Un taglio netto alle convenzioni anti-bibliche e pseudo-bibliche, all'ignoranza e alle speculazioni — Ein klarer Schnitt zu den anti-biblischen und pseudo-biblischen Konventionen, zur Unwissenheit und den Spekulationen — A clean cut to the anti-biblical and pseudo-biblical conventions, to the ignorance and the speculations — Une coupe nette aux conventions anti-bibliques et pseudo-bibliques, à l'ignorance et aux spéculations — Un corte neto a las convenciones anti-bíblicas y pseudo-bíblicas, a la ignorancia y a las especulaciones

La fede che pensa — Accettare la sfida nel nostro tempo

«Glaube gegen den Strom»: Für das biblische Unterscheidungsvermögen — «Faith countercurrent»: For the biblical discernment — «Foi contre-courant»: Pour le discernement biblique — «Fe contracorriente»: Por el discernimiento bíblico

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Le Origini 1

 

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L’opera si presenta in due volumi ed è organizzata come segue:

1° volume (Temi delle origini): Gli articoli introduttivi e i temi di approfondimento

2° volume (Esegesi delle origini): Il commento particolareggiato basato sul testo ebraico (comprende anche una traduzione letterale posta alla fine)

   Se si eccettua la prima parte del primo volume, che introduce a Genesi 1,1-5,1a, per il resto ambedue i volumi dell’opera sono suddivisi rispettivamente secondo le seguenti parti:
■ La creazione del mondo e dell’uomo 1,1-2,4a
■ L’essere umano nella creazione 2,4b-25
■ La caduta primordiale e il suo effetto 3
■ La fine del resoconto su Adamo 4,1-5,1a.

► Vedi al riguardo le recensioni.

 

Le Origini 2

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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SI PUÒ PERDERE LA SALVEZZA?

 

 a cura di Nicola Martella

 

Al tempo della Riforma, Arminio predicava che la salvezza si può perdere. Probabilmente sono state i tanti «finti credenti» e le tante «pseudo conversioni» a convincerlo di questa opinione. Calvino, al contrario, parlava dell’elezione dei credenti (i calvinisti ne trassero la sedicente doppia predestinazione). I credenti evangelici non-arminiani e non-calvinisti affermano che tutti gli uomini sono chiamati alla salvezza (1 Tm 2,4), ma alcuni l’accettano e altri la rifiutano. Laddove l’uomo accetta sinceramente Cristo quale Salvatore e Signore e lo Spirito Santo può fare in lui, senza ostacoli, un’opera di rigenerazione e di suggellamento, il credente può essere certo della salvezza, poiché essa è sicura, essendo garantita da Cristo stesso e dai suoi meriti.

     Da Arminio e Calvino ad oggi, il dibattito non si è mai sopito. Oggigiorno sono perlopiù credenti degli ambienti pentecostali e carismatici a credere che la salvezza si possa perdere.

     Se la salvezza si può perdere, significa che dipende dalle opere umane e che la creatura concorre alla propria salvezza; se così fosse, non sarebbe più per grazia mediante la fede (Ef 2,8; Rm 5,2). Se la salvezza la garantisce Cristo, esclusivamente a causa dei suoi meriti, e non dipende quindi dalle opere umane, non si può neppure perdere.

     Eppure coloro che credono che la salvezza si possa perdere, porteranno molte argomentazioni in campo. Diamo, quindi, dapprima la parola alla tesi, secondo cui la salvezza si possa perdere. Poi, faremo delle osservazioni critiche a quest’ultima. Intanto speriamo che altri si inseriranno nel dibattito.

     Certamente bisognerebbe definire dapprima che cos’è la «salvezza», poiché si potrebbe parlare di cose alquanto differenti; lo stesso vale per il termine «credente». Confidiamo che ciò avverrà cammino facendo.

 

     Che cosa ne pensate? Quali sono al riguardo le vostre esperienze, idee e opinioni?

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I contributi sul tema  ▲

(I contributi rispecchiano le opinioni personali degli autori.

I contributi attivi hanno uno sfondo bianco)

 

 

1. Stefano Ferrero

2. Nicola Martella

3. Giovanni Donato

4. Angela Palmieri

5. Lodi Vanni

6. Giovambattista Mele

7. Fiorina Pistone

8. Abele Aureli

9. Nicola Martella

10. Abele Aureli

11. Nicola Martella

12.

 

Clicca sul lemma desiderato per raggiungere la rubrica sottostante

 

 

1. {Stefano Ferrero} 

 

Nota editoriale: Stefano Ferrero è convinto che la salvezza si possa perdere. Sebbene io non condivida le sue tesi, le riporto per intere, così che altri possano conoscerle e prender posizione. In seguito avremo modo di analizzarle e fare delle obiezioni.

 

Certezza della salvezza?

