Un taglio netto alle convenzioni anti-bibliche e pseudo-bibliche, all'ignoranza e alle speculazioni — Ein klarer Schnitt zu den anti-biblischen und pseudo-biblischen Konventionen, zur Unwissenheit und den Spekulationen — A clean cut to the anti-biblical and pseudo-biblical conventions, to the ignorance and the speculations — Une coupe nette aux conventions anti-bibliques et pseudo-bibliques, à l'ignorance et aux spéculations — Un corte neto a las convenciones anti-bíblicas y pseudo-bíblicas, a la ignorancia y a las especulaciones

La fede che pensa — Accettare la sfida nel nostro tempo

«Glaube gegen den Strom»: Für das biblische Unterscheidungsvermögen — «Faith countercurrent»: For the biblical discernment — «Foi contre-courant»: Pour le discernement biblique — «Fe contracorriente»: Por el discernimiento bíblico

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Il Levitico 1

 

Escatologia

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Il Levitico — Libretto di studio:

   Dopo le istruzioni d’uso e l’introduzione generale, seguono le domande sul testo, che rimarcano le parti principali del Levitico:
■ I sacrifici (Lv 1-7)
■ Il sacerdozio (Lv 8-10)
■ Purificazione del popolo (Lv 11-15)
■ Giorno della riconciliazione (Lv 16)
■ Ordinamenti per il popolo (Lv 17-20)
■ Ordinamenti per il sacerdozio (Lv 21-22)
■ Ordinamenti per le feste (Lv 23-24)
■ Ordinamenti per il paese (Lv 25-26)
■ Appendice: voti e decime (Lv 27).

 

Il Levitico — Libretto di testo

   Si tratta di una traduzione letterale che ricalca da vicino l’ebraico e che è strutturata secondo le parti evidenti del libro. Può risultare molto utile per chi vuole studiare il Levitico in modo profondo.

 

► Vedi al riguardo le recensioni.

 

Il Levitico 2

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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STATO INTERMEDIO E SONNO DELL’ANIMA 4

 

 di Nicola Martella e Argentino Quintavalle

 

La parte in nero è stata scritta da Argentino Quintavalle, quella in rosso rappresenta le obiezioni e le osservazioni fatte nel merito. Il confronto si estrinseca in un cammino che è condensato in diversi articoli.

 

Caro «picconatore», dunque, ti dirò, alcune picconate non mi hanno fatto male, ma qualcuna ha colpito il bersaglio. Ad un certo punto si è accesa una lampada nella mia testolina e gli ingranaggi si sono messi in moto. Le mura di Gerico sono crollate ed ora ho finalmente capito tutto. Vedo le cose in maniera completamente diversa da prima e tutti i pezzi del puzzle ora si trovano al loro posto. Nell’allegato che ti mando scoprirai una persona diversa. Avevo in serbo altre cartucce da sparare, ma le ho picconate da solo.

   Certo che ne abbiamo scritte di cose sull’argomento, non dico che se ne può fare un libro, ma come minimo delle buone dispense di studio.

Grazie per la collaborazione e disponibilità...  Argentino

 

IL SONNO DELL’ANIMA

Il «sonno dell’anima» è una dottrina che suppone, abbastanza semplicemente, che tra il tempo della morte e il tempo della risurrezione, l’uomo è in uno stato «inconsapevole». Essa è creduta in vari gruppi cristiani evangelici e non solo dagli Avventisti.

 


 

Per affrontare questo argomento bisogna partire da un altro: la natura del rapporto tra ciò che è chiamato corpo, anima e spirito. I fautori del sonno dell’anima guardano a queste «componenti» come a un insieme inseparabile.

     È vero che la Bibbia, specialmente nel Vecchio Testamento, presenta l’uomo come un’unità. Ma questo non significa necessariamente che i suoi elementi costituenti siano inseparabili; significa semplicemente che ciò che rende un uomo tale, sono gli elementi assemblati insieme. La domanda che rimane è se gli elementi possono esistere separatamente dopo la morte del corpo.

