dire: «E tali eravate alcuni; ma siete stati lavati, ma siete stati santificati, ma siete stati giustificati nel nome del Signor Gesù Cristo, e mediante lo Spirito dell’Iddio nostro» (1 Cor 6,11). In tutto ciò, non si può dimenticare la priorità cristiana di pacificare mediante l’amore di Dio e la fede nell’Evangelo.

 

 

5. {Marcello Favareto}

 

Ecco Il mio tentativo d’opinione (e spero di non scandalizzare nessuno... se invece dovesse succedere, chiedo scusa in anticipo ma mi piacerebbe anche conoscerne le ragioni).

 

1. Ragionamento da essere umano che valuta problemi e immagina soluzioni a livello pragmatico, per far smettere queste carneficine.

 

1.1. Decidere da quale punto di partenza si può cominciare a discutere:

     Tornare alla situazione prima del 1948, cioè Palestina ai Palestinesi ed ebrei fuori dai...? Forse pochi, tranne una parte dei Palestinesi è d’accordo.

     Accettare la situazione territoriale definita dalle risoluzioni ONU. Anche se non piace a molti israeliani, è solo da qui che si può partire. Ma questo va associato alla accettazione dell’esistenza d’Israele da parte di Hamas, Hezbollah e soci.

     Cercare d’acquisire nuove terre per il grande Israele. Sarebbe odio non solo palestinese per un altro secolo almeno.

 

1.2. Supponiamo che Hamas accetti. Ci vorranno 50 anni di «pace» per normalizzare le cose. Nel frattempo bisogna ritirare i coloni, disarmare Hamas e impedire il riarmo con una forza di controllo seria; controllare i libri di scuola per impedire che l’odio venga perpetuato inculcandolo nei bambini. Nella mia ignoranza della storia credo che la nazione palestinese sia stata inventata dopo il 1948 come reazione a Israele. Dato che i territori palestinesi non sono comunicanti e non lo saranno in futuro, i Palestinesi non potranno pretendere di pendolare tranquillamente da Gaza alla Cisgiordania per un bel po’ d’anni se non con controlli di frontiera molto stretti e insostenibili. Quindi le prospettive per me sono: a) una Palestina con due regioni autonome e poco comunicanti; b) due province palestinesi una sotto il protettorato Egiziano e l’altra sotto quello Giordano, così avranno canali di comunicazione verso l’esterno per rifornimenti, ecc.

 

1.3 Supponiamo che Hamas non accetti. Si può costringere con una forza internazionale? Si può far fare un referendum per l’armistizio?

     P.S. Il discorso sull’accettabilità dell’azione recente d’Israele lo salto.

 

2. Considerazioni su destino, profezie, ecc. dell’articolo di Nicola Martella. Mi sembra che si dica tutto e il contrario di tutto, tutto è bene, ma contemporaneamente non è detto che lo sia...

     «Si afferma di sovente che la zona geografica siro-palestinese appartenga di diritto a Israele. Si dimentica però che Dio ha affermato a proposito di tale territorio: «La terra è mia, e voi state da me come forestieri e avventizi”» «Israele non ha quindi nessun diritto di conquistare da sé la Terra Promessa (dall’Eufrate al fiume d’Egitto; Gn 15,18ss). Il ritorno in Patria è stato una permissione divina; se Dio avesse voluto dare a Israele l’intera Terra Promessa, avrebbe creato le condizioni». Ma il ritorno d’Israele in Palestina non è avvenuto senza l’azione degli ebrei sionisti! Perché quel che è stato fatto va bene e quel che qualcuno vorrebbe fare no? Che criterio di giudizio abbiamo per distinguere quel che è giusto da quello che non lo è?

     «Israele deve quindi accontentarsi di ciò che Dio gli ha accordato e mantenere possibilmente una condizione di pace e stabilità, in attesa che sia Dio a donargli ciò che Egli vorrà e alle sue condizioni. Come sappiamo ciò avverrà al ritorno del Messia, quando gli Ebrei lo riconosceranno in Gesù di Nazareth. Fin lì la strada può essere abbastanza lunga». Ma una frase di questo genere si poteva anche dire prima del 1948 o del 1917.

