▼ 1. Giuda, Dema, Marco e Mt 24,13
▼ 2.
Credenti e rigenerati (1 Gv 3,9; 4,7s; 5,1-10.18; Gv 1,13)
▼ 3.
Tornando sull'apostasia (1 Tm 4,1s.16)
▼ 4. Giacomo 5,19 |
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1. GIUDA, DEMA, MARCO E MT 24,13
■ Tesi pro perdita della salvezza: La salvezza dell’anima, una volta
ottenuta, può essere perduta se l’uomo diventa infedele a Dio. Vedi l’esempio di
Giuda, di Dema ecc. Lo afferma anche l’epistola agli Ebrei 6,6, ma anche il
Signore Gesù quando disse: «Chi avrà perseverato fino alla fine, sarà salvato».
Di conseguenza, chi non avrà perseverato fino alla fine, non sarà salvato.
{Amedeo Bruno}
«È molto meglio a mio avviso avere la certezza assoluta
che è completamente impossibile perdersi, piuttosto che sapere che è possibile
per un vero credente abbandonare la fede, ma l’esempio di Dema, collaboratore di
alto livello di Paolo prima e apostata poi, nel NT è davvero troppo chiaro a mio
avviso». {Stefano Ferrero}
■ Osservazioni e obiezioni: In questo contesto menzionare Giuda ad
esempio, è alquanto fuori luogo, poiché ci troviamo prima di Pentecoste e,
quindi, prima della chiesa. Non si può parlare proprio di un credente rigenerato
riguardo a chi il Signore chiamò «figlio di perdizione» (Gv 17,12). Questa
espressione fu usata nel NT solo per «l’uomo del peccato, il figlio della
perdizione» alla fine dei tempi (2 Ts 2,3). Giovanni 17,12 è, in ogni modo
notevole, per mostrare la differenza fra coloro che Gesù chiamò: undici
divennero veri discepoli, mentre uno era un aggregato, e per di più «ladro» (Gv
12,6). Gesù, lavando i piedi ai discepoli, disse: «Non tutti siete netti»,
poiché «sapeva chi era colui che lo tradirebbe» (Gv 13,11). Giuda di
spirito ricevette solo quello diabolico, dopo che aveva ormai deciso di tradire
Gesù (Gv 13,2.27), mentre gli Undici ricevettero lo Spirito Santo (Gv 20,22).
Perciò sono significative le parole di Gesù nella
cosiddetta «preghiera sacerdotale»: «Mentre io ero con loro, io li
conservavo nel tuo nome; quelli che tu mi hai dati, li ho anche
custoditi, e nessuno di loro si è
perso, tranne il figlio di perdizione, affinché la Scrittura fosse
adempiuta» (Gv 17,12). Gesù è quindi capace di conservare e custodire coloro
che il Padre gli ha dati, senza che nessuno si perda! Si perde solo chi è già
perduto, che è un «figlio di perdizione».
Viene menzionato sempre di nuovo il caso di Dema
come esempio di perdita della salvezza. Ricordiamo che Dema era stato accanto a
Paolo durante la sua prigionia romana, insieme a Luca: di lui l’apostolo mandò
saluti ai credenti (Col 4,14; Flm 1,24). I versi che parlano della sua vicenda
negativa si trovano in 2 Tm 4,9s: «Studiati di venir subito da me; poiché
Dema, avendo amato il presente secolo, mi ha lasciato e se n’è andato a
Tessalonica» (ND «amato il mondo presente»; NR «amato questo mondo»; CEI
«preferito il secolo presente»). Non sappiamo con certezza che cosa questa
espressione significhi con certezza, quali siano state le circostanze e che cosa
sia successo in seguito. Trarre da un brano oscuro, una prova per la perdita
della salvezza è quantomeno azzardato.
