Nell’articolo «Israele
odierno fra ammirazione e biasimo», Giampaolo Natale e Nicola Martella hanno cercato di
mettere a fuoco la problematica storica e attuale d’Israele quale entità
storica, teologica e politica. Con un discorso così articolato si rischia di
essere fraintesi dagli uni o dagli altri per opposte tesi. Infatti la tentazione
è quella di non vedere l’intero panorama, ma di cogliere solo il particolare che
magari fa dissentire. Anche la stretta identificazione fra l’Israele delle
promesse, il giudaismo rabbinico, lo Stato d’Israele attuale (e la sua dirigenza
politica) e l’Israele escatologico. Ciò è possibile solo idealizzando e
sublimando Israele. Volentieri si dimentica che, durante la storia dell’AT,
Israele è stato il popolo infedele che, dopo aver rifiutato e, a volte, ucciso i
suoi profeti, fu mandato poi in cattività; e anche quello che ha rifiutato Gesù
quale Messia, preferendo a lui Barabba, un partigiano per la causa contro i
Romani; e anche quello che ha ostacolato la missione degli apostoli giudaici,
seguaci di Gesù il Messia. Certo Israele è anche l’oggetto delle promesse
escatologiche di Dio. Israele è oggigiorno anche uno Stato, creato per la grazia
di Dio; ma esso è lontano dall’essere il regno messianico, e i suoi governanti
(con i loro pregi e difetti) non sono i servi di giustizia del Messia sovrano.
Per
tanti motivi, Israele attira a sé l’ammirazione. Per tanti altri motivi, Israele
suscita disapprovazione. Solo un’analisi sobria e realistica, così come facevano
gli antichi profeti, che metta a nudo il vero stato delle cose e getti luce
delle promesse di Dio, può essere salutare a tutti, alla verità e allo stesso
Israele.
Che cosa ne pensate? Quali sono al riguardo le vostre
esperienze, idee e opinioni?
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1.
{Volto Di Gennaro}
▲
Egregio fratello
Martella, Dio ci benedica! La rinascita dello Stato d’Israele ha «spiazzato» sia
il Cattolicesimo romano, sia l’Ortodossia, sia il Protestantesimo e infine anche
la diverse Chiese evangeliche. Il Cattolicesimo ha rivisto le sue posizioni
(Concilio Vaticano II), l’Ortodossia non so se ha deciso qualcosa, il
Protestantesimo già da tempo ne ha «preso nota». E le chiese evangeliche? Anche
noi siamo interrogati e obbligati a rileggere le Scritture. Dunque, Dio ha
reinnestato Israele! Le dico in breve il mio personalissimo pensiero:
Il nuovo Israele ci dice che a camminare verso la venuta (per gli Ebrei) e il
Ritorno (per i cristiani) del Messia ci sono due strade diverse ma parallele:
Ebraismo e Cristianesimo. I due «figli» del Signore: il maggiore e il minore.
Saprà il Signore come rivelare Cristo al Suo popolo. È mia convinzione, basata
sulle Scritture, che NON sarà Israele e riconosce il suo Messia, ma sarà il
Messia che si rivelerà a Israele, come fu Giuseppe a rivelarsi ai suoi fratelli
e non viceversa. Un saluto nel Signore. {19 gennaio 2009}
2.
{Nicola Martella}
▲
La rinascita
dello Stato d’Israele non si è realizzata per calcolo politico delle
superpotenze d’allora né per la bravura degli ebrei sionisti, ma è stata l’opera
di Dio. Per paragone, anche la caduta del «muro di Berlino» è stata qualcosa che
ha preso di contropiede gli stessi politici della Germania Federale (ovest),
oltre che quelli della Germania Democratica (est). In ogni modo, la
dichiarazione dello Stato d’Israele ha «spiazzato» solo coloro che dichiaravano
che la chiesa (ossia la loro) fosse il «nuovo Israele», che aveva sostituito
quello storico.
D’altra parte, è meglio usare opportunamente i termini. Dire che «Dio ha
reinnestato Israele», è teologicamente inesatto. L’albero su cui si possa
essere innestati è Gesù Cristo, il «seme d’Abramo»: «Ora, ad Abramo furono
fatte le promesse e alla sua discendenza. Egli non dice: “E alle discendenze”,
[quindi] di molte; ma di una [sola]: “E alla tua discendenza”, ch’è Cristo»
(Gal 3,16). Nel 1948 o oggigiorno gli Israeliti non credono nel complesso che
Gesù sia il loro Messia. La Scrittura parla di loro come «increduli» (Rm 3,3; 1
Pt 2,7). Sebbene eletti ed amati, sono nel complesso nemici per quanto concerne
l’Evangelo (Rm 11,28). A essere innestati sono nei secoli e fino a tutt’oggi un
resto dei giudei, che hanno creduto: «E così anche nel tempo presente, v’è un
residuo secondo l’elezione della grazia», che ha ottenuto che ha cercato, a
differenza della massa d’Israele (vv. 5.7). Solo coloro che non persevereranno
nella loro incredulità riguardo a Gesù quale Messia, saranno innestati (v. 23).
Quando sarà entrata la «pienezza dei Gentili» (v. 25), alla fine dei tempi,
Israele passerà per la grande tribolazione, per separare dagli increduli i
credenti in Gesù e per salvare infine questi ultimi nel regno messianico, talché
si potrà dire allora che «tutto Israele sarà salvato» (v. 26).
