Caro fratello Martella, non mi sembra di aver trovato niente sul tuo sito a
proposito della dottrina della grazia preveniente di John Wesley e di
un’esegesi di
Giovanni 6,37.44.65.
Il mio modesto parere è che la dottrina della grazia preveniente non sia
scritturale;
depravazione totale non significa inabilità totale. Potresti, per
favore, farmi sapere il tuo punto di visto in merito? Ti ringrazio in anticipo.
Dio ci benedica. {Raffaele Carnimeo; 27-09-2010}
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L’approccio di Wesley e di altri come lui è di natura dottrinale, quindi
filosofica e ideologica; ciò significa che essi partono da una costruzione
dottrinale, che poi riempiono di versi biblici, che sono compatibili con la loro
opinione, trascurando il loro contesto e tralasciando altri versi antitetici al
loro costrutto. Io preferisco l’approccio esegetico contestuale, senza
snaturare versi sradicandoli dal loro contesto, senza versettologie indebite che
assemblano elementi eterogenei secondo il proprio arbitrio, senza falso
sillogismo e senza facili allegorie.
Per prima cosa, bisogna distinguere fra
la «depravazione» (p.es. è un peccatore) e «l’inabilità» (p.es. l’uomo è
diventato mortale, soggetto alla corruzione, a malattie, ma non è entrato in un
«coma» vegetativo, che gli impedisca di cercare Dio). Infatti, l’uomo non smette
di essere un essere creato a «immagine di Dio». Parlando della lingua, il giudeo
Giacomo affermò: «Con essa benediciamo il Signore e Padre; e con essa
malediciamo gli uomini, che sono fatti a somiglianza di Dio»
(Gcm 3,9; cfr. Sal 8). Laddove Dio parla all’uomo, egli può intendere il suo
Creatore e può rispondergli; poi, deciderà se ubbidirgli, accettando la sua
ingiunzione e la sua grazia, o se rimanere nella ribellione del suo cuore.
In
Giovanni 6 Gesù parlava in una situazione specifica, ossia a Giudei,
quindi a persone, che già erano nel patto, appartenendo al popolo eletto.
Essi avevano già ricevuto le promesse e la chiamata in Abramo. Nonostante ciò,
essi rifiutarono Gesù quale «Unto a Re», mettendosi così praticamente fuori
della salvezza. L’elezione e le promesse di Dio restano, ma non valgono per
coloro, che rifiutano Gesù quale Messia (quindi, Signore e Salvatore).
Abbiamo visto che l’uomo, anche dopo la caduta, rimane un essere creato a
immagine di Dio, quindi con la capacità di rispondere a Dio, quando Egli lo
interpella. Dopo la caduta primordiale, Dio continuò a parlare ad Adamo e
a Eva (Gn 3,9ss.13ss) e fece verso di loro un atto di clemenza (cfr. v.
21). L’Onnipotente parlò anche a Caino), ingiungendogli di dominare
colui, che lo tentava (Gn 4,6s). Dio gli parlò addirittura dopo l’omicidio di
suo fratello (vv. 9ss), sia maledicendo lui e il suole (vv. 11s), sia ascoltando
le sue ragioni (vv. 13s), sia mostrandosi a lui clemente, quando mise su di lui
un segno, che lo distinguesse e proteggesse (v. 15).
Si potrebbero portare tanti esempi, in cui Dio parlò a uomini pagani (si veda
addirittura Balaam!). Nel caso di Abimelek, re dei Filistei, Dio ammise
che egli aveva preso Sara nell’integrità del suo cuore, aggiungendo: «E ti
ho, quindi, preservato dal peccare contro di me; perciò non ti ho permesso di
toccarla» (Gn 20,3ss). L’Eterno agì nella vita di un imperatore come
Nebukadnezar, il quale sebbene vivesse nella depravazione del paganesimo,
non fu del tutto inabile a riconoscere l’Altissimo. Dio chiamò addirittura
Ciro, un imperatore pagano, suo «unto» per realizzare i suoi piani! Tali e
altri brani mi mostrano che, sebbene l’uomo sia morto nei suoi falli e peccati,
non sia incapace di recepire il messaggio di salvezza e di dare una
risposta a Dio, sebbene essa non sempre positiva (Rm 10,14-17).
Si vedano le seguenti asserzioni ironiche di Gesù verso i Farisei, che
cercavano di discreditarlo: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma
i malati. Ora andate e imparate che cosa significhi: “Voglio misericordia, e non
sacrificio”; poiché io non sono venuto a chiamare dei giusti, ma dei peccatori»
(Mt 9,12s). Se Gesù fosse venuto a
chiamare solo gli eletti, i Giudei, essendo popolo eletto e del patto,
avevano le carte in regola e tanto più i Farisei. Ma non fu così.