 

Alcuni nel mondo evangelico affermano che la salvezza non si può mai perdere e che tutti quelli che si convertono arriveranno sino al cielo. La Bibbia non dice così:

 

     ■ 1) «Vi saranno fra voi dei falsi dottori che introdurranno di nascosto eresie di perdizione e, rinnegando il Padrone che li ha comprati, si attireranno addosso una fulminea distruzione» (2 Pt 2,1).

     Costoro rinnegano chi li ha comprati col suo sangue sulla croce, pertanto sono stati davvero riscattati da Gesù, ma lo abbandonano. [ Risposta]

 

     ■ 2) «Essi, abbandonata la retta via, si sono sviati» (2 Pt 2,15).

     Se hanno abbandonato la retta via, allora prima la percorrevano. [ Risposta]

 

     ■ 3) «Quelli infatti che sono fuggiti dalle contaminazioni del mondo per mezzo della conoscenza del Signore e Salvatore Gesù Cristo, se sono da queste di nuovo avviluppati e vinti, la loro ultima condizione è peggiore della prima. Poiché sarebbe stato meglio per loro non aver conosciuto la via della giustizia, anziché, dopo averla conosciuta, voltar le spalle al santo comandamento che era stato loro dato. Ma è avvenuto loro ciò che dice un vero proverbio: “Il cane è tornato al suo vomito”, e “la scrofa lavata è tornata a voltolarsi nel fango» (2 Pt 2,20-23).

     Anche qui si parla di persone che hanno camminato bene per poi traviarsi. [ Risposta]

 

     ■ 4) «Chi vince sarà dunque vestito di vesti bianche e io non cancellerò il suo nome dal libro della vita, ma confesserò il suo nome davanti al Padre mio e davanti ai suoi angeli» (Ap 3,5).

     Questo ci dimostra che chi non vince perseverando sino alla fine, sarà cancellato dal libro della vita. [ Risposta]

 

     ■ 5) «Vedi dunque la bontà e la severità di Dio: la severità su quelli che sono caduti, e la bontà verso di te, se pure perseveri nella bontà, altrimenti anche tu sarai reciso» (Rom 11,22).

     Serve perseveranza nella fede per non essere recisi dalla salvezza. [ Risposta]

 

     ■ 6) «Quale peggiore castigo pensate voi merita colui che ha calpestato il Figlio di Dio e ha considerato profano il sangue del patto col quale è stato santificato, e ha oltraggiato lo Spirito della grazia?» (Eb 10,29).

     Solo i cristiani possono oltraggiare lo Spirito che dimora in loro. [ Risposta]

 

     ■ 7) «Quelli infatti che sono stati una volta illuminati, hanno gustato il dono celeste, sono stati fatti partecipi dello Spirito Santo e hanno gustato la buona parola di Dio e le potenze del mondo a venire, se cadono, è impossibile riportarli un’altra volta al ravvedimento, poiché per conto loro crocifiggono nuovamente il Figlio di Dio e lo espongono a infamia» (Eb 6,4-6).

     Solo i cristiani nati di nuovo sono stati illuminati, hanno gustato il dono della salvezza, hanno partecipato allo Spirito di Dio e gustato la Parola di Dio. [ Risposta]

 

     ■ 8) «Nessuno vi inganni in alcun modo; poiché quel giorno non verrà se prima non sia venuta l’apostasia» (2 Ts 2,3).

     L’apostasia non è l’abbandono della fede di chi non la ha mai avuta, ma di chi è stato precedentemente un credente. [ Risposta]

 

     ■ 9) Gesù chiama questo peccato la «bestemmia contro lo Spirito Santo» (Mt 12,32) l’opporsi tenacemente all’azione dello Spirito (At 7,51) oltraggiando in questo modo lo «Spirito della Grazia» (Eb 10,29) che convince di peccato i non-credenti oppure i credenti che abbandonano la fede (cfr. Gv 16,8; Gn 6,3). [ Risposta]

 

     ■ 10) Giovanni lo chiama il «peccato che conduce alla morte» (1 Gv 5,16) perché a differenza di tutti gli altri non può essere perdonato perché chi apostata dalla fede nel sacrificio di Gesù, non beneficia più del perdono che c’è nella Croce. Ma se costoro si ravvedono e rimettono fede e fiducia nel Salvatore possono venire anch’essi nuovamente perdonati: «Tutto quello che il Padre mi dà verrà a me; e colui che viene a me, io non lo caccerò fuori» (Gv 6,37).

[ Risposta]

     Non abbandoniamo mai la fede nel Salvatore e non perderemo mai la nostra salvezza.

 

 

2. {Nicola Martella} 

 

Obiezioni generali

 

Premesse: Gli argomenti del contributo precedenti sono arcinoti. L’autore parla della «certezza della salvezza?», ma chissà se ha pensato che nella teologia esiste anche la «sicurezza della salvezza»!

     Come si può notare, Il metodo usato dall’autore precedente è quello «versettologico» (elenco di versi) che prescinde dai vari contesti: letterario, storico, culturale, teologico, teleologico, ecc. del singolo autore e libro.

