Un taglio netto alle convenzioni anti-bibliche e pseudo-bibliche, all'ignoranza e alle speculazioni — Ein klarer Schnitt zu den anti-biblischen und pseudo-biblischen Konventionen, zur Unwissenheit und den Spekulationen — A clean cut to the anti-biblical and pseudo-biblical conventions, to the ignorance and the speculations — Une coupe nette aux conventions anti-bibliques et pseudo-bibliques, à l'ignorance et aux spéculations — Un corte neto a las convenciones anti-bíblicas y pseudo-bíblicas, a la ignorancia y a las especulaciones

La fede che pensa — Accettare la sfida nel nostro tempo

«Glaube gegen den Strom»: Für das biblische Unterscheidungsvermögen — «Faith countercurrent»: For the biblical discernment — «Foi contre-courant»: Pour le discernement biblique — «Fe contracorriente»: Por el discernimiento bíblico

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Le diversità possono essere una risorsa oppure diventano un problema.

 

Ecco le parti principali:
■ Entriamo in tema (il problema)
■ Uniti nella verità
■ Le diversità quale risorsa
■ Le diversità e le divisioni
■ Aspetti connessi.

 

Il libro è adatto primariamente per conduttori di chiesa, per diaconi e per collaboratori attivi; si presta pure per il confronto fra leader e per la formazione dei collaboratori. È un libro utile per le «menti pensanti» che vogliano rinnovare la propria chiesa, mettendo a fuoco le cose essenziali dichiarate dal NT.

 

► Vedi al riguardo la recensione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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CHIESA È LADDOVE DUE O TRE SI RADUNANO

NEL NOME DI GESÙ? PARLIAMONE

 

 a cura di Nicola Martella

 

Qui di seguito discutiamo l’articolo «Chiesa è laddove due o tre si radunano nel nome di Gesù? (Mt 18,20)». Di Matteo 18,20 si abusa molto fra coloro, che lo tolgono dal suo contesto naturale e lo usano in modo soggettivo, se non addirittura arbitrario. Tale uso è entrato oramai così nel consenso, che si afferma in modo ovvio che, laddove si radunino due o tre credenti insieme, lì si realizzerebbero immancabilmente la chiesa e la presenza del Signore. Tale abuso di un testo decontestualizzato vale anche per Matteo 18,19, che è anch’esso strumentalizzato fra coloro, che propagano una presunta «potenza della fede».

     Tra coloro, che sono intervenuti, ci sono quelli, che hanno dato la loro valutazione delle cose, senza neppure aver letto l’articolo, ma è bastato loro solo il titolo. Altri, ne avranno letto l’inizio soltanto, visto che ripetono luoghi comuni, a cui ho risposto. Altri ancora non sanno discernere fra l’intenzione esegetica (ciò che Gesù intendeva veramente esprimere nell’intero brano di Matteo 18,15-20) ed eventuali applicazioni derivate, ma partono subito da queste ultime. Poi, come a volte succede e come vedremo, ci sono traduzioni soggettive e poco letterarie, che complicano le cose ai lettori; basta l’aggiunta di una congiunzione o di un avverbio mal tradotto, per falsare l’intenzione reale di una frase.

     Perciò, il confronto su tale brano, è diventato un banco di prova per mettere a fuoco le proprie capacità ermeneutiche ed esegetiche, ossia riguardo a come interpretare correttamente e spiegare. Sono grato per coloro che, nel processo del chiarimento, sono stati pronti ad adeguarsi all’intenzione reale del testo, invece di continuare ad adattarlo all’applicazione, che il consenso vigente gli dà.

 

     Che cosa ne pensate? Quali sono al riguardo le vostre esperienze, idee e opinioni?

Partecipate alla discussione inviando i vostri contributi al Webmaster (E-mail)

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I contributi sul tema 

(I contributi rispecchiano le opinioni personali degli autori.

I contributi attivi hanno uno sfondo bianco)

 

1. Giuseppe Messina

2. Rita Fabi

3. Salvatore Paone

4. Rita Fabi

5. Edoardo Piacentini

6. Luca Matranga

7.  Nicola Martella

8. Pietro Calenzo

9. Nicola Carlisi

10. Samuele Maodda

11.