     «La stessa nascita dello Stato d’Israele nel 1948 fu un evento straordinario, frutto dell’opera e del progetto di Dio. Il problema però, come è stato già osservato, è che molti cristiani tendono a “equiparare le cose di Dio col sionismo e lo Stato d’Israele”». C’è qualcuno che riesce a distinguere tra il progetto di Dio e il lavoro degli uomini in quanto è successo?

     Mi fermo qui. {19 gennaio 2009}

 

 

6. {Nicola Martella}

 

Dopo aver ricevuto il testo soprastante, ho constatato che lo inviava a una decina d’indirizzi e solo per conoscenza anche a me. Solo in seguito ho visto che di per sé era una risposta a una lettera altrui e che per correttezza ne ha inviata copia anche a me; lo ringrazio per la correttezza. Ho scritto al lettore, tra l’altro, quanto segue.

[…] Ammetto la mia perplessità, dopo aver letto il tuo scritto, e questo per alcuni motivi.

     1) Tu non scrivi a me, ma a vari tuoi contatti.

     2) Non hai notato che l’articolo è fatto di due parti (potevano essere due articoli separati e collegati) di due diversi autori?

     3) Mi meraviglio che da un discorso così articolato tu abbia tirato fuori alcune asserzioni, prese fuori del contesto, e le abbia fatte apparire come contraddizioni, sebbene sia io, sia Giampaolo, abbiamo cercato d’essere equilibrati e cauti.

 

[…] L’articolo intendeva far riflettere e stimolare a dialogare insieme. T’incoraggio a farlo. Ti saluto con stima e amore nel Signore... Nicola Martella

 

Qui aggiungo una mia risposta allo scritto. Sopra abbiamo evidenziato in grassetto i punti salienti, a cui rispondiamo.

 

     1. È immancabile che ogni ragionamento sia fatto da «essere umano»; altra alternativa non abbiamo, visto che il Signore ci ha creati così. Da cristiani abbiamo il vantaggio di esercitare il timore di Dio e di orientarci alla sua Parola per le cose chiare, evidenti e incontrovertibili.

     Non entro in merito alle diverse opzioni, non era nostro interesse suggerirne alcune, ma ci interessava di più l’aspetto storico e teologico. Penso comunque sia assurdo poter tornare indietro nella storia, visto che Israele è riconosciuta come nazione e ha un rappresentante all’ONU. Penso che partire dalle risoluzioni dell’ONU e dagli accordi bilaterali fra Israele e Palestinesi, sia cosa saggia; comunque da soli non riusciranno, in quanto parti in causa, se non interviene la comunità internazionale (anche perché in ambedue gli schieramenti ci sono falchi e colombe; si vedano appunto Hamas e Hezbollah, da una parte, e gli ultra-ortodossi dall’altra). Se Israele prendesse altre terre con la forza, la polveriera del medio Oriente esploderebbe senza precedenti.

     Il problema è proprio la semina dell’odio da una parte e dall’altra. I falchi di ambedue gli schieramenti vorrebbero la «soluzione finale», estinguendo definitivamente l’altra parte. Come cristiani siamo chiamati a operare per una riconciliazione spirituale (mediante l’Evangelo), morale (abbassando la soglia dell’odio reciproco) e politica (lavorare per una stabilità politica in cui i due popoli ora esistenti possano vivere come vicini e rispettarsi). Tale esperienza è stata fatta in Europa, ad esempio, fra tedeschi e francesi e fra italiani e austriaci. Chiaramente bisogna disarmare i falchi di ambedue gli schieramenti e promuovere il confronto fra gli uomini di pace.

     Quanto alla presunta «nazione palestinese», essa non esiste finché non c’è una nazione sovrana con confini chiari e riconosciuti; a tutt’oggi esiste solo un popolo palestinese. Quando fu offerto un territorio al popolo palestinese, in cui essere nazione, i suoi dirigenti rifiutarono sotto la pressione degli Stati arabi. Mi sono positivamente meravigliato riguardo alle opzioni politiche e territoriali che il lettore ha suggerito!

