Šema`
jiśrā’ēl JaHeWëH
’ëlōhênû JaHeWëH
’ëḥād
(Ascolta, Israele: l’Eterno, nostro Dio, l’Eterno è uno)
Nota redazionale:
Apprezzo lo sforzo di Argentino Quintavalle per aver affrontato questa specifica
questione. Personalmente non concordo con tutte le sue tesi. Nelle mie note
redazionali mi limito a brevi interventi e soprattutto a indicare le opere in
cui esprimo altri punti di vista o in cui affronto, discuto e critico alcuni
aspetti delle stesse concezioni espresse dall’autore. {Nicola Martella} |
Un rabbino di Philadelphia ha scritto: «I cristiani hanno naturalmente il
diritto di credere in una concezione trinitaria di Dio, ma i loro tentativi di
basare questa concezione sulla Bibbia ebraica devono chiudere gli occhi alla
schiacciante testimonianza di questa Bibbia. Le Scritture ebraiche sono chiare e
inequivocabili riguardo all’unità di Dio. La Bibbia ebraica afferma l’unità di
Dio; il monoteismo e una fede intransigente in un unico Dio sono il marchio di
garanzia della Bibbia ebraica, l’affermazione più decisa del giudaismo e
l’incrollabile fede del Giudeo».
Se i cristiani sono accusati d’essere politeisti o triteisti e se anche è
ammesso che il concetto cristiano della Trinità (nel senso di tri-unità) è una
forma di monoteismo, un elemento ricorre sempre: non si può credere nella
Trinità ed essere Giudeo. Quello che i cristiani credono essere monoteismo, non
è ancora abbastanza monoteistico per essere considerato come vero dal giudaismo.
L’articolo del rabbino sopraccitato riflette quest’opinione.
Egli continua a dire: «...da nessuna parte il concetto d’una pluralità o d’una
trinità della Deità può essere trovata nella Bibbia ebraica». È bene allora
iniziare con la vera fonte della teologia giudaica e con l’unico mezzo di prova:
le Scritture ebraiche (Vecchio Testamento).
Uno degli ostacoli più grandi che trattengono gli ebrei ad accettare Gesù come
loro Signore e Salvatore è la loro riluttanza a credere che Gesù abbia una
natura soprannaturale. Inoltre, essi sono stati istruiti, sin da giovani,
secondo i tredici principi di Maimonide, uno dei quali è il seguente: «Io credo
fermamente che il Creatore, benedetto sia il Suo Nome, è Uno: non c’è un altro
come Lui; Egli era, è e sarà sempre il nostro Dio».
Gli ebrei sono stati abituati a pensare che se credono che Dio sia Uno, allora
quest’idea esclude qualsiasi idea che Dio possa manifestare se stesso attraverso
Gesù il Messia. Hanno sempre pensato che il concetto cristiano della tri-unità
di Dio fosse un’idea gentile e pagana. Ma
non è così! I cristiani come pure gli ebrei devono credere in un Unico
Dio. Non ce n’è un altro. Il Dio d’Abrahamo, Isacco e Giacobbe è il Dio del
popolo ebraico e dei cristiani. Le Scritture del Vecchio Testamento sono
autorevoli sia per il giudeo che per il cristiano.
1. TRI-UNITÀ NEL TANACH
(Vecchio Testamento): Mentre è universalmente ammesso, sia dai giudei
che dai cristiani, che Dio è Uno e che non c’è nessuno accanto a Lui, dobbiamo
riconoscere che la tri-unità di Dio è insegnata nella Torà, nei Profeti e negli
Scritti — l’intero Tanach — il Vecchio Testamento. Non solo nel Tanach ma anche
nelle opere talmudiche e rabbiniche questo concetto è ben noto.
1.1. DIO
È UNA PLURALITÀ
■ Il nome Elohim: Si è d’accordo che Elohim è un sostantivo plurale e che
l’«im» finale indica il plurale maschile. La parola Elohim è utilizzata per il
vero Dio in Gn 1,1, «Nel principio Dio creò i cieli e la terra», ed è
utilizzata anche in Es 20,3, «Non avere altri dèi (Elohim) nel mio
cospetto», e in Dt 13,2, «Andiamo dietro a dèi (Elohim) stranieri…».
Mentre l’uso del plurale non prova una tri-unità, apre certamente la porta a una
dottrina della pluralità nella Deità, dato che la parola è utilizzata sia per il
vero Dio e sia per i molti falsi dèi.
■ Verbi plurali utilizzati con Elohim: Tutti gli studiosi ebrei
riconoscono che la parola Elohim è un sostantivo plurale. Tuttavia, essi negano
che ciò permetta di credere a una pluralità nella Deità. Di solito, il loro
ragionamento è questo: quando «Elohim» è utilizzato per il vero Dio, è seguito
da un verbo singolare; quando è utilizzato per i falsi dèi, è seguito da un
verbo plurale. Il rabbino sopraccitato lo dichiara in questi termini: «Ma,
infatti, il verbo utilizzato nel verso d’apertura della Genesi è “bārā’”, che
significa “creò” — singolare. Non è una cosa così difficile per uno studente
d’ebraico capire che il verso iniziale della Genesi parla chiaramente di Dio al
singolare».