12. Autori vari

 

Clicca sul lemma desiderato per raggiungere la rubrica sottostante

 

 

1. {Giuseppe Messina}

 

Contributo: La parola «chiesa» deriva dal greco «ekklesìa» che significa «assemblea», «gruppo», «riunione» e certamente non si riferisce a un edificio fatto di mattoni e tegole, bensì a un gruppo di persone radunate per adorare Dio e per mettere in pratica gli insegnamenti di Cristo. «Il Signore del cielo e della terra, non abita in templi costruiti da mani d’uomo» (Atti 17,24).

     Dire la «chiesa di Cristo» equivale a dire «l’insieme di persone che seguono Cristo, che sono di Cristo».

     Anche tre o due, che si separano o escono fuori dal peccato, possono formare una chiesa e partecipare alla promessa del Signore. Pace. {03-07-2012}

 

Risposta 1 (Nicola Martella): Commentare così, specialmente con la tua asserzione finale, un articolo esegetico, mostra che non l’hai letto nella sua interezza o non l’hai letto per nulla, come mostrano i tempi di reazione (ho postato alle 10.52 l’inizio dell’articolo su Facebook e tu hai risposto già alle 11.01!). In tali casi, le brutte figure sono programmate.

     Leggi l’intero articolo, comprendilo e tenta di nuovo una risposta meditata e sensata. Ne avrai beneficio tu e gli altri.

 

Replica (Giuseppe Messina): 1. Ho letto quasi tutto, poi ho chiamato mio fratello, 10 anni missionario con «Cristo è la riposta» di Clark Slone; mio fratello ha visto personalmente il Signore, lo ha salvato da tumore maligno all’ultimo stadio, e da allora ha dedicato la sua vita al Signore, che lo ha benedetto ovunque è andato. La parola chiave della lettura, ha detto mio fratello, è la chiesa; che significa chiesa? Se si comprende che significa chiesa, allora si comprende che anche due o tre, che si radunano nel Signore, il Signore è nel loro mezzo. Gesù disse a Pietro che egli è la roccia della chiesa; quindi, due o tre sono sulla roccia di Cristo, la vera chiesa. Scusami se sono una persona semplice nello scrivere, non ho una buona cultura, ma quello che so l’ho appreso negli anni, ascoltano le predicazioni e leggendo la Bibbia. Pace. {03-07-2012}

     2. Ho risposto in base al titolo: «Chiesa è laddove due o tre si radunano nel nome di Gesù? (Mt 18,20)». Poi, mi sono riportato alal mente il verso, che recita: «Poiché dovunque due o tre son radunati nel nome mio, qui sono io in mezzo a loro» (Mt 18,20).

     Comprendo che è un errore farlo diventare la scusa, per dichiarare così una chiesa! Pace. {03-07-2012}

 

Risposta 1 (Nicola Martella): 1. Che si chieda consiglio a qualcuno più maturo, è sempre una cosa buona. Tuttavia, le esperienze personali (anche miracolose) e le vedute soggettive non sono da sole indice di veracità riguardo ad aver capito e spiegato l’intenzione reale di un brano (qui Mt 18,20) nel suo contesto. Il modo di argomentare nel primo contributo si chiama falso sillogismo: si associa a un verso (qui Mt 18,20) un altro verso, non presente in tale contesto (qui Mt 16,18), e si arrivano a conclusioni, che sembrano logiche, ma che non spiegano il testo iniziale, anzi lo snaturano mediante un’applicazione arbitraria.

     Non basta che in due testi sia presente la stessa parola (qui «chiesa»), ma tali testi devono essere altresì omogenei fra loro, ossia devono affrontare la stessa problematica. Altrimenti si arriva al falso sillogismo: 1. Matteo 18,17 parla di chiesa; 2. Cristo è la roccia della chiesa; 3. Quindi, anche due o tre, che si radunano, sono sulla roccia, che è Cristo, quindi sono chiesa.