     In tal modo, la «matematica» sembra ovvia, ma ciò non è per forza la verità. Ciò crea un’enorme semplificazione teologica di una questione ampia ed estremamente gravosa e, come tutte le semplificazioni, abbagliano lì per lì, ma non convincono veramente. In effetti, chi usa la «versettologia» vuol creare un «effetto domino» (che «seppellisce» a mo’ di valanga il discernimento di chi legge) e suggerisce al testo ciò che deve dire (eisegesi), di là dalle vere intenzioni dell’autore.

     Ecco un mio motto antico: «Attesto che un testo fuori contesto è un pretesto che io contesto (e detesto)».

 

Interazione: Dopo aver ricevuto questo contributo, ho fatto presente all’autore che esiste in teologia una differenza fra «certezza della salvezza» (ciò di cui sono consapevole nel tempo) e «sicurezza della salvezza» (ciò che rimane sicuro perché garantito da Cristo di là dalla mia consapevolezza nel tempo). Egli mi ha risposto come segue: «I versetti sono troppi e davvero chiari a mio avviso per dire che possano essere re-interpretati in chiave di sicurezza della salvezza. Se hai delle spiegazioni migliori sarò lieto di sentirle, visto che sinora su questi passi non ho mai sentito spiegazioni che siano credibili. Con questo non intendo dire che il cristiano non può essere certo della sua salvezza, purché rimanga cristiano sino alla morte. Insomma se rimane cristiano, rimane salvato».

            Quindi la sua tesi a questo punto è chiara: 1) Non comprende una differenza fra «certezza» e sicurezza»; 2) Fino all’ultimo respiro di un credente, può intervenire ancora qualcosa che può fargli perdere la salvezza; 3) Ne consegue che nessun credente può essere veramente «sicuro» della sua salvezza fino alla fine; 4) Quindi la «salvezza» dipende anche dalle opere dell’uomo e non soltanto dalla grazia di Dio e dal sacrificio di Gesù Cristo.

 

Osservazioni e obiezioni: Come si può notare, la maggior parte dei versi, presenti nel contributo precedente, sono tratti da 1-2 Pietro e da Ebrei. In 1 Pt 1,1 l’apostolo Pietro parlò di «eletti che vivono nella dispersione», ossia egli scrisse ai cristiani giudei della diaspora. 2 Pt 3,1 mostra che Pietro scrisse allo stesso gruppo di persone. Queste epistole mostrano che gli argomenti sono formulati per chi aveva una grande conoscenza dell’AT, appunto perché Ebrei. L’autore della lettera agli Ebrei trattò i suoi argomenti similmente verso i suoi connazionali e correligionari, che avevano sì sentito l’Evangelo, ma si trovavano all’interno di un fenomeno culturale affascinante e complesso (tradizioni, feste, rituali, connessioni sociali e familiari, ecc.), che era difficile abbandonare.

     I primi cristiani erano solo Giudei. Per loro la comunione nel tempio all’interno del giudaismo in senso lato (che essi speravano in una rapida conversione) e la comunione pratica nelle case tra i Giudei cristiani non era una contraddizione (At 2,46; 3,1). Dopo vari decenni, quando Paolo aveva quasi finito la carriera di apostolo delle genti, egli si recò a Gerusalemme. Qui i conduttori gli fecero presente: «Fratello, tu vedi quante migliaia di Giudei ci sono che hanno creduto; e tutti sono zelanti per la legge» (At 21,20). Dopo ciò, i conduttori richiesero da Paolo che egli si assoggettasse a un rito di purificazione presso il tempio insieme ad altri credenti (vv. 23ss), per il quale era previsto anche un sacrificio! (v. 26). Se non si capisce questo contesto, non si capiranno neppure i versi presi da 1-2 Pt e da Eb. A Pentecoste, Pietro non dovette evangelizzare i Giudei o istruirli prima di battezzarli: bastava che si ravvedessero e fossero battezzati nel nome di Gesù quale Messia (At 2,37). Questo riconoscimento di Gesù come il Messia-Re atteso avrebbe permesso loro, non solo di ricevere la remissione dei peccati, ma anche il carisma dello Spirito Santo. Il problema era che, essendo all’origine giudaismo storico e giudaismo cristiano pressoché la stessa cosa, se si prescinde dalla messianologia compiuta e dalla soteriologia realizzata nel Messia, molti Giudei avevano facilità di conoscere il cristianesimo, di «appetirlo», senza ritenere di doversi decidere più di tanto, essendo già parte del popolo di Dio. Molti Giudei stavano tra due forti richiami: fra il giudaismo storico con tutta la sua cultura e tradizione e il giudaismo messianico con le sue promesse di salvezza in Gesù Messia. Le pressioni e le vessazioni da parte dei Giudei storici verso i Giudei messianici erano forti e arrivavano fino alla persecuzione. Si veda Saulo in At 9,1s, il fatto che egli perseguitasse la «nuova via» (non c’era ancora neppure un nome per «giudaismo messianico») e che tali credenti erano nelle sinagoghe tra gli altri Ebrei.