Perciò si potrà dire che nel 1948 Dio ha permesso al suo popolo storico di
tornare nella sua terra; ciò è solo una caparra rispetto al ritorno
escatologico. La terra attuale d’Israele è solo un piccola parte della Terra
Promessa e non saranno i suoi sforzi politici e militari a dargli di più. Sarà
solo il Messia che elargirà per decreto sovrano a Israele la sua antica terra
nella sua interezza.
Dio non ha
due figli né due strade. Dio ha un solo Figlio, Gesù il Messia, il quale è
l’unica Via per tutti Giudei e Gentili. Chi è innestato in Lui, è progenie ed
erede d’Abramo «La legge è stata il nostro pedagogo per condurci a Cristo,
affinché fossimo giustificati per fede. Ma ora che la fede è venuta, noi
non siamo più sotto pedagogo; perché siete
tutti figli di Dio, per la fede in
Cristo Gesù. Poiché voi tutti che
siete stati immersi in Cristo vi siete rivestiti di Cristo. Non c’è qui né
Giudeo né Greco; non c’è né schiavo né libero; non c’è né maschio né femmina;
poiché voi tutti siete uno in
Cristo Gesù. E se siete di Cristo,
siete dunque progenie d’Abramo;
eredi, secondo la promessa»
(Gal 3,24-29). Ci sono promesse storico-politiche per Israele per il ritorno di
Gesù Messia, ma esse si realizzeranno solo per coloro tra gli Ebrei che lo
accetteranno come Salvatore e Signore.
Sarà Israele a
riconoscere Gesù (e accettarlo come Messia) oppure sarà quest’ultimo a
rivelarsi Israele? Le due cose vanno insieme. Da una parte vediamo l’Agnello tra
i 144.000 Ebrei maschi e vergini (Eb 7,4ss; 14,1ss), dall’altra è scritto che lo
«vedranno anche quelli che lo trafissero» (1,7) e che «guarderanno a
colui che essi hanno trafitto» (Zc 12,10), facendo cordoglio. Non basta che
Gesù si manifesti, ma dev’essere anche riconosciuto e acclamato come Messia;
alla sua prima venuta, quando entrò in Gerusalemme come re, secondo le promesse,
fu rigettato; anzi fu condannato a morte per aver asserito d’essere lui il
Messia promesso. Già oggigiorno ci sono migliaia e migliaia di Giudei che
riconoscono in Gesù il loro Messia. Preghiamo Dio che ne saranno sempre più.
3.
{Enrico Bonaiti}
▲
Caro Nicola, che
dire, ancora, su Israele? È bastato lo schifo di un Santoro o no?
Sono ebreo, da parte di madre. La settimana scorsa sono andato a Milano alla
manifestazione a sostegno di Israele.
Certo, un paese, come tutti, con luci ed ombre, ma trattare la
sola democrazia nel Medio Oriente
come un emulo del nazismo mi sembra troppo. Cosa avrebbero fatto gli italiani, i
nostri preti semi-rossi, se, un bel giorno, gli fossero piovuti sulla cocuzza i
graziosi missili di Hamas?
Usare i bambini come scudi umani, cosa cara al defunto premio nobel per la pace,
signor Arafat, servirà anche a fomentare il solito odio antisemita,
personalmente lo trovo cosa da Medioevo, come è da Medioevo lapidare le donne in
mezzo alla pubblica piazza. Credo che con certa gente non serva discutere:
l’odio li acceca. Con stima. {19 gennaio 2009}
4.
{Nicola Martella}
▲
Non ho visto la
trasmissione di Michele Santoro, ho sentito e letto alcune voci critiche
e che Lucia Annunziata ha lasciato lo studio, ritenendo il tutto troppo
sbilanciato e partigiano nella direzione dei Palestinesi.
Sono contento di aver visto in televisione manifestazioni a sostegno di
Israele. In Israele gli stessi membri del governo hanno dichiarato di non
avercela contro i Palestinesi, ma contro Hamas. Chiaramente vedere una Striscia
di Gaza così distrutta, fa un certo effetto; lo fa anche sentire che sono morti
circa 1.300 persone, anche bambini e donne. Tra di loro c’erano probabilmente
anche cristiani. Non si può negare che l’effetto psicologico è grande, sebbene
Israele sia stato per otto anni il bersaglio dei razzi di Hamas. Certamente si
può affermare che i militanti di Hamas si siano nascosti nelle case, nelle
scuole esimili; ma ciò non toglie che il bilancio sia disastroso; anche gli
effetti postumi sono incerti: Hamas smetterà di lanciare missili? Si
radicalizzerà ancora di più?
Il nazismo
era tutt’altra cosa: era una distruzione sistematica di massa per motivi
ideologici (superiorità della razza ariana). Chi fa tali accostamenti fa
semplicioneria storica.
Nell’articolo in questione ho evidenziato che se su una piccola nazione europea
fossero caduti così tanti razzi, da tempo ci sarebbe stato un intervento
della Nato contro tale terrorismo. Il problema è che fintantoché non si arriva a
un accordo vero fra Palestinesi e Israeliani (sono sempre i falchi di ambedue
gli schieramenti ad averlo impedito!), che preveda il riconoscimento reciproco e
confini sicuri per ambedue, ogni azione provocherà una reazione e a odio si
aggiungerà odio.
La
soluzione del conflitto mediorientale può venire solo da Dio mediante il
Messia alla fine dei tempi. Fin lì la cosa peggiore che possa succedere a
Israele è quella di perdere il sostegno degli USA e dell’Europa e la solidarietà
verso un Paese democratico. Aspettando i tempi di Dio, bisogna cercare una
soluzione pacifica a tale annoso problema.