     2. Nel secondo contributo apprezzo l’onestà di aver ammesso di essere partito soltanto dal titolo dell’articolo e dal verso in esame, per poi concludere che sia un errore usare tale testo come scusante, per dichiarare due o tre persone riunite di per sé come «chiesa».

 

 

2. {Rita Fabi}

 

Contributo: Concordo con l’esegesi del testo di Matteo 18, in quanto dal versetto 15 alla fine del capitolo parla proprio del perdono delle offese e del contrasto, che può sorgere tra fratelli; per cui il versetto in questione s’intende che parli di chiedere qualcosa in tal senso al Signore. In tale testo si legge, infatti, che se quando due o tre persone stanno chiedendo a Dio di risolvere un problema tra di loro, Lui sarà in mezzo a loro per aiutarli.

     Tuttavia, a me sembra che ci sia la parola «anche» (v. 19: « E in verità vi dico anche…»); nel tale senso, la frase può essere letta anche in maniera che se due o tre, oltre che per quel contesto, si accordano per chiedere una cosa qualsiasi, quella, se è per il bene della chiesa, verrà concessa; e questo perché, dove due o tre si riuniscono nel nome Gesù, sono già una piccola forma di chiesa, e Lui si trova in mezzo a loro.

     È ovvio che tutto ciò possa essere inteso male nel caso, in cui ognuno voglia interpretare la tal cosa per distaccarsi dalla chiesa, intesa come movimento religioso, ed è ovvio che possa essere interpretato male, se uno abusa di tali richieste a scopo di potenza personale. Tuttavia, la chiesa vera va al di là delle denominazioni e, quindi, essa come «Corpo» è formato da credenti salvati da Dio, che possono trovarsi ovunque, quindi anche al di fuori di una qualsiasi denominazione. E in tal senso, sono convinta che, se tali persone si riuniscano nel suo nome per pregarlo, Lui sia davvero con loro. È pur vero che tale interpretazione non debba essere una scusante, per non cercare una chiesa, dove riunirsi con altri fratelli, o per fare riunioni solo online nei casi, in cui la distanza non permetta d’incontrarsi. Tuttavia, è pur vero, però, che di vere chiese, che rispettano la Parola di Dio, se ne trovano sempre meno, perché troppi ormai ricercano solo potenza e carismi vari, al di là della coerenza biblica, dell’umiltà e del vero evangelo. Questo è ciò, che vedo io, caro Nicola. Pace... che Dio ti benedica. {03-07-2012}

 

Risposta (Nicola Martella): La sintassi non dev’essere un’opinione. Gesù non disse: «E in verità vi dico: se due di voi… anche quella sarà loro concessa…». Egli disse, in realtà: «Pàlin amēn légō hymîn», ossia «Di nuovo veramente vi dico:…» o «In verità vi dico nuovamente» (v. 19). C’è una bella differenza; non esiste per nulla «anche» (qui la Rv e la NR hanno «toppato»!). L’espressione «di nuovo veramente vi dico» significa semplicemente: «Ve lo ripeto di nuovo». Ciò mostra che Gesù non voleva ampliare il discorso ad altro, ma ribadire maggiormente quanto già affermato; è in tale contesto che due si possono accordare, siano essi i contraenti, siano essi i giudicanti nella chiesa (conduttori, fratelli maturi, ecc.). A ciò si aggiunga che il «poiché» porta la motivazione finale e conclusiva all’intero discorso precedente.

     Quindi Gesù non ha affermato per nulla che «dove due o tre si riuniscono nel nome Gesù, sono già una piccola forma di chiesa»; questa è una deduzione e, come tale, non si basa sull’evidenza testuale. Che i credenti biblici possano ritrovarsi ovunque, è vero e legittimo, ma non può essere tratto da tale contesto. Tanto meno può essere un alibi la presunta mancanza di «vere chiese», per non cercarne o, in alternativa, per non aprire proprio casa propria per un punto di testimonianza. Guardiamoci dalla «sindrome di Elia»! Essa porta solo al «burn out» o esaurimento spirituale e alla via del deserto.