Alcuni elementi di tali brani risultano rivelatori. In
Flm 1,24 tra i «compagni d’opera» di Paolo c’è, oltre ad Aristarco, Dema e il
fedele Luca, Marco. In 2 Tm 4,11 l’apostolo ingiunse a Timoteo: «Prendi
Marco e portalo con te; poiché egli mi è molto utile per il ministero». A un
lettore superficiale, distratto o biblicamente ignorante ciò può non dire nulla.
Nel passato, proprio (Giovanni detto) Marco era partito in missione con Paolo e
Barnaba in missione (At 12,25), ma poi si era separato da loro per strada e non
era andato più con loro all’opera (At 15,38). Proprio lui era stato motivo di
un’aspra contesa fra Paolo e Barnaba, tanto che i due si separarono
definitivamente (At 15,39s). Anche qui sappiamo poco dei motivi perché Marco se
ne andò per la sua strada, ritirandosi dalla missione in corso. In 2 Tm 4,11
Paolo dichiarò Marco «molto utile per il ministero». Purtroppo essendo
questa epistola una delle ultime dell’apostolo, di Dema non sappiamo nulla a
differenza di Marco. Aveva anche Marco abbandonato allora Paolo «avendo amato
il presente secolo»? Non lo sapremo mai. Si fa bene comunque a non trarre da
ciò facili deduzioni per una «interpretazione pro perdita della salvezza».
Mt 24,13: «Ma chi avrà perseverato sino alla
fine sarà salvato» — questo è un classico della «tesi pro perdita della
salvezza». I versi, presi fuori contesto, diranno sempre ciò che si vuole.
Questo verso è inserito in quella che io chiamo «l’apocalisse di Gesù» e
riguarda il tempo apocalittico del 70 d.C. (la distruzione di Gerusalemme) quale
specchio della grande tribolazione prima dell’avvento del Messia. Infatti, dopo
che Gesù parlò della distruzione del tempio (Mt 24,1s), i discepoli chiesero: «Quando
avverranno queste cose, e quale sarà il segno della tua venuta e della fine
dell’età presente?» (v. 3). Gesù parlò della seduzione escatologica (vv.
4s.11), delle guerre e delle catastrofi (vv. 6s), della feroce persecuzione dei
discepoli di Gesù in quel tempo (v. 9), della moltiplicazione della malvagità
(vv. 10.12), della dissacrazione del tempio escatologico con l’idolatria (v.
15), della tribolazione senza precedenti nella storia (v. 21) dalla quale
nessuno scamperebbe, se quei giorni saranno abbreviati (v. 22), delle catastrofi
cosmiche (v. 29) e dell’arrivo del Messia (v. 30). Allora il Signore farà
chiamare dagli angeli i suoi eletti a raccolta (v. 31), ossia per farli entrare
nel regno. Perciò Mt 24,13 ha a che fare con tale tempo di sfrenata persecuzione
degli eletti e tribolazione di questi ultimi. La menzione del tempio (v. 15),
della Giudea (v. 16) e del sabato (v. 20) mostra che si tratta d’Israele durante
la grande tribolazione. Proprio per gli Israeliti che in quel periodo si
convertiranno a Gesù quale Messia vale questa promessa di Gesù: «Ma chi avrà
perseverato sino alla fine sarà salvato», ossia scamperà nel regno del
Messia. Dei giudei di quel tempo, «l’uno sarà preso» (ossia tolto via
dalla persecuzione, perché incredulo) e «l’altro sarà lasciato» (ossia
scamperà nel regno, perché convertito; vv. 40s). Ciò si accorda anche con la
predizione di Daniele: «E dal tempo che sarà soppresso il [sacrificio]
continuo, per istaurare la desolante abominazione, vi saranno
milleduecentonovanta giorni. Beato chi aspetta e giunge a
milletrecentotrentacinque giorni!» (Dn 12,11s). Quindi dal momento in cui la
«bestia» (la potenza politica escatologica ostile al Messia) dissacrerà il
tempio, ci sarà un tempo di 3 anni e 7 mesi di tribolazione, ma sarà benedetto
nel regno chi resisterà e arriverà fino a 3 anni, 8 mesi e 15 giorni. Quindi
neppure qui si parla di perdita di salvezza dei credenti della chiesa.