Certamente ci sono tante cose che ci ripugna vedere nella pratica dei
Paesi mussulmani teocratici. Mostrare tali problemi non può di per sé
rappresentare la soluzione a una questione irrisolta nel Medio Oriente; ciò
riesploderà continuamente, se la comunità internazionale non troverà una
soluzione con i contendenti, che hanno mostrato l’incapacità di farlo da soli.
L’odio purtroppo acceca ognuno, da qualunque parte stia. Esso impedisce
anche la realizzazione del «grande mandato» di Cristo: la predicazione
dell’Evangelo a tutti gli uomini, mussulmani ed ebrei compresi. Solo la
rigenerazione può far dire: «E tali eravate alcuni; ma siete stati lavati, ma
siete stati santificati, ma siete stati giustificati nel nome del Signor Gesù
Cristo, e mediante lo Spirito dell’Iddio nostro» (1 Cor 6,11). In tutto ciò,
non si può dimenticare la priorità cristiana di pacificare mediante l’amore di
Dio e la fede nell’Evangelo.
5.
{Marcello Favareto}
▲
Ecco Il mio tentativo d’opinione (e spero di non
scandalizzare nessuno... se invece dovesse succedere, chiedo scusa in anticipo
ma mi piacerebbe anche conoscerne le ragioni).
1. Ragionamento da essere umano
che valuta problemi e immagina soluzioni a livello pragmatico, per far smettere
queste carneficine.
1.1. Decidere da quale punto di partenza si
può cominciare a discutere:
■
Tornare alla situazione prima del 1948, cioè Palestina ai Palestinesi ed
ebrei fuori dai...? Forse pochi, tranne una parte dei Palestinesi è d’accordo.
■
Accettare la situazione territoriale definita dalle risoluzioni ONU.
Anche se non piace a molti israeliani, è solo da qui che si può partire. Ma
questo va associato alla accettazione dell’esistenza d’Israele da parte di
Hamas, Hezbollah e soci.
■
Cercare d’acquisire nuove terre per il grande Israele. Sarebbe odio non solo
palestinese per un altro secolo almeno.
1.2. Supponiamo che Hamas accetti.
Ci vorranno 50 anni di «pace» per normalizzare le cose. Nel frattempo bisogna
ritirare i coloni, disarmare Hamas e impedire il riarmo con una forza di
controllo seria; controllare i libri di scuola per impedire che l’odio venga
perpetuato inculcandolo nei bambini. Nella mia ignoranza della storia credo che
la nazione palestinese sia stata inventata dopo il 1948 come reazione a
Israele. Dato che i territori palestinesi non sono comunicanti e non lo saranno
in futuro, i Palestinesi non potranno pretendere di pendolare tranquillamente da
Gaza alla Cisgiordania per un bel po’ d’anni se non con controlli di frontiera
molto stretti e insostenibili. Quindi le prospettive per me sono: a) una
Palestina con due regioni autonome e poco comunicanti; b) due province
palestinesi una sotto il protettorato Egiziano e l’altra sotto quello Giordano,
così avranno canali di comunicazione verso l’esterno per rifornimenti, ecc.
1.3 Supponiamo che Hamas non accetti.
Si può costringere con una forza internazionale? Si può far fare un referendum
per l’armistizio?
P.S. Il discorso
sull’accettabilità dell’azione recente d’Israele lo salto.
2. Considerazioni su destino, profezie, ecc.
dell’articolo di Nicola Martella. Mi
sembra che si dica tutto e il contrario di tutto, tutto è bene, ma
contemporaneamente non è detto che lo sia...
«Si afferma di sovente
che la zona geografica siro-palestinese appartenga di diritto a Israele. Si
dimentica però che Dio ha affermato a proposito di tale territorio: «La terra è
mia, e voi state da me come forestieri e avventizi”» «Israele non ha quindi
nessun diritto di conquistare da sé la Terra Promessa (dall’Eufrate al fiume
d’Egitto; Gn 15,18ss). Il ritorno in Patria è stato una permissione divina; se
Dio avesse voluto dare a Israele l’intera Terra Promessa, avrebbe creato le
condizioni». Ma il ritorno d’Israele in Palestina non è avvenuto senza
l’azione degli ebrei sionisti! Perché quel che è stato fatto va bene e quel che
qualcuno vorrebbe fare no? Che criterio di giudizio abbiamo per distinguere quel
che è giusto da quello che non lo è?
«Israele deve quindi
accontentarsi di ciò che Dio gli ha accordato e mantenere possibilmente una
condizione di pace e stabilità, in attesa che sia Dio a donargli ciò che Egli
vorrà e alle sue condizioni. Come sappiamo ciò avverrà al ritorno del Messia,
quando gli Ebrei lo riconosceranno in Gesù di Nazareth. Fin lì la strada può
essere abbastanza lunga». Ma una frase di questo genere si poteva anche dire
prima del 1948 o del 1917.
«La stessa nascita dello
Stato d’Israele nel 1948 fu un evento straordinario, frutto dell’opera e del
progetto di Dio. Il problema però, come è stato già osservato, è che molti
cristiani tendono a “equiparare le cose di Dio col sionismo e lo Stato
d’Israele”». C’è qualcuno che riesce a distinguere tra il progetto di Dio e
il lavoro degli uomini in quanto è successo?
Mi fermo qui. {19 gennaio
2009}
6.
{Nicola Martella}
▲
Dopo aver ricevuto il testo soprastante, ho
constatato che lo inviava a una decina d’indirizzi e solo per conoscenza anche a
me. Solo in seguito ho visto che di per sé era una risposta a una lettera altrui
e che per correttezza ne ha inviata copia anche a me; lo ringrazio per la
correttezza. Ho scritto al lettore, tra l’altro, quanto segue.
