Un taglio netto alle convenzioni anti-bibliche e pseudo-bibliche, all'ignoranza e alle speculazioni — Ein klarer Schnitt zu den anti-biblischen und pseudo-biblischen Konventionen, zur Unwissenheit und den Spekulationen — A clean cut to the anti-biblical and pseudo-biblical conventions, to the ignorance and the speculations — Une coupe nette aux conventions anti-bibliques et pseudo-bibliques, à l'ignorance et aux spéculations — Un corte neto a las convenciones anti-bíblicas y pseudo-bíblicas, a la ignorancia y a las especulaciones

La fede che pensa — Accettare la sfida nel nostro tempo

«Glaube gegen den Strom»: Für das biblische Unterscheidungsvermögen — «Faith countercurrent»: For the biblical discernment — «Foi contre-courant»: Pour le discernement biblique — «Fe contracorriente»: Por el discernimiento bíblico

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Il Levitico 1

 

Soteriologia

 

 

 

 

Il Levitico — Libretto di studio:

   Dopo le istruzioni d’uso e l’introduzione generale, seguono le domande sul testo, che rimarcano le parti principali del Levitico:
■ I sacrifici (Lv 1-7)
■ Il sacerdozio (Lv 8-10)
■ Purificazione del popolo (Lv 11-15)
■ Giorno della riconciliazione (Lv 16)
■ Ordinamenti per il popolo (Lv 17-20)
■ Ordinamenti per il sacerdozio (Lv 21-22)
■ Ordinamenti per le feste (Lv 23-24)
■ Ordinamenti per il paese (Lv 25-26)
■ Appendice: voti e decime (Lv 27).

 

Il Levitico — Libretto di testo

   Si tratta di una traduzione letterale che ricalca da vicino l’ebraico e che è strutturata secondo le parti evidenti del libro. Può risultare molto utile per chi vuole studiare il Levitico in modo profondo.

 

► Vedi al riguardo le recensioni.

 

Il Levitico 2

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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PERDITA DELLA SALVEZZA 4

Tesi a confronto

 

 di AA.VV. - Nicola Martella

 

1. Giuda, Dema, Marco e Mt 24,13

2.  Credenti e rigenerati (1 Gv 3,9; 4,7s; 5,1-10.18; Gv 1,13)

3.  Tornando sull'apostasia (1 Tm 4,1s.16)

4. Giacomo 5,19

 

Clicca sul lemma desiderato per raggiungere la voce corrispondente

 

 

1.  GIUDA, DEMA, MARCO E MT 24,13

   ■ Tesi pro perdita della salvezza: La salvezza dell’anima, una volta ottenuta, può essere perduta se l’uomo diventa infedele a Dio. Vedi l’esempio di Giuda, di Dema ecc. Lo afferma anche l’epistola agli Ebrei 6,6, ma anche il Signore Gesù quando disse: «Chi avrà perseverato fino alla fine, sarà salvato». Di conseguenza, chi non avrà perseverato fino alla fine, non sarà salvato. {Amedeo Bruno}

     «È molto meglio a mio avviso avere la certezza assoluta che è completamente impossibile perdersi, piuttosto che sapere che è possibile per un vero credente abbandonare la fede, ma l’esempio di Dema, collaboratore di alto livello di Paolo prima e apostata poi, nel NT è davvero troppo chiaro a mio avviso». {Stefano Ferrero}

 

   ■ Osservazioni e obiezioni: In questo contesto menzionare Giuda ad esempio, è alquanto fuori luogo, poiché ci troviamo prima di Pentecoste e, quindi, prima della chiesa. Non si può parlare proprio di un credente rigenerato riguardo a chi il Signore chiamò «figlio di perdizione» (Gv 17,12). Questa espressione fu usata nel NT solo per «l’uomo del peccato, il figlio della perdizione» alla fine dei tempi (2 Ts 2,3). Giovanni 17,12 è, in ogni modo notevole, per mostrare la differenza fra coloro che Gesù chiamò: undici divennero veri discepoli, mentre uno era un aggregato, e per di più «ladro» (Gv 12,6). Gesù, lavando i piedi ai discepoli, disse: «Non tutti siete netti», poiché «sapeva chi era colui che lo tradirebbe» (Gv 13,11). Giuda di spirito ricevette solo quello diabolico, dopo che aveva ormai deciso di tradire Gesù (Gv 13,2.27), mentre gli Undici ricevettero lo Spirito Santo (Gv 20,22).