L’osservazione fatta, in generale è vera, poiché la Bibbia insegna che Dio è un
solo Dio, e quindi, la struttura generale è quella d’avere un sostantivo plurale
seguito da un verbo singolare quando si parla del vero Dio. Tuttavia, ci sono
brani dove la parola è utilizzata per il vero Dio ma è seguita da un verbo
plurale:
● Gn 20,13: «Or quando Dio (Elohim) mi fece errare lungi
(letteralmente: Essi mi fecero -
hit`û) dalla casa di mio padre…».
● Gn 35,7: «…perché qui Dio (Elohim) gli era apparso
(letteralmente:
Essi gli erano apparsi - niglû)».
● 2 Sm 7,23: «…Dio (Elohim) sia venuto (letteralmente:
Essi sono venuti - hālekû)».
● Sal 58,11: «Certo c’è un Dio (Elohim) che giudica
(letteralmente:
Essi giudicano - šōpetîm)».
■ Il nome Eloah: Se la forma plurale Elohim fosse l’unica forma
disponibile per riferirsi a Dio, allora si potrebbe asserire che gli scrittori
delle Scritture ebraiche non avevano altra alternativa che utilizzare la parola
Elohim sia per il vero Dio che per i molti falsi dèi. Tuttavia, esiste la forma
singolare d’Elohim (Eloah) ed è utilizzata in passaggi come Dt 32,15-17 e Hb
3,3. Si sarebbe potuto utilizzare questa forma singolare in tanti altri casi.
Essa ricorre solo 250 volte, mentre la forma plurale è utilizzata 2.600 volte.
Il maggiore uso della forma plurale volge l’argomento a favore della pluralità
nella Deità piuttosto che contro d’essa.
Nota redazionale:
Se si fa un confronto con la Septuaginta, la traduzione greca dell’AT (3° sec.
a.C.) — essa traduce il testo consonantico (cfr. i rotoli di Qumran), quindi
antecedenti alla revisione masoretica del primo Medioevo — si prenderà atto che
essa non ha fatto alcuna differenza fra Eloach
(sg.) ed Elohîm (pl.), quando sono riferiti al Dio del patto, traducendoli
ambedue con Theós e usando sempre i verbi al singolare, anche quando in ebraico
c’è occasionalmente il plurale (!). |
■ Pronomi plurali: Un altro caso da osservare
nella grammatica ebraica è che spesso, quando Dio parla di se stesso, utilizza
il pronome plurale: «Poi Dio (Elohim)
disse: “Facciamo l’uomo a
nostra
immagine e a nostra
somiglianza”» (Gn 1,26).
Difficilmente avrebbe potuto fare riferimento agli angeli poiché l’uomo è stato
creato a immagine di Dio e non a immagine d’angeli. Il Midrash Rabbah su Genesi
riconosce la forza di questo passaggio e commenta come segue: «Rabbi Samuel Bar
Nahman, a nome di Rabbi Jonathan, ha detto che quando Mosè scriveva la Torà, e
scriveva una parte d’essa ogni giorno, quando giunse al verso che dice, “e
Elohim disse: facciamo l’uomo a nostra immagine e a nostra somiglianza”, Mosè
disse: Padrone dell’universo, perché dai qui una scusa ai settari (che credono
nella tri-unità di Dio)? Dio rispose a Mosè: Tu scrivi che chiunque vuole errare
sarà lasciato errare» (Midrash Rabbah su Gn 1,26).
È evidente che il Midrash Rabbah prova semplicemente a girare intorno al
problema e non è in grado di dare una risposta adeguata al fatto che Dio parla
di se stesso al plurale. Sicuramente Dio non ha fatto scrivere a Mosè le
Scritture per fare in modo che la gente sbagli, ma piuttosto per mostrare la via
giusta e la rivelazione giusta, cioè che Dio è Uno e che Dio è trino e che
chiama se stesso Elohim e che dice: «facciamo l’uomo». Quando Dio
(Elohim) creò il mondo, ha voluto rendere assolutamente chiaro che la creazione
non rispecchia un principio matematico unitariano. Elohim ha creato l’uomo come
un essere composto d’una tri-unità – un corpo, un’anima e uno spirito,
all’immagine di Dio; e per rendere questo più chiaro Dio rivela se stesso nella
forma plurale Elohim e dice, «Facciamo l’uomo».
L’uso del pronome plurale lo si trova anche in:
● Gn 3,22: «Poi l’Eterno Dio (Jahwè Elohim) disse: “Ecco, l’uomo è
diventato come uno di Noi”».
● Gn 11,7: «Orsù, Scendiamo e Confondiamo quivi il loro linguaggio».
● Is 6,8: «Poi udii la voce del Signore che diceva: “Chi manderò? E chi andrà
per Noi?”»
In quest’ultimo versetto sembra esserci una contraddizione tra il singolare «Io»
(manderò) e il plurale «chi andrà per noi», a meno che non prendiamo in
considerazione una pluralità (noi) in una unità (io).
