Israele ha suscitato da sempre i sentimenti più intensi: o ammirazione e amore,
o disapprovazione e avversione. Ci sono pure sensi di colpa storici di nazioni
che hanno perseguitato gli Ebrei. Ci sono chiese che perpetuano ancora la
cosiddetta «teologia della sostituzione», sebbene gli Ebrei siano tornati da
decenni nella loro terra e siano uno Stato. Ci sono settori della destra
radicale che negano che siamo mai esistiti una shoa (o olocausto), campi di
concentramento e forni crematori; lo stesso fa la nomenclatura iraniana (in
primis Mahmoud Ahmadinedjad) che predica la cancellazione d’Israele dalla terra.
Ci sono cristiani che amore verso Dio e le sue promesse a Israele sono disposti
a perdonare alla dirigenza israeliana tutti i possibili errori, cercando sempre
una scusante per ogni abuso di forza verso i vicini. C’è chi addirittura arriva
ad affermare che le benedizioni che possiamo avere da Dio dipendano dal nostro
atteggiamento verso Israele, e ancor di più si paventa che chi critica l’attuale
Israele, critica Dio ed è perciò meritevole di questo o quel giudizio. Nel seguente articolo cerchiamo di fare un po’ luce su
alcune di queste questioni. Mostriamo dapprima il fatto che nessun popolo,
tranne Israele, ha conservato la propria identità in migliaia di anni di storia,
per ricostruire un proprio Stato e l’antica lingua. Poi mostriamo come la
recente storia dello Stato d’Israele sia permeato di luci e ombre. Infine
approfondiamo la questione, tracciando alcuni tratti della storia d’Israele
degli ultimi decenni e discutiamo delle premesse della pace per Israele fra
Realpolitik e tensione escatologica, fra ciò che è (o non è) e ciò che dovrebbe
essere (o sarà un giorno). {Nicola Martella} |
1. UN ESPERIMENTO STORICO (Nicola
Martella): Si prenda ad esempio la grande Germania (o la Corea, o il Vietnam),
la si divida in due, si deporti una parte in una direzione e, dopo 136 si
deporti l’altra parte in un’altra. Si lasci tornare una parte dopo, diciamo, una
settantina d’anni. Poi si disperda tale popolazione ai quattro venti circa 600
anni dopo. Per circa 2.000 anni si alternino tempi di tolleranza qui e di
estrema persecuzione lì contro i Tedeschi (o Coreani, o Vietnamiti). Sarà mai
possibile dopo tutto ciò fare un esperimento storico, ossia cercare tutti i
Teutoni (o Coreani, o Vietnamiti) rimasti e invogliarli a tornare nella terra
d’origine dei loro padri per riformare uno stato germanico (o coreano, o
Vietnamita)? Ammesso che mediante analisi del DNA si riesca a individuare tali
soggetti, tornerebbero essi a migliaia nell’antica terra dei loro padri, e cioè
con zelo? Sarebbe ancora disponibile per loro tale territorio, o le popolazioni
immigrate lì da ogni dove si opporrebbero strenuamente a lasciare le loro
proprietà per collaborare a tale esperimento storico? Tornerebbero essi, se la
terra dei loro padri fosse una specie di savana o un territorio brullo e
deserto?
Penso che un tale esperimento fallirebbe per le tante
variabili. È probabile che sarebbe addirittura statisticamente impossibile
individuare persone che, dopo tale lunga storia, sappiano ancora di derivare dai
Germani (o Coreani, o Vietnamiti). Creare poi in loro il desiderio di tornare
alla terra dei loro padri, sarà un’impresa ancor più difficile. Poi figuriamoci
a voler ristabilire lì una lingua nazionale, parlata in tale paese migliaia di
anni prima. No, un tale esperimento fallirebbe senz’altro.
Eppure tale impresa è riuscita al popolo ebreo. Certo
non per la sua bravura o perché i suoi sforzi abbiano portato a tale risultato,
ma per la grazia di Dio. Egli ha preservato l’identità degli Ebrei per migliaia
d’anni e, al tempo stabilito, ha suscitato in loro il desiderio di tornare nella
terra dei loro padri e ha creato le condizioni politiche perché ciò potesse
accadere. Tale ritorno è certo solo una caparra rispetto al
grande ritorno escatologico, che si avrà solo alla fine dei tempi. Il primo fu
un ritorno senza Messia, l’ultimo sarà all’insegna del riconoscimento di Gesù di
Nazareth come il loro Messia promesso.