[…] Ammetto la mia
perplessità, dopo aver letto il tuo scritto, e questo per alcuni motivi.
1) Tu non scrivi a me, ma a vari tuoi contatti.
2) Non hai notato che l’articolo è fatto di due parti (potevano essere due
articoli separati e collegati) di due diversi autori?
3) Mi meraviglio che da un discorso così
articolato tu abbia tirato fuori alcune asserzioni, prese fuori del contesto, e
le abbia fatte apparire come contraddizioni, sebbene sia io, sia Giampaolo,
abbiamo cercato d’essere equilibrati e cauti.
[…] L’articolo intendeva far riflettere e
stimolare a dialogare insieme. T’incoraggio a farlo. Ti saluto con stima e amore
nel Signore... Nicola Martella
Qui aggiungo una mia risposta allo
scritto. Sopra abbiamo evidenziato in grassetto i punti salienti, a cui
rispondiamo.
1. È immancabile
che ogni
ragionamento sia fatto da «essere umano»; altra alternativa non abbiamo,
visto che il Signore ci ha creati così. Da cristiani abbiamo il vantaggio di
esercitare il timore di Dio e di orientarci alla sua Parola per le cose chiare,
evidenti e incontrovertibili.
Non entro in
merito alle diverse opzioni, non era nostro interesse suggerirne alcune,
ma ci interessava di più l’aspetto storico e teologico. Penso comunque sia
assurdo poter tornare indietro nella storia, visto che Israele è riconosciuta
come nazione e ha un rappresentante all’ONU. Penso che partire dalle risoluzioni
dell’ONU e dagli accordi bilaterali fra Israele e Palestinesi, sia cosa saggia;
comunque da soli non riusciranno, in quanto parti in causa, se non interviene la
comunità internazionale (anche perché in ambedue gli schieramenti ci sono falchi
e colombe; si vedano appunto Hamas e
Hezbollah, da una parte, e gli ultra-ortodossi dall’altra). Se Israele prendesse
altre terre con la forza, la polveriera del medio Oriente esploderebbe senza
precedenti.
Il problema è proprio la
semina dell’odio
da una parte e dall’altra. I falchi di ambedue gli schieramenti vorrebbero la
«soluzione finale», estinguendo definitivamente l’altra parte. Come cristiani
siamo chiamati a operare per una riconciliazione spirituale (mediante
l’Evangelo), morale (abbassando la soglia dell’odio reciproco) e politica
(lavorare per una stabilità politica in cui i due popoli ora esistenti possano
vivere come vicini e rispettarsi). Tale esperienza è stata fatta in Europa, ad
esempio, fra tedeschi e francesi e fra italiani e austriaci. Chiaramente bisogna
disarmare i falchi di ambedue gli schieramenti e promuovere il confronto fra gli
uomini di pace.
Quanto alla presunta
«nazione palestinese», essa non esiste finché non c’è una nazione sovrana con
confini chiari e riconosciuti; a tutt’oggi esiste solo un popolo palestinese.
Quando fu offerto un territorio al popolo palestinese, in cui essere nazione, i
suoi dirigenti rifiutarono sotto la pressione degli Stati arabi. Mi sono
positivamente meravigliato riguardo alle opzioni politiche e territoriali che il
lettore ha suggerito!
Ciò che accetta o non
accetta Hamas, sta fuori della nostra portata. Senza un controllo
internazionale sarà difficile addivenire ad alcunché, visto che tali movimenti
sono foraggiati dall’estero.
2. Risposta alle valutazioni dell’articolo
in questione: Trovo poco
generose le valutazioni del lettore.
Nella prima
citazione intendevo evidenziare che la Terra Promessa appartiene a Dio, è stato
Lui a permettere a un certo numero d’Israeliti di tornare in essa e sarà Lui a
darla nella sua interezza (dall’Eufrate al fiume d’Egitto) al ritorno del
Messia. In tal modo volevo contrastare i pan-sionisti che vorrebbero prendersi
oggigiorno con la forza tutto tale territorio, creando un’incontrollabile
polveriera, che distruggerebbe anche lo stesso Israele. Molte aberrazioni da
parte israeliana sono sorte proprio per questo, gli stessi storici oggigiorno lo
ammettono.
Gli Ebrei sionisti allora tornarono, non per
calcolo e bravura propria, ma perché Dio ne creò le condizioni. Ciò che è giusto
fare, è ascoltare la voce di Dio. La sua Parola ci dice che prima verrà «il
Figlio di Davide» e poi il regno messianico. «Benedetto sia il Signore, Dio
d’Israele, perché ha visitato e riscattato il suo popolo, e ci ha suscitato un
potente salvatore nella casa di Davide,
suo servitore, … uno che ci salverà dai
nostri nemici e dalle mani di tutti quelli che ci odiano…» (Lc
1,68ss; Mc 11,8ss; At 1,6; 2 Tm 4,1; Ap 11,15; 12,10; 19,11ss; 20,1ss).
Anticipare i tempi con la forza non può che creare male e sofferenza. «Se
l’Eterno non edifica la casa, invano vi si affaticano gli edificatori; se
l’Eterno non guarda la città, invano vegliano le guardie» (Sal 127,1). Prima
deve venir tolto il velo dalla mente degli Israeliti (2 Cor 3,14ss), poi, quando
avranno riconosciuto Gesù quale loro Messia, si entrerà nell’ultima fase della
storia.
