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1.
Entriamo in tema
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2.
Esisteva al tempo dell’AT una «Torà orale»
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3.
Gesù e la legge orale
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4.
Gli apostoli e la «questione giudaica»
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5.
Alcune osservazioni sul giudaismo
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6.
La «tradizione orale» è sempre la stessa trappola
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1.
ENTRIAMO IN TEMA: In questo articolo parleremo spesso di Torà,
termine che in ebraico significava «insegnamento, istruzione». Alcuni autori
perché giudeo-cistiani, perché avventisti o perché affascinati da una visione
giudaica del cristianesimo, ritenuto più «primordiale», cercano di argomentare
rispetto al sabato e ad altri costumi del giudaismo, appellandosi alla
cosiddetta «Torà orale». Questo argomento è molto amato dagli Ebrei, dal
Medioevo a oggi, per accreditare le loro variegate tradizioni. Le categorie
sopra menzionate trattano tali argomenti spesso tacitando che nel cristianesimo
non giudaico non era prevista l’osservanza della legge mosaica né quella
sabbatica. Il concilio di Gerusalemme non impose tutto ciò ai credenti delle
nazioni, fatta eccezione di quattro precetti (At 15), tra i quali non
comparivano le prescrizioni sabbatiche, la circoncisione, le leggi rituali e
quant’altro era caro al cristianesimo giudaico. Non tenere presente tutto ciò,
significherebbe di dare a intendere che siccome l’ebreo Gesù di Nazaret ubbidiva
alla Torà scritta, ciò sarebbe stato prescrittivo per i suoi seguaci non
giudaici. Secondo gli Ebrei la cosiddetta «Torà orale» sarebbe
stata data presso il Sinai a Mosè insieme alla «Torà scritta». Non c’è nulla di
più fantasioso per accreditare le proprie tradizioni nate nel corso dei secoli,
perlopiù in tempi post-apostolici.
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2.
ESISTEVA AL TEMPO DELL’AT UNA «TORÀ ORALE»: Nella stessa Torà
scritta Mosè insegnò da parte di Dio questa prescrizione: «Non aggiungerete
nulla a ciò che io vi comando, e non ne toglierete nulla, ma osserverete i
comandamenti di Jahwè, Dio vostro, che io vi prescrivo» (Dt 4,2). Chiunque
si fosse titolato come profeta di Dio e si fosse accreditato mediante un segno o
un prodigio, se avesse insegnato diversamente (l’apostasia), sarebbe dovuto
essere messo a morte (Dt 13,1ss). Infatti il profeta legittimo doveva riferire
le parole di Jahwè senza detrarne verbo (Gr 26,2). Nell’AT non esiste il termine «Torà orale».
L’espressione «Torà di Jahwè» intendeva sempre quella scritta. Come si poteva
chiamare la Torà scritta perfetta (Sal 19,7), se a essa era da affiancare una
sedicente Torà orale, sia quale autorità, sia quel ermeneuta della prima?
La conoscenza era strettamente connessa alla Torà,
quella scritta s’intende, che era chiamata «Torà del tuo Dio» (Os 4,6; cfr. Rm
2,20 + verità; 3,20). Era stato Dio a dare agli Israeliti «prescrizioni
giuste e leggi di verità, buoni precetti e buoni comandamenti», riassunti
come «Torà [data] per mezzo di Mosè, tuo servo» (Ne 9,13). Il salmista
sintetizzava così: «la tua Torà è verità» (Sal 119,142). Daniele parlò del
giudizio storico «scritto nella Torà di Mosè», chiamata «sua verità», ossia di
Dio (Dn 9,13). La «Torà di verità» era nella bocca del sacerdote, poiché le sue
labbra erano «guardiane della conoscenza» (Ml 2,7s). Fin dal libro di Giosuè si parlò del «libro della torà»
e di «tutto ciò che v’è scritto» in esso (Gs 1,8). Egli «lesse tutte le
parole della Torà… secondo tutto ciò ch’è scritto nel libro della Torà» (Gs
8,34). Anche alla fine della sua vita evidenziò «tutto ciò ch’è scritto nel
libro della legge di Mosè» (Gs 23,6). Di una presunta «Torà orale» non v’era
traccia!