2. LUCI E OMBRE NELL’ATTUALE ISRAELE
(Nicola Martella): Guardando indietro alla recente storica di Israele, si
possono certo vedere luci e ombre. Ecco alcuni aspetti su cui vale la pena
riflettere.
2.1. AMMIRAZIONE PER ISRAELE
■ Una terra deserta, che nessuno voleva, fu trasformata in un paese abitabile.
■ Israele è l’unica vera democrazia in un Medio Oriente retto da dittature,
oligarchie e teocrazie islamiche.
■ Israele è riuscito a sopravvivere finora in un contesto politico estremamente
ostile.
■ Israele ha tenuto testa finora a Paesi che lo hanno attaccato più volte per
distruggerlo, come fece Davide contro Golia.
■ Israele è un paese che vuole vivere in pace, ma che è continuamente minacciato
e che deve vivere in uno stato di allerta permanente.
■ Bisogna ammettere che se fosse successo a un Paese europeo dalla grandezza
territoriale d’Israele, ciò che accade continuamente lì (attentati, caduta di
razzi, minacce iraniane, ecc.), gli europei avrebbero da tempo agito.
■ Prendiamo atto di queste cose e le disapproviamo: episodi di terrorismo con
uso di Kamikaze (anche usando donne, bambini e minorati),
guerriglia terroristica di Hamas che vuole distruggere Israele, continuo
arrivo di razzi sulle cittadine israeliane, negazione
del diritto d’Israele ad esistere da parte della dirigenza iraniana, eccetera.
Come cristiani biblici non possiamo che nutrire
solidarietà per lo Stato ebraico e un amore sincero per il popolo ebraico.
2.2. PUNTI DA PONDERARE: Detto questo, non si possono
condividere tutte le scelte politiche dei governi israeliani. L’atteggiamento
dei cristiani biblici verso l’attuale Israele non può ridursi a una specie di
«tifo» unilaterale.
■ Non perché Israele (quale discendente d’Abramo e oggetto delle predizioni dei
profeti) è nelle promesse e nei piani di Dio, si può dare carta bianca
all’attuale Israele (e ai suoi governi) in tutto ciò che fa.
■ È sbagliata anche la strana matematica che chi critica l’attuale Israele,
critica Dio, e cose del genere; i profeti per primi lo hanno fatto, e cioè
continuamente. Anche il suo contrario è errato, ossia chi benedice l’Israele
attuale e patteggia per lui, avrà Dio dalla sua parte e sarà benedetto da Dio.
Non ha Dio condannato di chiamare male il bene, e bene il male? (Is 5,20). Non
ha il Signore chiamato a esercitare la giustizia con imparzialità, condannando
chi agisce in modo errato, chiunque egli sia?
Potrà ottenere l’attuale Israele pace (e l’approvazione divina), anche laddove
agisce con ingiustizia?
■ È anche errato affermare che i politici israeliani che faranno concessioni
territoriali ai Palestinesi per avere pace, si troveranno sotto il giudizio di
Dio. Chi legge le vicende di alcuni politici israeliani (p.es. Ariel Sharon) in
tale direzione, fa solo demagogia politica e religiosa, poiché pretende di
sapere ciò che Dio pensa e fa veramente. Inoltre è crudele interpretare le
disgrazie altrui con tale dietrologia pseudo-profetica. Inoltre ci si presta al
gioco di politici raffinati che, per danneggiare i propri avversari politici e
per tornare al potere, assecondano volentieri le tesi biblicizzate dei
pan-sionisti giudei e cristiani.
■ Ammesso il diritto di Israele di difendersi da chi lo vuol distruggere, non si
può accettare la rappresaglia spropositata, in cui muoiono centinaia e centinaia
di civili.
■ Non perché Dio ha promesso ad Abramo un vasto Paese, Israele ha il diritto
oggi di conquistare un territorio che va dall’Eufrate al fiume d’Egitto, come
affermano i seguaci del pan-sionismo. Ciò che Dio ha promesso, lo attuerà al
ritorno di Gesù, quando gli Israeliti lo riconosceranno quale loro Messia. Non
bisogna voler prendere il posto di Dio nella storia.