Dinanzi a
Cornelio e ai suoi amici, Pietro dovette ammettere quanto segue: «Voi
sapete come non sia lecito a un Giudeo di avere relazioni con uno
straniero o di entrare da lui; ma Dio mi ha mostrato che
non devo chiamare alcun uomo immondo o contaminato. […] In
verità io comprendo che Dio non ha
riguardo alla qualità delle persone; ma che in qualunque nazione, chi
lo teme e opera giustamente gli e gradito» (At 10,28.34s). Ciò non lo
salva ma, come nel caso di Cornelio, permette a Dio di rivelarsi a lui, per
mostrargli la via della salvezza.
Paolo, parlando agli Ateniesi, ammise che Dio non è lontano dagli uomini
e che si è mostrato benevolo e clemente verso di loro, durante il corso della
storia, «affinché cerchino Dio, se mai giungano a trovarlo, come a
tastoni» (At 17,25s). Egli arrivò addirittura a chiamare gli uomini
«progenie di Dio» (vv. 28s). Certamente, questo non li salva, ma questo non è
neppure il quadro di uomini completamente inabili, ossia incapaci di cercare e
trovare Dio. Su tale loro ricerca, si può innestare il messaggio dell’Evangelo
(vv. 30s), a cui una parte risponderanno di no (v. 32), e una parte di sì (v.
34). Se gli uomini fossero completamente inabili di cercare Dio, sarebbe una
farsa annunciare: «Cercate l’Eterno, mentre lo si può trovare;
invocatelo, mentre è vicino. Lasci
l’empio la sua via, e l’uomo iniquo i suoi pensieri; e si converta
all'Eterno, che avrà pietà di lui, e al nostro Dio, che è largo nel perdonare»
(Is 55,6; cfr. 2 Cr 15,2; Sal 69,32; Mal 3,1).
Come si vede, se si parte dall’esegesi e non dalle ideologie dogmatiche, ci si
rende conto che la realtà è molto più complessa di quella presentata
dalle ricette dottrinali. Io preferisco lasciare le cose così, anche nella loro
apparenza di antinomie, senza arbitrarie sintesi e senza manipolazioni
partigiane. Pur crescendo nella conoscenza, capiremo sempre in parte rispetto
alla realtà oggettiva, ma sarà sempre la verità a renderci liberi.
Ho tenuto breve il mio intervento, per permettere ad altri d’intervenire.
Che cosa ne pensate? Quali sono al riguardo le vostre esperienze, idee e
opinioni?
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1. {Tonino Mele}
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Credo che l’uomo ha interamente bisogno di
Dio per essere salvato e, in questo senso, la sua depravazione è totale;
però si tratta sempre di un uomo capace di corrispondere a un Dio, che
gli parla, quindi non in «coma vegetativo», come giustamente dice l’articolo.
Una concezione troppo radicale della depravazione umana smarrisce
l’interlocutore dell’Evangelo stesso, cioè l’uomo. Una esegesi rigorosa non
prova la versione più radicale di tale dottrina. Inoltre, accettando questa
dottrina, cambierebbe radicalmente il nostro modo d’intendere non solo
l’antropologia, ma pure la soteriologia, la rigenerazione, la fede,
l’espiazione, l’elezione. {23-10-2013}
2. {Donatella
Nancy Festa}
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Contributo:
Io penso sempre che è Dio, che ci ha amati per primo; e riguardo alla
salvezza c’è scritto che non dipende da chi vuole né da chi corre, ma è Dio che
ci fa misericordia. Pensare che, in fondo, abbiamo qualche merito (a
priori) toglie, secondo me, valore al’opera di salvezza di Gesù. È un po’ come
dire: in fondo non sono tanto malaccio e arrivo a Dio, quando mi pare
(mentre, invece è Dio, che si compiace di rivelare Cristo in noi). Approfitto
per porgervi cari saluti nel Signore! {24-10-2013}
▬
Nicola Martella:
Nessuno ha messo in dubbio l’origine della salvezza e il modo come Dio
salva in Cristo. Non si tratta di questo qui. Magari rileggiti l’intero articolo
sul sito, approfondisci la tematica e poi intervieni nuovamente.
Eccoli alcuni stimoli ulteriori. Le tesi di alcuni sono che l’uomo, essendo «morto»,
quindi completamente inabile, non può udire Dio né comunicare con Lui;
dev’essere prima riportato in vita
(ossia rigenerato) e solo allora potrà ascoltare la voce del Signore e
(cor)rispondergli. Trovi questo nella tua Bibbia? Se Dio parlasse in sogno
(come ci sono varie testimonianze recenti) a mussulmani (ma anche ad altri) e
indicasse loro la via della salvezza in Cristo o almeno come fare per ascoltare
tale messaggio, comprenderebbero essi, oppure Dio non può comunicare con gli
uomini, dato che essi non lo capirebbero, in quanto «morti» e del tutto
inabili a percepire la voce del loro Creatore?