■ Descrizioni plurali di Dio: Un altro punto che risalta dall’ebraico, è
il fatto che i sostantivi e gli aggettivi utilizzati nel parlare di Dio sono
spesso plurali. Alcuni esempi sono i seguenti:
● Sal 149,2: «Si rallegri Israele in Colui che lo ha fatto»
(letteralmente:
Coloro che lo hanno fatto - be`ōśājw).
● Gs 24,19: «…un Dio santo…» (letteralmente: DII SANTI - ’ëlōhîm
qedōšîm).
● Is 54,5: «Il tuo Creatore è il tuo sposo» (letteralmente: CREATORI,
SPOSI -
`ōśajik, bō`alajik).
Tutto quello che abbiamo detto finora si basa esclusivamente sulla lingua
ebraica delle Scritture. Se basiamo la nostra teologia solo sulle Scritture,
dobbiamo dire che se da una parte affermano l’unità di Dio, nello stesso tempo
tendono verso il concetto di un’unità composta che consente una pluralità nella
Deità.
■ Lo Šema`: Dt 6,4: «Ascolta, Israele: l’Eterno, il nostro
Dio, l’Eterno è uno».
Dt 6,4, conosciuto come Šema`, è stato da sempre la grande
confessione d’Israele. Questo verso, più di qualsiasi altro, è utilizzato per
affermare il fatto che Dio è uno, ed è spesso utilizzato per contraddire il
concetto di pluralità nella Deità. Ma è valido l’uso che viene fatto di questo
verso?
Deve essere subito notato che le parole «il nostro Dio», nel testo ebraico sono
nella forma plurale (’ëlōhênû), e letteralmente vogliono dire: «i
nostri Dèi». Tuttavia, l’enfasi principale è nella parola «uno», in ebraico
’eḥād. Uno sguardo nel testo ebraico, dove la stessa parola viene
utilizzata altrove, mostra subito che la parola ’eḥād non significa
«uno» in senso assoluto, ma «uno» in senso composito.
Per esempio, in Gn 1,5 la combinazione di «sera e mattina» costituiscono un
giorno (’eḥād). In Gn 2,24 un uomo e una donna s’uniscono insieme in
matrimonio e i due «saranno
una stessa carne» (’eḥād). In Esd 2,64 ci è detto della
«radunanza tutt’assieme» (’eḥād), ma naturalmente era composta da
numerosa gente. Ez 37,17 fornisce uno straordinario esempio dove due bastoni
sono accostati l’uno all’altro per farne un solo pezzo (’eḥād).
Così, l’uso della parola ’eḥād, nelle Scritture, mostra d’essere
un’unità composta e non assoluta.
C’è una parola ebraica che indica l’unità assoluta, ed è jeḥîd,
che si trova in molti passi (Gn 22,2,12; Gdc 11,34; Sal 22,20; 25,16; Pr 4,3; Gr
6,26; Am 8,10; Zc 12,10) in cui il significato è «unico». Se Mosè voleva
insegnare l’unità assoluta di Dio, in opposizione all’unità composta, questa
sarebbe stata una parola di gran lunga più appropriata. Infatti, Maimonide ha
notato la forza di «jeḥîd» e ha scelto d’usare questa parola
nei suoi «Tredici articoli di fede» al posto di ’eḥād. Eppure, Dt 6,4
(lo Šema`) non utilizza «jeḥîd» in riferimento a
Dio.
Nota redazionale: Per l’approfondimento della tematica, per la
rappresentazione di altri aspetti della questione e per una diversa
interpretazioni di questi elementi rispetto alle tesi sopra esposte, cfr. queste
opere:
■ Nicola Martella, Esegesi delle origini,
Le Origini 2 (Punto°A°Croce, Roma 2006), pp. 13s (’ëlōhîm in Gn
1,1); pp. 74s («Facciamo…» in Gn 1,26 quale «plurale della
deliberazione» o
«plurale
della
solennità»); p. 258 («come uno di noi» in Gn 3,22).
■ Nicola Martella, «Dio nella Genesi», Temi delle origini,
Le Origini 1 (Punto°A°Croce, Roma 2006), pp. 15-19 (’ëlōhîm, ’ëlôach,
Jahwè ’ëlōhîm e altri nomi di Dio).
■ Nicola Martella,
Manuale Teologico dell’Antico Testamento (Punto°A°Croce, Roma 2002): «Tremendo», pp. 365ss (’ëlōhîm);
«Dio: pluralità», pp. 141s; cfr. qui anche per l’antropologia biblica:
«Antropologia 3: componenti principali», pp. 89s. |
1.2. DIO È ALMENO DUE: Elohim e Jahwè sono applicati a
due Personalità. Come per rendere più forte l’idea della pluralità, ci sono
situazioni nelle Scritture ebraiche dove il termine Elohim è applicato a due
personalità nello stesso verso.
Un esempio è Sal 45,6s: «Il tuo trono, o Dio, è per ogni eternità; lo scettro
del tuo regno è uno scettro di dirittura. Tu ami la giustizia e odii l’empietà.