     Perciò sono significative le parole di Gesù nella cosiddetta «preghiera sacerdotale»: «Mentre io ero con loro, io li conservavo nel tuo nome; quelli che tu mi hai dati, li ho anche custoditi, e nessuno di loro si è perso, tranne il figlio di perdizione, affinché la Scrittura fosse adempiuta» (Gv 17,12). Gesù è quindi capace di conservare e custodire coloro che il Padre gli ha dati, senza che nessuno si perda! Si perde solo chi è già perduto, che è un «figlio di perdizione».

     Viene menzionato sempre di nuovo il caso di Dema come esempio di perdita della salvezza. Ricordiamo che Dema era stato accanto a Paolo durante la sua prigionia romana, insieme a Luca: di lui l’apostolo mandò saluti ai credenti (Col 4,14; Flm 1,24). I versi che parlano della sua vicenda negativa si trovano in 2 Tm 4,9s: «Studiati di venir subito da me; poiché Dema, avendo amato il presente secolo, mi ha lasciato e se n’è andato a Tessalonica» (ND «amato il mondo presente»; NR «amato questo mondo»; CEI «preferito il secolo presente»). Non sappiamo con certezza che cosa questa espressione significhi con certezza, quali siano state le circostanze e che cosa sia successo in seguito. Trarre da un brano oscuro, una prova per la perdita della salvezza è quantomeno azzardato.

     Alcuni elementi di tali brani risultano rivelatori. In Flm 1,24 tra i «compagni d’opera» di Paolo c’è, oltre ad Aristarco, Dema e il fedele Luca, Marco. In 2 Tm 4,11 l’apostolo ingiunse a Timoteo: «Prendi Marco e portalo con te; poiché egli mi è molto utile per il ministero». A un lettore superficiale, distratto o biblicamente ignorante ciò può non dire nulla. Nel passato, proprio (Giovanni detto) Marco era partito in missione con Paolo e Barnaba in missione (At 12,25), ma poi si era separato da loro per strada e non era andato più con loro all’opera (At 15,38). Proprio lui era stato motivo di un’aspra contesa fra Paolo e Barnaba, tanto che i due si separarono definitivamente (At 15,39s). Anche qui sappiamo poco dei motivi perché Marco se ne andò per la sua strada, ritirandosi dalla missione in corso. In 2 Tm 4,11 Paolo dichiarò Marco «molto utile per il ministero». Purtroppo essendo questa epistola una delle ultime dell’apostolo, di Dema non sappiamo nulla a differenza di Marco. Aveva anche Marco abbandonato allora Paolo «avendo amato il presente secolo»? Non lo sapremo mai. Si fa bene comunque a non trarre da ciò facili deduzioni per una «interpretazione pro perdita della salvezza».