Inoltre pensiamo se Roma voglia riottenere il suo impero; il Vaticano reclama il
suo antico Stato della Chiesa; l’Italia vuole indietro Istria e la Savoia; la
Germania rivuole i territori del Baltico, la Boemia, l’Alsazia e altro;
l’Austria intende ricostruire l’impero austro-ungarico, reclamando pure l’intero
Tirolo; i Turchi intendono ricostruire l’antico impero ottomano; le potenze
coloniali rivogliono indietro gli antichi possedimenti; e così via. Tutti i
gruppi etnici potrebbero rifarsi a uno status quo precedente, per reclamare
l’esclusiva di un territorio. Se si cedesse a tali pretese, tutto il diritto
internazionale si sfascerebbe e comincerebbe un effetto domino con accese guerre
in ogni dove.
■ Gli Ebrei che hanno desiderato per tanto tempo un proprio Stato, dovrebbero
essere sensibili al fatto che la popolazione palestinese aspiri a un proprio
Stato. Poi sarà il Messia, al suo ritorno, a regolare definitivamente le cose.
■ Sia in Israele sia fra i Palestinesi esistono falchi e colombe,
fondamentalisti e moderati, fiancheggiatori e dissidenti. La risposta
sproporzionata a un’ingiustizia alimenta solo i massimalismi dei falchi e degli
estremisti e smorza le voci dei dissidenti.
■ Si afferma di sovente che la zona geografica siro-palestinese appartenga di
diritto a Israele. Si dimentica però che Dio ha affermato a proposito di tale
territorio: «La terra è mia, e voi state da me come forestieri e avventizi»
(Lv 25,23). L’Eterno diede anche questo avvertimento: «Badate che, se lo
contaminate, il paese non vi vomiti come vomiterà la gente che vi stava prima di
voi» (Lv 18,28). Ciò è avvenuto nella storia più volte. Israele non ha
quindi nessun diritto di conquistare da sé la Terra Promessa (dall’Eufrate al
fiume d’Egitto; Gn 15,18ss). Il ritorno in Patria è stato una permissione
divina; se Dio avesse voluto dare a Israele l’intera Terra Promessa, avrebbe
creato le condizioni. Israele deve quindi accontentarsi di ciò che Dio gli ha
accordato e mantenere possibilmente una condizione di pace e stabilità, in
attesa che sia Dio a donargli ciò che Egli vorrà e alle sue condizioni. Come
sappiamo ciò avverrà al ritorno del Messia, quando gli Ebrei lo riconosceranno
in Gesù di Nazareth. Fin lì la strada può essere abbastanza lunga.
■ È alquanto avventuroso togliere brani dal loro contesto naturale (p.es. Gioele
3,2) e interpretare con essi eventi storici contemporanei nello Stato d’Israele,
ad esempio il ritiro d’Israele dalla Striscia di Gaza (considerata da
Avner Boskey come «divisione
forzata della terra d’Israele») o eventualmente dalla Cisgiordania. In tal modo
si fa sottilmente violenza al testo biblico,
addomesticandolo alle proprie tesi pan-sioniste.
■ È interessante notare che in circa il 20% dei Palestinesi scorre sangue ebreo,
essendo nati da popolazioni di varia provenienza che si sono mischiati con ebrei
rimasti in zona. Anche gli Ismaeliti sono ebrei, come varie popolazioni nate dai
figli (Madian, ecc.) di Abramo, da quelli del figlio di suo fratello (Lot:
Ammon, Moab) e dai suoi nipoti non israeliti (Edom). Tali discendenti di Abramo
e di suo fratello si sono mischiati con popolazioni egiziane, arabe e così via.
Per così dire, tali discendenti ebrei fra quelli, che oggi vengono chiamati
«arabi», combattono contro il loro stesso sangue.
