Questi contributi si riallacciano alla discussione sulla perdita della salvezza,
già avviata su «Fede controcorrente». Al riguardo si vedano, tra altri, i
seguenti articoli e temi di discussione:
Per chi forse giudicherà le argomentazioni meno «esegetiche» e più basate su
logiche razionali, facciamo presente che la fede non è senza logica (cfr. il
«culto razionale» in Rm 12,1 greco). Certamente le convinzioni sulla «certezza
della salvezza» non si basano semplicemente solo su queste basi razionali,
poiché traiamo dalla Scrittura le direzioni bibliche. A ciò si aggiunga che
abbiamo già fatto altrove chiare affermazioni scritturali a sostegno della
«sicurezza della salvezza». Premettendo quelle, adduciamo qui di seguito aspetti
e motivazioni razionali.
1.
{Nicola Berretta} ▲
Questa vuole essere una riflessione sulla possibilità che un credente,
rigenerato in Cristo, possa perdere la salvezza in conseguenza d’una sua libera
scelta d’apostatare la fede. Intendo sostenere la tesi secondo cui, colui che
afferma la possibilità di perdere la salvezza, debba necessariamente ammettere
che anche la vita eterna, dopo la resurrezione, sia soggetta alla possibilità
d’avere un termine.
Partiamo dalla seguente domanda:
Quanto «eterna» sarà la vita eterna?
Quanto durerà la nostra vita futura con Cristo, dopo la nostra resurrezione?
La Scrittura afferma che la vita eterna, non avrà mai
fine, per cui, per quanto non siamo oggi in grado di prevedere i parametri
spazio-temporali che caratterizzeranno i nuovi cieli e la nuova terra, sappiamo
che la nostra esistenza sarà perpetua. Noi non corriamo il rischio che
dopo un certo numero d’anni, secoli o millenni
celestiali, Dio cambi idea e ci dica «…ora basta, ti mando altrove!». Cristo
afferma d’essere la resurrezione e la vita e «…chiunque vive e crede in me,
non morirà mai» (Gv 11,26). La promessa che troviamo nella Scrittura è che
alla fine dei tempi «Egli abiterà con loro, essi saranno suoi popoli e Dio
stesso sarà con loro e sarà il loro Dio. Egli asciugherà ogni lacrima dai loro
occhi e non ci sarà più la morte, né cordoglio, né grido, né dolore, perché le
cose di prima sono passate» (Ap 21,3s).
A questa premessa occorre aggiungere l’affermazione in
base alla quale dalla sua presenza saranno esclusi «i codardi, gl’increduli,
gli abominevoli, gli omicidi, i fornicatori, gli stregoni, gli idolatri e tutti
i bugiardi» (Ap 21,8).
Siccome saremo con Dio per sempre, possiamo dedurre che
mai, nell’eternità, lo rinnegheremo, disubbidendogli e rinunciando alla sua
signoria.
Poste queste premesse, la domanda a cui rispondere
allora è la seguente:
Perché non rinnegheremo mai il Signore, nell’eternità?
Le possibilità al riguardo sono due:
■ 1) Perché Dio ce lo impedirà;
■ 2) Perché noi, volontariamente, sceglieremo
d’ubbidirgli per sempre.
La prima ipotesi sarebbe alquanto strana perché prevede che Dio ci tolga il
libero arbitrio, la libertà cioè di rinunciare al suo amore per noi. Più volte,
parlando della disobbedienza d’Adamo e dell’entrata del peccato nel mondo,
affermiamo che Dio non vuole delle marionette. Egli desidera che l’uomo scelga
liberamente d’amarlo, per cui non ha creato dei robot che lo adorano a
bacchetta. Se questo è vero, sarebbe allora alquanto strano che, dopo la nostra
morte, Dio ci trasformi in robot che gli saranno fedeli per sempre, per non
correre il rischio che, dopo qualche miliardo d’anni celestiali, qualcuno
di noi dica: «Ora mi sono stancato, me ne vado per la mia strada…».
Resta allora la seconda ipotesi. Noi per sempre,
nell’eternità, manterremo la libertà potenziale di rinnegare Dio, ma
questa libertà non si tradurrà mai in una ribellione a Dio, in quanto
sceglieremo in perpetuo d’amarlo, di ubbidirgli e di sottoporci alla sua
autorità.