     Perciò, accanto a credenti veramente rigenerati (cfr. At 9,10ss discepolo) che avevano accettato Gesù quale Signore (v. 17), ce n’erano altri che non erano né carne e né pesce, che preferivano aderire di nascosto, che credevano già di avere tutto (anche il Messia), appartenendo al popolo storico di Dio. Così per loro stare di qua (giudaismo storico) e stare di là (giudaismo messianico) era tutt’uno… basta che l’altra parte non lo sapesse (!), per evitare guai o conseguenze.

     Come si vede sopra, ho approntato una risposta dettagliata alle tesi sopra esposte riguardo alla perdita della salvezza. È mia intenzione rispondere punto per punto, le obiezioni che mancano ancora, seguiranno un poco alla volta sia per evitare ai lettori una «indigestione», sia per dare loro modo di esprimersi.

■ Per una panoramica, si vedano le seguenti parti e quelle che seguiranno a esse:

   ► Due tesi a confronto sulla perdita della salvezza 1

   ► Due tesi a confronto sulla perdita della salvezza 2

   ► Due tesi a confronto sulla perdita della salvezza 3

 

   ■ Segnalo anche i seguenti articoli: Il credente può perdere la sua salvezza? {Argentino Quintavalle} e Sicurezza e perdita della salvezza {Tonino Mele},e la seguente testimonianza con spunti dottrinali: ► Credente ma non rigenerato: esperienza e dottrina {Roberta Sbodio}.

   ■ Matteo Ricciotti mi ha suggerito il seguente articolo, presente sul suo sito: ► La salvezza si può perdere? (*pdf).

 

 

3. {Giovanni Donato}

 

Poter perdere la salvezza significherebbe che il diavolo è più forte di Dio, al punto da prendere qualcosa che è stretta nella sua mano… qualcosa che è conservata in cielo per noi (1 Pietro 1). Dio tiene la mia salvezza. Non dipende da cosa faccio di bene, o cosa possa fare di male. Se me l’ha data, me l’ha data.

     Grazie per lo spunto di riflessione. Ricordarsi di queste cose ci fa sempre lodare Dio!

 

 

4. {Angela Palmieri} 

 

Non ho dubbi: la salvezza è solo per grazia e non per opere. Il cristiano non può e non deve quindi aggiungere nulla all’opera perfetta di Gesù per quanto riguarda la sua salvezza. Le opere «buone» non sono altro che gli sforzi dell’uomo — quando pensa di dover provvedere lui stesso alla propria salvezza — per raggiungere Dio. Il problema della nostra salvezza però è stato risolto da Dio stesso attraverso la morte e risurrezione di suo Figlio (quello è stato il sacrificio per eccellenza, quello che Dio ha gradito!).

     Ripenso spesso al sacrificio di Caino e di Abele e mi domando: perché

Dio gradiva il sacrificio di Abele e non quello di Caino? (perché Caino fece

un’offerta di frutti della terra mentre Abele offriva il sangue dei primogeniti del suo gregge e del loro grasso?). L’offerta gradita a Dio era quella del sangue (che prefigurava l’offerta dell’Agnello di Dio) e non quella che Caino «arbitrariamente» aveva fatto? Forse Dio aveva rivelato la sua volontà e bisognava obbedirgli, o forse Caino non offriva I frutti migliori del suo campo?

     Le opere buone non sono altro che quelle preparate anzitempo dallo Spirito e che noi compiamo per nostra volontà, ubbidendo al suo volere (sempre se gli apparteniamo: se Gesù Cristo, oltre a essere nostro Salvatore è anche il Signore della nostra vita!). Grazie a Dio, nessuno ci rapirà dalla sua mano, perché Lui ha iniziato un’opera buona e la porterà a termine!

 

Sulla questione del sacrificio di Caino e Abele e della diversa reazione divina cfr. Nicola Martella, «La reazione di Dio verso le offerte e gli offerenti (Gn 4,3-7)», Esegesi delle origini. Le Origini 2 (Punto°A°Croce, Roma 2006), pp. 282-299.

 

 

5. {Lodi Vanni} 

 

Mi sono spesso domandata se è possibile annullare ciò che si è fatto con una semplice gomma, mi spiego meglio: per quanto un «figlio» possa essere ribelle, non potrà mai perdere la sua identità famigliare, né il suo cognome, non potrà mai neppure negare la sua appartenenza a quella determinata famiglia, né rinnegare i geni; questo ovviamente non potranno farlo né i genitori né i parenti, né tutte le analisi del sangue del mondo. […]

     La verità non può cambiare, se non vogliamo accettare le promesse di Dio, accettiamo almeno la sua paternità, visto che chi appartiene a Dio non è nelle condizioni dei suoi angeli, i quali non hanno bisogno di una salvezza, ma ce l’hanno già.

     Dio non è un essere umano che cambia idea come noi cambiamo le calze. Egli rimane fedele alle sue promesse, lo ha ribadito più volte in tutta la Scrittura.