■ Il pan-sionismo è un’ideologia e, come ogni «passione» e il tifo sportivo, non
guarda le cose come sono, ma come appaiono ai tifosi: quando si perde è per
colpa dei nostri avversari, che non si sono attenuti alle regole; quando si
vince, è perché si è bravi noi e perché si ha il Cielo dalla loro parte. Il
pan-sionismo, volendo realizzare con la forza politica, religiosa e militare il
sogno dell’originale Terra Promessa e l’eventuale supremazia sul mondo,
rappresenta una lettura semplicistica delle cose rispetto alla realtà che è più
complessa; vuole inoltre realizzare umanamente ciò che spetta a Dio (un regno di
pace basato sulla giustizia), al suo arbitrio e ai suoi tempi. Se si vuole
sapere come stanno veramente le cose in Israele in genere e che cosa pensino del
pan-sionismo, bisogna chiederlo ai dissidenti israeliani. Israele avrà terra,
pace e sicurezza soltanto al ritorno del Messia.
3. QUALE PACE PER ISRAELE? (Giampaolo
Natale)
3.1. ENTRIAMO IN TEMA: «Quando arriverà la pace in Medio
Oriente», è la domanda che tutto il mondo sembra porsi all’alba della nuova
progressione di terrore che si è verificata negli ultimi giorni. Sin dal primo giorno della sua nascita, lo Stato
d’Israele ha dovuto affrontare numerosi e spesso indefiniti nemici. Nel 1948
appena dichiarata la sua indipendenza dalla bocca di David Ben Gurion, gli
eserciti arabi d’Egitto, Libano, Siria, Transgiordania, Iraq e un contingente
dell’Arabia Saudita invasero il neonato Stato d’Israele, vennero però
prontamente sconfitti. Ricordiamo a tal proposito anche il secondo conflitto
israelo-palestinese con la crisi di Suez del 1956 ordita da Nasser e la «guerra
dei sei giorni» del 1967 con la quale Israele dovette prevenire l’offensiva
araba dell’Egitto della Siria e della Giordania. Non si può dimenticare neanche
la «guerra dello Yom Kippur» del 1973, quando lo Stato d’Israele venne attaccato
nel giorno più terribile del suo calendario, quello delle espiazioni, così come
non si possono celare i continui attacchi terroristici che ha dovuto subire in
tutta la sua breve esistenza (ricordiamo a onor di cronaca la strage di Monaco
1972 operata dall’organizzazione palestinese «settembre nero»). Come dimenticare
poi le due guerre del Libano (1982 e 2006), derivate in entrambi i casi da
provocazioni e azioni terroristiche?
Anche in quest’ultimo caso (Striscia di Gaza 2009)
risulta evidente che Israele è stato costretto ad agire ancora una volta per
rivendicare il suo diritto all’esistenza e alla conduzione d’una vita pacifica
per i suoi abitanti. È altresì chiaro che «a causa delle promesse di Dio a
Abraamo e ai suoi discendenti lungo la linea d’Isacco, il figlio della promessa,
la nazione d’Israele è sempre stata e sarà sempre preservata divinamente…
altrimenti Dio non potrebbe adempiere le sue promesse irrevocabili».
La stessa nascita dello Stato d’Israele nel 1948 fu un evento straordinario,
frutto dell’opera e del progetto di Dio. Il problema però, come è stato già
osservato, è che molti cristiani tendono a «equiparare le cose di Dio col
sionismo e lo Stato d’Israele».
Alcuni cristiani arrivano ad affermazioni del tipo seguente: «Chiunque avrà
amato e pregato per Israele non vedrà la sua distruzione ma vedrà avanzare la
nuova Israele»;
e aggiungono che i Giudei si disinteresserebbero della cristianità perché
«alcune denominazioni negli Stai Uniti stanno tagliando i loro investimenti
in Israele…» (David Wilkerson, Israel Today, Luglio 2006).
Altri autori ritengono responsabili e «divinamente perseguibili» le autorità
israeliane che permettono la cessione di determinate porzioni di territorio ai
Palestinesi. La Bibbia fa affermazioni del tutto differenti da
quelle sopra menzionate. Come cristiani dovremmo innanzitutto avere un cuore
rotto a causa dell’incredulità d’Israele. L’apostolo Paolo affermava: «Io
stesso vorrei essere anatema separato da Cristo per amore dei miei fratelli,
miei parenti secondo la carne» (Romani 9,3). Tuttavia nella lettura degli
avvenimenti internazionali odierni dovremmo altresì tenere presente quanto
segue.