     A questo proposito ho notato qualche confusione di termini. Uno studioso avventista, in un saggio dal titolo «The Human Soul» (L’anima umana), dapprima dice: «Quelli che generalmente credono che la loro natura sia formata da un tutto indivisibile dove corpo, anima e spirito sono le caratterizzazioni della stessa persona, immaginano un destino dove la loro persona morta sarà un giorno risuscitata, ma nel frattempo è completamente inconsapevole». Ma nel paragrafo successivo ribadisce: «D’altra parte, quelli che credono che la loro natura sia dualistica, che cioè, è formato da un corpo materiale e mortale e da un’anima spirituale e immortale, immaginano un destino dove le loro anime immortali sopravvivranno alla morte del loro corpo».

     Che cosa è accaduto qui? Egli ha trasformato i tre (spirito, anima, corpo) in due (corpo, anima) e ha lasciato lo spirito nella polvere (nel primo caso). Poi sembra che egli consideri «l’anima» e lo «spirito» come sinonimi. Nel primo caso poi, il corpo e l’anima, la carne e lo spirito, sono caratterizzazioni della stessa persona e componenti non scindibili soggetti alla morte. È vero che «l’anima» e lo «spirito» vengono a volte usati in maniera intercambiabile, ma questo non è sempre il caso, poiché le parole ebraiche sono molto diverse:

     ■ Spirito: rûahI «vento; respiro, soffio».

     ■ Anima: nep«essere vivente, vita».

 

«L’Eterno Dio formò l’uomo dalla polvere della terra, gli soffiò nelle narici un alito di vita, e l’uomo divenne un essere vivente» (Gen 2,7). Cosicché il corpo staccato dallo spirito non può essere l’uomo; e lo spirito staccato dal corpo non è l’uomo; ma è l’unione dei due che fa «un essere vivente». E questo vale anche per gli animali poiché nepeš hIajjāh si riferisce anche a loro (Gen 1,20.21.24.30; ecc.). Se il corpo e lo spirito, uniti insieme formano l’anima vivente, è sensato dire che la nep muore quando il corpo muore.

     La domanda che ora mi pongo, quindi, non è se secondo la Bibbia «l’anima sopravvive (nel senso di essere cosciente) dopo la morte», ma, «lo spirito sopravvive (è cosciente) dopo la morte»? Non solo il Vecchio, ma anche il NT distingue tra l’anima e lo spirito (1 Ts 5,23; Eb 4,12) e lo fa in maniera tale che le due parole non possono essere considerate dei sinonimi. Ma che cos’è lo spirito dell’uomo, e cosa gli accade dopo la morte? La parola è spesso utilizzata figurativamente (cioè, «spirito di servitù», «spirito di stordimento», «spirito fervente», «spirito di mansuetudine», ecc), ma è utilizzata chiaramente anche in riferimento a entità senzienti (sia buone che cattive) e – come si deduce da Gcm 2,26 (come il corpo senza lo spirito è morto, così anche la fede senza le opere è morta) è un’entità separabile dal corpo umano anche se identificabile all’interno dell’uomo, qualunque sia la sua condizione alla morte del corpo. In 2 Cor 5, l’excursus di Paolo sulla risurrezione del corpo, paragona quello vecchio a una tenda, il che suggerisce, ovviamente, un «abitante»! (Sebbene non venga detto dove riposa esattamente «l’abitante» e in quale stato). Eb 4,12 conferma questo, parlando della «divisione dell’anima e dello spirito» paragonabile a quella «delle giunture e delle midolla» — le ultime essendo un componente primario.

     Dovrebbe essere osservato, prima di tutto, che poiché «lo spirito» è descritto in termini di «respiro», non bisogna supporre che spirito e respiro siano la stessa cosa. Organi diversi del corpo sono collegati con determinate cose dagli Ebrei (così dobbiamo aspettarci che lo spirito venga collegato con una certa parte di noi). Non dobbiamo pensare che i reni non esistono perché nella Bibbia sono chiamati «lombi».