 

 

3. {Salvatore Paone}

 

Contributo: Personalmente non credo che le parole di Gesù in Matteo 18,20 indicassero qualcosa, a cui potersi aggrappare per definirsi chiesa quale assemblea o adunanza. In tali versi, secondo quanto ho percepito già da tempo, Gesù vuole far capire che, dove due o tre persone (credenti) si riuniscono, Egli è nel mezzo; e in tal modo darebbe pure l’approvazione, dove due si accordano in qualsiasi decisione, che si prende, Dio approverebbe e, in qualche modo, interverrebbe in un modo miracoloso.

     Pensate agli apostoli; quando andavano a predicare il Vangelo, spesso si ritrovavano nella condizione di dover prendere delle decisioni importanti, perciò pregavano, e «Gesù era in mezzo a loro», inteso come approvazione di una scelta.

     Oggi, tale versetto viene spesso applicato da alcuni fratelli, per incoraggiare una piccola comunità, che magari ha pochi membri, e si dice: «Non scoraggiatevi dove due o tre persone sono radunate, Gesù è nel loro mezzo». Io rispondo: «Gesù è nel nostro cuore». Poiché Egli ha detto: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola; e il Padre mio l’amerà, e noi verremo a lui e faremo dimora presso di lui» (Gv 14,23)

     Gesù è sempre con noi, la sua presenza è sempre nella nostra vita; siamo noi che ci allontaniamo e sprechiamo del tempo prezioso lontani da Dio, ma Egli è sempre con noi. Quindi, credo fermamente che il versetto citato nella nota, sia indicato non tanto per cercare il numero di persone per essere chiesa, piuttosto per farci capire che, dove due o tre fratelli si accordano per domandare qualcosa a Dio, Egli è nel loro mezzo, inteso come approvazione. Poi sta a noi di chiedere cose, che siano inerenti al regno di Dio. {03-07-2012}

 

Risposta (Nicola Martella): Salvatore Paone, a questo punto mi devo chiedere se hai letto l’intero articolo. E, se lo hai fatto, mi meraviglio che tu non abbia capito tale testo (Mt 18,19s) nel suo contesto, visto che esuli da quest’ultimo e interpreti tali versi mediante una spiritualizzazione, che fa perdere il senso, che Gesù intendeva esprimere. Da un contesto specifico di intervento disciplinare nella chiesa locale anche tu lo hai fatto diventare un incontro qualsiasi fra credenti. Da una richiesta specifica di sapienza e discernimento al Signore, per capire e risolvere una tal problema fra due credenti, anche tu lo hai fatto diventare un accordo qualsiasi fra due credenti.

     Che dire della teologia del «Gesù è nel nostro cuore»? È tipica del devozionalismo spiritualista. Tale pseudo dottrina, mutuata dall’umanesimo cristianizzato, non si trova mai nel NT. Col cuore si ama il Signore (Mt 22,37). I credenti possono «attenersi al Signore con fermo proponimento di cuore» (At 11,23). Il Signore può aprire il cuore a qualcuno, per renderlo attenta alle cose dette da chi annuncia la Parola (At 16,14). Col cuore si crede che Dio ha risuscitato Gesù dai morti (Rm 10,9). È la «parola di Cristo», che deve abitare nei credenti abbondantemente (Col 3,16). Un credente, facendo del bene, può ristorare o rasserenare il cuore d’un altro credente in Cristo (Flm 1,20). Certo Paolo affermò: «È Cristo che vive in me» (Gal 2,20), ossia Cristo è presente nella mia esistenza con la sua vita, cosicché io possa vivere «nella fede nel Figlio di Dio». Ma ciò è distante dalla dottrina umanistica cristianizzata del «Gesù è nel nostro cuore».

     Forse fai bene a rileggere l’intero articolo e a formulare meglio il tuo prossimo contributo. {03-07-2012}

 

Replica (Salvatore Paone): Rileggendo il testo Matteo 18 ed esaminandolo verso per verso e rileggendo sul sito l’articolo del fratello Nicola Martella, devo per forza correggermi. Tale contesto fa intendere realmente che si tratta di situazioni disciplinari all’interno della chiesa; si tratta di guide, che hanno cura del gregge in tutti gli aspetti disciplinari, e nelle loro decisioni il Signore Gesù è in mezzo a loro. Spero di aver centrato il tema in discussione.