     Vorrei dire a Stefano Ferrero, che ha scritto i «dieci comandamenti» sulla perdita della salvezza, che è troppo comodo usare la legge come criterio. Facevano così anche i sacerdoti e lo fanno tutt’ora i religiosi; io dico che se siamo arrivati a smembrare la chiesa di Cristo in tanti piccoli pezzi, lo dobbiamo ai legalisti che di Scrittura non capiscono altro che la grammatica e l’ortografia, rifiutando il senso e il sacrificio di Cristo.

     L’insulto più grande che si possa fare al Signore, è quello di non credere o di distorcere le sue promesse.

 

 

6. {Giovambattista Mele} 

 

Un dono, dopo essere accettato non si richiede indietro. Così è per la salvezza che il Signore ha predisposto, prima che il mondo fosse. La grazia ineffabile non può fallire, Gesù afferma che nessuno toglie le sue pecore dalle sue mani, o no? E allora, di chi aver fiducia, di Cristo Gesù o dei ciarlatani, passati, presenti e futuri? La salvezza è un dono di Dio, e non scade mai.

     Non dimentichiamo che Arminio cadde nell’eresia, e fu condannato dai Riformatori.

 

 

7. {Fiorina Pistone} 

 

Fiorina, un’amica cattolica che ama la sacra Scrittura, mi ha scritto una lettera a cui ho risposto. Per facilitare la lettura ho posto le mie osservazioni accanto alle sue affermazioni.

 

Fiorina Pistone: Vorrei essere sicura di conoscere la tua posizione in merito alla salvezza. Mi pare di capire che tu non sei né arminiano né calvinista.

Nicola Martella: Non mi interessano le «sovrastrutture dogmatiche» (figlie di contrapposizioni storiche ad altre esagerazioni), ma l’esegesi.

 

F.P.: Tu pensi, cioè, che tutti gli uomini sono chiamati alla salvezza, ma alcuni l’accettano e altri la rifiutano: chi l’ha accettata, non la perderà, perché essa è sicura, garantita com’è da Cristo e dai suoi meriti.

N.M.: Proprio così. «Chi ha il Figlio ha la vita; chi non ha il Figlio di Dio, non ha la vita» (1 Gv 5,12; cfr. Gv 3,36). «…avendo creduto in lui, avete ricevuto il suggello dello Spirito Santo… siete stati suggellati per il giorno della redenzione» (Ef 1,13; 4,30)

 

F.P.: È la tesi che preferisco ascoltare, che soprattutto non disturba l’immagine che ho, e che desidero avere, della misericordia di Dio. Però, anche se la garanzia che dà del mantenimento della salvezza mi dà un conforto infinito, non sono sicura di poterla condividere: troppi versetti biblici sembrano attestare il contrario.

N.M.: Sul sito si trova un confronto tra le due tesi (perdita sì, perdita no), affrontando verso per verso. Quando vedrai la mia analisi di 1 Gv 5,18, spero che le tue «nebbie» si diraderanno un po’. Vedi sotto alcune anticipazioni.

 

F.P.: Ma non voglio parlare di questo. Ci sono degli altri interrogativi che mi faccio: mi chiedo perché, ad esempio, tu dici che, se la salvezza si può perdere, significa che essa dipende dalle opere umane e non sarebbe più per grazia mediante la fede.

N.M.: La salvezza la perde solo chi non l’accetta. Ciò che è stato «generato da Dio» preserva il credente e il maligno non lo tocca (1 Gv 5,18). La salvezza la garantisce Cristo con i suoi meriti. Chi è stato «generato da Dio» non può perseverare nel peccato (ad esempio d’idolatria), poiché il seme di Dio dimora in lui (1 Gv 3,9); chi persevera nel peccato, mostra di non aver conosciuto né Dio né la salvezza (1 Gv 3,6).

 

F.P.: Io ho l’impressione che tu ti contraddica: se l’uomo, come mi sembra che tu sostenga, può fare in un primo momento la scelta di affidarsi a Gesù per essere salvato, può successivamente fare una scelta contraria, rifiutando il proprio Signore e Salvatore; quindi, pentitosi, chiedere perdono e affidarsi di nuovo a lui, senza che si possa parlare di salvezza mediante le opere. Si tratta, secondo me di due distinti atti di fede e del dono della grazia concesso da Dio, rifiutato in un tempo successivo dall’uomo e poi ancora rinnovato da Dio.

N.M.: Parliamo della salvezza come una roulette? La Scrittura parla di una «generazione (o nascita) da Dio (o dall’alto): o si è nati o no! Chi è nato da Dio, non può far sì che non siano nato né di non mostrare il carattere di Dio nella sua vita. Si parte sempre dall’essere «credenti» (anche il diavolo crede e trema), ma la Bibbia conosce una differenza fra «credenti» (qual è l’oggetto poi di tale fede?) e «generati da Dio». Non tutti i «credenti» (nominali, o religiosi) sono «generati da Dio»: qui sta il clou della faccenda. Questi ultimi sono suggellati dallo Spirito per la salvezza finale!