     Una delle poche dichiarazioni del suddetto studioso avventista sullo spirito riguarda Ec 12,7: «…la polvere torni alla terra com’era prima e lo spirito torni a Dio che lo ha dato». Egli cita dal Interpreter’s Dictionary of the Bible il quale afferma che «lo spirito non è, correttamente parlando, una realtà antropologica ma un dono di Dio che gli ritorna al momento della morte». Dove conduce questo ragionamento? Non c’è niente nella Bibbia che mostra che lo spirito non sia una «realtà antropologica»; se gli angeli e gli spiriti malvagi e lo Spirito di Dio lo sono, da cosa si deduce diversamente per lo spirito dell’uomo? Ec 12,7 non afferma ciò che accade allo spirito quando ritorna a Dio o se ha una qualsiasi coscienza; la parola «ritorno» ha tanti ampi significati come la nostra moderna parola.

     ■ Sal 6:5 «Poiché nella morte non c’è memoria di te; chi ti celebrerà nella še’ol?».

     ■ Sal 30:9 «Che utilità avrai dal mio sangue, se scendo nella fossa? Potrà forse la polvere celebrarti? Potrà essa proclamare la tua verità?».

     ■ Sal 115:17 «Non sono i morti che lodano l’Eterno, né alcuno di quelli che scendono nel luogo del silenzio»..

 

Se utilizzati per insegnare l’assoluta incoscienza di coloro che sono morti, questi versi in pratica ci dicono solo che i morti non ringraziano e non lodano Dio. Queste sono due attività fuori dalla loro portata, ma è possibile essere coscienti e non fare queste cose per altre ragioni.

     Un altro verso importante per dimostrare l’incoscienza dell’uomo dopo la morte è Gen 3,19: «Mangerai il pane col sudore del tuo volto, finché tu ritorni alla terra perché da essa fosti tratto; poiché tu sei polvere, e in polvere ritornerai». Ma questo significherebbe che l’uomo è polvere e basta, il che darebbe l’idea che niente più sopravvive dopo la morte; ma sappiamo che l’uomo è ben di più che polvere. Ec 3,19,20 è ugualmente utilizzato allo stesso modo; in questo caso l’uomo è identificato con le bestie. Ma l’uomo non è come le bestie. Se l’uomo è solo polvere, che cosa è avvenuto del «respiro» che Dio ha messo in lui? In Gen 1 Dio usa solo tre volte la parola bārā’ (vv. 1.21.27) e la usa ogniqualvolta compie un atto creativo, la prima volta per la materia, la seconda per gli animali, la terza volta per gli uomini, e questo significa che l’uomo è «creativamente» diverso dagli animali. Ma a questo si potrebbe comunque rispondere come fa Elihu in Gb 34,14,15: «Se Dio dovesse decidere in cuor suo di ritirare il suo Spirito e il suo soffio, ogni carne perirebbe assieme, e l’uomo ritornerebbe alla polvere». Chi vuol continuare a credere al sonno dell’anima può ancora farlo, e quindi bisogna considerare qualcos’altro.

 

     ■ Una delle parole chiave associate alla condizione dopo la morte è še’ol, spesso tradotto «tomba», «fossa», «sepolcro». Ma si riferisce anche all’oltretomba.

     ■ Le persone nella še’ol sono inattive e deboli, tuttavia possono ancora essere coscienti.

     ■ La še’ol è principalmente una destinazione per l’empio. I giusti prevedono la še’ol come loro destino a volte quando sono afflitti o in grande pericolo, o costretti ad affrontare una morte infelice o intempestiva.

 

È vero che la šeol è descritto come un luogo di silenzio che taglia i ponti della persona con Dio, tuttavia due versi descrivono una certa attività nella šeol: Is 14,9-11 e Ez 32,21.31.