     Mt 24,13: «Ma chi avrà perseverato sino alla fine sarà salvato» — questo è un classico della «tesi pro perdita della salvezza». I versi, presi fuori contesto, diranno sempre ciò che si vuole. Questo verso è inserito in quella che io chiamo «l’apocalisse di Gesù» e riguarda il tempo apocalittico del 70 d.C. (la distruzione di Gerusalemme) quale specchio della grande tribolazione prima dell’avvento del Messia. Infatti, dopo che Gesù parlò della distruzione del tempio (Mt 24,1s), i discepoli chiesero: «Quando avverranno queste cose, e quale sarà il segno della tua venuta e della fine dell’età presente?» (v. 3). Gesù parlò della seduzione escatologica (vv. 4s.11), delle guerre e delle catastrofi (vv. 6s), della feroce persecuzione dei discepoli di Gesù in quel tempo (v. 9), della moltiplicazione della malvagità (vv. 10.12), della dissacrazione del tempio escatologico con l’idolatria (v. 15), della tribolazione senza precedenti nella storia (v. 21) dalla quale nessuno scamperebbe, se quei giorni saranno abbreviati (v. 22), delle catastrofi cosmiche (v. 29) e dell’arrivo del Messia (v. 30). Allora il Signore farà chiamare dagli angeli i suoi eletti a raccolta (v. 31), ossia per farli entrare nel regno. Perciò Mt 24,13 ha a che fare con tale tempo di sfrenata persecuzione degli eletti e tribolazione di questi ultimi. La menzione del tempio (v. 15), della Giudea (v. 16) e del sabato (v. 20) mostra che si tratta d’Israele durante la grande tribolazione. Proprio per gli Israeliti che in quel periodo si convertiranno a Gesù quale Messia vale questa promessa di Gesù: «Ma chi avrà perseverato sino alla fine sarà salvato», ossia scamperà nel regno del Messia. Dei giudei di quel tempo, «l’uno sarà preso» (ossia tolto via dalla persecuzione, perché incredulo) e «l’altro sarà lasciato» (ossia scamperà nel regno, perché convertito; vv. 40s). Ciò si accorda anche con la predizione di Daniele: «E dal tempo che sarà soppresso il [sacrificio] continuo, per istaurare la desolante abominazione, vi saranno milleduecentonovanta giorni. Beato chi aspetta e giunge a milletrecentotrentacinque giorni!» (Dn 12,11s). Quindi dal momento in cui la «bestia» (la potenza politica escatologica ostile al Messia) dissacrerà il tempio, ci sarà un tempo di 3 anni e 7 mesi di tribolazione, ma sarà benedetto nel regno chi resisterà e arriverà fino a 3 anni, 8 mesi e 15 giorni. Quindi neppure qui si parla di perdita di salvezza dei credenti della chiesa.

     Si noti che anche Mt 10,22: «E sarete odiati da tutti a motivo del mio nome; ma chi avrà perseverato sino alla fine sarà salvato» — parla dello stesso contesto escatologico. Quelli di casa propria (Giudei) saranno i delatori dei credenti messianici (v. 21; cfr. 24,10) dinanzi ai tribunali e alle sinagoghe (10,17). Nel contesto si parla del «giorno del giudizio» (v. 15), dell’evangelizzazione solo delle città d’Israele e della venuta del Messia (v. 23) e del premio nel regno per chi avrà agito bene verso i discepoli del Messia in quel tempo particolare (vv. 41s).

 

 

2.  CREDENTI E RIGENERATI (1 Gv 3,9; 4,7s; 5,1-10.18; Gv 1,13)

   ■ Tesi pro perdita della salvezza: Ho letto lo studio biblico di Paolo Castellina, e le sue argomentazioni in merito non mi hanno convinto. Io personalmente credo che se un credente rimane fermo in Cristo Gesù non può perdere la salvezza. Ma se un giorno rinnega la sua fede, a quel punto si autocondanna. È troppo facile a mio avviso affermare che coloro che rinnegano Cristo non sono mai stati credenti. {Gaetano Nunnari}

   La salvezza è un dono immeritato e l’uomo non può «guadagnarsela», è vero. Ma il «credente» che volge la grazia di Dio in dissolutezza risulta indegno di quel dono (Giuda 4). D’altro canto, è ovvio che la salvezza è assicurata se il credente ha l’animo nelle cose dello Spirito. Ma se il credente pecca volontariamente come può essere degno di salvezza? Gesù ha pagato per i nostri peccati involontari e non per i «credenti» che tornano a peccare volontariamente. {La Redazione «La Buona Notizia»}

 

   ■ Osservazioni e obiezioni: È assolutamente necessario tracciare una linea di demarcazione tra «credenti» e «rigenerati» (o come alcuni preferiscono «nati di nuovo»). L’apostolo Giovanni si è confrontato con questo problema già ai suoi giorni e, dovendo stabilire un criterio fra (solo) «credenti» e «rigenerati» (nati da Dio), affermò tra altri i principi seguenti.