3.2. L’ISRAELE ODIERNO NON È UNA TEOCRAZIA SUL MODELLO
VETEROTESTAMENTARIO: È stato già ampiamente osservato che «il termine
“teocrazia” significa letteralmente “governo di Dio”. Nella teologia intende… il
governo di Dio per mezzo degli organi dell’alleanza (guide politiche,
sacerdozio), i quali sono in dovere di far applicare la legge divina e di
sanzionare i trasgressori».
A questo aggiungiamo che la teocrazia ha come elemento irrinunciabile la fusione
delle norme civili e di quelle religiose in un unico corpus di leggi e questo
avvenne (nel caso d’Israele) fino al 586 a.C., quando la Costituzione d’Israele
(Decalogo) e la Legge mosaica erano la suprema fonte d’autorità per la nazione
(anche se spesso non osservata…). Dato che dopo la cattività babilonese (586
a.C.) questo status politico-giuridico non fu più presente, il suddetto «governo
di Dio» non ebbe più luogo e non sta avendo luogo al giorno d’oggi.
L’ordinamento costituzionale dell’attuale Stato d’Israele è basato su un modello
«non scritto», sulle cosiddette «Basic Laws»
(legge fondamentale o Grundgesetz sulla scia della Repubblica Federale Tedesca
del 1949), e naturalmente sulla legge ordinaria. Nessuna di queste categorie fa
mai riferimento o rimando alla Legge mosaica come cardine dell’ordinamento
stesso. Vero è che, ad esempio, tutto ciò che riguarda il matrimonio e il
divorzio degli Ebrei in Israele è competenza esclusiva dei tribunali rabbinici e
che questi ultimi applicano la legge della Torà nei casi sottoposti, ma è
altrettanto vero che l’Alta Corte israeliana può rendere nulle le decisioni del
tribunale rabbinico nel caso in cui queste violino dei principi del diritto
civile (come già capitato nel caso della sig.ra Bavly) dimostrando in tal modo
la laicità dell’ordinamento israeliano. In altri termini i tribunali rabbinici
hanno un doppio limite nell’applicazione della Torà: un limite formale perché
possono occuparsi soltanto dei settori a loro demandati e un limite sostanziale
nel diritto civile. L’Alta Corte Israeliana ha infatti dimostrato che i principi
del diritto civile debbono essere applicati dai tribunali religiosi anche a
scapito della Torà. Vero è che le yesivah (scuole religiose
ultraortodosse) hanno visto crescere enormemente il numero dei loro iscritti e
che i partiti religiosi spesso controllano il ministero dell’Istruzione,
finanziando le scuole religiose a scapito di quelle laiche; ma è altrettanto
vero che tale fenomeno nel suo complesso riguarda solo una sparuta minoranza:
soltanto il 10% circa degli Ebrei infatti è iscritto a una scuola religiosa
ultraortodossa. Il risultato logico è che l’attuale Stato d’Israele,
governato da uomini, ideologie e leggi secolari (seppur in alcuni casi
meritevoli d’elogio), non è una teocrazia veterotestamentaria e non rappresenta
il «governo di Dio» in alcun modo.
3.3. NON SI POSSONO EQUIPARARE GLI ATTUALI GOVERNANTI CON I
DISCENDENTI DEL TRONO DI DAVIDE: Secondo i succitati autori Dio
punirebbe le autorità israeliane che hanno concesso parti della Terra Promessa
alle popolazioni e alle autorità palestinesi. La formula sarebbe la seguente:
dato che la terra d’Israele appartiene al Signore che l’ha concessa in
amministrazione al popolo ebraico nella misura dei suoi delegati (governo e
Knesset), questi ultimi non possono svenderla in alcun modo ad altri. Ho sentito
persone affermare che Rabin fu ucciso per aver tentato di porre in essere una
tra le più grandi «svendite» della Terra d’Israele e che Ariel Sharon (primo
ministro israeliano dal 2001 al 2006 ma ora in stato di coma) sta facendo la
stessa fine a causa della cessione della Striscia di Gaza nel 2005. Il problema
è che la teocrazia sopra menzionata trovava compimento con la dinastia di Davide
e sussisteva grazie al patto davidico: «La tua casa e il tuo regno saranno
saldi per sempre davanti a te e il tuo trono sarà reso stabile per sempre»
(2 Samuele 7,16);
e «ciò non significa che sarà ininterrotto ma piuttosto che il risultato è
garantito».