     Questi versi parlano dei morti risvegliati per ricevere un nuovo arrivato e parlano dalla šeol. Questa non è quella che uno chiamerebbe una dimora attiva, naturalmente, ma è chiaramente una dimora cosciente, o almeno, uno stato nel quale è possibile essere coscienti. Questo non contraddice la metafora del sonno per descrivere la morte e che si trova in tutta la Bibbia. Non è necessario prendere la metafora in un senso permanente o assoluto. Notiamo in particolare che in Is 14 i morti vengono risvegliati per deridere la debolezza del nuovo arrivato.

     In risposta uno può forse argomentare che Isaia parli in maniera figurata dei morti come se essi fossero capaci di pensiero cosciente. Ma se fosse così, allora la scelta di Isaia di far parlare i «morti» invece che i vivi, dovrà sembrare particolarmente sfortunata per coloro che sostengono il sonno dell’anima.

     Sal 146,4: «Quando il suo spirito se ne va, egli ritorna alla terra, e in quello stesso giorno i suoi progetti periscono». Questa è un’affermazione molto forte. Se i pensieri di una persona «periscono» allora questo implica che c’è uno stato inconsapevole. C’è da notare, tuttavia, che la parola per «perire» non è la stessa di quelle che si trovano altrove: karēt, una parola che indica esplicitamente punizione o distruzione (Gen 41,36: «così il paese non perirà per la carestia»); o pal (Es 19,21: «E l’Eterno disse a Mosè: Scendi e avverti solennemente il popolo, perché non si precipiti verso l’Eterno per guardare, e molti non abbiano a perire»). La parola utilizzata nel Salmo è ‘ābedû, che ha il significato principale di vagare lontano o perdersi. È utilizzata anche in:

     ■ Es 10,7, «Non hai ancora capito che l’Egitto è rovinato?»

     ■ Dt 4,26 «Voi presto scomparirete completamente dal paese di cui andate a prendere possesso».

 

Consideriamo quest’ultimo versetto alla luce del fatto che la punizione d’Israele era l’esilio. Troviamo la stessa parola in:

     ■ Dt 26,5: «Mio padre era un Arameo errante» (Riveduta); altri traducono: «sul punto di morire» (Nuova Diodati).

     ■ 1 Sm 9,20: «Riguardo poi alle tue asine smarrite…».

 

Il senso di questa parola suggerisce che lo stato della morte non sia proprio inconsapevole, ma uno stato in cui la mente è vagante, mancante di qualcosa (il cervello non c’è più), smarrita! In sostanza, se s’intende correttamente ‘ābed, quelli nella šeol non perdono conoscenza, ma piuttosto, concentrazione. E se le cose stanno così, il «dormire» e il riposo è l’attività principale!

 

Ec 9,5: «I viventi infatti sanno che moriranno, ma i morti non sanno nulla; per loro non c’è più alcuna ricompensa, perché la loro memoria è dimenticata».

     Qualunque difesa del «sonno di anima» che ho visto finora inizia con questo verso o lo contiene. Preso così com’è, offre una prova molto forte dello stato di inconsapevolezza dei morti. Tuttavia, è proprio perché non si può prendere «così com’è» che il suo uso per il «sonno dell’anima» è ingiustificato. Questo verso si trova in un genere-contesto che indica che non deve essere preso in senso assoluto.

     La natura dell’Ecclesiaste è per certi aspetti paradossale. È un libro pieno di tensione; per esempio in 3,1-8 vengono elencate 28 attività di vita, metà delle quali sono positive e le altre contrapposte. Il secondo membro di ogni coppia annulla il primo. L’utilizzo che l’Ecclesiaste fa di rûahI «spirito» e nep «anima» sembra sovrapporsi. Nep «anima, persona» è ciò che risulta quando il bāśār «corpo» è animato dalla rûahI «soffio, spirito». L’Ecclesiaste utilizza rûahI sia nel senso di sede delle emozioni che nel senso di «soffio vitale»:

     ■ Lo spirito può essere paziente e superbo.