Si noti che anche Mt 10,22: «E sarete odiati
da tutti a motivo del mio nome; ma chi avrà perseverato sino alla fine sarà
salvato» — parla dello stesso contesto escatologico. Quelli di casa propria
(Giudei) saranno i delatori dei credenti messianici (v. 21; cfr. 24,10) dinanzi
ai tribunali e alle sinagoghe (10,17). Nel contesto si parla del «giorno del
giudizio» (v. 15), dell’evangelizzazione solo delle città d’Israele e della
venuta del Messia (v. 23) e del premio nel regno per chi avrà agito bene verso i
discepoli del Messia in quel tempo particolare (vv. 41s).
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2. CREDENTI E RIGENERATI
(1 Gv 3,9; 4,7s; 5,1-10.18; Gv 1,13)
■ Tesi pro perdita della salvezza:
Ho letto lo studio biblico di Paolo Castellina, e le
sue argomentazioni in merito non mi hanno convinto. Io personalmente credo che
se un credente rimane fermo in Cristo Gesù non può perdere la salvezza. Ma se un
giorno rinnega la sua fede, a quel punto si autocondanna. È troppo facile a mio
avviso affermare che coloro che rinnegano Cristo non sono mai stati credenti.
{Gaetano Nunnari}
La salvezza è un dono immeritato e l’uomo non
può «guadagnarsela», è vero. Ma il «credente» che volge la grazia di Dio in
dissolutezza risulta indegno di quel dono (Giuda 4). D’altro canto, è ovvio che
la salvezza è assicurata se il credente ha l’animo nelle cose dello Spirito. Ma
se il credente pecca volontariamente come può essere degno di salvezza? Gesù ha
pagato per i nostri peccati involontari e non per i «credenti» che tornano a
peccare volontariamente. {La Redazione «La Buona Notizia»}
■ Osservazioni e obiezioni:
È assolutamente necessario tracciare una linea di
demarcazione tra «credenti» e «rigenerati» (o come alcuni preferiscono «nati di
nuovo»). L’apostolo Giovanni si è confrontato con questo problema già ai suoi
giorni e, dovendo stabilire un criterio fra (solo) «credenti» e «rigenerati»
(nati da Dio), affermò tra altri i principi seguenti.
1 Gv 5,18:
«Noi sappiamo che chiunque è generato da Dio non
persevera nel peccato; ma il generato da Dio lo preserva, e il maligno non lo
tocca». In greco il verbo «peccare» è al presente e descrive uno stato e una
continuità in esso. Alcuni manoscritti invece di «ma il generato da Dio lo
preserva» leggono «ma la generazione [o nascita] da Dio lo preserva».
Quindi i due elementi essenziali che dividono il grano (i «generati da Dio»)
dalla paglia (i cosiddetti «credenti») sono questi: ▪ 1) Essere effettivamente
nati (o generati) da Dio; ▪ 2) Non persistere nel peccato come condizione
normale; questa diventa anche una dimostrazione della prima; ▪ 3) La generazione
(o nascita) da Dio (o ciò che è stato generato da Dio in lui = la nuova
creatura) è in grado di proteggere tale credente rigenerato; ▪ 4) Se si è in
tale condizione di «rigenerato da Dio» e non si è un semplice «credente» (né
carne né pesce; anche il diavolo crede in Dio), il «maligno» non è in grado di
«toccarlo», ossia di danneggiarlo o rovinarlo.
L’espressione «generato/i (nato/i) da Dio» si trova nei seguenti brani
giovannei:
Gv 1,13: Qui la generazione (o la nascita) da Dio viene contrapposta alla
razza e la nascita naturale (cfr. v. 12). Si tratta della «generazione (o della
nascita) dall'alto» (Gv 3,3.7) o mediante lo Spirito (v. 5s) contrapposta a
quella della carne (v. 6) e probabilmente a quella dall'«acqua» (v. 5),
eufemismo per il seme umano (Is 48,1 sorgente di Giacobbe).