Ciò intendeva affermare la
seconda citazione. Israele non può far nulla nella storia, se Dio non lo
concede. Così è stato nel 1948, e così sarà in seguito. Ciò che Israele vorrà
strappare con la forza dalla mano di Dio, non potrà che fargli male. Il grande
Israele non inizierà senza il grande Re, Gesù Messia.
La terza citazione intende
contrastare la pretesa che tutto ciò che fa lo Stato d’Israele, sia di per sé
nella volontà di Dio. La frase retorica finale non necessita risposta. La
stragrande maggioranza degli Ebrei nel mondo d’oggi — prescindendo da quelli che
sono atei, materialisti, esoteristi, amorali o depravati — vive lontano
dall’Evangelo e, quindi, dalla salvezza di Dio in Cristo Gesù. Altra via non
esiste. Il giorno è ancora futuro in cui gli Ebrei guarderanno in massa a colui
che essi hanno trafitto (Zc 12,10; Ap 1,7).
7.
{Giampaolo Natale}
▲
Caro Marcello
Favareto, considero sempre un privilegio dialogare insieme per comprendere
meglio le cose. Cercherò di dare una risposta ai tuoi quesiti ma considero le
risposte politiche «poca cosa», perché non colgono la natura e l’origine del
problema stesso: il peccato. Cercherò di spiegare il tutto in senso politico
enell’ultima parte in senso «spirituale» o biblico.
■ 1. Non direi che la situazione prima del 1948 (Palestina ai palestinesi
e Ebrei rigettati in mare) sia voluta solo da una parte dei palestinesi visto
che nelle recenti elezioni (2006) ha vinto il partito fondamentalista e
terrorista di Hamas (riconosciuto come tale dall’Unione Europea e dagli Usa) con
73 seggi a disposizione contro i 43 di Al-Fatah. Tale partito nel suo statuto (The
Covenant of the Islamic Resistance Movement (Hamas), 18 agosto
1988;) richiede la distruzione delle
Stato d’Israele
e la sua sostituzione con un
Stato islamico
palestinese nella zona che ora è Israele.
■ 2. «Accettare la situazione territoriale definita
dalle risoluzioni ONU»: La storia purtroppo dimostra che ciò non
porterebbe ad alcuna soluzione della questione. Quand’anche volessimo tornare
alla prima delle 72 risoluzioni di condanna dell’Onu nei confronti d’Israele, la
181 del 29 novembre 1947 in relazione alla spartizione della Palestina in 3
zone, uno Stato ebraico sul 56% del territorio, uno Stato palestinese sul
restante, e una zona internazionale su Gerusalemme e Betlemme (la famosa linea
verde), dobbiamo ricordarci che tale risoluzione venne nettamente rifiutata
dalla maggioranza degli Stati arabi (Egitto, Libano, Siria,
Transgiordania, Iraq e Arabia Saudita), i quali si
coalizzarono per distruggere il neonato Stato ebraico (1a
guerra arabo-israeliana 1948). Né la situazione odierna può dirsi molto più
rosea per la comunità internazionale, che è stata spettatrice del vertice di
Doha, dove 13 dei 22 paesi della lega araba si sono riuniti chiedendo a più
riprese la rottura diplomatica con Israele — cosa che è avvenuta il 16 gennaio
2009 da parte della Mauritania e del Qatar — e il boicottaggio delle merci
israeliane, mentre la «moderata Turchia» ha chiesto per bocca del premier Tayyep
Erdogan l’espulsione d’Israele dall’Onu «poiché ne ignora le risoluzioni» [Il
Corriere della Sera, sabato 17 gennaio 2009]. Infine
il presidente siriano Bashar Al Assad ha dichiarato «morta» l’iniziativa di pace
araba del 2002 che prevedeva il riconoscimento d’Israele condizionato al ritiro
di quest’ultimo nei confini del 1967. La stessa autorità palestinese ha sempre
dimostrato ambiguità nella gestione del riconoscimento dello Stato ebraico.
Nonostante l’amministrazione Clinton nel dicembre 2000 fece un offerta
generalmente riconosciuta come irrinunciabile (creazione d’uno Stato palestinese
con il 97% del territorio della Cisgiordania, con la striscia di Gaza e la parte
est di Gerusalemme come capitale palestinese con collegamento diretto tra Gaza e
la Cisgiordania tramite una ferrovia sopraelevata e un autostrada) e nonostante
tale offerta fosse accettata dal governo israeliano, la controparte palestinese
(Arafat) la rifiutò, dimostrando in tal modo che non era e non è una questione
di terra o di luoghi sacri, ma relativa all’esistenza stessa d’Israele (il 2000
è l’anno della seconda intifada). Vero è che Israele ha acquisito del territorio
grazie alle guerre sostenute nel 20° secolo, aumentando notevolmente i suoi
insediamenti nei territori dove era prevista la nascita dello Stato palestinese,
ma è altrettanto vero che tali guerre sono state intraprese o provocate da parte
araba. Vero è che Israele risulta essere trasgressore delle risoluzioni Onu, che
prescrivono il ritiro dai territori occupati con la guerra del 1967 (ris. 242
del 22/11/1967 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite), ma è altrettanto
vero che tale risoluzione prevedeva anche il rispetto e il
riconoscimento della sovranità, dell’integrità territoriale e
dell’indipendenza politica d’ogni Stato della regione (compreso Israele), e
proprio per tale ragione non fu mai accettata neanche dagli Stati arabi né mai
attuata. Vero è che Israele potrebbe essere definito uno «Stato guerrafondaio»,
ma è altrettanto vero che la Germania (o meglio l’impero tedesco 1871-1910), per
aver perso due guerre mondiali, è passata da una superficie di 540.858 km2
nel 1910 agli attuali 357.023
km2,
perdendo territori a favore di Francia, Belgio e della ripristinata nazione
Polacca e nessuno ha mai gridato allo scandalo facendo manifestazioni di
protesta o si è mai sognato di chiedere la riconsegna alla Germania di tali
territori. Certamente la Germania non è la Palestina — e io non sto chiedendo la
riconsegna alla Germania della Polonia — ma si può notare in tali circostanze
una comune avversione e una ostilità latente nei confronti dello Stato e della
popolazione ebraica.