     ■ Lo spirito è sede di emozioni violente, in particolare l’ira (7,9)

     ■ Gli uomini non sono in grado di distinguere la differenza tra il soffio della bestia e quello dell’uomo (3,19s).

     ■ Dopo la morte dell’uomo lo spirito ritorna a Dio (12,7).

Il termine nep viene impiegato spesso come sinonimo di rûahI, ma è particolarmente usato per descrivere i desideri (6,3,7). Un aspetto dell’anima è il cuore. Nep è l’anima nella sua totalità, il cuore è l’anima nel suo valore interiore. Gli Israeliti avevano osservato che le impressioni e le emozioni provenienti dall’esterno influiscono sul cuore, ritardando o accelerando i suoi battiti. Ne hanno dedotto che la vita, oltre che dal respiro, dipende anche dal cuore, e lo hanno considerato addirittura «sorgente della vita» (Pr 4,23).

     ■ Il cuore viene utilizzato nel senso di organo intellettuale, che capisce, cerca, esplora, indaga, si applica ad apprendere, conoscere (Ec 1,13; 2,3,22; 7,25; 8,16; 9,1).

     ■ Il cuore è impiegato come sede delle emozioni, in particolare l’allegria (Ec 7,3; 9,7) e il desiderio (11,9).

     ■ Il cuore è impiegato come facoltà intelligente che sceglie tra il bene e il male (Ec 8,11; 9,3).

 

L’Ecclesiaste ora descrive la disperazione della vita, ora esorta a godere della vita. Qualcuno ha scritto che «Salomone scrive quello che non può evitare di vedere e quello che non può evitare di credere». La sua metodologia è quella che a un certo punto ha seguito (anche se non precisamente uguale) Hegel: combinare la tesi e l’antitesi, per arrivare a una sintesi. A differenza di Giobbe che dialoga con i suoi amici, l’Ecclesiaste dialoga con se stesso, ma la metodologia è la stessa: arrivare alla soluzione dei problemi con il dialogo. È quindi incauto utilizzare Ec 9,5 come un passaggio di base dottrinale per sostenere l’inconsapevolezza dei morti, proprio come non lo è, per esempio, Gb 14,12: «Ma l’uomo che giace non si rialza più; finché non vi siano più cieli, non si risveglierà né più si desterà dal suo sonno». Anche se Ec 9,5 può ancora essere interpretato per negare la coscienza dei morti, esso rappresenta solo la percezione dell’argomento dal lato negativo invece di essere un’affermazione di fatto.

     Ci sono altri passaggi sullo šeol e sulla morte, nel VT, ma nessun altro dà qualunque informazione esplicita sullo stato dei morti con particolare riferimento alla loro coscienza.

     Gli unici altri dati del VT sono quelli che ci parlano della pratica illegale della negromanzia (comunicazione con i morti). Il VT proibisce esplicitamente questa pratica (Lv 19,31; Dt 18:10; cfr. 2 Re 21,6; 23,24). 1 Sm 28 ci mostra che Saul si aspettava che Samuele potesse essere contattato e quindi cosciente. Tuttavia, questa non è prova abbastanza forte, perché naturalmente si può sostenere che Saul agisse secondo un’opinione erronea.

     Quanto sopra è quello che ci offre il VT; ora passiamo al NT. Qui i dati sono un poco più specifici. Da una parte si fa riferimento ai morti che «dormono» e dall’altra abbiamo Paolo che desidera lasciare il suo corpo per abitare con il Signore (2 Cor 5,8). Essere «addormentato» è un eufemismo, basato sulla somiglianza corporea tra il dormire e la morte, oppure riflette uno stato di coscienza? Ed in questo caso: a volte, la maggior parte delle volte, o per tutto il tempo?  