Perciò Dio, il Dio tuo, ti ha unto d’olio di letizia a preferenza dei tuoi
colleghi». Dovrebbe essere osservato che c’è un primo Elohim (v. 6) al quale
vengono rivolte le parole, e un secondo Elohim (v. 7) che è il Dio del primo
Elohim. E così l’Iddio di Dio l’ha unto con l’olio di letizia.
Un secondo esempio è Os 1,7: «Ma avrò compassione della casa di Giuda; li
salverò mediante l’Eterno, il loro Dio; non li salverò mediante arco, né spada,
né battaglia, né cavalli, né cavalieri». Chi parla è Elohim che dice che
egli avrà compassione della casa di Giuda e li salverà mediante Jahwè, il loro
Elohim. Così Elohim numero uno salverà Israele per mezzo d’Elohim numero due.
Non solo Elohim è applicato a due personalità nello stesso verso, ma è così
anche per Jahwè, il nome personale di Dio. Un esempio è in Gn 19,24: «Allora
l’Eterno fece piovere dai cieli su Sodoma e Gomorra zolfo e fuoco, da parte
dell’Eterno». Vediamo chiaramente che Jahwè fa piovere zolfo e fuoco da un
secondo Jahwè che è in cielo, mentre il primo è sulla terra.
Un secondo esempio è Zc 2,8s: «Poiché
così parla l’Eterno degli eserciti: È per rivendicare la sua gloria,
ch’egli mi ha mandato verso le nazioni che hanno fatto di voi la loro preda;
perché chi tocca voi tocca la pupilla dell’occhio suo; infatti, ecco, io sto per
agitare la mia mano contro di loro, ed esse diventeranno preda di quelli
ch’erano loro asserviti, e voi conoscerete che
l’Eterno degli eserciti m’ha mandato». Anche qui vediamo che un Jahwè
manda un altro Jahwè a eseguire un compito specifico.
Nota redazionale: È evidente che tali versi si possano intendere anche in
altro modo. È probabile che qui si «cavilli» con una mentalità analitica
occidentale su una particolarità scontata del linguaggio ebraico, in cui — come
in tanti altri versi — il soggetto e lo strumento si confondono e in cui una
persona può parlare di sé in terza persona (Mt 25,34.40). Ecco qui di seguito
solo alcuni esempi. Secondo tale logica ci sarebbero ad esempio due Gesù
(!): «E
Gesù gli disse: “Le volpi hanno
delle tane e gli uccelli del cielo dei nidi, ma il
Figlio dell’uomo non ha dove
posare il capo”» (Mt 8,20). «E Gesù, conosciuti i loro pensieri, disse:
“…Or affinché sappiate che il Figlio dell’uomo ha sulla terra di rimettere i
peccati: Lèvati (disse al paralitico), prendi il tuo letto e vattene a casa”»
(Mt 9,4.6). Questo schema si ripete per circa 27 volte nel solo Evangelo di
Matteo. Ci sono quindi due Gesù? Cfr. Mt 10,22s (a motivo del mio nome… prima
che il Figlio dell’uomo sia venuto); Mt 11,18s (è venuto Giovanni… È venuto il
Figlio dell’uomo); Mt 12,6.8 (Or io vi dico che… perché il Figlio dell’uomo è);
Mt 12,31 (Perciò io vi dico… chiunque parli contro il Figlio dell’uomo); Mt
13,37.41 (Ed egli, rispondendo, disse loro: Colui che semina la buona semenza, è
il Figlio dell’uomo… Il Figlio dell’uomo manderà); Mt 16,13 (Poi Gesù… domandò…:
Chi dice la gente che sia il Figlio dell’uomo?); Mt 16,24.27s (Allora Gesù disse
ai suoi discepoli:… il Figlio dell’uomo verrà… finché non abbiano visto il
Figlio dell’uomo); Mt 17,9.12 (Gesù diede loro quest’ordine: Non parlate di
questa visione ad alcuno, finché il Figlio dell’uomo sia risuscitato dai morti…
così anche il Figlio dell’uomo); Mt 17,22 (Gesù disse loro: Il Figlio dell’uomo
sta per); Mt 18,11; Mt 20,17s (Gesù… disse loro:… il Figlio dell’uomo sarà
dato); Mt 20,25.28 (Ma Gesù… disse:… appunto come il Figlio dell’uomo); Mt
24,25.27.30.37.39.44 (Ecco, ve l’ho predetto… così sarà la venuta del Figlio
dell’uomo… apparirà nel cielo il segno del Figlio dell’uomo… e vedranno il
Figlio dell’uomo, ecc.); Mt 25,31; Mt 26,1s (Gesù… disse… il Figlio dell’uomo
sarà consegnato); Mt 26,23s (Ma egli, rispondendo, disse:… quello mi tradirà… ma
guai a quell’uomo per cui il Figlio dell’uomo è tradito!); Mt 26,45; Mt 26,63s
(E il sommo sacerdote gli disse: “Ti scongiuro per il Dio vivente a dirci
se tu sei il Cristo, il Figlio di
Dio”. Gesù gli rispose: “Tu l’hai detto; anzi
vi dico che da ora innanzi vedrete
il Figlio dell’uomo
sedere alla destra della Potenza, e venire su le nuvole del cielo”). Cfr. anche
Mt 22,41s. Paolo parlò di se in terza persona: «Voglio
dire che ciascun di voi dice: “Io sono di
Paolo; e io d’Apollo; e io di
Cefa; e io di Cristo”» (1 Cor 1,12). «Nessuno dunque si glori degli
uomini, perché ogni cosa è vostra: e
Paolo, e Apollo, e Cefa, e il
mondo, e la vita, e la morte, e le cose presenti, e le cose future, tutto è
vostro» (1 Cor 3,21s). «Bisogna gloriarmi: non è cosa giovevole, ma pure,
io verrò
alle visioni e alle rivelazioni del Signore.