   1 Gv 5,18: «Noi sappiamo che chiunque è generato da Dio non persevera nel peccato; ma il generato da Dio lo preserva, e il maligno non lo tocca». In greco il verbo «peccare» è al presente e descrive uno stato e una continuità in esso. Alcuni manoscritti invece di «ma il generato da Dio lo preserva» leggono «ma la generazione [o nascita] da Dio lo preserva». Quindi i due elementi essenziali che dividono il grano (i «generati da Dio») dalla paglia (i cosiddetti «credenti») sono questi: ▪ 1) Essere effettivamente nati (o generati) da Dio; ▪ 2) Non persistere nel peccato come condizione normale; questa diventa anche una dimostrazione della prima; ▪ 3) La generazione (o nascita) da Dio (o ciò che è stato generato da Dio in lui = la nuova creatura) è in grado di proteggere tale credente rigenerato; ▪ 4) Se si è in tale condizione di «rigenerato da Dio» e non si è un semplice «credente» (né carne né pesce; anche il diavolo crede in Dio), il «maligno» non è in grado di «toccarlo», ossia di danneggiarlo o rovinarlo.

   L’espressione «generato/i (nato/i) da Dio» si trova nei seguenti brani giovannei:

   Gv 1,13: Qui la generazione (o la nascita) da Dio viene contrapposta alla razza e la nascita naturale (cfr. v. 12). Si tratta della «generazione (o della nascita) dall'alto» (Gv 3,3.7) o mediante lo Spirito (v. 5s) contrapposta a quella della carne (v. 6) e probabilmente a quella dall'«acqua» (v. 5), eufemismo per il seme umano (Is 48,1 sorgente di Giacobbe).

   1 Gv 3,9: «Chiunque è generato da Dio non continua a commettere il peccato, perché il seme di Lui dimora in lui; e non può persistere a peccare perché è generato da Dio». Il germe di vita proveniente da Dio nel generato fa sì che egli non possa vivere in un continuo stato di peccato. Di conseguenza, Giovanni pose questo principio importante che discrimina fra credenti di nome e credenti rigenerati: «Da questo sono manifesti i figli di Dio e i figli del diavolo: chiunque non opera la giustizia non è da Dio, e [altresì] chi non ama il suo fratello» (v. 10).

   1 Gv 4,7: «Diletti, amiamoci gli uni gli altri; perché l’amore è da Dio, e chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio». Qui l’autore non parla di una generica antropofilia, ma l’amore per i fratelli è un criterio per riconoscere chi è generato da Dio e Lo conosce. L’atteggiamento contrario dimostra quanto segue: «Chi non ama [cioè i fratelli] non ha conosciuto Dio; perché Dio è amore» (v. 8). Chi è stato in varie parti dell’Italia e del mondo, sa che cosa vuol dire incontrare persone e subito sentire una spirituale empatia di rigenerato verso altri rigenerati dallo Spirito di Dio… di là dalle differenze culturali, linguistiche e, occasionalmente, dottrinali.

   1 Gv 5,1: «Chiunque crede che Gesù è il Cristo, è generato da Dio; e chiunque ama Colui che ha generato, ama anche chi è stato da lui generato». Quanto qui detto, rafforza il precedente. È logico che non si può credere che Gesù sia il Messia-Re e amare il Dio generatore e non amare chi Dio ha generato. Chi, durante la storia, ha perseguitato altri credenti in nome di Cristo e di Dio e li ha messi a morte, non era generato da Dio, ma solo un «credente» che disonorava Dio e infangava il nome di Cristo.

     Nei versi che seguono (1 Gv 2-10) Giovanni argomenta al contrario per evitare una falsa religione del «vogliamoci bene». Se effettivamente amiamo i figli di Dio, ciò si palesa nell’amare Dio stesso e nell’osservare i suoi comandamenti (v. 2). Infatti, l’amore per Dio si palesa nella persistente osservanza dei suoi comandamenti (v. 3). Chi è generato da Dio conosce i fronti fra le cose di Dio e il mondo, e la sua vita è improntata a una persistente vittoria sul mondo mediante la fede (v. 4); si può caratterizzare difficilmente come «generato da Dio» un «credente» con una mentalità e una prassi di vita mondane. Non può essere diversamente che chi persiste nel vincere il mondo, crede che Gesù è il Figlio di Dio (v. 5). Nei versi che seguono (6-10) l’autore evidenzia la testimonianza interna dello Spirito di verità, poiché «Chi crede nel Figlio di Dio ha quella testimonianza in sé» (v. 10).