■ 3. Sorvolo sopra i modelli politici da te menzionati (protettorato
egiziano e giordano, ecc) perché i modelli politici e le strade della presunta
pace sono molteplici. Non sono contrario a uno Stato palestinese, ma sono certo
che quando arriverà il Messia «traccerà egli stesso» i confini della terra. La
vera soluzione quindi è nel Messia Gesù come sopra ampiamente spiegato.
■ 4. «C’è qualcuno che
riesce a distinguere tra il progetto di Dio e il lavoro degli uomini in quanto è
successo?». Certo si può fare una distinzione del genere solo con la Bibbia,
sebbene non possiamo conoscere esattamente il pensiero di Dio. L’epilogo del
popolo ebraico e dello Stato d’Israele è un miracolo perché, come ha scritto
nell’articolo
Nicola Martella, Dio «ha preservato
l’identità degli Ebrei per migliaia d’anni e, al tempo stabilito, ha suscitato
in loro il desiderio di tornare nella terra dei loro padri e ha creato le
condizioni politiche perché ciò potesse accadere». Tuttavia tale ritorno non è
stato accompagnato da uno spirito di pentimento, perché gli Ebrei non hanno
ancora guardato a «Colui che hanno trafitto» e non hanno ancora fatto
cordoglio per Lui «come si fa cordoglio per un figlio unico» né sono
stati «grandemente addolorati per lui, come si è grandemente addolorati per
un primogenito». Su di loro non è stato ancora sparso «lo Spirito di
grazia e di supplicazione» (Zaccaria 12,10), il che vuol dire che nonostante
siano «lo Stato d’Israele», non sono però il «regno di Dio» in quanto
quest’ultimo ci sarà solo alla fine della tribolazione e soltanto quando sarà
entrata la totalità dei Gentili, «tutto Israele sarà salvato» (Romani
11,26). Durante la grande tribolazione (Mt 24,21) avverrà una grande
separazione: «Separerò da voi i ribelli e quelli che mi sono infedeli io li
condurrò fuori dal paese dove sono stranieri ma non entreranno nel paese
d’Israele» (Ezechiele 20,38). «In tal modo il Signore s’accerterà che nessun
ribelle, nessuno che non sia stato rigenerato dal suo Spirito di salvezza,
faccia ritorno in Israele per avere parte nel regno messianico» di Cristo» [John
MacArthur, La sacra Bibbia con note e commenti (La casa della Bibbia,
2006), p. 1170.]. In tal modo si comprende che «progetto divino» e «lavoro degli
uomini» percorrono due strade diverse: il primo vuole condurre alla salvezza per
mezzo di Cristo, mentre il secondo illude milioni di persone con un sentimento
di autocompiacimento razziale o religioso. Il mio articolo infatti prendeva le
distanze da chi considera l’Israele attuale come il regno di Dio sulla terra,
intendendo in tal modo che chi l’onora, sarebbe onorato da Dio. Tali autori
confondono il regno milleniale di Cristo sul trono d’Israele con quello degli
attuali capi di Stato, facendo credere in tal modo che tutti gli ebrei moderni
vivano nei piani e nella volontà di Dio. Una tale veduta è chiaramente non
conforme a verità, poiché nella chiesa odierna «non c’è più Greco e Giudeo
circonciso, e incirconciso, barbaro e Scita, servo e libero, ma Cristo è tutto e
in tutti». (Col 3,11).
8.
{Marcello Favareto}
▲
Nota editoriale:
Il lettore risponde qui alla mia lettera (vedi sopra l’inizio del contributo
«6.»). Non ha
però ancora letto la mia risposta al suo contributo.
Caro Nicola, ti
chiedo scusa se ti ho ferito con il mio scritto. Come puoi vedere dal testo, in
effetti, la mia era una risposta alla mail di Giorgio Bigoni, poi, proprio
perché non volevo fare critiche a tua insaputa, sono andato a cercare il tuo
indirizzo e ti ho aggiunto in copia. Ho scritto di getto dopo una rapida lettura
direttamente dall’ufficio e questo può spiegare certe «durezze», di cui ancora
mi scuso.
Ma, onestamente, non riesco a modificare di molto il mio pensiero: non mi sento
di condividere la stragrande maggioranza delle attualizzazioni o delle
interpretazioni delle profezie che si fanno in vari ambienti compreso il nostro.