Io conosco un uomo in Cristo, che
quattordici anni fa… E so che
quel tale…
Di quel tale io mi glorierò; ma di
me stesso non mi glorierò se non nelle mie debolezze. Che se pur
io volessi gloriarmi… E perché
io non avessi ad insuperbire a motivo della eccellenza delle
rivelazioni…» (2 Cor 12,1ss). Davide parlò di sé in terza persona: «Davide
disse a Saul: “Perché dai tu retta alle parole della gente che dice:
Davide cerca di farti del male?”…
l’Eterno t’aveva dato oggi
nelle mie mani…
io quindi non ti metterò le mani
addosso. Contro chi
è uscito il re d’Israele? Chi
vai tu perseguitando? Un can morto, una pulce» (1 Sm 24,10s.14s). Cfr. anche
2 Sm 7,18 (1a persona) con vv. 19ss.25-29 (3a
persona); si noti v. 18 («Davide...
disse: Chi sono io...?») con v. 26 («La casa del tuo servo
Davide sia stabile dinanzi a te»): quanti Davide c'erano? |
1.3. DIO È TRE
■ Quante Persone ci sono?: Se le Scritture ebraiche parlano
effettivamente d’una pluralità, la domanda che si presenta è: quante personalità
esistono nella Deità? Abbiamo già visto i nomi di Dio applicati ad almeno due
personalità diverse. Investigando le Scritture troviamo che tre, e solo tre,
distinte personalità sono considerate divine.
● 1. Primo, ci sono le numerose volte dove si parla di Dio come il Signore
Jahwè. Questo utilizzo è così frequente che non è necessario parlarne ancora.
● 2. Una seconda manifestazione di Dio è menzionata come «l’Inviato di Jahwè».
Egli è considerato sempre distinto da tutti gli altri angeli ed è univoco. In
quasi ogni passo dove è menzionato, si parla di lui sia come l’Angelo di Jahwè
che come Jahwè stesso. Per esempio in Gn 16,7 è chiamato l’Angelo di Jahwè, ma
in Gn 16,13 è chiamato Jahwè. In Gn 22,11 egli è l’Angelo di Jahwè, ma in 22,12
è Dio stesso. In Gn 31,11 è l’Angelo di Dio, ma nel v. 13 è il Dio di Bethel. In
Es 3,2 è l’Angelo di Jahwè, ma nel v. 4 è Jahwè e Dio. In Gdc 6,11,12,20-22a è
l’Angelo di Jahwè, ma è Jahwè nei vv. 14,16.22b.23. In Gdc 13,3,21 è l’Angelo di
Jahwè, ma nel v. 22 è Dio.
Un passaggio molto interessante è Es 23,20-23 dove quest’angelo ha il potere di
perdonare o di non perdonare il peccato perché il nome di Dio (Jahwè) è in lui
e, quindi, egli deve essere ubbidito senza condizioni. Questo non può essere
detto d’un qualunque altro angelo. Il fatto che il nome proprio di Dio è in
quest’angelo mostra il suo status divino.
● 3. Una terza personalità è lo Spirito di Dio, spesso chiamato semplicemente il
Ruach Ha-kodesh. Ci sono molti
riferimenti allo Spirito di Dio, tra cui Gn 1,2; 6,3; Gb 33,4; Sal 51,11; 139,7;
Is 11,2; 63,10,14. Lo Spirito Santo non può essere una semplice emanazione
perché ha tutte le caratteristiche della personalità (intelletto, emozione e
volontà) ed è considerato divino.
Ci sono, quindi, diverse parti delle Scritture ebraiche che mostrano che tre
personalità sono menzionate come divine: il Signore Jahwè, l’Angelo di Jahwè e
lo Spirito di Dio.
Nota redazionale: È evidente che tali versi si possano intendere anche in
altro modo. In effetti si tratta di una teofania o manifestazione di Dio. La
differenza è che «l’Inviato di Jahwè» è una manifestazione sensibile e
percettibile (non è un «angelo», ma una teofania!), mentre la «rûach
[di] Jahwè» è una manifestazione invisibile e spirituale, sebbene reale. In Ag
2,4s le espressioni «io sono con voi» e «il mio Spirito dimora tra voi»
si corrispondono. Per l’approfondimento della tematica, per la
rappresentazione di altri aspetti della questione e per una diversa
interpretazioni di questi elementi rispetto alle tesi sopra esposte, cfr. queste
opere:
■ Nicola Martella, Esegesi delle origini,
Le Origini 2 (Punto°A°Croce, Roma 2006), pp. 24-31 (rûach
’ëlōhîm in Gn 1,2).