1 Gv 3,9: «Chiunque è generato da Dio non continua a commettere il
peccato, perché il seme di Lui dimora in lui; e non può persistere a peccare
perché è generato da Dio». Il germe di vita proveniente da Dio nel generato
fa sì che egli non possa vivere in un continuo stato di peccato. Di conseguenza,
Giovanni pose questo principio importante che discrimina fra credenti di nome e
credenti rigenerati: «Da questo sono manifesti i figli di Dio e i figli del
diavolo: chiunque non opera la giustizia non è da Dio, e [altresì] chi non ama
il suo fratello» (v. 10).
1 Gv 4,7: «Diletti, amiamoci gli uni gli altri; perché l’amore è da
Dio, e chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio». Qui l’autore non parla
di una generica antropofilia, ma l’amore per i fratelli è un criterio per
riconoscere chi è generato da Dio e Lo conosce. L’atteggiamento contrario
dimostra quanto segue: «Chi non ama [cioè i fratelli] non ha conosciuto Dio;
perché Dio è amore» (v. 8). Chi è stato in varie parti dell’Italia e del
mondo, sa che cosa vuol dire incontrare persone e subito sentire una spirituale
empatia di rigenerato verso altri rigenerati dallo Spirito di Dio… di là dalle
differenze culturali, linguistiche e, occasionalmente, dottrinali.
1 Gv 5,1: «Chiunque crede che Gesù è il Cristo, è generato da Dio; e
chiunque ama Colui che ha generato, ama anche chi è stato da lui generato».
Quanto qui detto, rafforza il precedente. È logico che non si può credere che
Gesù sia il Messia-Re e amare il Dio generatore e non amare chi Dio ha generato.
Chi, durante la storia, ha perseguitato altri credenti in nome di Cristo e di
Dio e li ha messi a morte, non era generato da Dio, ma solo un «credente» che
disonorava Dio e infangava il nome di Cristo.
Nei versi che seguono (1 Gv 2-10) Giovanni
argomenta al contrario per evitare una falsa religione del «vogliamoci bene». Se
effettivamente amiamo i figli di Dio, ciò si palesa nell’amare Dio stesso e
nell’osservare i suoi comandamenti (v. 2). Infatti, l’amore per Dio si palesa
nella persistente osservanza dei suoi comandamenti (v. 3). Chi è generato da Dio
conosce i fronti fra le cose di Dio e il mondo, e la sua vita è improntata a una
persistente vittoria sul mondo mediante la fede (v. 4); si può caratterizzare
difficilmente come «generato da Dio» un «credente» con una mentalità e una
prassi di vita mondane. Non può essere diversamente che chi persiste nel vincere
il mondo, crede che Gesù è il Figlio di Dio (v. 5). Nei versi che seguono (6-10)
l’autore evidenzia la testimonianza interna dello Spirito di verità, poiché «Chi
crede nel Figlio di Dio ha quella testimonianza in sé» (v. 10).
Abbiamo evidenziato abbastanza criteri per capire la differenza fra un
«credente» e chi «è generato da Dio». Anche qui la salvezza la perdono solo i
«credenti» che non ce l’hanno mai veramente avuta, non essendo generati da Dio.
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3. TORNANDO SULL’APOSTASIA (1 Tm 4,1s.16)
■ Tesi pro perdita della salvezza: Cito dal tuo stesso
sito: «La chiesa del tempo della fine sarà circondata da tante lotte e tentazioni. Negli ultimi tempi non avviene solo la
riunione della chiesa con Cristo, ma anche l’apostasia, come è scritto: “Ma
lo Spirito dice espressamente che nei tempi a venire alcuni apostateranno dalla
fede, dando retta a spiriti seduttori, e a dottrine di demoni per via
dell’ipocrisia degli uomini...” (1 Tm 4,1s).