Ti confesso che io non penso ci si possa capire gran che, se non a posteriori (e
nemmeno spesso...). Nel caso poi d’Israele mescolare il nostro giudizio morale
su quel che viene fatto oggi con l’idea che si stia o meno avverando una
profezia, a cui non dobbiamo opporci ma addirittura favorirla mi sembra diventi
molto rischioso. La storia è fatta d’avvenimenti controllati da Dio che opera
attraverso qualunque elemento: calamità naturali, malattie o salute, azioni
degli uomini sia buone che cattive. Ma noi, oggi, dovremmo approvare anche le
azioni cattive, a cui assistiamo se pensiamo che attraverso d’esse si stia
realizzando una profezia? Anche tu, implicitamente, lo dici nel tuo testo quando
asserisci che Israele non dovrebbe pretendere di conquistare da sé la terra
promessa. Eppure la prima volta, con Giosuè, non fu forse così? Non gli venne
regalata dagli abitanti del luogo. E possiamo forse dire che il territorio
attuale è quello giusto? Ma se non lo è, perché dovrebbe aver torto chi vuole
anticipare i tempi di Dio conquistandoselo? Il problema è che prevedere un
avvenimento non significa affermare la moralità di tutte le azioni che lo
realizzeranno. Gesù ha detto che quando sentiremo rumori di guerre, il tempo
sarà vicino. Che dobbiamo fare? Provocare guerre per accelerare il suo ritorno?
Quindi la mia conclusione è che noi non siamo chiamati a realizzare con la
nostra volontà le profezie, ma a comportarci secondo i comandamenti d’amore di
Gesù e quel che sarà, sarà.
Quindi, è ovvio, sono d’accordo con la vostra critica delle posizioni profetiche
estremiste alla Boskey o del pan-sionismo, ma non perché non sono in linea che
qualche profezia, ma perché possono essere moralmente non condivisibili.
Comunque resta il problema di cosa noi possiamo pretendere di capire delle
profezie per i nostri tempi e penso che dire che quel che è stato fatto finora
per Israele va bene perché concesso da Dio, mentre quel che vogliono fare ora
no, mi sembra arbitrario.
Un unico elemento, nella creazione dello stato d’Israele, vedrei come
indubbiamente «profetico»: il fatto che attraverso l’olocausto, che gli Ebrei
non hanno certamente cercato, le nazioni abbiano ritenuto giusto dar loro una
terra e quella terra. Ma anche questo è un modo un po’ limitante di vedere
l’intervento di Dio.
Mi sarebbe piaciuto articolare meglio questi pensieri, ma mi manca il tempo.
Caro Nicola, scusami ancora se ho urtato la tua sensibilità, ti ringrazio per la
tua umiltà e amorevole franchezza. Fai pure l’uso che ritieni più opportuno di
quanto ti ho scritto. Con affetto fraterno {20 gennaio 2009}
9.
{Nicola Martella}
▲
Ammetto la
difficoltà di capire fino in fondo il pensiero del lettore. Rispondo comunque
per quel che ho capito. Per non opporci ma addirittura favorire alcunché
in Israele, bisogna avere la certezza che ciò che accada sia la precisa volontà
di Dio; ciò che fa attualmente Israele non può essere ricondotto a un preciso
ordine di Dio. Quanto alle «azioni cattive», Gesù ci ha insegnato a
riconoscere l’albero dai frutti, e non ha asserito che bisogna fare sconti a
nessuno. Gesù ingiungeva ai Giudei: «Non giudicate secondo l’apparenza, ma
giudicate con giusto giudizio» (Gv 7,24). Ciò lo insegnavano già la legge
mosaica (Dt 1,17; 16,19s) e la sapienza (Pr 18,5). Se il governo israeliano fa
fare qualcosa di ingiusto, bisogna indicare ciò col suo nome; lo stesso vale per
i Palestinesi.
Quanto alle
questioni territoriali, faccio presente che Giosuè aveva un chiaro mandato
di Dio, dopo aver aspettato 400 anni, ossia fino a quando la malvagità degli
Amorei non arrivasse al colmo (Gn 15,16); ciò è accaduto anche per Israele,
perciò fu fatto deportare da Dio (Ez 21,34; 35,5), in accordo con le antiche
minacce fatte da Dio prima della conquista: «Il paese n’è stato contaminato;
cosicché io punirò la sua iniquità; il
paese vomiterà i suoi abitanti… Badate che, se lo contaminate,
il paese non vi vomiti come
vomiterà la gente che vi stava prima di voi» (Lv 18,25.28). Non possiamo
giudicare diversamente da Dio, ossia con doppi pesi né ideologicamente.
Israele avrà la sua terra solo quando riconoscerà in Gesù il suo Messia e
quando Egli tornerà da Re, quel re che fu rifiutato, quando venne per regnare
due millenni fa. Tutti gli altri tentativi di strappare con la forza qualcosa
dalla mano di Dio, porteranno solo al crescendo di odio, di azioni inique degli
uni e di rappresaglie sproporzionate degli altri.
Come detto già sopra, i cristiani devono pacificare, riconciliare e
predicare l’Evangelo, potenza di Dio, che immerge persone diverse e contrapposte
per natura nello stesso «corpo» e le rende membra d’esso.
Inoltre a nessun governo israeliano degli ultimi decenni viene in mente
di realizzare il sogno pan-sionista di un regno dall’Eufrate al fiume Nilo.
Quello che vogliono fare gli Israeliti nel loro complesso, è vivere in pace come
tutti gli uomini di questo mondo. E probabilmente ciò è il sentimento di una
gran parte dei Palestinesi: lavorare, farsi casa e famiglia e vivere felici.
Fanatici, massimalisti, estremisti e falchi ci sono in ogni società. È probabile
che un grande errore lo hanno fatto i cristiani palestinesi che, invece
di essere sale e luce fra la propria gente, hanno preferito emigrare in cerca di
maggiore prosperità. Essi potevano essere un freno all’integralismo.
10.