     Ciò che accetta o non accetta Hamas, sta fuori della nostra portata. Senza un controllo internazionale sarà difficile addivenire ad alcunché, visto che tali movimenti sono foraggiati dall’estero.

 

2. Risposta alle valutazioni dell’articolo in questione: Trovo poco generose le valutazioni del lettore.

     Nella prima citazione intendevo evidenziare che la Terra Promessa appartiene a Dio, è stato Lui a permettere a un certo numero d’Israeliti di tornare in essa e sarà Lui a darla nella sua interezza (dall’Eufrate al fiume d’Egitto) al ritorno del Messia. In tal modo volevo contrastare i pan-sionisti che vorrebbero prendersi oggigiorno con la forza tutto tale territorio, creando un’incontrollabile polveriera, che distruggerebbe anche lo stesso Israele. Molte aberrazioni da parte israeliana sono sorte proprio per questo, gli stessi storici oggigiorno lo ammettono. Gli Ebrei sionisti allora tornarono, non per calcolo e bravura propria, ma perché Dio ne creò le condizioni. Ciò che è giusto fare, è ascoltare la voce di Dio. La sua Parola ci dice che prima verrà «il Figlio di Davide» e poi il regno messianico. «Benedetto sia il Signore, Dio d’Israele, perché ha visitato e riscattato il suo popolo, e ci ha suscitato un potente salvatore nella casa di Davide, suo servitore, … uno che ci salverà dai nostri nemici e dalle mani di tutti quelli che ci odiano…» (Lc 1,68ss; Mc 11,8ss; At 1,6; 2 Tm 4,1; Ap 11,15; 12,10; 19,11ss; 20,1ss). Anticipare i tempi con la forza non può che creare male e sofferenza. «Se l’Eterno non edifica la casa, invano vi si affaticano gli edificatori; se l’Eterno non guarda la città, invano vegliano le guardie» (Sal 127,1). Prima deve venir tolto il velo dalla mente degli Israeliti (2 Cor 3,14ss), poi, quando avranno riconosciuto Gesù quale loro Messia, si entrerà nell’ultima fase della storia.

     Ciò intendeva affermare la seconda citazione. Israele non può far nulla nella storia, se Dio non lo concede. Così è stato nel 1948, e così sarà in seguito. Ciò che Israele vorrà strappare con la forza dalla mano di Dio, non potrà che fargli male. Il grande Israele non inizierà senza il grande Re, Gesù Messia.

     La terza citazione intende contrastare la pretesa che tutto ciò che fa lo Stato d’Israele, sia di per sé nella volontà di Dio. La frase retorica finale non necessita risposta. La stragrande maggioranza degli Ebrei nel mondo d’oggi — prescindendo da quelli che sono atei, materialisti, esoteristi, amorali o depravati — vive lontano dall’Evangelo e, quindi, dalla salvezza di Dio in Cristo Gesù. Altra via non esiste. Il giorno è ancora futuro in cui gli Ebrei guarderanno in massa a colui che essi hanno trafitto (Zc 12,10; Ap 1,7).

 

 

7. {Giampaolo Natale}

 

Caro Marcello Favareto, considero sempre un privilegio dialogare insieme per comprendere meglio le cose. Cercherò di dare una risposta ai tuoi quesiti ma considero le risposte politiche «poca cosa», perché non colgono la natura e l’origine del problema stesso: il peccato. Cercherò di spiegare il tutto in senso politico enell’ultima parte in senso «spirituale» o biblico.

 

     ■ 1. Non direi che la situazione prima del 1948 (Palestina ai palestinesi e Ebrei rigettati in mare) sia voluta solo da una parte dei palestinesi visto che nelle recenti elezioni (2006) ha vinto il partito fondamentalista e terrorista di Hamas (riconosciuto come tale dall’Unione Europea e dagli Usa) con 73 seggi a disposizione contro i 43 di Al-Fatah. Tale partito nel suo statuto (The Covenant of the Islamic Resistance Movement (Hamas), 18 agosto 1988;) richiede la distruzione delle Stato d’Israele e la sua sostituzione con un Stato islamico palestinese nella zona che ora è Israele.