   Abbiamo evidenziato abbastanza criteri per capire la differenza fra un «credente» e chi «è generato da Dio». Anche qui la salvezza la perdono solo i «credenti» che non ce l’hanno mai veramente avuta, non essendo generati da Dio.

 

3.  TORNANDO SULL’APOSTASIA (1 Tm 4,1s.16)

     ■ Tesi pro perdita della salvezza: Cito dal tuo stesso sito: «La chiesa del tempo della fine sarà circondata da tante lotte e tentazioni. Negli ultimi tempi non avviene solo la riunione della chiesa con Cristo, ma anche l’apostasia, come è scritto: “Ma lo Spirito dice espressamente che nei tempi a venire alcuni apostateranno dalla fede, dando retta a spiriti seduttori, e a dottrine di demoni per via dell’ipocrisia degli uomini...” (1 Tm 4,1s).

     Come è logico, cade solo chi sta in piedi, decade dalla fede solo chi ne era seguace. Ciò non sarà un problema dei seguaci di altre religioni e neanche solo dei cristiani di nome, che mai hanno sperimentato una nuova nascita, ma lo sarà particolarmente dei cristiani fedeli alla Bibbia. Si tratterà di una “pia” seduzione, poiché una seduzione riconoscibile, che non sia sottilmente “spirituale”, non porterebbe nessuno all’apostasia» (grassetto non nell’originale).

     Mi sembra di capire che credi che dei veri credenti possano fare apostasia dalla fede. Direi che è difficile e assurdo dire che si può fare apostasia dalla fede senza perdere la salvezza. Qui tu stesso parli di veri credenti non di giudei non-convertiti. Del resto perché il diavolo si dà tanto da fare se col suo operato e seduzione non può portare in perdizione con i suoi inganni qualche vero figlio di Dio? Non pensi che queste parole sono in ogni caso ambigue? {Stefano Ferrero}

 

   ■ ■ Osservazioni e obiezioni: Quello che tu hai citato, si trova letteralmente in questa mia opera: Nicola Martella, «Considerazioni finali», Carismosofia (Punto°A°Croce, Roma 1995), pp. 257s. Le mie parole sono precedute da quelle di Dawid Wilkerson a proposito della situazione spirituale alla fine dei tempi. Vale la pena leggere l’intero articolo per capire il senso di quelle parole: esortazione a praticare il discernimento degli spiriti dinanzi alle molteplici seduzioni spiritualistiche, gnostiche e carismaticistiche, per non rimanere sedotti da false dottrine e da false pratiche. Parlo della prova dei segni dei tempi, dell’obbligo di vegliare e di suonare la tromba per avvisare altri, di mettere in guardia dinanzi alla seduzione finale, di esortare di tornare alle radici bibliche e alla «teologia della croce», eccetera.

   Quanto qui detto dell’apostasia non è inteso in senso personale e immanente, individuale e puntuale, ma come lenta abitudine a una dottrina spiritualistica che, a mano a mano e col passare delle generazioni, fa perdere la bussola spirituale, fa smarrire i confini tra bene e male e fra giusto e ingiusto, e cambia il significato delle cose. Una generazione trasmette all’altra «mezze verità» annacquate da «mezze menzogne», a cui ci si abitua e intorno a cui si crea un consenso. I maestri seducono i loro discepoli con tali mezze verità commiste con una «teologia dell’esperienza» e con mistiche rivelazioni personali; i loro discepoli vanno oltre, come si sa. Infine, i padri presentano ai loro figli un «altro Cristo» e un «altro Evangelo», pieni di «misteri» (o sacramentalismi) e di misticismo, ma che non salvano più nessuno. La storia della chiesa e delle chiese insegna al riguardo. Tale «pia seduzione» sposta lentamente gli accenti, tanto che la gente non sente più alcun bisogno di convertirsi e di salvarsi mediante il sangue di Gesù, ma cerca un cristianesimo fatto di riti e cerimonie, di incontri oceanici e spettacolari, di segni e prodigi, di guru e maestri, di sensazionalismi, di filosofismi e di dottrine piacevoli da udire. Lentamente si istaura un cristianesimo solo nominale, tollerante quanto alla verità e, sazio di se stesso, fa volentieri commistioni con altre «realtà spirituali», senza badare alla loro origine; insegue novità spiritualeggianti, nuove rivelazioni, cristianizzandole. È un cristianesimo culturale che pensa di vivere, ma è morto; pensa di vederci chiaro, ma è cieco. Perché questo non avvenga, la Scrittura ci esorta a vegliare come sentinelle su noi stessi e sulla sana dottrina: «Bada a te stesso e all’insegnamento; persevera in queste cose, perché, facendo così, proteggerai te stesso e quelli che ti ascoltano» (1 Tm 4,16).