     Chiedo scusa di aver scritto precedentemente senza aver letto l’intero articolo, ma mi sono basato sull’istinto umano. Spero che mi perdonerete... ☺ {04-07-2012}

 

 

4. {Rita Fabi}

 

Contributo: Nicola, ma allora come ci deve comportare quando non si ha una conoscenza del greco e ci si fida delle traduzioni? Su chi ricade la colpa di una cattiva interpretazione in tal caso? Infatti, in effetti, la versione greca del versetto cambia totalmente il quadro interpretativo. Non tutti hanno le capacità di tradurre dal greco; e per questo ti ringrazio del tuo lavoro, perché a quanto vedo non molti dei cosiddetti «pastori di Facebook» interpretano nel giusto contesto questi versi, forse basandosi come me sulla versione italiana; anzi, lo usano per dare adito alla potenza di chiedere qualcosa, quando si è più di uno insieme. Grazie, e che Dio ti benedica, pace. {03-07-2012}

 

Risposta (Nicola Martella): Quando non si sa il greco, è meglio consultare diverse traduzioni in lingua italiana (ed estera per chi conoscono altre lingue), prima di fare un ragionamento basato su una congiunzione, un avverbio o una certa locuzione. Già questo può far accendere le spie d’allarme e può portare a una maggiore cautela e a un maggiore approfondimento.

     Per questo ci viene ingiunto, per piacere a Dio e non essere operai confusi (e confondenti), di «tagliare rettamente la Parola della verità» (2 Tm 2,15). Infatti, come recita un proverbio: «Il diavolo sta sempre nel dettalio»; parimenti le false dottrine partono sempre da «pulci» decontestualizzate e presentate come «elefanti» dottrinari (cfr. la presunta differenza fra «logos» e «rhema»; la necessità del battesimo per la salvezza tratta da Mc 16,16, ossia da un testo non presente nei più antichi manoscritti; e così via).

 

Replica (Rita Fabi): Grazie, Nicola. È proprio vero, concordo in pieno, che fidarsi è bene, ma non fidarsi è meglio; e nel caso della Parola di Dio questo vale il doppio, in quanto è sempre bene consultare il più possibile le varie versioni, se si è nel dubbio. Purtroppo, a volte, è che il dubbio non sempre sorge, e invece è bene farlo sempre. Pace e grazie ancora per avermi coinvolta nella discussione; infatti, almeno questo contesto biblico ora lo vedo con occhi diversi. {03-07-2012}

 

 

5. {Edoardo Piacentini}

 

Contributo: Indubbiamente, il contesto in cui Gesù afferma: «Ancora io vi dico che, se due di voi si accordano sulla terra per domandare qualunque cosa, questa sarà loro concessa dal Padre mio che è nei cieli. Poiché dovunque due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro» (Matteo 18,19-20), è quello descritto da Nicola Martella. Gesù afferma queste cose, mentre discute della riprensione fraterna, che deve precedere il perdono, che sempre i credenti devono essere disposti a concedere per i falli che ricevono. Ma ciò non toglie che certe espressioni di Gesù si possano applicare anche in altri contesti, quando ciò non è in contraddizione con la sua dottrina, vale a dire con quegli insegnamenti che troviamo scritti nella Parola di Dio su quegli argomenti specifici.

     Al verso 19 Gesù dice che se due si accordano a chiedere «qualunque cosa» al Signore Egli lo concederà. Questo vuol dire certo che il Padre concede il suo perdono a chi ha peccato contro un fratello, quale conseguenza del suo ravvedimento e dell’accordo raggiunto a seguito della riprensione fraterna ricevuta; ciò vale sempre che i due, colui che ha offeso e colui, che ha ricevuto l’offesa, si chiariscano e preghino di comune accordo al Signore per ristabilire la comunione con Lui, dopo aver ristabilito la comunione fraterna tra di essi. Tuttavia, Gesù allarga il concetto con l’espressione «qualunque cosa», per cui il soggetto della preghiera che il Padre esaudisce può riguardare anche un motivo diverso da quello indicato dal contesto, in cui Egli pronuncia questa frase.