 

     ■ 2. «Accettare la situazione territoriale definita dalle risoluzioni ONU»: La storia purtroppo dimostra che ciò non porterebbe ad alcuna soluzione della questione. Quand’anche volessimo tornare alla prima delle 72 risoluzioni di condanna dell’Onu nei confronti d’Israele, la 181 del 29 novembre 1947 in relazione alla spartizione della Palestina in 3 zone, uno Stato ebraico sul 56% del territorio, uno Stato palestinese sul restante, e una zona internazionale su Gerusalemme e Betlemme (la famosa linea verde), dobbiamo ricordarci che tale risoluzione venne nettamente rifiutata dalla maggioranza degli Stati arabi (Egitto, Libano, Siria, Transgiordania, Iraq e Arabia Saudita), i quali si coalizzarono per distruggere il neonato Stato ebraico (1a guerra arabo-israeliana 1948). Né la situazione odierna può dirsi molto più rosea per la comunità internazionale, che è stata spettatrice del vertice di Doha, dove 13 dei 22 paesi della lega araba si sono riuniti chiedendo a più riprese la rottura diplomatica con Israele — cosa che è avvenuta il 16 gennaio 2009 da parte della Mauritania e del Qatar — e il boicottaggio delle merci israeliane, mentre la «moderata Turchia» ha chiesto per bocca del premier Tayyep Erdogan l’espulsione d’Israele dall’Onu «poiché ne ignora le risoluzioni» [Il Corriere della Sera, sabato 17 gennaio 2009]. Infine il presidente siriano Bashar Al Assad ha dichiarato «morta» l’iniziativa di pace araba del 2002 che prevedeva il riconoscimento d’Israele condizionato al ritiro di quest’ultimo nei confini del 1967. La stessa autorità palestinese ha sempre dimostrato ambiguità nella gestione del riconoscimento dello Stato ebraico. Nonostante l’amministrazione Clinton nel dicembre 2000 fece un offerta generalmente riconosciuta come irrinunciabile (creazione d’uno Stato palestinese con il 97% del territorio della Cisgiordania, con la striscia di Gaza e la parte est di Gerusalemme come capitale palestinese con collegamento diretto tra Gaza e la Cisgiordania tramite una ferrovia sopraelevata e un autostrada) e nonostante tale offerta fosse accettata dal governo israeliano, la controparte palestinese (Arafat) la rifiutò, dimostrando in tal modo che non era e non è una questione di terra o di luoghi sacri, ma relativa all’esistenza stessa d’Israele (il 2000 è l’anno della seconda intifada). Vero è che Israele ha acquisito del territorio grazie alle guerre sostenute nel 20° secolo, aumentando notevolmente i suoi insediamenti nei territori dove era prevista la nascita dello Stato palestinese, ma è altrettanto vero che tali guerre sono state intraprese o provocate da parte araba. Vero è che Israele risulta essere trasgressore delle risoluzioni Onu, che prescrivono il ritiro dai territori occupati con la guerra del 1967 (ris. 242 del 22/11/1967 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite), ma è altrettanto vero che tale risoluzione prevedeva anche il rispetto e il riconoscimento della sovranità, dell’integrità territoriale e dell’indipendenza politica d’ogni Stato della regione (compreso Israele), e proprio per tale ragione non fu mai accettata neanche dagli Stati arabi né mai attuata. Vero è che Israele potrebbe essere definito uno «Stato guerrafondaio», ma è altrettanto vero che la Germania (o meglio l’impero tedesco 1871-1910), per aver perso due guerre mondiali, è passata da una superficie di 540.858 km2 nel 1910 agli attuali 357.023 km2, perdendo territori a favore di Francia, Belgio e della ripristinata nazione Polacca e nessuno ha mai gridato allo scandalo facendo manifestazioni di protesta o si è mai sognato di chiedere la riconsegna alla Germania di tali territori. Certamente la Germania non è la Palestina — e io non sto chiedendo la riconsegna alla Germania della Polonia — ma si può notare in tali circostanze una comune avversione e una ostilità latente nei confronti dello Stato e della popolazione ebraica.