Evidentemente, noi continueremo per tutta l’eternità a
scegliere liberamente d’ubbidire a Dio, perché sarà per noi
naturale farlo. Un po’ come avviene per il bruco che diviene farfalla a
seguito d’una metamorfosi: non mangerà più foglie verdi, ma continuerà per tutta
la sua vita a scegliere liberamente di nutrirsi di nettare di fiori. Potrebbe
ripensarci e tornare a nutrirsi di foglie? Certamente no. E questo non sarà
dovuto a una sua mancanza di libertà di scegliere, quanto piuttosto al fatto che
la sua natura è adesso cambiata. Allo stesso modo, nell’eternità noi ci
«nutriremo» eternamente di Dio perché la nostra natura rigenerata renderà
quest’una scelta
necessaria, pur rimanendo pienamente libera.
*°*°*°*°*°*°*°*°
Chi è in Cristo è già oggi una nuova creatura (2 Cor 15,17), nata da Dio
(1 Gv 5,18) per opera dello Spirito Santo (Gv 3,3ss). Per cui, chi afferma che
un credente, nella sua libertà individuale, abbia oggi la possibilità di
decidere di rinnegare quel Dio che lo ha rigenerato in Cristo per opera dello
Spirito Santo, deve ammettere che la stessa eventualità potrebbe verificarsi
anche dopo la resurrezione.
Dal momento che quest’eventualità sarebbe in
contraddizione con la premessa iniziale secondo cui la vita eterna non avrà mai
fine, se ne deduce che neanche ora, durante la sua vita terrena, un credente
rigenerato in Cristo può rinnegare Dio, perdendo la salvezza.
2.
{Nicola Martella}
▲
Abbiamo letto le seguenti parole di Nicola Berretta: «Un po’ come avviene per il
bruco che diviene farfalla a seguito d’una metamorfosi: non mangerà più foglie
verdi, ma continuerà per tutta la sua vita a scegliere liberamente di nutrirsi
di nettare di fiori. Potrebbe ripensarci e tornare a nutrirsi di foglie?
Certamente no. E questo non sarà dovuto a una sua mancanza di libertà di
scegliere, quanto piuttosto al fatto che la sua natura è adesso
cambiata».
Questa metafora non si applica solo a ciò che verrà
nella «vita perpetua», dopo la risurrezione, ma già all’esistenza circoscritta
del presente. Ognuno che è «in Cristo» è una «nuova creazione» (2
Cor 15,17 così il greco); ciò significa che egli anticipa in sé già ora
il futuro «nuovo mondo» di Dio, di cui sarà parte. Egli stesso da «uomo
nuovo» è la caparra (e il segno evidente) del «mondo nuovo» che verrà.
Possono esistere oggigiorno «cristiani bruchi» e
«cristiani farfalla»? Certamente no; dal punto di vista biblico è un
controsenso. Eppure tutto dipende da che cosa s’intende per «cristiano». Se il
cristianesimo è solo una «cultura di riferimento» o un tipo di «civiltà
religiosa», allora non si può escludere che esistano «cristiani bruchi». Alcuni
di essi si accontentano della loro situazione di esseri striscianti
all’interno di una cultura religiosa, pensando che essa sia tutto o non
immaginando che esista una metamorfosi e un volo alto.
Anche al tempo di Gesù, molti Giudei credevano di
essere a posto solo perché avevano il giudaismo come «cultura di riferimento» e
«civiltà religiosa». A Nicodemo, uno dei capi del giudaismo d’allora, Gesù
dovette dire: «In verità, in verità io ti dico che se uno non è nato
dall’alto [= ossia da Dio], non può vedere il regno di Dio» (Gv 3,3.5; cfr.
Gv 1,11ss).
Tutto ciò si potrebbe esprimere con un motto fatto mio
da tanto tempo: «Chi è quasi salvato, è tutto
perduto». La questione della perdita della salvezza è legata a questo fatto.
Sulla base della Bibbia bisogna fare una distinzione fra «credenti» (p.es.
Nicodemo) e «rigenerati» (o «generati dall’alto»), fra seguaci del cristianesimo
e i «generati dal Dio» (1 Gv 5,18. I «cristiani bruchi» perderanno sempre la
salvezza, perché non hanno mai vissuto la metamorfosi rigeneratrice. I veri
«cristiani farfalla» non potranno mai perdere la salvezza, perché essere
«bruchi» e vivere come tali non è più nella loro possibilità e volontà. Chi
vuole ancora strisciare, quando si può
volare alto?
Se alcuni «cristiani
farfalla» credono nella possibilità di tornare a vivere come «cristiani bruchi»,
ciò non risiede nella realtà delle cose, ma in un’ideologia sbagliata. Anche
alcuni barboni posseggono molti denari e potrebbero vivere da nababbi, ma
conducono un’esistenza da poveracci.
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► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_Dot/T1-Salvezza_ragione_Car.htm
14-03-2007; Aggiornamento: 05-07-2010