 

F.P.: Io sono cattolica romana: la mia Chiesa ha accettato recentemente il concetto della salvezza per grazia mediante la fede e di questo sono contenta, però continua a concedere indulgenze, e questo non mi va. Se uno fa una preghiera per offrire sé stesso a Dio perché Egli faccia di lui uno strumento della sua gloria, — come ci esorta Paolo in Romani 12,1 («Dio ha manifestato la sua misericordia verso di noi. Vi esorto, dunque, fratelli, a offrire voi stessi a Dio in sacrificio vivente, a lui dedicato, a lui gradito. È questo il vero culto che gli dovete» - Traduzione Interconfessionale in Lingua Corrente) — è un atto di fede, cioè di fiducia, un dono totale, sia pure molto povero, vista la condizione di peccato, che attira il dono dello Spirito senza misura, dono che io chiamo grazia (sbaglio, secondo voi?).

N.M.: Queste sono le conseguenze della misericordia già manifestata e di una «generazione da Dio», non la causa. Paolo esortò coloro che erano già «fratelli». Solo un «sacerdote» può offrire sacrifici (e lo è ogni vero credente; 1 Pt 2,9), ma prima bisogno diventarlo mediante una «nascita da Dio». Qui si tratta dell’esercizio della fede posteriore alla rigenerazione.

 

F.P.: Se invece uno dice certe prescritte preghiere perché gli è stata garantita, con ciò, una qualche indulgenza, uno sconto sulle pene del purgatorio (in cui so che non credete, ma lasciatemi fare un esempio), non è più un dono vero, ma un baratto, un mercanteggiare, un fare i conti con Dio come si fanno col macellaio o col salumiere, e allora la preghiera non è più un vero atto di fede in Dio, ma un contare su sé stessi, sulle proprie opere).

N.M.: È come cercare di piacere al cassiere della banca celeste, mostrando i propri meriti, quando Cristo ha acceso, per i suoi meriti, un credito infinito e inesauribile. Vivere da mendicanti e di espedienti, offendendo così Dio che ha fatto tanto col suo Figlio! L’unico «purgatorio» nella Bibbia è il purgamento dei peccati nel sangue di Gesù in questa vita! (Eb 1,3; 1 Gv 1,7.9).

 

F.P.: Quanto poi al significato della parola «credere», io intendo appunto il fatto di affidarsi a Dio, di donarsi a Dio con un atto di fiducia, perché Lui si dona a noi.

N.M.: Giusto. Quando si tratta di una fede sincera e biblica, si ottiene la «generazione da Dio» mediante lo Spirito Santo, che suggella il credente in vista della salvezza finale!

 

F.P.: Possedere la certezza della fede a livello mentale non è la cosa più importante: infatti se abbiamo solo quel tipo di fede non siamo in condizioni migliori del demonio, che crede e trema (Giacomo 2,19): basta quel tanto di luce che ci sostiene nel fare la scelta per Dio, scelta che è soprattutto un fatto di amore, perché, dice Paolo in Galati 5,6 «La fede si attua mediante la carità» (Nuovissima Versione della Bibbia dai Testi Originali).

N.M.: La fede biblica non è un’aderenza mentale a qualche dottrina, chiesa o sistema religioso. È la fiducia nelle promesse di Dio, specialmente in quella che Egli salva chiunque crede nel suo Figlio, accettandolo come Salvatore e Signore della propria vita. È la fede che permette allo Spirito di generare nel credente una «nuova creatura» (2 Cor 5,17; Gal 6,15). «Siete stati rigenerati non da seme corruttibile, ma incorruttibile, mediante la parola di Dio vivente e permanente» (1 Pt 1,23).

 

F.P.: Quanto alla salvezza, essa è, in primo luogo, la giusta relazione con Dio e la liberazione dal peccato; in futuro; la beatitudine eterna.

N.M.: La salvezza è in primo luogo la possibilità di entrare nel patto di Dio, per la sua grazia, scampando così al suo giudizio per la sostituzione e i meriti di Gesù Cristo, di sperimentare la «generazione da Dio», di essere suggellati dallo Spirito Santo in vista della redenzione finale e di godere intanto la relazione e la comunione con Dio mediante l’intercessione di Gesù Cristo. La prima epistola di Giovanni comincia personalizzando la vita eterna in Gesù stesso e affermando che «la vita è stata manifestata e noi l’abbiamo veduta e ne rendiamo testimonianza, e vi annunciamo la vita eterna che era presso il Padre e che ci fu manifestata» (1 Gv 1,2). Ed essa si conclude similmente (1 Gv 5,20. Per questo, «chi ha il Figlio di Dio, ha la vita» (v. 12)

 

 

8. {Abele Aureli} 

 

Nota editoriale: Qui Abele Aureli risponde a quanto detto da Giovanni Donato (vedi sopra «3.»).