 

     ■ 3. Sorvolo sopra i modelli politici da te menzionati (protettorato egiziano e giordano, ecc) perché i modelli politici e le strade della presunta pace sono molteplici. Non sono contrario a uno Stato palestinese, ma sono certo che quando arriverà il Messia «traccerà egli stesso» i confini della terra. La vera soluzione quindi è nel Messia Gesù come sopra ampiamente spiegato.

 

     ■ 4. «C’è qualcuno che riesce a distinguere tra il progetto di Dio e il lavoro degli uomini in quanto è successo?». Certo si può fare una distinzione del genere solo con la Bibbia, sebbene non possiamo conoscere esattamente il pensiero di Dio. L’epilogo del popolo ebraico e dello Stato d’Israele è un miracolo perché, come ha scritto nell’articolo Nicola Martella, Dio «ha preservato l’identità degli Ebrei per migliaia d’anni e, al tempo stabilito, ha suscitato in loro il desiderio di tornare nella terra dei loro padri e ha creato le condizioni politiche perché ciò potesse accadere». Tuttavia tale ritorno non è stato accompagnato da uno spirito di pentimento, perché gli Ebrei non hanno ancora guardato a «Colui che hanno trafitto» e non hanno ancora fatto cordoglio per Lui «come si fa cordoglio per un figlio unico» né sono stati «grandemente addolorati per lui, come si è grandemente addolorati per un primogenito». Su di loro non è stato ancora sparso «lo Spirito di grazia e di supplicazione» (Zaccaria 12,10), il che vuol dire che nonostante siano «lo Stato d’Israele», non sono però il «regno di Dio» in quanto quest’ultimo ci sarà solo alla fine della tribolazione e soltanto quando sarà entrata la totalità dei Gentili, «tutto Israele sarà salvato» (Romani 11,26). Durante la grande tribolazione (Mt 24,21) avverrà una grande separazione: «Separerò da voi i ribelli e quelli che mi sono infedeli io li condurrò fuori dal paese dove sono stranieri ma non entreranno nel paese d’Israele» (Ezechiele 20,38). «In tal modo il Signore s’accerterà che nessun ribelle, nessuno che non sia stato rigenerato dal suo Spirito di salvezza, faccia ritorno in Israele per avere parte nel regno messianico» di Cristo» [John MacArthur, La sacra Bibbia con note e commenti (La casa della Bibbia, 2006), p. 1170.]. In tal modo si comprende che «progetto divino» e «lavoro degli uomini» percorrono due strade diverse: il primo vuole condurre alla salvezza per mezzo di Cristo, mentre il secondo illude milioni di persone con un sentimento di autocompiacimento razziale o religioso. Il mio articolo infatti prendeva le distanze da chi considera l’Israele attuale come il regno di Dio sulla terra, intendendo in tal modo che chi l’onora, sarebbe onorato da Dio. Tali autori confondono il regno milleniale di Cristo sul trono d’Israele con quello degli attuali capi di Stato, facendo credere in tal modo che tutti gli ebrei moderni vivano nei piani e nella volontà di Dio. Una tale veduta è chiaramente non conforme a verità, poiché nella chiesa odierna «non c’è più Greco e Giudeo circonciso, e incirconciso, barbaro e Scita, servo e libero, ma Cristo è tutto e in tutti». (Col 3,11).

 

 

8. {Marcello Favareto}

 

Nota editoriale: Il lettore risponde qui alla mia lettera (vedi sopra l’inizio del contributo «6.»). Non ha però ancora letto la mia risposta al suo contributo.