{Vincenzo Russillo}
▲
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Contributo:
Approfitto per dare una mia personale interpretazione, prendendo spunto
dall’articolo «Israele
odierno fra ammirazione e biasimo». In particolare, mi sembra
che oggi la pace arabo-israeliana sia diventata, sullo scenario internazionale,
il punto cruciale. Tutti vorrebbero risolverlo, ma mai nessuno ci riesce. I
fatti politici e storici sono tanti. La corda tra semiti e anti-semiti viene
tirata di sovente. In una diatriba che porta solo odio e rancore da entrambe le
fazioni. Sono d’accordo con quanto detto da Nicola riguardo alla ricostruzione
dell’odierno Stato d’Israele; nella sua riuscita, questo piano ha avuto un
intervento che non può che essere divino. Sul piano storico si è creata, per
grazia di Dio, la sinergia fra la volontà degli Inglesi a cedere parte delle
colonie e la voglia di questo popolo sempre compatto a volerci ritornare. Non
entro nello specifico sugli errori di gestione d’alcuni governi israeliani,
spinti dall’onta del sionismo più estremista. Ma d’altra parte rabbrividisco
leggendo su internet i continui attacchi nei confronti degli Ebrei; in un blog
ho letto: «...presto ci penseranno i
forni d’un tempo a riportare il “popolo di Dio” e chi lo
comanda (da dentro e da fuori) alla
ragione. Io che sono democratico lo
dico sempre prima, avviso
sempre prima quando è il momento
d’allentare la corda... perché la storia
si ripete sempre... non a
caso!!» (ripreso da un blog che
tratta di politica).
Fa male pensare che c’è ancora gente che prova odio e rancore verso questo
popolo. Da cristiano penso che gli attacchi d’Israele nei confronti dei civili,
sia totalmente da condannare. Questo non toglie che Hamas o tutti i gruppi che
minano all’esistenza d’Israele in quanto Stato democratico, vadano combattuti.
Se non ultimo ho letto che Obama presidente degli USA, almeno da indiscrezioni,
pare che voglia riportare i territori israeliani ai confini precedenti al 1967.
Riporto questo spezzone di Realpolitik tanto per sottolineare che se anche delle
misure saranno prese, quella parte di territorio rimarrà sempre in tensione. Non
credo proprio che gli Israeliani o gli Arabi più moderati riusciranno a prendere
il sopravento, sui falchi sionisti o sui falchi che predicano la Jihad. Perché?
Semplicemente perché gli Ebrei, in quanto popolo ribelle, sta pagando le
conseguenze delle disubbidienza a Dio. Ci potranno essere dei momenti di pace
permanente, ma mai una risoluzione vera e propria. Sono scettico in merito per
il popolo ebraico, dal momento della loro ribellione al Messia promesso; questo
evento ha portato alla loro persecuzione, in quanto popolo testardo e ribelle.
Israele per il mondo occidentale e per gli altri paesi diverrà un peso
insostenibile. Ma bisogna ricordare le parole di Dio che sono una promessa per
Israele: «Ascoltatemi, o gente dal cuore ostinato, che siete lontani dalla
giustizia! Io faccio avvicinare la mia giustizia; essa non è lontana, la mia
salvezza non tarderà; io metterò la salvezza in Sion e la mia gloria sopra
Israele» (Isaia 46,13). {21-01-2009}
▬
Osservazioni:
L’antisemitismo è, come l’herpes, un virus che rimane latente nella
società e che si manifesta non appena le immunità morali calano. È incredibile
che cosa possano dire dei «democratici» sui «forni crematori». Purtroppo azioni
militari d’Israele, in cui sono coinvolti civili, alimentano tali rigurgiti
antisemiti.
Si dovrebbe avere simpatia per Israele già per il fatto che è l’unica vera
democrazia nel Medio Oriente. La salute di una democrazia si misura dal modo
come la maggioranza tratta le opposizioni, le minoranze e i dissidenti. Nei
Paesi che circondano Israele nulla di ciò è tollerato. Si fa comunque bene a
distinguere Hamas dai Palestinesi, gli Hezbollah dai Libanesi; sono i terroristi
combattere e da estirpare, non i popoli.
È vero che il popolo giudaico nel suo complesso ha rifiutato Gesù quale Messia,
ma in ogni tempo c’è sempre stato un residuo eletto che lo ha riconosciuto, il
cosiddetto «Israele di Dio», a cui va pace e misericordia (Gal 6,16). Sì, il
futuro estremo d’Israele sarà glorioso, allora quando riconoscerà in Gesù il suo
Messia ed entrerà nel regno.
{Nicola Martella}
11.
{Nicola Martella}
▲
Mi è arrivata una e-mail dal titolo «Edipi inoltra: Notizie su Israele vota!».
Il testo che l’accompagna è il seguente: «Per favore cliccare sulla bandiera
d’Israele, è importante, lo chiede la CNN per il momento sono arrivati 52% pro
Palestinesi». Poi seguiva il link:
http://www.israel-vs-palestine.com/gz/.
Ci sono stato su tale sito e, non avendo altra
alternativa tra solo due alternative, ho votato a favore d’Israele, aggiungendo
la seguente motivazione in inglese: «Voler far decidere fra Israele e
Palestinesi è un po’ infantile e pericoloso. I problemi sono molto più complessi
d’un “sì” o d’un “no”. Possibile che si scenda a un livello così semplicistico,
in cui spinge la gente a decidere soltanto fra amore e odio? Mi sarei aspettato
più professionalità dai gestori di tale sito!».
12.
{}
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►
Fuoco incrociato su Israele
{Giuseppe Treccosti;
poesia}
►
Israele fra predizioni e attualità
{Nicola Martella} (D)
► URL:
http://puntoacroce.altervista.org/_Rel/T1-Israele_ammirazione_biasimo_Avv.htm
19-01-2009; Aggiornamento: 24-01-2009
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