    Deve far pensare che futuri seduttori o anticristi sono sempre usciti dal mezzo dei veri credenti, in mezzo ai quali sono stati per breve o lungo tempo degli aggregati o degli intrusi, né carne e né pesce. A ragione affermò Giovanni: «Sono usciti di fra noi, ma non erano dei nostri; perché, se fossero stati dei nostri, sarebbero rimasti con noi; ma sono usciti affinché fossero manifestati e si vedesse che non tutti sono dei nostri». Essi hanno un’infarinatura delle cose bibliche, ma poi mischiano ciò con contenuti estranei alla Scrittura o chiaramente condannati da essa (occultismo, spiritismo, divinazione camuffata con profezia, paganesimo, gnosticismo, esoterismo, eccetera). Dio viene mischiato con Mammona (Mt 6,24), sacro con profano (Eb 10,29), luce con tenebre (1 Gv 2,9), giustizia con iniquità (2 Cor 6,14), Cristo con Beliar (2 Cor 6,15; cfr. Ap 2,24): tutto fa brodo per gli apostati, poiché non hanno mai conosciuto veramente la verità e non hanno mai vissuto la rigenerazione che li preserva dal maligno (1 Gv 5,18). Per questo veniamo esortati a discernere gli spiriti (1 Gv 4,1), fuori e dentro le chiese.

   Quindi, i credenti rigenerati possono far posto al diavolo (Ef 4,27), contristare lo Spirito Santo (Ef 4,30), possono essere sedotti in certe circostanze (Ef 5,6; 1 Gv 3,6) e cadere nel peccato (1 Gv 1,9; 2,1). Per questo, vengono esortati a vegliare, a ravvedersi, a resistere al diavolo, a esercitare il discernimento degli spiriti. I credenti rigenerati non possono perseverare nel peccato e in una condizione spiritualmente anomala; la nuova vita in loro (1 Gv 5,18), il suggellamento (Ef 1,13s; 4,20) e l’unzione (1 Gv 2,27) che hanno ricevuto lo impediscono loro. Infatti, come afferma Giovanni: «Chiunque dimora in lui non persiste nel peccato; chiunque persiste nel peccato non l’ha veduto, né l’ha conosciuto» (1 Gv 3,6). E qui sta la differenza fra chi dice di essere «credente» e chi è «generato (o nato) da Dio». Chi è nato nella famiglia di Dio può perdere al massimo il premio, poiché non si può far sì che non sia mai nato. I credenti nominali, non avendo sperimentato la rigenerazione e il suggellamento mediante lo Spirito Santo, possono diventare apostati, poiché hanno solo assaggiato i beni futuri, senza mai abbracciarli veramente.

    L’apostasia è un fenomeno sociale e culturale (oltre che di religione) che investe varie generazione, portando gli uomini alla disaffezione per la verità e allontanatole dalla sana dottrina. È così che zone cristianizzate (p.es. il Medio Oriente, l’attuale Turchia, il nord dell’Africa) si sono col tempo scristianizzate. Per questo l’apostasia non ha direttamente a che fare con la salvezza personale, essendo un lungo processo socio-religioso. La seduzione del diavolo verso i credenti rigenerati non fa perdere loro la salvezza, ma le benedizioni e il premio (Col 2,18). Si può essere salvati come attraverso il fuoco (ossia senza alcun premio), ma si è pur salvati (1 Cor 3,15). Addirittura il credente, che si è macchiato di un grave crimine, può essere «consegnato a Satana, per la rovina della carne, affinché lo spirito sia salvo nel giorno del Signore Gesù»! (1 Cor 5,15).