     Lo stesso dicasi per il verso 20, dove il Signore afferma che, dove due o tre sono riuniti nel suo nome, Egli è presente tra di loro. Ciò non vale solo per esaudire la preghiera, che riconcilia i due o tre credenti, che hanno avuto un disguido, ma anche quando essi si riuniscono per offrire un culto di lode e di adorazione al Signore, o si riuniscono per evangelizzare o per pregare su altri soggetti o per svolgere qualche altro servizio al Signore. Infatti, Gesù, ad esempio, mandava i suoi discepoli a evangelizzare a due alla volta. Pietro e Giovanni vanno in Samaria insieme per pregare, affinché i Samaritani ricevano il dono dello Spirito Santo. Lo Spirito Santo stesso apparta Paolo insieme a Barnaba per quel primo viaggio missionario tanto benedetto da Dio, ecc. L’apostolo Paolo, anzi, si lamenta che quando fu processato a Roma, alla sua prima difesa fu lasciato solo (2 Timoteo 4,16). E lo stesso Gesù, nel Salmo 22, che è un salmo profetico, è dispiaciuto anche perché tutti lo hanno abbandonato, persino il Padre. La forza della chiesa dipende anche dall’unione dei credenti, e grazie anche a questa «le porte dell’inferno non la potranno vincere» (Matteo 16,18). Dio ci benedica. {04-07-2012}

 

Risposta (Nicola Martella): La mia risposta si trova nel punto ► 7.

 

 

6. {Luca Matranga}

 

Contributo: Sono d’accordo con la maggior parte di quello che dici. Mi sembra un poco debole invece la parte dove spieghi il significato di Matteo 18,19-20. Infatti, il contesto è inequivocabilmente quello della disciplina di chiesa, ma il tenore di questi versi (più il verso18) hanno, nella mia opinione, un ambito più universale. Lasciando perdere gli abusi, che sono facilmente individuabili (chi si separa cerca la propria soddisfazione...), il fatto che il Signore abbia garantito la sua presenza anche in riunioni così esigue, non è meraviglioso? Non è molto incoraggiante per delle realtà, che stanno iniziando, avere questa rassicurazione e questo incoraggiamento da parte di Dio? Ed il fatto che possiamo chiedere qualunque cosa questo, non ci parla della natura di Padre di Dio? («Chi di voi se il figlio gli chiede un pane gli da un sasso»). Per questi motivi credo di non sbagliare, se applico questi versi in maniera più «larga», salvo essere d’accordo con te che è possibile esagerare e piegare questi versetti a dei modi di fare non molto corretti e giusti. {05-07-2012}

 

Risposta (Nicola Martella): La mia risposta si trova nel punto ► 7.

 

 

7. {Nicola Martella}

 

Qui faccio alcune osservazioni e obiezioni ai due contributi precedenti. Per ogni brano, quindi anche per Matteo 18,15-20, bisogna distinguere fra evidenze testuali (esegesi) ed eventuali applicazioni.

     ■ Il tenore esegetico di un brano non può che essere uno soltanto. Qui la procedura di intervento disciplinare graduale, il possibile rifiuto di uno dei due contraenti e il verdetto della chiesa per il reo (questi può essere considerato come un pubblicano e peccatore) sono chiari. In tipica mentalità ebraica, Gesù diede dapprima i fatti salienti e poi tornò sull’argomento, dando altri particolari: sciogliere e legare; accordarsi dinanzi a Dio per supplicarlo, perché Egli mostri la realtà delle cose; riunirsi alla presenza di Gesù, per analizzare i fatti, per addivenire a una diagnosi e per formulare un verdetto secondo verità e giustizia.

     ■ L’applicazione principale è qui, in casi di controversie del genere, di fare in modo simile. Varie volte ho sperimentato l’intervento del Signore in interventi del genere, laddove sembrava che tutto si fosse «ingrippato» in modo irreversibile. Arrivare a poter sciogliere (dichiarare innocente) e legare (dichiarare colpevole), richiede proprio tale supplicare insieme Dio, perché Egli mostri il suo pensiero in merito e la sua volontà. Similmente avviene nella cura pastorale.