■ Nicola Martella,
Manuale Teologico dell’Antico Testamento (Punto°A°Croce, Roma 2002): «Manifestazioni di Dio»,
pp. 224-227; «Spirito di Dio», pp. 336ss; «Teofania», pp. 351s. |
■ Le tre personalità nello stesso passo: Nelle Scritture troviamo anche
che tutte e tre le personalità della Deità sono menzionati in singoli brani. Due
esempi sono in Is 48,12-16 e Is 63,7-14.
Nel primo è detto: «Ascoltami, o Giacobbe, e tu, Israele, che io ho chiamato.
Io sono Colui che è; io sono il primo, e sono pure l’ultimo. La mia mano ha
fondato la terra, e la mia destra ha spiegato i cieli; quand’io li chiamo, si
presentano assieme. Adunatevi tutti quanti, e ascoltate! Chi tra voi ha
annunziato queste cose? Colui che l’Eterno ama eseguirà il suo volere contro
Babilonia, e leverà il suo braccio contro i Caldei. Io, io ho parlato, io l’ho
chiamato; io l’ho fatto venire, e la sua impresa riuscirà. Avvicinatevi a me,
ascoltate questo: Fin dal principio io non ho parlato in segreto; quando questi
fatti avvenivano,
io ero presente; e ora, il
Signore, l’Eterno, mi manda col
suo spirito».
Dovrebbe essere osservato che colui che parla si riferisce a se stesso come a
colui che ha creato i cieli e la terra. È chiaro che egli non può essere
qualcuno diverso da Dio. Ma nel v. 16, colui che parla e che utilizza i pronomi
in prima persona «io» e «mi», si distingue da altre due personalità. Egli si
distingue dal Signore Jahwè e dallo Spirito di Dio. Qui le Scritture ebraiche ci
stanno presentando la tri-unità.
Nel secondo brano (Is 63,7-14), c’è una riflessione retrospettiva al tempo
dell’Esodo, dove tutte e tre le personalità erano presenti e attive. Il Signore
Jahwè è menzionato nel v. 7, l’Angelo di Jahwè nel v. 9 e lo Spirito di Dio nei
vv. 10,11.14. Mentre nel resto delle Scritture Dio parla di se stesso come
l’unico autore della redenzione d’Israele dall’Egitto, in questo brano il merito
viene dato a tre personalità. Ma non c’è contraddizione perché tutte e tre
costituiscono l’unità della Deità.
Troviamo lo stesso insegnamento su Dio anche nel Sal 2 dove leggiamo che lo
Spirito Santo, il Ruach Hakodesh, dice attraverso Davide: «Io spiegherò il
decreto: L’Eterno mi disse: Tu sei il mio figlio, oggi io t’ho generato»
(Sal 2,7).
Qui abbiamo lo Spirito Santo che parla attraverso di Davide (cfr. Atti 4,25) e
nello stesso tempo istruisce Davide, che l’Eterno, che in ebraico è il nome
ineffabile di Jahwè, ha un Figlio generato in maniera soprannaturale. Forse lo
stesso re Davide non ha compreso completamente le parole ispirate che ha scritto
per lo Spirito Santo; ma egli non ha scritto questo per fare in modo che
fraintendiamo. Dio, che è onnipotente, manifesta se stesso come una tri-unità.
Nota redazionale:
È evidente che tali versi si possano intendere anche in altro modo all’interno
del loro contesto storico, linguistico, teologico e culturale. In questo luogo
sarebbe troppo lunga la rappresentazione. |
1.4. LA TRINITÀ È GIUDAICA?: Ma un tale concetto è giudaico?
Non può essere un concetto gentile o pagano che si è infiltrato in qualche modo
nelle Sacre Scritture come qualcuno ha voluto insinuare? No, quest’era ed è una
concezione giudaica del Dio creatore e che si relaziona con il suo popolo
Israele in maniera una e trina. La seguente citazione lo conferma. Pr 22,20
recita: «Non ho io già da tempo scritto per te (ebraico: triplice)
consigli e insegnamenti». Su questo Rabbi Joshua bar Nehemiah ha detto
che questa è la Torà le cui lettere sono triplici, e il tutto è una trinità: la
Torà è trinitaria, poiché è composta dalla Torà, dai Profeti e dagli Scritti. La
Mishna è una trinità composta di talmud (insegnamento) halakhot (leggi giudaiche
per tutti i giorni) e haggadot (articoli storici). I mediatori d’Israele erano
una trinità: Mosè, Aaronne e Miriam. Le preghiere sono una trinità: preghiere
del mattino, del pomeriggio e della sera. Israele è una trinità, essendo formato
da Sacerdoti, Leviti e Israeliti. Il nome Mosè in ebraico è formato da tre
lettere. Egli è della tribù di Levi, anch’esso formato da tre lettere ebraiche.
Tre sono i patriarchi: Abrahamo, Isacco e Giacobbe. Nel
terzo
mese che è il mese di Sivan (dopo Nisan e Ijar) il popolo è arrivato al monte
Sinai le cui lettere sono tre (Midrash Tanhuma).