     È difficile dare troppo significato all’uso figurato del «sonno» uguale morte e, quindi, uguale inconsapevolezza. Se l’analogia deve essere completa, durante il sonno sogniamo e perciò abbiamo un tipo di vita cosciente, diversa da quella da svegli, anche nello stato intermedio! C’è chi ha il «sonno leggero» che si alza durante la notte per poi ritornare a dormire. Paolo desiderava andare ad abitare con il Signore in uno stato di inconsapevolezza in attesa della risurrezione? È difficile immaginarsi questo!

     Si può sostenere che il giudaismo dei tempi di Gesù credeva a una condizione dopo la morte cosciente, e che questo pensiero sia stato frutto dell’inquinamento del pensiero ellenistico. Ma se così fosse, perché Gesù non l’ha condannato apertamente in Luca 16?

Mt 22,31s: «Quando poi alla risurrezione dei morti, non avete letto ciò che vi fu detto da Dio, quando disse: Io sono il Dio di Abrahamo, il Dio d’Isacco e di Giacobbe? Dio non è il Dio dei morti, ma dei viventi»

     Chi sostiene lo stato cosciente si serve di questo passaggio per affermare che i patriarchi sono «vivi» e quindi coscienti. Chi sostiene lo stato di incoscienza risponde dicendo che qui Gesù sta parlando della risurrezione e non dello stato dei morti, e in questo caso Gesù dice che i patriarchi sono vivi perché Dio chiama le cose che non sono come se fossero. Essendo certa la loro risurrezione possono essere considerati vivi.

     Chi ha ragione? I dati contestuali favoriscono la prima posizione. Lo stesso passaggio, citato da Gesù, ossia Es 3,6, è stato utilizzato anche da Filone (Abr. 50-55) e 4 Maccabei (7,18,19; 16,25) per affermare che i patriarchi sono ancora in vita; e i rabbini successivi hanno utilizzato un brano simile, Es 33,1, per affermare che «i giusti sono chiamati viventi anche nella loro morte». Tuttavia, bisogna ammettere che niente di specifico viene detto qui dello stato di coscienza dei defunti. Anche un’anima che «dorme» può essere considerata un’anima «vivente». Abbiamo dunque bisogno di cercare delle descrizioni più specifiche.

 

Gv 11,11: «Dopo aver detto queste cose, soggiunse: il nostro amico Lazzaro si è addormentato, ma io vado a svegliarlo».

     Uno studioso avventista, in un suo articolo intitolato «La condizione del morto» scrive: «L’esperienza di Lazzaro è significativa perché egli ha passato quattro giorni nella tomba. La sua è stata un’esperienza di morte reale. Se, come comunemente si crede, l’anima alla morte lascia il corpo e va in cielo, Lazzaro deve aver avuto una esperienza straordinaria da condividere, per quei quattro giorni passati in paradiso. I leader religiosi e la gente comune avrebbero fatto quanto in loro potere per farsi dare da Lazzaro tutte le informazioni possibili sul dopo-vita, specialmente alla luce del fatto che questo argomento era caldamente discusso tra i Sadducei e i Farisei (Mt 22,23.28; Mt 12,18.23; Lc 20,27.33).

     Ma Lazzaro non ha avuto niente da condividere sulla vita dopo la morte, perché durante i quattro giorni che egli ha passato nella tomba, si trovava nel sonno inconsapevole della morte. Quello che è vero di Lazzaro è vero anche di altre sei persone risuscitate dalla morte: il figlio della vedova di Sarepta (1 Re 17,17-24); il figlio della Shunamita (2 Re 4,18-37); il figlio della vedova di Nain (Luca 7,11-15); la figlia di Iairo (Luca 8,41.42.49-56); Tabitha (Atti 9,36-41); e Eutico (Atti 20,9-12). Ognuna di queste persone è uscita dalla morte come da un sonno profondo, non con un’esperienza di dopo-vita da condividere».