     ■ Poi, ci sono applicazioni secondarie, alcune palesi, altre singolari. Esse, più che rispecchiare il testo in esame, se ne servono, non senza strapazzarlo. Che due credenti possano accordarsi per un progetto positivo, fare un cammino di fede insieme e servire insieme, è cosa buona, ma non deriva direttamente da questo testo; ce ne sono ben altri per evidenziare questa realtà. Che due o tre credenti, specialmente se isolati, s’incontrino per lodare Dio e onorare Cristo, è una cosa positiva, specialmente se la loro vita rispecchia i comandamenti del Signore, e chiaramente il Signore vuole far sentire la sua presenza; tuttavia, ciò non è deriva dalla diretta esegesi di Matteo 18,20 nel suo contesto, ma è una generale applicazione, secondo il generale principio: «Se Gesù è presente in una particolare situazione di disciplina di chiesa, lo è anche negli incontri normali».

     ■ A ciò si aggiungano anche tutte quelle applicazioni deleterie: mi scrivono e mi telefonano credenti, che si fregiano del titolo di «pastore», dopo essere fuoriusciti da un’altra chiesa e aver raccolto intorno a sé due o tre altre persone, magari proprio di tale chiesa. A loro fa comodo che ci sia Matteo 18,20, su cui basarsi in modo strumentale. Per non parlare di persone espulse da una chiesa per gravi peccati e che, invece di ravvedersi, continuano a vivere nel peccato, ma s’incontrano lo stesso insieme, basandosi specialmente su versi che esprimono l’amore di Dio e su testi come Matteo 18,20.

     ■ Tutto ciò mostra come sia importante distinguere fra esegesi contestuale e possibili applicazioni. In caso contrario, ogni testo diventa un pretesto per il soggettivismo e l’arbitrio; e a rimetterci è proprio la verità, quella che rende liberi.

 

Replica (Edoardo Piacentini): All’inizio, una comunità di credenti può essere anche formata da poche persone, ma se c’è l’approvazione di Dio, questa crescerà sicuramente sia numericamente sia spiritualmente. Beninteso, il verso di Matteo 18,20 si riferisce, in particolare, alla riprensione fraterna, che va sempre esercitata con amore e con lo scopo d’incoraggiare chi è caduto in qualche fallo. Se questo è il motivo della riprensione, Dio concederà senz’altro la riabilitazione del credente pentito, esaudendo la preghiera di chi è caduto, unita a quella di chi ha esortato il fedele a ravvedersi. Dio ci benedica. {07-07-2012}

 

 

8. {Pietro Calenzo}

 

Mai, forse, nota esegetica fu più adeguata, per gli aficionado a improbabili scismi e per coloro, che ipotizzano o che arrogano a se stessi eventuali prerogative spirituali eccellenti ed eccedenti ben al di sopra della assemblea di appartenenza. In un mondo evangelico, o evangelicale, dove le denominazioni prolificano non tanto per aumento del gregge di Dio, ma per divisioni, ribadisco, caro Nicola, la tua nota è quanto mai terapeutica.

     Partendo dall’intero contesto del capitolo da te esaminato, trova conferma un piccolo pensiero presente nella mia mente. Il Signore non desidera tanti isolotti, ma un arcipelago d’isole ben collegate fra esse, sì da favorire anche l’approdo esterno (da parte dei non credenti). In una prima fase della rigenerazione di due o tre credenti, magari in piccoli centri, ciò può verificarsi, ma necessita subito, o quanto prima, una cura pastorale e, perché no, anche diaconale; si necessita anche di dottori, che innestino i neofiti nel corpo di Cristo di un’assemblea locale, per una sana e scritturale crescita comunitaria e spirituale. Concludo, dichiarando ciò, che il Padre santo ama ascoltare dai suoi figli: «Padre nostro, che sei nei cieli...», e non tanto o in misura minore: «Padre mio, che sei nei cieli...». Dio ti benedica, Nicola, shalom. {05-07-2012}

 

 

9. {Nicola Carlisi}

 