Come è logico, cade
solo chi sta in piedi,
decade dalla fede solo chi ne era seguace. Ciò non sarà un problema dei
seguaci di altre religioni e neanche solo dei cristiani di nome, che mai hanno
sperimentato una nuova nascita, ma lo sarà particolarmente dei cristiani
fedeli alla Bibbia. Si tratterà di una “pia” seduzione, poiché una seduzione
riconoscibile, che non sia sottilmente “spirituale”, non porterebbe nessuno
all’apostasia» (grassetto non nell’originale).
Mi sembra di capire che
credi che dei veri credenti possano fare apostasia dalla fede. Direi che è
difficile e assurdo dire che si può fare apostasia dalla fede senza perdere la
salvezza. Qui tu stesso parli di veri credenti non di giudei non-convertiti.
Del resto perché il diavolo si dà tanto da fare se col suo operato e seduzione
non può portare in perdizione con i suoi inganni qualche vero figlio di Dio? Non
pensi che queste parole sono in ogni caso ambigue? {Stefano Ferrero}
■ ■ Osservazioni e obiezioni: Quello che tu hai citato, si trova letteralmente
in questa mia opera: Nicola Martella, «Considerazioni finali»,
Carismosofia (Punto°A°Croce, Roma 1995), pp. 257s. Le mie parole sono precedute da quelle di
Dawid Wilkerson a proposito della situazione spirituale alla fine dei tempi.
Vale la pena leggere l’intero articolo per capire il senso di quelle parole:
esortazione a praticare il discernimento degli spiriti dinanzi alle
molteplici seduzioni spiritualistiche, gnostiche e carismaticistiche, per non
rimanere sedotti da false dottrine e da false pratiche. Parlo della prova dei
segni dei tempi, dell’obbligo di vegliare e di suonare la tromba per avvisare
altri, di mettere in guardia dinanzi alla seduzione finale, di esortare di
tornare alle radici bibliche e alla «teologia della croce», eccetera.
Quanto qui detto dell’apostasia non è inteso in
senso personale e immanente, individuale e puntuale, ma come lenta abitudine a
una dottrina spiritualistica che, a mano a mano e col passare delle generazioni,
fa perdere la bussola spirituale, fa smarrire i confini tra bene e male e fra
giusto e ingiusto, e cambia il significato delle cose. Una generazione trasmette
all’altra «mezze verità» annacquate da «mezze menzogne», a cui ci si abitua e
intorno a cui si crea un consenso. I maestri seducono i loro discepoli con tali
mezze verità commiste con una «teologia dell’esperienza» e con mistiche
rivelazioni personali; i loro discepoli vanno oltre, come si sa. Infine, i padri
presentano ai loro figli un «altro Cristo» e un «altro Evangelo», pieni di
«misteri» (o sacramentalismi) e di misticismo, ma che non salvano più nessuno.
La storia della chiesa e delle chiese insegna al riguardo. Tale «pia seduzione»
sposta lentamente gli accenti, tanto che la gente non sente più alcun bisogno di
convertirsi e di salvarsi mediante il sangue di Gesù, ma cerca un cristianesimo
fatto di riti e cerimonie, di incontri oceanici e spettacolari, di segni e
prodigi, di guru e maestri, di sensazionalismi, di filosofismi e di dottrine
piacevoli da udire. Lentamente si istaura un cristianesimo solo nominale,
tollerante quanto alla verità e, sazio di se stesso, fa volentieri commistioni
con altre «realtà spirituali», senza badare alla loro origine; insegue novità
spiritualeggianti, nuove rivelazioni, cristianizzandole. È un cristianesimo
culturale che pensa di vivere, ma è morto; pensa di vederci chiaro, ma è cieco.
Perché questo non avvenga, la Scrittura ci esorta a vegliare come sentinelle su
noi stessi e sulla sana dottrina: «Bada a te stesso e all’insegnamento;
persevera in queste cose, perché, facendo così, proteggerai te stesso e quelli
che ti ascoltano» (1 Tm 4,16).
