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La questione del lettore
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Pace! Potresti darmi una risposta riguardo alla morte? È una persona o una
conseguenza? Me lo spigheresti in modo biblico. {Fabrizio
[consfab]; 27-07-07}
La risposta ▲
Secondo la Bibbia, se espresso in linea generale, la morte è l’atto del morire,
la conseguenza di ciò («è morto», a differenza di «è vivo») e lo stato
successivo ad esso (essere morto, non essere più un essere vivente, essere in
Paradiso o nell’Ades), in attesa della risurrezione della carne. Lo stato
derivato dal morire è percettibile specialmente nei brani che pongono un
contrasto fra morti e viventi (cfr. Is 38,18s; Ec 9,4s; Ez 32,25; Lc 24,5; Rm
14,9; Ap 1,18).
Nella Bibbia bisogna distinguere fra «persona» e
«personificazione». La prima è vivente, la seconda no. Specialmente la
sapienza fa uso della personificazione, ossia presenta della virtù o dei
difetti come se fossero persone. Lo scopo è didattico per rendere maggiormente
l’idea. Classico è l’esempio di «donna sapienza», presentata come una profetessa
(Pr 1,20ss; 8,1ss). Poi vengono presentate «donna sapienza» e «donna stoltezza»
in contrasto. «Donna sapienza» è presentata qui come una regina che, dopo aver
preparato un ricco banchetto, manda le sue serve per invitare i semplici (Pr
9,1ss). «Donna stoltezza» è presentata invece come una turbolenta, sciocca,
ignorante e oziosa (Pr 8,13ss).
Anche l’apocalittica fa uso della
personificazione. Sia in Daniele che nell’Apocalisse gli autori personificarono
le potenze mondiali e specialmente quelle escatologiche con animali e bestie
pericolose e aggressive (cfr. Dn 7-8; Ap 13,1.11). Anche Israele fu raffigurata
da una donna (Ap 12,1) e similmente Satana come un «dragone rosso» (Ap
12,3ss.9).
Perciò nell’apocalittica non meraviglia che anche la
morte sia personificata, ossia come se fosse una persona. Poiché l’astrazione
porta difficoltà a molte persone, la personificazione li aiuta, avendo gli
stessi pregi di una parabola. La personificazione permette di trattare un’entità
metafisica come se fosse tangibile, potendo così attribuirle tratti e
caratteristiche concreti.
■ Sebbene la morte sia la leva usata dal diavolo per
dominare sugli uomini (Eb 2,14s), essa non dipende la lui né è associata
direttamente a lui. Infatti il diavolo sarà buttato nello stagno di fuoco prima
del giudizio finale (Ap 20,10), mentre la morte e l’Ades solo dopo (v. 14).
L’associazione fra «morte» e «Ades» lascia intendere che l’Ades (luogo dove
vanno gli empi prima del giudizio) è il luogo della morte metafisica prima del
giudizio finale e della destinazione definitiva (vv. 13ss).
■ Non esiste nessun «angelo della morte», espressione
estranea alla Bibbia, ossia non c’è un essere celeste preposto alla morte o
identificato con essa. Infatti non si capirebbe perché una tale servo di Dio
venga poi punito con lo stagno di fuoco.
■ Dove la Bibbia personifica la morte intende il morire
concreto dei viventi mediante una catastrofe naturale o sovrannaturale.
■ La personificazione della morte avviene per la prima
volta per mezzo di Osea, un profeta che fa uso del genere sapienziale (cfr. 14,9
a chiusura del libro). Egli affermò: «Io li riscatterei dal potere della se’ol,
li redimerei dalla morte. Sarei la tua peste, o morte. Sarei la tua distruzione,
o se’ol. Ma il loro pentimento è nascosto agli occhi miei!» (Os
13,14). È un linguaggio poetico attinta appunto al genere sapienziale (cfr.
«figlio insensato» nel v. 13). Si noti l’accostamento fra «morte» e «se’ol»
(tomba, luogo metafisico dei morti), come nel NT sarà fra la prima e Ades. Non
esiste una persona metafisica chiamata «peste» (né Dio è tale), né la morte può
morire di peste. Il paradosso è dato anche dal fatto che la se’ol
quale luogo di distruzione viene minacciato di distruzione. Con la
personificazione poetica Dio intendeva rendere plastico e concreto la questione,
al pari dell’attesa conversione d’Israele in quel momento storico particolare,
quando il regno del nord stava per essere trucidato e deportato dagli Assiri.
■ Paolo in 1 Cor 15,54s riprende il linguaggio poetico
di Osea (e forse anche di un canto ecclesiale formato su tale falsariga) per
esprimere la gloria e la potenza della risurrezione.
■ Nell’Apocalisse la morte viene, quindi personificata,
intendendo la distruzione dei viventi mediante l’atto del morire (Ap 2,23) o
mediante catastrofi. Il Signore Gesù afferma di tenere «le chiavi della morte
e dell’Ades», ossia è l’unico che ha potuto scampare al loro potere mediante
la risurrezione(Ap 1,18); perciò può trarre da tale stato anche i credenti
mediante la risurrezione dei morti. La morte e l’Ades vengono personificati come
cavalieri con licenza d’uccidere l’umanità escatologica mediante catastrofi (Ap
6,8). Un altro cavaliere doveva seminare la morte col suo arco (v. 2), un altro
doveva togliere la pace mediante la spada (v. 4) e un altro doveva portare
inflazione e fame (v. 5s). Sono quindi tutte personificazioni tipiche degli
apocalittici: i fatti concreti vengono rivestiti con una personalità per dare
loro concretezza. Nella tribolazione la morte viene cercata dagli empi ma fugge
da loro (Ap 9,6). I martiri hanno esposta la loro vita alla morte a causa della
testimonianza, ossia hanno preferito morire per essa (Ap 12,11).
Si parla anche della «morte seconda» (Ap 2,11) come
stato definitivo di coloro che hanno rifiutato Gesù quale Signore e Salvatore
(Ap 21,8). Su coloro, che partecipano alla prima risurrezione, essa non ha
potestà (Ap 20,6). Qui la morte è quindi uno stato, una condizione esistenziale.
Nel regno eterno sulla nuova terra, «la morte non sarà più» (Ap 21,4),
ossia non si morirà più.
Per l’approfondimento cfr. in Nicola Martella (a cura di),
Escatologia biblica essenziale.
Escatologia 1
(Punto°A°Croce, Roma 2007), gli articoli: «La morte e
l’aldilà nell’Antico Testamento», pp. 183ss; «La morte, pp. 187ss; «Il
mondo dei morti», pp. 190ss; « Lo stato personale dopo la morte», pp.
193ss. |
30-07-2007; Aggiornamento:
03-07-2010 |