Tale «regno divino» finì con l’ultimo re di Giuda, Zedekia, perché Israele ne fu
momentaneamente spodestato. Quando Gesù fu rifiutato come messia dai Giudei,
egli affermò: «Il regno di Dio vi sarà tolto e sarà dato a gente che ne
faccia i frutti» (Matteo 21,43). Esso troverà pieno adempimento con il regno
messianico di Gesù. Stando così le cose, comprendiamo che gli attuali governanti
della nazione rivestono solo un ruolo di guide momentanee e non hanno
particolari deleghe divine nella gestione politica della nazione né tantomeno
negli affari religiosi. È chiaro dunque che nei confronti dei vari Olmert,
Barak, Netanyahu, ecc, vale il principio, secondo cui «non vi è autorità se
non da Dio e quelle che esistono sono stabilite da Dio» (Romani 13); e tale
concetto vige per qualsiasi paese e non solo per lo Stato d’Israele. Da questo
evinciamo che i governanti odierni d’Israele non solo non hanno violato alcun
patto di proprietà o amministrazione della terra — come invece si vuole far
credere — ma saranno assolutamente incapaci di condurre a una vera pace, in
quanto questa risiederà soltanto all’ombra del sommo Pastore Gesù e del suo
regno. È stato giustamente osservato che «durante la fase finale della storia,
dopo che il diavolo verrà finalmente defenestrato dal cielo e scaraventato sulla
terra, s’ode questa professione di fede: “Ora
è venuta la salvezza e la potenza e il regno del Dio nostro, e la
potestà del suo Cristo, perché è
stato gettato giù l’accusatore dei nostri fratelli, che li accusava dinanzi al
Dio nostro, giorno e notte” (Ap 12,10)».
Solo partendo da tale circostanza, sarà possibile realizzare, a breve rispetto a
tale evento, il regno messianico e la vera Pace per Israele e per tutte le
nazioni.
3.4. ASPETTI CONCLUSIVI: Nessuno vuole negare che in Israele
Dio stia portando avanti i suoi piani e i suoi progetti, ma bisognerebbe evitare
di fare utopia escatologica e paventare un’incombente avventismo (nel senso di
ritorno del Signore) a ogni crisi del Medio Oriente. E pur amando Israele,
bisognerebbe essere coscienti del bisogno che ha ogni Ebreo, come ogni Gentile,
della predicazione di Gesù quale Messia. La chiesa non dovrebbe mai dimenticare
che il suo obiettivo è predicare l’Evangelo del regno e del suo Re, secondo
l’esempio dell’apostolo Paolo il quale, si propose «di non sapere
altro fuorché Gesù Cristo e lui crocifisso»
(1 Corinzi 2,1-2),
avendo «l’ambizione di predicare l’Evangelo là dove non era stato portato il
nome di Cristo»
(Romani 15,20). I cristiani non dovrebbero neppure dimenticare che l’attuale
nazione d’Israele e tutti gli Ebrei,
pur essendo amati da Dio a causa dell’elezione, «per quanto concerne
l’Evangelo essi sono nemici a causa vostra»
(Romani 11,28). {14-01-2009}
Per l’approfondimento
si vedano in Nicola Martella (a cura di),
Escatologia fra legittimità e abuso.
Escatologia 2
(Punto°A°Croce, Roma 2007), gli articoli: «Cieco sostegno politico a Israele»,
pp. 252-257; «Israele automaticamente vicino a Dio?», pp. 258-262. |
►
Fuoco incrociato su Israele
{Giuseppe Treccosti;
poesia}
►
Israele odierno fra ammirazione e biasimo? Parliamone
{Nicola Martella} (T)
►
Israele fra predizioni e attualità
{Nicola Martella} (D)
► URL:
http://puntoacroce.altervista.org/_Rel/A1-Israele_ammirazione_biasimo_MT_AT.htm
16-01-2009; Aggiornamento: 21-01-2009
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