Deve far pensare che futuri seduttori o anticristi sono
sempre usciti dal mezzo dei veri credenti, in mezzo ai quali sono stati per
breve o lungo tempo degli aggregati o degli intrusi, né carne e né pesce. A
ragione affermò Giovanni: «Sono usciti di fra noi, ma
non erano dei nostri; perché, se fossero stati dei nostri, sarebbero
rimasti con noi; ma sono usciti affinché fossero manifestati e si vedesse che
non tutti sono dei nostri».
Essi hanno un’infarinatura delle cose bibliche, ma poi mischiano ciò con
contenuti estranei alla Scrittura o chiaramente condannati da essa (occultismo,
spiritismo, divinazione camuffata con profezia, paganesimo, gnosticismo,
esoterismo, eccetera). Dio viene mischiato con Mammona (Mt 6,24), sacro con
profano (Eb 10,29), luce con tenebre (1 Gv 2,9), giustizia con iniquità (2 Cor
6,14), Cristo con Beliar (2 Cor 6,15; cfr. Ap 2,24): tutto fa brodo per gli
apostati, poiché non hanno mai conosciuto veramente la verità e non hanno mai
vissuto la rigenerazione che li preserva dal maligno (1 Gv 5,18). Per questo
veniamo esortati a discernere gli spiriti (1 Gv 4,1), fuori e dentro le chiese.
Quindi, i credenti rigenerati possono far posto al diavolo (Ef 4,27),
contristare lo Spirito Santo (Ef 4,30), possono essere sedotti in certe
circostanze (Ef 5,6; 1 Gv 3,6) e cadere nel peccato (1 Gv 1,9; 2,1). Per questo,
vengono esortati a vegliare, a ravvedersi, a resistere al diavolo, a esercitare
il discernimento degli spiriti. I credenti rigenerati non possono
perseverare nel peccato e in una condizione spiritualmente anomala; la nuova
vita in loro (1 Gv 5,18), il suggellamento (Ef 1,13s; 4,20) e l’unzione (1 Gv
2,27) che hanno ricevuto lo impediscono loro. Infatti, come afferma Giovanni: «Chiunque
dimora in lui
non persiste nel peccato; chiunque
persiste nel peccato
non l’ha veduto, né l’ha conosciuto»
(1 Gv 3,6). E qui sta la differenza fra chi dice di essere «credente» e chi è
«generato (o nato) da Dio». Chi è nato nella famiglia di Dio può perdere al
massimo il premio, poiché non si può far sì che non sia mai nato. I credenti
nominali, non avendo sperimentato la rigenerazione e il suggellamento mediante
lo Spirito Santo, possono diventare apostati, poiché hanno solo assaggiato i
beni futuri, senza mai abbracciarli veramente.
L’apostasia è un fenomeno sociale e culturale (oltre che di religione) che
investe varie generazione, portando gli uomini alla disaffezione per la verità e
allontanatole dalla sana dottrina. È così che zone cristianizzate (p.es. il
Medio Oriente, l’attuale Turchia, il nord dell’Africa) si sono col tempo
scristianizzate. Per questo l’apostasia non ha direttamente a che fare con la
salvezza personale, essendo un lungo processo socio-religioso. La seduzione del
diavolo verso i credenti rigenerati non fa perdere loro la salvezza, ma le
benedizioni e il premio (Col 2,18). Si può essere salvati come attraverso il
fuoco (ossia senza alcun premio), ma si è pur salvati (1 Cor 3,15). Addirittura
il credente, che si è macchiato di un grave crimine, può essere «consegnato a
Satana, per la rovina della carne, affinché lo spirito sia salvo nel giorno del
Signore Gesù»! (1 Cor 5,15).
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4. GIACOMO 5,19
■ Tesi pro perdita della salvezza 1: Dopo aver letto vari interventi sul
sito in merito alla sicurezza o perdita della salvezza, non so ancora quale
posizione sia quella giusta. Vorrei farti presente il brano di Giacomo 5,19: «Fratelli
miei, se qualcuno tra di voi si svia dalla verità e uno lo riconduce indietro,
costui sappia che chi avrà riportato indietro un peccatore dall’errore della sua
via salverà l’anima del peccatore dalla morte e coprirà una gran quantità di
peccati».