 

Caro fratello Giovanni, Dio non ti ha dato nulla! Egli ti ha «offerto» la salvezza gratuitamente e tu l’hai accettata, altrimenti non saresti salvato. Dio offre la salvezza a tutta l’umanità, ma non tutti l’accettano. Pertanto, per essere salvato, tu hai dovuto fare qualcosa. Hai dovuto credere, hai dovuto invitare Gesù nel tuo cuore, Lui è entrato, e allora ti ha lavato nel Suo sangue e ti ha salvato. Ora, non sto qui a citarti delle Scritture che tutti conosciamo, ma visto che Dio non è un «dittatore», così come lo hai invitato, lo puoi anche mandare via. E se lo mandi via, Lui non resterà nel tuo cuore per forza e contro la tua volontà. La salvezza è tua perché l’hai accettata tu, altrimenti non l’avresti. Quindi, sta a te mantenerla oppure rigettarla via dopo che l’hai accettata. Se non l’hai mai accettata, neppure la puoi rigettare perché non l’hai mai avuta. Se poi non espellerai Gesù dal tuo cuore, Lui non se ne andrà mai e mai t’abbandonerà.

     Ma ti prego, non facciamo dire alla Bibbia cose che la Bibbia non dice, e sopratutto, non confondiamo la mente dei semplici con interpretazioni bibliche di versi presi fuori dal contesto per confutare altri versi presi fuori dal contesto da altre persone, altrimenti siamo tutti rei dello stesso peccato. {01-01-2008}

 

 

9. {Nicola Martella} 

 

Non so se Giovanni Donato risponderà e che cosa. Intanto anticipo io una risposta.

     È chiaro che Abele Aureli sostiene qui la dottrina della perdita della salvezza. Per lui è come quando una persona (qui Dio, lo Spirito Santo) entra in una casa (credente) e la può anche abbandonare o può esservi cacciato. Oppure è come quando una persona (qui credente) entra in una casa (la salvezza) e la può anche abbandonare. Ciò è comprensibile, se ci si fermasse a tale similitudine. Anche gli spiriti impuri entrano in qualcuno e ne possono pure uscire. Ma il rapporto fra (Spirito di) Dio e credente non si può ridurre a una cosa del genere.

     Esiste però un altro aspetto della questione. La Bibbia parla di «nascita dall’alto» o di «nascita da Dio» (Gv 1,13; 3,3; 1 Gv 3,9; 4,7; 5,1.4.18; comunemente chiamata «nuova nascita) e di altri aspetti come la rigenerazione (Tt 3,5; 1 Pt 1,23), della santificazione (1 Cor 1,2; 6,11; 2 Ts 2,13; Eb 2,11; 10,10.14; 1 Pt 1,2; aspetto storico puntuale) e del suggellamento mediante lo Spirito Santo (Ef 1,13; 4,30), cosa che permette di essere conservati nella salvezza in vista della redenzione finale (la risurrezione). Questo è, tra altre cose, un aspetto ontologico: una volta nati, non si può far sì di non essere mai nati; non si può spostare l’orologio indietro per cancellare un atto storico inevitabilmente accaduto. La vera «nascita dall’alto» o «nascita da Dio» è una metamorfosi: un essere che si trasforma irrimediabilmente e irreparabilmente in un altro. Nessuna farfalla può mai essere trasformata indietro in un bruco: la metamorfosi va solo in un senso e, una volta avvenuta, non si può far sì che non sia mai accaduta.

     Per capire questo, bisogna distinguere fra credenti e «nati da Dio». Non tutti i credenti diventano dei rigenerati: lo Spirito Santo crea nuove creature solo laddove c’è la «fede efficace» corrispondente all’Evangelo e la prontezza ad accettare Cristo non solo come Salvatore, ma anche come Signore della propria vita. Il solo desiderio di credere in Cristo non ha mai creato di per sé nuove creature. Ci sono in giro credenti che si credono «farfalle», ma sono rimasti «bruchi»; non sono certo i «carismi» che hanno a garantire loro che la metamorfosi sia avvenuta (Mt 7,22s). Essi certo perdono, per modo di dire, solo quella salvezza che non hanno mai posseduto veramente.

 

 

10. {Abele Aureli} 

 

Purtroppo fratello Martella, il tuo commento lascia adito a troppe decisioni di comodo! È troppo facile dire che chi rigetta (non chi perde)... «quella salvezza», non era mai salvato! Così siamo noi a decidere chi era salvato e chi non lo era. Le Scritture parlano di credenti che hanno fatto di Gesù il proprio Salvatore e Signore! Quelle persone hanno fatto naufragio della fede, e possono rinnegare Dio. La santificazione è un processo, non la salvezza!!! Se chi avrà creduto e sarà stato battezzato sarà salvato, noi non possiamo dire che non era «completamente» salvato! Era salvato e basta! ...Se noi lo rinnegheremo, anche Egli ci rinnegherà! Atteniamoci alle Scritture, non a ciò che pensiamo noi. Se partiamo dal presupposto che non è possibile rinnegare Dio, allora interpreteremo tutte le Scritture in tale riguardo. Se invece leggiamo le Scritture e le meditiamo così come sono, cercando di capire cosa dicono, allora gli daremo il significato giusto. Questo è un po’ come gli Americani che non bevono vino perché secondo loro è peccato! Naturalmente questo non è scritturale, ma loro escono dalle scuole bibliche dove gli hanno insegnato che bere vino è peccato! Con questo concetto, essi ogni volta che nella Bibbia leggono vino, leggono «peccato»! {02-01-2008}