 

Caro Nicola, ti chiedo scusa se ti ho ferito con il mio scritto. Come puoi vedere dal testo, in effetti, la mia era una risposta alla mail di Giorgio Bigoni, poi, proprio perché non volevo fare critiche a tua insaputa, sono andato a cercare il tuo indirizzo e ti ho aggiunto in copia. Ho scritto di getto dopo una rapida lettura direttamente dall’ufficio e questo può spiegare certe «durezze», di cui ancora mi scuso.

     Ma, onestamente, non riesco a modificare di molto il mio pensiero: non mi sento di condividere la stragrande maggioranza delle attualizzazioni o delle interpretazioni delle profezie che si fanno in vari ambienti compreso il nostro. Ti confesso che io non penso ci si possa capire gran che, se non a posteriori (e nemmeno spesso...). Nel caso poi d’Israele mescolare il nostro giudizio morale su quel che viene fatto oggi con l’idea che si stia o meno avverando una profezia, a cui non dobbiamo opporci ma addirittura favorirla mi sembra diventi molto rischioso. La storia è fatta d’avvenimenti controllati da Dio che opera attraverso qualunque elemento: calamità naturali, malattie o salute, azioni degli uomini sia buone che cattive. Ma noi, oggi, dovremmo approvare anche le azioni cattive, a cui assistiamo se pensiamo che attraverso d’esse si stia realizzando una profezia? Anche tu, implicitamente, lo dici nel tuo testo quando asserisci che Israele non dovrebbe pretendere di conquistare da sé la terra promessa. Eppure la prima volta, con Giosuè, non fu forse così? Non gli venne regalata dagli abitanti del luogo. E possiamo forse dire che il territorio attuale è quello giusto? Ma se non lo è, perché dovrebbe aver torto chi vuole anticipare i tempi di Dio conquistandoselo? Il problema è che prevedere un avvenimento non significa affermare la moralità di tutte le azioni che lo realizzeranno. Gesù ha detto che quando sentiremo rumori di guerre, il tempo sarà vicino. Che dobbiamo fare? Provocare guerre per accelerare il suo ritorno? Quindi la mia conclusione è che noi non siamo chiamati a realizzare con la nostra volontà le profezie, ma a comportarci secondo i comandamenti d’amore di Gesù e quel che sarà, sarà.

     Quindi, è ovvio, sono d’accordo con la vostra critica delle posizioni profetiche estremiste alla Boskey o del pan-sionismo, ma non perché non sono in linea che qualche profezia, ma perché possono essere moralmente non condivisibili.

     Comunque resta il problema di cosa noi possiamo pretendere di capire delle profezie per i nostri tempi e penso che dire che quel che è stato fatto finora per Israele va bene perché concesso da Dio, mentre quel che vogliono fare ora no, mi sembra arbitrario.

     Un unico elemento, nella creazione dello stato d’Israele, vedrei come indubbiamente «profetico»: il fatto che attraverso l’olocausto, che gli Ebrei non hanno certamente cercato, le nazioni abbiano ritenuto giusto dar loro una terra e quella terra. Ma anche questo è un modo un po’ limitante di vedere l’intervento di Dio.

     Mi sarebbe piaciuto articolare meglio questi pensieri, ma mi manca il tempo.

     Caro Nicola, scusami ancora se ho urtato la tua sensibilità, ti ringrazio per la tua umiltà e amorevole franchezza. Fai pure l’uso che ritieni più opportuno di quanto ti ho scritto. Con affetto fraterno {20 gennaio 2009}

 

 

9. {Nicola Martella}

 

Ammetto la difficoltà di capire fino in fondo il pensiero del lettore. Rispondo comunque per quel che ho capito. Per non opporci ma addirittura favorire alcunché in Israele, bisogna avere la certezza che ciò che accada sia la precisa volontà di Dio; ciò che fa attualmente Israele non può essere ricondotto a un preciso ordine di Dio. Quanto alle «azioni cattive», Gesù ci ha insegnato a riconoscere l’albero dai frutti, e non ha asserito che bisogna fare sconti a nessuno. Gesù ingiungeva ai Giudei: «Non giudicate secondo l’apparenza, ma giudicate con giusto giudizio» (Gv 7,24). Ciò lo insegnavano già la legge mosaica (Dt 1,17; 16,19s) e la sapienza (Pr 18,5). Se il governo israeliano fa fare qualcosa di ingiusto, bisogna indicare ciò col suo nome; lo stesso vale per i Palestinesi.