La formula canonica «è / sta scritto» si trovava quindi già nell’AT e intendeva
«nel libro della Torà» (Gs 8,34), «nel libro della Torà di Mosè» (Gs 8,31; 23,6;
2 Re 14,6), «nella Torà, nel libro di Mosè» (2 Cr 25,4), «nella Torà di Mosè» (1
Re 2,3; 2 Cr 23,18; Esd 3,2; Dn 9,13), «nel libro di Mosè» (2 Cr 35,12; Esd
6,18), «nella Torà data dall’Eterno a Israele» (1 Cr 16,40), «nella Torà
dell’Eterno» (2 Cr 31,3) o semplicemente «nella Torà» (Ne 10,34.36).
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3.
GESÙ E LA LEGGE ORALE: Quando nel NT fu detto che «la legge è
stata data per mezzo di Mosè» (Gv 1,17) si intendeva solo quella scritta;
infatti «è / sta scritto» era la formula canonica di ciò che specialmente la
Torà e l’AT in genere prescrivevano. Non a caso Gesù chiese: «Nella legge che
sta scritto?» (Lc 10,26). E altresì ricordò ai Giudei: «Nella vostra
legge è scritto…» (Gv 8,17). Era considerato autorevole ciò che era (o
stava) scritto «nella legge del Signore» (Lc 2,23), «nella legge di Mosè» (1 Cor
9,9) o semplicemente «nella legge» (Lc 10,26; 1 Cor 14,21). Addirittura bastava
dire che «è / sta scritto» (Mt 4,4.6.10; 21,13; Gal 3,10; ecc.). Come abbiamo visto, gli Ebrei chiamano «Torà orale»
quella che la sacra Scrittura chiama «tradizione». I capi religiosi
rimproveravano Gesù e i suoi discepoli di trasgredire alla «tradizione degli
antichi» (Mt 15,2; Mc 7,3ss). Gesù dal canto suo rispondeva loro: «E voi,
perché trasgredite il comandamento di Dio a motivo della
vostra tradizione?... E avete
annullata la parola di Dio a motivo della
vostra tradizione» (Mt
15,3.6). Altro che accordo tra Gesù e i rabbini! I Farisei, quando udivano
discorsi del genere, ne rimanevano scandalizzati (Mt 15,12). Gesù chiamava
«guide di ciechi» tali seguaci della cosiddetta «Torà orale» (Mt 15,14). Gesù
non aveva per loro mezzi termini: «Voi, lasciato il comandamento di Dio,
state attaccati alla
tradizione degli uomini… Come ben sapete annullare il comandamento di Dio
per osservare la
tradizione vostra!... annullando
così la Parola di Dio con la tradizione che voi
vi siete tramandata. E di cose consimili ne fate tante!» (Mc
7,8s.13). Per la «tradizione degli uomini» contrapposta a Cristo si veda Col
2,8. Non a caso Gesù accusava gli scribi e i Farisei, a
causa delle loro interpretazioni e tradizioni: «Guai a voi, dottori della
legge, poiché avete tolta la chiave della conoscenza! Voi stessi non siete
entrati, e avete impedito quelli che entravano» (Lc 11,52). Nella «legge del regno» la contrapposizione fra «[voi
avete udito che] fu detto [agli antichi]» e «ma io vi dico» mostra tale tensione
fra la tradizione e Gesù (Mt 5,21s.27s.31s.33s.38s.43s).
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4.
GLI APOSTOLI E LA «QUESTIONE GIUDAICA»: Paolo stesso affermò di
essere stato «estremamente zelante delle tradizioni dei miei padri» (Gal
1,14), ossia della Torà orale, prima di essere stato «chiamato mediante la sua
grazia» (v. 15). Egli che era stato Fariseo quanto alla legge e irreprensibile
quanto alla giustizia che è nella legge (Fil 3,5s), reputò tutto ciò un danno a
motivo di Cristo e «di fronte alla eccellenza della conoscenza di Cristo
Gesù, mio Signore, per il quale rinunziai a tutte codeste cose e le reputo tanta
spazzatura alfine di guadagnare Cristo» (vv. 7s). Paolo metteva in guardia, oltre che contro i giudaizzanti (At
15,1.5; cfr. Gal 2,14; 5,1ss), anche contro i «miti giudaici», considerandoli
non solo una pratica oziosa ma anche un pericolo per la verità dell’Evangelo (Tt
1,14; cfr. 1 Tm 1,4; 4,7; 2 Tm 4,4). Così faceva anche Pietro (2 Pt 1,16).
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5.