 

 

11.  {Nicola Martella}

 

Arrivati a questo punto, penso che abbiamo capito i due fronti: ▪ 1. Chi crede che la salvezza si perda (p.es. Abele Aureli); 2. Chi pensa che se c’è una «nascita dall’alto», non c’è perdita della salvezza, poiché c’è una «nuova creatura», c’è il suggellamento dello Spirito Santo e Cristo è il garante. È inutile quindi continuare a ripetere gli stessi argomenti, visto che i fronti sono chiari e ambedue affermano di trarre le loro convinzioni dalla Bibbia. Che dire ancora? «Pure il solido fondamento di Dio rimane fermo, portando questo sigillo: “Il Signore conosce quelli che sono suoi”, e: “Si ritragga dall’iniquità chiunque nomina il nome del Signore”» (2 Tm 2,19). Questo vale sia per chi pensa che la salvezza si rifiuti (non basta «credere» per diventare nuove creature), sia per chi pensa che si possa perdere la salvezza.  Su questo tema è stato già molto dibattuto in vari articoli e temi di discussione presenti in questo sito (vedi sopra i link); quindi, continuando dovremmo solo ripeterci.

     Aggiungo solo qualche affermazione conclusiva. Bisogna distinguere la fede o il credere quale adesione (anche Simone il Mago come gli altri Samaritani credé, fu battezzato e ricevette l’imposizione delle mani) dalla «fede efficace» in Cristo Gesù quale Signore e Salvatore che permette allo Spirito Santo di creare una «nuova creatura», un «uomo nuovo»; laddove accade veramente tale rigenerazione e metamorfosi, chi è «nato da Dio» non può perdere la salvezza, che non dipende da lui ma da Colui che la garantisce. L’apostolo Giovanni scrisse letteralmente: «Noi sappiamo che chiunque è generato da Dio non persevera nel peccato; ma il generato da Dio lo preserva, e il maligno non lo tocca» (1 Gv 5,18).

     Come già detto, chi diventa «farfalla» non ritorna a essere «bruco». Una teologia dell’esperienza confonde purtroppo tanti «bruchi» (credenti - aderenti) per «farfalle» (nati da Dio); il possesso di particolari «carismi», li illude di aver subito la metamorfosi, ma ciò può essere un inganno (Mt 7,22s). Quando poi tali «bruchi» si allontanano dalla fede, si crede di aver trovato la prova che le «farfalle» (nati da Dio) possano tornare alla vita di «vermi», che abbiano perso la salvezza. Dal mio punto di vista, è solo un falso sillogismo. Non a caso nello stesso contesto Gesù parlò, a proposito di falsi profeti, d’albero buono con frutti buoni e d’albero cattivo con frutti cattivi, concludendo che i frutti (e non i «carismi»; diremmo con Paolo il «frutto dello Spirito» con Gal 5,22) permettono di conoscere l’albero, ossia l’ubbidienza alla volontà del Padre celeste (Mt 7,15-23). Quindi anche «unti» particolari possono essere «bruchi», sebbene creduti particolari «farfalle», anzi «bruchi» velenosi e pericolosi per l’opera di Dio (2 Cor 11,13ss).

     Quanto alla santificazione, nella teologia si distingue fra «santificazione puntuale» (la realizza Dio nel momento della «nascita dall’alto») e «santificazione processuale» (la compie il «generato da Dio» durante la sua vita). Chi, diventando «farfalla», è stato santificato da Dio (ossia reso speciale per Lui), si santificherà durante la sua vita (ossia vivrà in modo speciale per Dio).

     Per il resto, «sia ciascuno pienamente convinto nella propria mente» (Rm 14,5).

 

 

12. {} 

 

Il credente può perdere la sua salvezza? {Argentino Quintavalle} (A)

Credente ma non rigenerato: esperienza e dottrina {Roberta Sbodio} (A)

Perdita della salvezza 1 {S. Ferrero - N. Martella} (T/A)

Perdita della salvezza 2 {S.  Ferrero - N. Martella} (T/A)

Perdita della salvezza 3 {S.  Ferrero - N. Martella} (T/A)

Perdita della salvezza 4 {AA.VV. - Nicola Martella} (T/A)

Sicurezza e perdita della salvezza {Tonino Mele} (A)

 

► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_Dot/T1-Perdere_salvezza_Ori.htm

07-04-2007; Aggiornamento: 30-01-2010

 

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