     Quanto alle questioni territoriali, faccio presente che Giosuè aveva un chiaro mandato di Dio, dopo aver aspettato 400 anni, ossia fino a quando la malvagità degli Amorei non arrivasse al colmo (Gn 15,16); ciò è accaduto anche per Israele, perciò fu fatto deportare da Dio (Ez 21,34; 35,5), in accordo con le antiche minacce fatte da Dio prima della conquista: «Il paese n’è stato contaminato; cosicché io punirò la sua iniquità; il paese vomiterà i suoi abitanti… Badate che, se lo contaminate, il paese non vi vomiti come vomiterà la gente che vi stava prima di voi» (Lv 18,25.28). Non possiamo giudicare diversamente da Dio, ossia con doppi pesi né ideologicamente.

     Israele avrà la sua terra solo quando riconoscerà in Gesù il suo Messia e quando Egli tornerà da Re, quel re che fu rifiutato, quando venne per regnare due millenni fa. Tutti gli altri tentativi di strappare con la forza qualcosa dalla mano di Dio, porteranno solo al crescendo di odio, di azioni inique degli uni e di rappresaglie sproporzionate degli altri.

     Come detto già sopra, i cristiani devono pacificare, riconciliare e predicare l’Evangelo, potenza di Dio, che immerge persone diverse e contrapposte per natura nello stesso «corpo» e le rende membra d’esso.

     Inoltre a nessun governo israeliano degli ultimi decenni viene in mente di realizzare il sogno pan-sionista di un regno dall’Eufrate al fiume Nilo. Quello che vogliono fare gli Israeliti nel loro complesso, è vivere in pace come tutti gli uomini di questo mondo. E probabilmente ciò è il sentimento di una gran parte dei Palestinesi: lavorare, farsi casa e famiglia e vivere felici. Fanatici, massimalisti, estremisti e falchi ci sono in ogni società. È probabile che un grande errore lo hanno fatto i cristiani palestinesi che, invece di essere sale e luce fra la propria gente, hanno preferito emigrare in cerca di maggiore prosperità. Essi potevano essere un freno all’integralismo.

 

 

10. {Vincenzo Russillo}

 

Contributo: Approfitto per dare una mia personale interpretazione, prendendo spunto dall’articolo «Israele odierno fra ammirazione e biasimo». In particolare, mi sembra che oggi la pace arabo-israeliana sia diventata, sullo scenario internazionale, il punto cruciale. Tutti vorrebbero risolverlo, ma mai nessuno ci riesce. I fatti politici e storici sono tanti. La corda tra semiti e anti-semiti viene tirata di sovente. In una diatriba che porta solo odio e rancore da entrambe le fazioni. Sono d’accordo con quanto detto da Nicola riguardo alla ricostruzione dell’odierno Stato d’Israele; nella sua riuscita, questo piano ha avuto un intervento che non può che essere divino. Sul piano storico si è creata, per grazia di Dio, la sinergia fra la volontà degli Inglesi a cedere parte delle colonie e la voglia di questo popolo sempre compatto a volerci ritornare. Non entro nello specifico sugli errori di gestione d’alcuni governi israeliani, spinti dall’onta del sionismo più estremista. Ma d’altra parte rabbrividisco leggendo su internet i continui attacchi nei confronti degli Ebrei; in un blog ho letto: «...presto ci penseranno i forni d’un tempo a riportare il “popolo di Dio” e chi lo comanda (da dentro e da fuori) alla ragione. Io che sono democratico lo dico sempre prima, avviso sempre prima quando è il momento d’allentare la corda... perché la storia si ripete sempre... non a caso!!» (ripreso da un blog che tratta di politica).