 

 

4.  GIACOMO 5,19

 

   ■ Tesi pro perdita della salvezza 1: Dopo aver letto vari interventi sul sito in merito alla sicurezza o perdita della salvezza, non so ancora quale posizione sia quella giusta. Vorrei farti presente il brano di Giacomo 5,19: «Fratelli miei, se qualcuno tra di voi si svia dalla verità e uno lo riconduce indietro, costui sappia che chi avrà riportato indietro un peccatore dall’errore della sua via salverà l’anima del peccatore dalla morte e coprirà una gran quantità di peccati».

     A me pare che parli chiaro: «Fratelli [quindi cristiani dal contesto, altrimenti non li chiamerebbe fratelli, penso], se qualcuno tra di voi [quindi tra questi cristiani veri] si svia dalla verità...». {Gaetano Nunnari}

   ■ Osservazioni e obiezioni 1: Il problema qui è che, influenzati dalla dogmatica occidentale, si dà ai termini un valore dottrinale legato alla soteriologia. Si tenga presente il contesto giudaico dell’epistola e dei confini molto fluidi fra giudaismo storico e giudaismo cristiano, tipico dei credenti di Gerusalemme. I conduttori della chiesa di Gerusalemme dissero a Paolo: «Fratello, tu vedi quante migliaia di Giudei ci sono che hanno creduto; e tutti sono zelanti per la legge» (At 21,20). E per loro era normale praticare i riti di purificazione rituale (con annesso sacrificio) presso il tempio (At 21,23ss). A ciò si aggiunga che Giacomo era un assertore rigoroso della «giudaicità» dei cristiani giudei (Gal 2,12ss) e un’autorità nella chiesa di Gerusalemme (At 12,17). Si noti l’insistenza di Giacomo per la «Legge» mosaica nella sua epistola (Gcm 1,25; 2,8-12; 4,11). Si fa quindi sempre bene a tener presente il contesto giudaico di alcune epistole.

    ■ Fratelli: I Giudei erano soliti chiamare così i loro connazionali a qualunque movimento giudaico appartenessero (cfr At 28,17 con v. 28). I cristiani giudei chiamavano così anche i Giudei storici (cfr. At 2,29.37; 3,17; 7,2; 13,15.26.38; 22,1.5; 23,1.5s; 28,17). Giacomo usò questo termine in 15 versi della sua pistola.

    Salvare:Il verbo greco sōzō significa «soccorrere, proteggere, mettere al sicuro»; purtroppo viene applicato subito alla salvezza eterna.

     È un po’ singolare (e ha creato molti dolorosi fraintendimenti nella storia) tradurre così: «…nondimeno [la donna] sarà salvata partorendo figli…» (1 Tm 2,14s). Quindi, la logica di un’applicazione soteriologica è che le nubili non si «salvano» (?) o per «salvarsi» devono diventare ragazze-madri (?)! Il brano intende molto più semplicemente: «…nondimeno [la donna] sarà protetta (o messa al sicuro dinanzi alla seduzione) partorendo figli…». Ossia, la maternità è, in genere, per una donna un motivo valido per non cedere — per amor dei figli — alle seduzioni del mondo. Certo ciò da solo può non bastare, ma deve accompagnarsi da questo: «se persevereranno [le donne] nella fede e nell’amore e nella santificazione con castità».

     Similmente in Gcm 15,19 si tratta di mettere al sicuro l’esistenza di una persona dinanzi alla morte. L’uso del verbo «salvare» da parte di Giacomo è tipicamente ebraico. Egli, scrivendo, ai «fratelli miei diletti» (Gcm 1,19), parlando dell’ira (v. 20), afferma poi che «la Parola che è stata piantata in voi, e che può salvare le anime vostre» (v. 21); è chiaro che intende «proteggere le anime vostre» da quanto ha appena parlato. ● Una fede senza opere, essendo «morta», non può salvare (Gcm 2,14.17ss), ossia non è una fede rigenerante, ma solo fede religiosa, anzi pari alla «fede solo conoscitiva» dei demoni (v. 19). Giacomo voleva proprio contrastare qui la «grazia a poco prezzo» e la fede come adesione religiosa che non cambia nulla nelle persone (nessuna rigenerazione) né quindi nel loro comportamento (etica, santificazione). In Gcm 4,12 egli ribadì che Dio è l’unico che può «salvare e perdere», ossia esprimere il verdetto finale su qualcuno.