     È un’osservazione molto interessante, ma sembra che questo studioso non abbia appreso una lezione elementare, cioè che non bisogna considerare il silenzio dei testi come un’affermazione. Non sappiamo se e cosa queste persone hanno sperimentato, e gli scrittori biblici avevano altre cose in mente quando scrivevano. Inoltre, solo Lazzaro ha avuto un periodo di morte significativo (gli altri, difficilmente hanno superato un giorno), e per il clamore che ha fatto la sua storia volevano ucciderlo (Gv 12,10)!

 

Atti 2,34: «Poiché Davide non è salito in cielo, anzi egli stesso dice…».

     Questo è stato preso per affermare che Davide non è in cielo, ma ancora addormentato nella sua tomba. Tuttavia il contesto di questo brano è un confronto con Gesù, che è salito in cielo, a dimostrazione che il Sal 110,1 si è adempiuto in Gesù e non in Davide. Inoltre, Atti dice che Gesù è salito in cielo alla destra di Dio, e Davide no, perché giustamente nessun uomo può stare alla presenza di Dio prima della risurrezione. L’autore degli Atti non fa un’osservazione positiva su dove Davide sia. Punto. Non dice che non si trovi beato in qualche altro posto.

 

Luca 16,23: «E, essendo tra i tormenti nell’Ades, alzò gli occhi e vide da lontano Abrahamo e Lazzaro nel suo seno».

     Correttamente inteso, questo insegnamento di Gesù è il passaggio più chiaro che abbiamo del dopo-vita. L’uomo ricco è cosciente nell’Ades; Abrahamo è cosciente in paradiso, e presumibilmente lo è anche Lazzaro (o almeno lo può essere) dato che gli viene chiesto di fare una commissione. Questa è la prova più chiara di un dopo-vita nel quale è possibile essere coscienti (naturalmente essi potrebbero essere stati appena svegliati, chi lo sa!). Ma chi vuole può ancora obiettare:

     ■ Se prendiamo questo racconto letteralmente abbiamo l’uomo ricco che è descritto ancora con il suo corpo. Ha gli «occhi» che vedono, una «lingua» che parla, cerca sollievo da un «dito» del corpo di Lazzaro. Com’è possibile? Inoltre, c’è un baratro tra i due che non può essere attraversato, ma che comunque permette la conversazione. Dobbiamo intendere queste cose come letterali? Perciò si può obiettare che anche lo stato di coscienza è figurativo.

     Ma chi interpreta così cade in contraddizione quando poi interpreta la metafora del «sonno» alla lettera per sostenere lo stato d’incoscienza. La verità comunque è che non abbiamo alcuna idea di come gli «spiriti» sono fatti e quindi non possiamo dire che il riferimento agli occhi, lingua, ecc. non sia appropriato. [Ndr: si noti che nella trascendenza le «anime» (= persone) dei martiri di tutta la storia non solo gridano con gran voce, ma possono essere rivestiti con una veste bianca (Ap 6,10s), avendo essi un corpo risorto. A ciò si aggiunga che a tali santi coscienti e consapevoli fu detto che «si riposassero ancora un po’ di tempo» (v. 11).] Probabilmente come il corpo ha degli organi di senso, lo spirito ha delle capacità parallele. Né possiamo dire che è impossibile che essi possono comunicare da lunga distanza (la letteratura apocrifa giudaica non ha considerato questo un problema). L’uomo ricco, un Giudeo che ha avuto Abrahamo come padre, può aver confidato nelle potenzialità di Abrahamo affinché gli mandasse Lazzaro a dargli sollievo, ma è stato rimproverato. Un’altra obiezione che si può fare è come si può essere felici in paradiso nel vedere tanta gente tormentata nell’Ades. Ma anche in questo caso stiamo parlando di qualcosa che non conosciamo. Non possiamo affermare che chiunque stava in paradiso era aggiornato delle condizioni dell’uomo ricco o di altri come lui.