A me pare che parli chiaro: «Fratelli [quindi cristiani dal contesto,
altrimenti non li chiamerebbe fratelli, penso],
se qualcuno tra di voi [quindi tra questi cristiani veri] si svia
dalla verità...». {Gaetano Nunnari} |
■ Osservazioni e obiezioni 1:
Il problema qui è che, influenzati dalla dogmatica occidentale, si dà ai termini
un valore dottrinale legato alla soteriologia. Si tenga presente il contesto
giudaico dell’epistola e dei confini molto fluidi fra giudaismo storico e
giudaismo cristiano, tipico dei credenti di Gerusalemme. I conduttori della
chiesa di Gerusalemme dissero a Paolo: «Fratello, tu vedi quante migliaia di
Giudei ci sono che hanno creduto; e tutti sono zelanti per la legge» (At
21,20). E per loro era normale praticare i riti di purificazione rituale (con
annesso sacrificio) presso il tempio (At 21,23ss). A ciò si aggiunga che Giacomo
era un assertore rigoroso della «giudaicità» dei cristiani giudei (Gal 2,12ss) e
un’autorità nella chiesa di Gerusalemme (At 12,17). Si noti l’insistenza di
Giacomo per la «Legge» mosaica nella sua epistola (Gcm 1,25; 2,8-12; 4,11). Si
fa quindi sempre bene a tener presente il contesto giudaico di alcune epistole.
■ Fratelli: I Giudei erano soliti chiamare così i loro connazionali a
qualunque movimento giudaico appartenessero (cfr At 28,17 con v. 28). I
cristiani giudei chiamavano così anche i Giudei storici (cfr. At 2,29.37; 3,17;
7,2; 13,15.26.38; 22,1.5; 23,1.5s; 28,17). Giacomo usò questo termine in 15
versi della sua pistola.
■ Salvare:Il
verbo greco sōzō significa «soccorrere, proteggere, mettere al sicuro»;
purtroppo viene applicato subito alla salvezza eterna.
È un po’ singolare (e ha creato molti dolorosi fraintendimenti nella storia)
tradurre così: «…nondimeno [la donna] sarà salvata partorendo figli…» (1
Tm 2,14s). Quindi, la logica di un’applicazione soteriologica è che le nubili
non si «salvano» (?) o per «salvarsi» devono diventare ragazze-madri (?)! Il
brano intende molto più semplicemente: «…nondimeno [la donna] sarà protetta
(o messa al sicuro dinanzi alla seduzione) partorendo figli…». Ossia, la
maternità è, in genere, per una donna un motivo valido per non cedere — per amor
dei figli — alle seduzioni del mondo. Certo ciò da solo può non bastare, ma deve
accompagnarsi da questo: «se persevereranno [le donne] nella fede e
nell’amore e nella santificazione con castità».
Similmente in Gcm 15,19 si tratta di mettere al sicuro l’esistenza di una
persona dinanzi alla morte. L’uso del verbo «salvare» da parte di Giacomo è
tipicamente ebraico. Egli, scrivendo, ai «fratelli miei diletti» (Gcm 1,19),
parlando dell’ira (v. 20), afferma poi che «la Parola che è stata piantata in
voi, e che può salvare le anime vostre» (v. 21); è chiaro che intende «proteggere
le anime vostre» da quanto ha appena parlato. ● Una fede senza opere,
essendo «morta», non può salvare (Gcm 2,14.17ss), ossia non è una fede
rigenerante, ma solo fede religiosa, anzi pari alla «fede solo conoscitiva» dei
demoni (v. 19). Giacomo voleva proprio contrastare qui la «grazia a poco prezzo»
e la fede come adesione religiosa che non cambia nulla nelle persone (nessuna
rigenerazione) né quindi nel loro comportamento (etica, santificazione). In Gcm
4,12 egli ribadì che Dio è l’unico che può «salvare e perdere», ossia esprimere
il verdetto finale su qualcuno.