    Anima:Il termine «anima» intendeva per gli Ebrei «persona» (questa si componeva a sua volta di corpo e di spirito) e a volte «vita». Salvare l’anima di qualcuno dalla fossa, significava preservargli la vita (Gb 33,18). Liberare o salvare l’anima di qualcuno significa soccorrere la sua persona o lui stesso (Sal 6,4; 72,13).

    Morte:Chi è avvezzo alla dogmatica penserà che «morte» sia la perdizione o «morte eterna», ma il termine sta qui assoluto e intende semplicemente la «morte» esistenziale sotto il giudizio divino (cfr. 1 Cor 11,30). Similmente Giacomo usò tale concetto in Gcm 1,13ss mostrando il processo che comincia col cedere alle voglie della carne e porta alla alienazione esistenziale rispetto a Dio («morte»). Anche qui si parla più dell’esistenza di credenti falliti che del destino eterno degli stessi.

 

   ■ Tesi pro perdita della salvezza 2: Nonostante tutto, mi rendo conto che Gesù ha detto che nessuno avrebbe rapite le sue pecore dalla sua mano. Ma, essendo dotati di libero arbitrio, possiamo (penso) abbandonare volontariamente se il diavolo ci seduce (o meglio ci lasciamo sedurre). Nessuno ci può rapire, è vero ma ci possiamo allontanare dalla verità volontariamente, rinnegandola in fine.

     Non so, non pretendo di avere ragione, ma a me sembra la posizione più logica. Giustificherebbe anche il pieno impegno e dovere del cristiano di «combattere strenuamente per la fede» contro le false dottrine che ci sviano dalla verità. Perché facendo posto al diavolo, egli ci allontana da Dio, fino a quando noi non abbandoniamo la verità per volgerci alle favole. Nessuno ci rapisce (ci porta via contro la nostra volontà) è vero, ma seducendoci e lasciandoci sedurre ci allontaniamo noi volontariamente. {Gaetano Nunnari}

   ■ Osservazioni e obiezioni 2: Penso che tutto ciò si basi sulla logica umana e sul suo raziocinio. A molte di queste cose ho dato già una risposta. L’apostolo Giovanni pone una netta linea di demarcazione: «Noi sappiamo che chiunque è generato da Dio non persevera nel peccato; ma il generato da Dio lo preserva, e il maligno non lo tocca» (1 Gv 5,18). E ancora:«Chiunque è generato da Dio non continua a commettere il peccato, perché il seme di Lui dimora in lui; e non può persistere a peccare perché è generato da Dio» (1 Gv 3,9; cfr. vv. 6.10). O si è «generati da Dio» o non lo si è, quantunque si creda di essere cristiani. Se si è «generati da Dio», Egli è capace di portarli fino alla fine in stato di grazia. Quelli che non rimangono nella fede, afferma Giovanni, non sono mai «stati dei nostri» (1 Gv 2,19). Si veda quanto già detto sopra al punto 2.

 

Il credente può perdere la sua salvezza? {Argentino Quintavalle} (A)

Credente ma non rigenerato: esperienza e dottrina {Roberta Sbodio} (A)

Perdita della salvezza 1 {S. Ferrero - N. Martella} (T/A)

Perdita della salvezza 2 {S.  Ferrero - N. Martella} (T/A)

Perdita della salvezza 3 {S.  Ferrero - N. Martella} (T/A)

Si può perdere la salvezza? {Nicola Martella} (T)

Sicurezza e perdita della salvezza {Tonino Mele} (A)

 

► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_Dot/A1-Perdita_salvezza4_Lv.htm

21-11-2006; Aggiornamento: 01-08-2013

 

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