     ■ Un’altra obiezione è che se prendiamo questo letteralmente, ciò contraddice Mt 25,31s. La contro-obiezione è questa: il brano di Matteo non si riferisce alla condizione dell’uomo dopo la morte, ma a «quando il Figlio dell’uomo verrà».

     ■ Se questa è una storia errata, perché Gesù l’ha utilizzata? Possibile risposta: perché Gesù voleva insegnare che bisogna badare agli insegnamenti di Mosè e dei profeti in questa vita, perché ciò determina la beatitudine o la miseria nel mondo a venire. Bene, ma allora perché Gesù non ha impostato la parabola sul «mondo a venire»? Per quale motivo Gesù sarebbe stato fuorviante? Se Gesù avesse voluto illustrare le condizioni reali del dopo-vita e nello stesso tempo usarle come «spunto» per una storia morale, come avrebbe dovuto farlo? Precisamente come ha fatto!

     Per onestà bisogna comunque dire che questa storia ci dà solo uno piccolo spiraglio di quello che succede nell’aldilà, e non possiamo sapere se i morti stanno sempre nella stessa condizione, ovvero se sono assonnati per la maggior parte del tempo o se al contrario sono svegli la maggior parte del tempo.

 

Ora voglio esaminare un altro brano molto importante: «Io conosco un uomo in Cristo che, quattordici anni fa (se con il corpo o fuori del corpo non lo so, Dio lo sa), fu rapito fino al terzo cielo. E so che quell’uomo (se con il corpo o senza il corpo, non lo so, Dio lo sa), fu rapito in paradiso e udì parole ineffabili, che non è lecito ad alcun uomo di proferire» (2 Cor 12,2-4).

     Questo prova che Paolo credeva che un uomo potesse avere una vita cosciente oltre il corpo. Quando Paolo scrive non era morto ma ammette di poter essere stato «fuori del corpo» e tuttavia essere ancora cosciente e capace di sentire (nonostante non avesse alcun «orecchio» fisico). È chiaro che egli ammette la possibilità che gli elementi dell’uomo possono essere separati e nonostante ciò rimanere coscienti nella separazione.

 

La mia conclusione: è chiaro che è possibile essere coscienti nello stato intermedio prima della risurrezione. Se poi è uno stato permanente di piena coscienza, o è un tempo alternato di «sonno» e di veglia, o se si ha una predominanza di «sonno» sulla veglia, è argomento di speculazione. È bene che la Bibbia dedichi poco spazio a questo argomento, perché le nostre menti devono stare al loro posto, qui ed ora a servire il Signore Gesù.

 

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Caro Argentino, sì ora puoi a tutti gli effetti essere chiamato un ex «sadduceo»! La «tenzone» è stata ardua, ma benefica e salutare! Ho letto attentamente il tuo nuovo articolo e ho visto la lotta titanica che hai fatto per rimanere obiettivo, rifuggendo dai sistemi dottrinali e ricercando la verità esegetica dei testi. Complimenti!

   Arrivati a questo punto, bisogna riflettere che cosa bisogna fare con tutto il materiale ossia se e come metterlo in rete. Che ne pensi?... Nicola

 

Caro Nicola, non so come la pensi tu, ma nella mia esperienza ho potuto constatare che la maggior parte dei fratelli non hanno per niente le idee chiare sull’argomento che abbiamo trattato. E quelli che pensano di avere le idee chiare, la maggior parte è perché credono a «scatola chiusa» a ciò che è stato loro insegnato, ma senza essere in grado di dimostrarlo, e quindi al primo attacco del «nemico» si troverebbero in difficoltà. Credo quindi che sia buona cosa indicare la strada giusta e divulgare la verità. Sentiti libero di scegliere la strada migliore; qualunque cosa decidi a me sta bene. Argentino

 

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► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_Dot/A1-Anima_sonno4_Lv.htm

07-04-2007; Aggiornamento: 23-03-2009

 

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