Nota redazionale: Pr 22,20 è un brano troppo difficile per trarre tali
certezze. La Elberferder traduce qui: «Non ti ho io già scritto trenta
[massime] con consigli e conoscenza». Nella nota afferma: «Testo
masoretico nella forma scritta: “Non ti ho io già scritto l’altrieri”;
nella forma di lettura: “Non ti ho io già scritto sentenze”»; ma la
traduzione è insicura. A ciò si aggiunga che tali riflessioni di del rabbino
nominato nulla hanno a che fare con una trinità teologica. |
L’autore dello Zohar (opera mistica rabbinica) ha intuito la pluralità nel
Tetragramma (JHWH,
Jahwè) e ha scritto: «Venite a vedere il mistero della parola Jahwè: ci
sono tre lettere diverse: tuttavia esse sono Uno, e così unite che non possono
essere separate. L’Antico di giorni e Santissimo è rivelato con tre teste, che
sono unite in una e quella testa è tre volte esaltata. L’Antico di giorni è
descritto come tre: perché tutte le altre luci emanate da lui sono incluse nei
tre. Ma come possono tre nomi essere uno? Sono realmente uno, solo perché li
chiamiamo uno? Che tre possono essere uno può essere conosciuto solo attraverso
la rivelazione dello Spirito Santo» (Zohar, Vol III, 288; Vol II, 43, Edizioni
ebraiche. Vedi anche edizione Soncino Press, Vol III, 134).
Nota redazionale:
Non bisogna dimenticare che l’opera mistica Sefer ha-Zohar proviene dal filone
della cabala e della gnosi giudaica ed è sorta per mano di Mosè di León
(1250-1305), che scrisse diverse opere simili. A ciò si aggiunga che questo
autore ricorse alla lingua aramaica e spacciò la sua opera per quella di Simeon
Bar Yohai, un eminente saggio tumuldico del 3° secolo! Non si può certamente
usare questo testo per interpretare l’AT! |
Se, secondo i rabbini, Dio ha fatto tutto e ha organizzato tutto in maniera
trinitaria, quindi deve anche essere ebraico e biblico sapere che Dio stesso è
una Trinità. Egli si è manifestato come Salvatore, Messia, e Figlio di Dio nella
persona di Gesù. Egli ha quindi fatto scendere lo Spirito Santo, il Ruach
Hakodesh, sugli apostoli nel terzo mese, la festa di
šābu`ōt, la festa della perfezione, celebrata dopo aver contato
sette volte sette.
Nota redazionale: È evidente che la Trinità (o tri-unità) sia una
rivelazione di Dio data alla chiesa all’interno del nuovo patto.
Retro-proiezioni di contenuti del NT sull’AT non aiutano al riguardo. Infatti,
nella storia e nella teologia c’è un prima e c’è un dopo. La rivelazione è
progressiva. L’incarnazione e Pentecoste sono i due momenti particolari in cui
Dio rivelò la sua natura trina e unitaria in modo chiaro ed evidente. Chi cerca
di trovare indizi, dove non ci sono, ingrandisce pulci facendone elefanti. Ciò
impedisce però di analizzare e trattare i testi per ciò che sono, per
arricchirsi di ciò che veramente c’è. Nei brani profetici, bisogna distinguere dove parla Dio
e dove lo fa il profeta, altrimenti si attribuisce a Dio ciò che dice il suo
portavoce. Lo stesso dicasi dei brani in cui parlano sia Dio che il futuro
Messia. |
1.5. CONCLUSIONE: L’insegnamento delle Scritture, quindi, è
che c’è una pluralità nella Deità. Una persona è sempre chiamata Jahwè, mentre a
un’altra persona sono dati i nomi di Jahwè e del Servo di Jahwè (o Angelo di
Jahwè). Coerentemente, la seconda persona è inviata dalla prima persona. Una
terza persona è menzionata come lo Spirito di Jahwè o lo Spirito di Dio o lo
Spirito Santo. Anch’egli è inviato dalla prima persona, ma è in relazione al
ministero della seconda persona.
Se il concetto della Tri-unità di Dio non è giudaico secondo i rabbini, allora
non lo sono neanche le Scritture ebraiche. I cristiani non possono essere
accusati d’essere scivolati nel paganesimo quando dicono che Gesù è il Figlio
divino di Dio.