Contributo: Dove due o tre sono riuniti nel suo nome (Mt 18,20), non costituiscono una «chiesa», ma semplicemente uno stesso pensiero guidato dallo Spirito Santo, per cui Gesù è presente. Abbiamo l’esempio di Pietro e Giovanni, che salivano al tempio, dove alla porta detta Bella vi era un uomo zoppo che chiedeva l’elemosina. «Pietro, fissando in lui lo sguardo, come fece anche Giovanni, disse: “Guardaci!”. E quello li guardava attentamente, aspettandosi di ricevere da essi qualche cosa. Ma Pietro disse: “Non ho né argento né oro; ma quello che ho, te lo do: nel nome di Gesù Cristo il Nazareno, cammina!”» (Atti 3,1.7). Pietro e Giovanni erano della stessa volontà, invocarono la presenza di Gesù, e Gesù fu presente, ristabilendo le caviglie dello zoppo. {07-07-2012}

 

Risposta (Nicola Martella): Con tutto rispetto, ma le cose dette qui, sebbene interessanti, non sono una spiegazione di Matteo 18,15-20. Ciò che avvenne a Pietro e Giovanni, fu un’azione spontanea, guidata da Dio. Non si parla di un accordo preventivo in preghiera fra loro, né che avessero invocato presenza di Gesù. Essi non affrontarono un caso pastorale o disciplinare della chiesa, in cui due credenti erano in disaccordo e per cui i due o più giudicanti chiedevano a Dio saggezza. È semplicemente tutta un’altra cosa.

 

 

10. {Samuele Maodda}

 

Ho letto tutto, studio preliminare e contributi. Dico solo grazie. Anche io finora ho sempre interpretato il verso in questione in maniera errata. Ma grazie a Dio prima di tutto, e poi anche a te, fratello Nicola, adesso ho capito. Su quanto riguarda invece il verso 19, sull’accordarsi per chiedere qualunque cosa, nonostante abbia sentito più e più volte chi si è appellato a esso per chiedere qualcosa a Dio e «credere» di riceverla, ho sempre provato della sana repulsione. Dio è sovrano! E mi da fastidio ogni forma di reclamo nei suoi riguardi. Tanti possono pensare che manco di fede (e magari lo fanno), ma sono contento di leggere una spiegazione a quel verso, la cui interpretazione ricevuta finora sentivo non poter essere corretta. Grazie anche a tutti voi, che con i vostri contributi date voce agli eventuali dubbi, che potrebbero sorgere nella mente di ciascuno di coloro, che leggono. Saluti fraterni, da Samuele. {07-07-2012}

 

 

11. {}

 

 

12. {Autori vari}

 

Fortuna Fico: Semplicemente grazie! Grazie per avermi spronato a leggerti, anche quando certe cose le reputavo non alla mia altezza. Grazie perché mi hai detto che il mio cervello si sarebbe addormentato, se non lo avessi sforzato a capire. Grazie al Signore per il dono del fratello Nicola!

     Nicola sai quante volte ho letto questo brano, e sai quante volte ho dato per scontato il significato, che mi era stato inculcato dal versetto estrapolato dal contesto? Ermeneutica ed esegesi erano termini a me sconosciuti, ma grazie a Dio, internet ha allargato i miei limitati orizzonti; e ciò è avvenuto grazie a fratelli che, attraverso questo strumento, c’insegnano le profonde verità della Parola! Gloria al Signore! {03-07-2012}

 

Antonio Capasso: Ottimo studio, Nicola. Effettivamente, tante volte diamo per scontato ciò, che comunemente si afferma, senza fare un esegesi accurata del testo. Dio ti benedica. {03-07-2012}

 

Claudia Biscotti: A questo punto io mi chiedo: Perché non si «discepola» il nuovo convertito? Perché non lo si manda alla scuola del Signore? Credo sia indispensabile un periodo di discepolato (come lo fece Saulo), al fine di evitare errori, che verranno di conseguenza tramandati. Grazie, Nicola, per questo chiarimento. {03-07-2012}

 

► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_Dot/T1-Chiesa_due-tre_UnV.htm

04-07-2012; Aggiornamento: 08-07-2012

 

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