■ Anima:Il
termine «anima» intendeva per gli Ebrei «persona» (questa si componeva a sua
volta di corpo e di spirito) e a volte «vita». Salvare l’anima di qualcuno dalla
fossa, significava preservargli la vita (Gb 33,18). Liberare o salvare l’anima
di qualcuno significa soccorrere la sua persona o lui stesso (Sal 6,4; 72,13).
■ Morte:Chi
è avvezzo alla dogmatica penserà che «morte» sia la perdizione o «morte eterna»,
ma il termine sta qui assoluto e intende semplicemente la «morte» esistenziale
sotto il giudizio divino (cfr. 1 Cor 11,30). Similmente Giacomo usò tale
concetto in Gcm 1,13ss mostrando il processo che comincia col cedere alle voglie
della carne e porta alla alienazione esistenziale rispetto a Dio («morte»).
Anche qui si parla più dell’esistenza di credenti falliti che del destino eterno
degli stessi. |
■ Tesi pro perdita della salvezza 2: Nonostante tutto, mi rendo conto che
Gesù ha detto che nessuno avrebbe rapite le sue pecore dalla sua mano. Ma,
essendo dotati di libero arbitrio, possiamo (penso) abbandonare volontariamente
se il diavolo ci seduce (o meglio ci lasciamo sedurre). Nessuno ci può rapire, è
vero ma ci possiamo allontanare dalla verità volontariamente, rinnegandola in
fine.
Non so, non pretendo di avere ragione, ma a me sembra la posizione più logica.
Giustificherebbe anche il pieno impegno e dovere del cristiano di «combattere
strenuamente per la fede» contro le false dottrine che ci sviano dalla verità.
Perché facendo posto al diavolo, egli ci allontana da Dio, fino a quando noi non
abbandoniamo la verità per volgerci alle favole. Nessuno ci rapisce (ci porta
via contro la nostra volontà) è vero, ma seducendoci e lasciandoci sedurre ci
allontaniamo noi volontariamente. {Gaetano Nunnari} |
■ Osservazioni e obiezioni 2: Penso che tutto ciò si basi sulla logica
umana e sul suo raziocinio. A molte di queste cose ho dato già una risposta.
L’apostolo Giovanni pone una netta linea di demarcazione:
«Noi sappiamo che chiunque è generato da Dio non
persevera nel peccato; ma il generato da Dio lo preserva, e il maligno non lo
tocca» (1 Gv 5,18). E ancora:«Chiunque è generato da Dio non
continua a commettere il peccato, perché il seme di Lui dimora in lui; e non può
persistere a peccare perché è generato da Dio» (1 Gv 3,9; cfr. vv. 6.10). O
si è «generati da Dio» o non lo si è, quantunque si creda di essere cristiani.
Se si è «generati da Dio», Egli è capace di portarli fino alla fine in stato di
grazia. Quelli che non rimangono nella fede, afferma Giovanni, non sono mai
«stati dei nostri» (1 Gv 2,19). Si veda quanto già detto sopra al
punto 2. |
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Il credente può perdere la sua salvezza? {Argentino Quintavalle} (A)
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Credente ma non rigenerato: esperienza e dottrina {Roberta Sbodio} (A)
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Perdita della salvezza 1 {S. Ferrero - N. Martella} (T/A)
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Perdita della salvezza 2 {S. Ferrero - N. Martella} (T/A)
►
Perdita della salvezza 3 {S. Ferrero - N. Martella} (T/A)
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Si può perdere la salvezza? {Nicola Martella} (T)
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Sicurezza e perdita della salvezza {Tonino Mele} (A)
► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_Dot/A1-Perdita_salvezza4_Lv.htm
21-11-2006; Aggiornamento: 01-08-2013 |
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