ALCUNE OSSERVAZIONI SUL GIUDAISMO:
La cosa da cui rifuggo con tenacia è la giudaizzazione (sabbatizzazione)
dell’Evangelo e della prassi ecclesiale. Se la salvezza viene dai Giudei, non
tutto ciò che è giudaico libera. I Giudei che hanno rifiutato Gesù di Nazareth
come Messia, al tempo del NT sono stati i più grandi avversari dell’Evangelo e i
più grandi mistificatori delle verità annunziate dagli apostoli, come risulta
dagli scritti del NT e da altri contemporanei. Molte delle grandi eresie che
hanno permeato la chiesa con la gnosi, il misticismo, il ritualismo,
l’esoterismo, la cabala, ecc. sono di stampo giudaico. Se «non bisogna buttare
via il bambino con l’acqua sporca», non si deve neppure «prendere fischi per
fiaschi». Non tutto ciò che è giudaico, è biblico. Se non si può comprendere
il NT senza l’AT (Rm 15,4), come invece richiedeva Marcione, non lo si può
capire senza considerare gli sviluppi (positivi e negativi) nel giudaismo al
tempo del NT (cfr. Rm 11,28s). Bisogna ricercare un approccio sano verso le
cose, non uno morboso o di dipendenza. Il giudaismo ha luci e ombre. In molti
aspetti, il giudaismo al tempo del NT aveva conservato aspetti rilevanti della
verità (p.es. il monoteismo); in altri aveva annacquato molti aspetti della
verità con la casistica della tradizione, spostando l’accento primario dalla
grazia di Dio all’ubbidienza alla Torà (scritta e orale) quale strumento per
piacere a Dio, per entrare nel regno e per essere salvati. Si veda qui il
colloquio tra Gesù e Nicodemo (Gv 3) e la polemica del Maestro con scribi e
Farisei (Lc 11,52). Abbiamo parlato sopra della «legge del regno» o «legge
messianica del nuovo patto» e abbiamo mostrato il contrasto nell’asserzione di
Gesù: «Fu detto... ma io vi dico» (Mt 5). Ci vuole quindi sobrietà nel giudicare correttamente il giudaismo
al tempo del NT e quello durante il corso della storia. Un’accettazione
incondizionata o un rifiuto totale è cecità da uno o dall’altro occhio. Il
contrario di una menzogna (qui p.es. l’Evangelo ellenizzato e filtrato con
Platone o Aristotele) non è per forza la verità, ma può essere una menzogna di
senso contrario (qui p.es. l’Evangelo giudaizzato o filtrato con lo gnosticismo
giudaico).
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6.
LA «TRADIZIONE ORALE» È SEMPRE LA STESSA TRAPPOLA:
Quando le sinagoghe o le chiese non sanno come sostenere biblicamente le loro
dottrine e le loro pratiche religiose, rituali o morali, si rifanno da sempre a
una cosiddetta «tradizione orale» che risalirebbe alle «origini» insieme alla
«tradizione scritta» e che sarebbe per di più la corretta chiave ermeneutica per
quest’ultima. La via per far sembrare «biblica» la dottrina o la prassi,
ormai accreditata con l’uso e la convenzione, è l’interpretazione allegorica
delle Scritture. Così hanno fatto i rabbini, così hanno fatto i teologi delle
chiese. Il rimprovero di Gesù per gli scribi e i Farisei del suo tempo rimane
fino a oggi anche per tutti coloro che voglioso seguire la loro via.
Un cristianesimo che voglia
chiamarsi «biblico» non deve andare di là da ciò che è scritto (1 Cor 4,6). Non
deve neppure usare metodi interpretativi viziati dal soggettivismo,
dall’arbitrio e dalla speculazione allegorica, per accreditare dottrine e
pratiche sviluppatesi nel tempo. Si potrebbe finire per proclamare «visioni
menzognere, divinazione, vanità, imposture del loro proprio cuore» (Gr
14,14), illudendosi di farlo da parte di Dio, mentre le cose non stanno così (Gr
23,21; Ez 13,7). Si potrebbe finire per predicare un «altro Cristo» e un «altro
Evangelo» (Gal 1,6ss). Si potrebbe diventare uno di coloro che «aggiungono» e
«tolgono» a quanto è stato scritto, a danno di se stessi e degli altri (cfr. Ap
22,18s).
► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_Rel/A1-Tora_orale_UnV.htm
12-04-2007; Aggiornamento: 05-07-2010
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