     Fa male pensare che c’è ancora gente che prova odio e rancore verso questo popolo. Da cristiano penso che gli attacchi d’Israele nei confronti dei civili, sia totalmente da condannare. Questo non toglie che Hamas o tutti i gruppi che minano all’esistenza d’Israele in quanto Stato democratico, vadano combattuti. Se non ultimo ho letto che Obama presidente degli USA, almeno da indiscrezioni, pare che voglia riportare i territori israeliani ai confini precedenti al 1967. Riporto questo spezzone di Realpolitik tanto per sottolineare che se anche delle misure saranno prese, quella parte di territorio rimarrà sempre in tensione. Non credo proprio che gli Israeliani o gli Arabi più moderati riusciranno a prendere il sopravento, sui falchi sionisti o sui falchi che predicano la Jihad. Perché? Semplicemente perché gli Ebrei, in quanto popolo ribelle, sta pagando le conseguenze delle disubbidienza a Dio. Ci potranno essere dei momenti di pace permanente, ma mai una risoluzione vera e propria. Sono scettico in merito per il popolo ebraico, dal momento della loro ribellione al Messia promesso; questo evento ha portato alla loro persecuzione, in quanto popolo testardo e ribelle. Israele per il mondo occidentale e per gli altri paesi diverrà un peso insostenibile. Ma bisogna ricordare le parole di Dio che sono una promessa per Israele: «Ascoltatemi, o gente dal cuore ostinato, che siete lontani dalla giustizia! Io faccio avvicinare la mia giustizia; essa non è lontana, la mia salvezza non tarderà; io metterò la salvezza in Sion e la mia gloria sopra Israele» (Isaia 46,13). {21-01-2009}

 

Osservazioni: L’antisemitismo è, come l’herpes, un virus che rimane latente nella società e che si manifesta non appena le immunità morali calano. È incredibile che cosa possano dire dei «democratici» sui «forni crematori». Purtroppo azioni militari d’Israele, in cui sono coinvolti civili, alimentano tali rigurgiti antisemiti.

     Si dovrebbe avere simpatia per Israele già per il fatto che è l’unica vera democrazia nel Medio Oriente. La salute di una democrazia si misura dal modo come la maggioranza tratta le opposizioni, le minoranze e i dissidenti. Nei Paesi che circondano Israele nulla di ciò è tollerato. Si fa comunque bene a distinguere Hamas dai Palestinesi, gli Hezbollah dai Libanesi; sono i terroristi combattere e da estirpare, non i popoli.

     È vero che il popolo giudaico nel suo complesso ha rifiutato Gesù quale Messia, ma in ogni tempo c’è sempre stato un residuo eletto che lo ha riconosciuto, il cosiddetto «Israele di Dio», a cui va pace e misericordia (Gal 6,16). Sì, il futuro estremo d’Israele sarà glorioso, allora quando riconoscerà in Gesù il suo Messia ed entrerà nel regno. {Nicola Martella}

 

 

11. {Nicola Martella}

 

Mi è arrivata una e-mail dal titolo «Edipi inoltra: Notizie su Israele vota!». Il testo che l’accompagna è il seguente: «Per favore cliccare sulla bandiera d’Israele, è importante, lo chiede la CNN per il momento sono arrivati 52% pro Palestinesi». Poi seguiva il link: http://www.israel-vs-palestine.com/gz/.

     Ci sono stato su tale sito e, non avendo altra alternativa tra solo due alternative, ho votato a favore d’Israele, aggiungendo la seguente motivazione in inglese: «Voler far decidere fra Israele e Palestinesi è un po’ infantile e pericoloso. I problemi sono molto più complessi d’un “sì” o d’un “no”. Possibile che si scenda a un livello così semplicistico, in cui spinge la gente a decidere soltanto fra amore e odio? Mi sarei aspettato più professionalità dai gestori di tale sito!».

 

 

12. {}

 

Fuoco incrociato su Israele {Giuseppe Treccosti; poesia}

Israele fra predizioni e attualità {Nicola Martella} (D)

 

► URL:

http://puntoacroce.altervista.org/_Rel/T1-Israele_ammirazione_biasimo_Avv.htm

19-01-2009; Aggiornamento: 24-01-2009

 

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