Nota redazionale:
Questo modo di procedere è tipico dell’approccio dogmatico alle
Scritture: si afferma che in essa si trovi qualcosa, semplicemente suggerendone
l'esistenza a priori e interpretando poi alcuni brani in tal senso. Chi procede
così, in genere non è interessato a verificare se non ci siano altre spiegazioni
per le stesse cose, magari più aderenti alla globale teologia dell’AT, alla
grammatica, al modo di pensare ed esprimersi degli ebrei. Che questo modo di
pesare ellenistico provenga proprio dal mio amico Argentino, che si batte per il
pensiero ebraico, mi meraviglia! L’approccio esegetico è diverso, poiché
rispetta sempre il testo nel suo contesto (storico, letterario, culturale,
ecc.), tiene presente i destinatari, la teologia globale dell’AT, lo sviluppo
della rivelazione e il mutamento di patto. L’approccio eisegetico
(proiettivo) mette spesso tante pulci insieme fino a creare un elefante, poi
sembra che lo sia, da una certa distanza; ma guardando più da vicino, ci si
rende conto che non è un elefante, ma miriadi di pulci. |
2. LA LUCE DEL NUOVO TESTAMENTO:
In coerenza con gli insegnamenti delle Scritture ebraiche, il Nuovo Testamento
riconosce chiaramente che ci sono tre persone nella Deità, ma è molto più
specifico. La prima persona è chiamata il Padre mentre la seconda persona è
chiamata il Figlio. Il Nuovo Testamento risponde alla domanda di Pr 30,4: «…Qual
è il suo nome e il nome del suo figlio? Lo sai tu?». Il nome del figlio è Jeshua
(Gesù). In accordo con le Scritture ebraiche, egli è stato mandato da Dio per
essere il Messia.
Inoltre, egli è stato mandato per uno scopo preciso: morire per i nostri
peccati. In sostanza, quello che è accaduto è che Dio è diventato un uomo (non
che l’uomo è diventato Dio) per compiere l’opera d’espiazione.
Il Nuovo Testamento chiama la terza persona della Deità lo Spirito Santo. In
tutto il Nuovo Testamento egli è in relazione all’opera della seconda persona,
anche qui in accordo con l’insegnamento delle Scritture ebraiche. Vediamo,
dunque, che c’è continuità nell’insegnamento tra le Scritture ebraiche e il
Nuovo Testamento riguardo la Tri-unità di Dio.
Nota redazionale: Ciò che l’autore afferma sulla rivelazione detta Trinità nel NT è giusto. La
presunta «continuità nell’insegnamento tra le Scritture ebraiche e il Nuovo
Testamento riguardo la Tri-unità di Dio» è basata su un falso sillogismo. Un
«mistero» rimane tale fintantoché non è rivelato. La rivelazione è progressiva.
Il «mistero» tenuto nascosto fin dalla fondazione del mondo, è stato svelato nel
nuovo patto. Altrimenti che «mistero» è, se già si sapeva? Per l'approfondimento
cfr. «Mistero
nel NT». |
3. TRINITÀ E SENSO COMUNE:
Ma tre possono essere uno? Il senso comune si ribella a questa dichiarazione?
Non dobbiamo forse ammettere che Dio o è Uno o è Tre? Non è così. Di fatto tutto
quello con cui veniamo in contatto non è un concetto matematico d’uno, ma di
solito è un composto trinitario. L’antico filosofo greco ragionava senza
conoscere l’atomo, ma era colpito dal fatto che una mucca nera, che mangiava
erba verde, dava latte bianco. Tutte le cose sono composte di milioni e bilioni
d’atomi; ma l’atomo è una trinità composta di protone, elettrone e nucleo.
In Rm 1,20 Paolo si serve della creazione del kosmos per dimostrare la
Divinità (theiotēs). L’universo è una tri-unità di spazio, tempo e
materia. Ognuno di questi a sua volta è una tri-unità. Lo spazio è formato da
lunghezza, larghezza e profondità (o altezza); il tempo è formato da passato,
presente e futuro; la materia è energia, movimento e sostanza. Troviamo
l’illustrazione del tre in uno anche nel caso della luce del sole, calore e
raggi ultra-violetti o nella forma che può prendere l’acqua (H2O)
come liquido, ghiaccio e vapore.
Nota redazionale:
Di là di Rm 1,20 (che non parla di Trinità), il resto è romantico e
interessante, ma non dimostra nulla. |
4. QUAL È IL SIGNIFICATO PER NOI?:
Ora dobbiamo solo rispondere alla domanda: «Qual è l’importanza di tutto
questo?». La risposta è che l’importanza è grande. Dimostra la verità della
Parola di Dio. Ma la cosa più importante è quello che ha detto il Messia Gesù, «Poiché
Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché
chiunque credere in lui non perisca, ma abbia vita eterna» (Gv 3,16). Volete
aver pace nel vostro cuore e pace con il vostro Creatore? Ricevete questo dono
di Dio; confessate i vostri peccati e credete nel Figlio di Dio, il Korban
(sacrificio). Allora sarete salvati e avrete pace perfetta nei vostri cuori. «Ma
a tutti quelli che l’hanno ricevuto egli ha dato il diritto di diventar
figliuoli di Dio; a quelli, cioè, che credono nel suo nome» (Gv 1,12).
Nota redazionale: Per un maggiore approfondimento delle questioni, si rimanda anche in Nicola
Martella, Chi dice la gente che io sia?,
Offensiva intorno a Gesù 1 (Punto°A°Croce, Roma 2000), la sezione «La questione giudaica», pp.
74-138; specialmente agli articoli: «La deità del Messia», pp. 109-126; «La
supremazia divina del Messia», pp. 127-138. |
►
Il nome di Jahwè e «Il Cristiano» {Nicola Martella}
► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_Dot/A2-Ebraismo_trinitas_OiG.htm
29-08-2007; Aggiornamento: 10-04-2009 |