Elihu non aveva dubbi, quando insegnava: «Dio parla una volta,
e anche due, senza che alcuno lo osserva; parla per via di sogni, di
visioni notturne, quando un sonno profondo cade sui mortali, quando sui loro
letti essi giacciono assopiti; allora egli apre i loro orecchi e dà loro in
segreto ammonimenti, per distogliere l’uomo dal suo modo di agire e tenere
lontano da lui la superbia; per salvargli l’anima
dalla fossa, la vita dalla freccia mortale» (Gb 33,14ss). Similmente fece
Dio con persone specifiche in sogno nell’AT (Salomone
1 Re 3,5) e nel NT (Giuseppe Mt 1,20.24; 2,13.19 angelo in sogno), anche
mandando direttamente i suoi messaggeri celesti (cfr.
Zaccaria Lc 1,11ss; Maria Lc 1,30ss; Cornelio
At 10,3). Quindi?
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Donatella Nancy Festa: Sì,
l’avevo letto bene l’articolo e conosco la tematica della completa depravazione
dell’uomo morto nei suoi peccati. Del resto sta scritto: «Voi tutti
eravate morti nei vostri peccati», ma Dio ci ha vivificati in
Cristo (ecco perché ho parlato di salvezza, volevo sottolineare che è Dio, che
opera e tutto parte da Lui, compresa la volontà di comunicare col «morto»). Le
diverse discussioni nascono, per me, dal concetto umano di morte (che
l’uomo vive e concepisce in un modo direi «definitivo e irrimediabile) e dal
concetto divino di morte (che per Dio non è la fine assoluta, ma una condizione
più che riparabile. Non diceva Gesù ai farisei e sadducei: «Voi errate
grandemente, Dio non è il Dio dei morti, ma dei viventi»?). Essere morti nel
peccato, non vuol dire che Dio non ha i mezzi per comunicare con noi,
visto che la sua volontà è sovrana. Dio parla nelle nostre coscienze, con
i mezzi che Lui stesso determina, ed è Lui che suscita in noi il volere e
l’operare. Ora, se la potenza di Dio ha operato sulla morte fisica, è naturale
che operi anche su quella spirituale, rendendo l’uomo capace di accogliere il
messaggio. Egli toglie i cuori di pietra (morti) e mette cuori di carne (vivi).
{25-10-2013}
3. {Nicola
Martella}
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In accordo con
quanto già espresso sopra da altri lettori, faccio notare che non bisogna
abusare del concetto «morto» in senso spirituale, che è solo una similitudine
con i morti materiali. Il concetto di «morto» è applicato, sul piano religioso,
in contrapposizione col «Dio vivente» (anche senza «morto» cfr. 2 Cor
6,16; 1 Ts 1,9). A ciò si aggiunga che la morte opera già nei viventi, a
causa della carne mortale (2 Cor 4,11s).
Allora, stando così le cose, si scopre che anche gli idoli sono «morti»,
perché non hanno sensibilità come un essere vivente (Sal 115,4-8; 135,15-18),
perciò sono considerati dei «cadaveri (o carogne)»
(Lv 26,30; Gr 16,18). Anche le opere sono morte (Eb 6,1) e sono
contrapposte anch’esse al «Dio vivente» (Eb 9,14). Anche la fede senza le
opere è considerata «morta» (Gcm 2,17.26).
Il
paradosso sta nel fatto che Gesù scriveva al conduttore (!) della chiesa di
Sardi, dicendogli: «Io conosco le tue opere: tu hai nome di vivere e sei
morto» (Ap 3,1), raccomandandogli subito dopo: «Sii vigilante e
rafferma il resto, che sta per morire» (v. 2a). Come fa un morto a prestare
attenzione o vigilare (gr. grēgoréō) e a
rafforzare altri moribondi? Come si vede si tratta solo di una metafora.
Che cosa intendesse il Signore, lo spiegò Egli stesso: «Non ho trovato le
opere tue compiute nel cospetto del mio Dio» (v. 2b). Qui si ritorna
quindi alle asserzioni di teologia pratica di Giacomo riguardo alla fede morta,
ossia senza vigore, zelo e virtù. Era un conduttore spiritualmente spento,
circondato di credenti già spiritualmente moribondi; con tale situazione, la
comunità di Sardi era condannata all’auto-estinzione.
In ogni modo, come vediamo, il Signore gli parlò!
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9. {}
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10. {}
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11. {Vari e
medi}
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12. {Vari e
brevi}
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