La parte in nero è stata scritta da Argentino Quintavalle,
quella in rosso rappresenta le
obiezioni e le osservazioni fatte nel merito. Il confronto si estrinseca
in un cammino che è condensato in diversi articoli.
Caro Nicola, sei stato micidiale nelle tue critiche…! Ma sono contento, perché
come ti ho detto sin dall’inizio questa è una verità che ancora sto cercando.
Credimi se ti dico che in cuor mio ho sempre pensato le stesse cose che mi hai
detto tu, ma siccome non riesco a conciliare alcuni brani del Vecchio Testamento
con quelli del Nuovo, allora ho ragionato così: «proviamo a vedere se il
contrario di quello che credo sia giusto». Mi sono spinto al massimo in questo e
mi rimane ancora qualche dubbio. La parola di Dio è una parola di vita e parla
poco della condizione dei morti.
Come fai a sostenere per certo che i morti sono coscienti? Quali sono i passi
della Scrittura che ti danno sicurezza? Dopotutto Luca 16 (il ricco e Lazzaro) è
una storia presa dalla tradizione ebraica; ci sono molte storie del genere nel
Talmud. Sei certo che i fatti riportati da Gesù siano reali, e non una storia
simile a quella degli alberi di Jotham nel libro dei Giudici? Finora mi hai
«picconato», come diceva l’ex presidente della Repubblica Cossiga, ma adesso che
hai demolito bisogna che costruisci. Insomma, dimmi come la pensi tu. Shalom...
Argentino Quintavalle
Caro Argentino, šalôm. Quanto al tema che ti sta a
cuore ultimamente, hai letto i vari articoli che ti ho segnalato sul
Manuale Teologico dell’Antico Testamento? Quanto a Lc 16,
si tratta di una rivelazione di Gesù, non di una semplice storia! Le storie
giudaiche del Talmud sono del periodo medioevale, a ciò si aggiunga che è
l’autorità che conta, no? La favola di Jotam che c’entra? In tale genere
letterario gli alberi sono usati per descrivere gli uomini; ma a tutti diventa
chiaro che si tratta di una favola. In Lc 16 Gesù, dando una rivelazione di ciò
che gli uomini non vedono, presentò le persone e i luoghi come reali.
Approfondisci. Sebbene io abbia affrontato la questione, preferisco esserti
d’aiuto in modo mediato, come accompagnatore, coscienza critica e revisore più
che presentarti un «tomo» bell’e pronto. Continua, a «picconare» ci penso io.
Šalôm... Nicola
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Mt 22,32; Lc 23,43; 2 Cor 5,6.8; Fil 1,23. (Di Lc 16,19-31 mi occuperò in
seguito)
(1) Mi occuperò di questi versetti nel suddetto ordine. Il primo è «il Dio dei
viventi» (Mt 22,32; Mc 12,27; Lc 20,38). In questi brani viene dichiarato che «Dio
non è il Dio dei morti, ma dei viventi». Ma si pensa che i «morti» siano
«viventi» sotto altra forma. Interpretando in questa maniera, viene ignorato
tutto il contesto del discorso, il quale si riferisce alla RISURREZIONE, e non
alla morte. Notiamo come questo viene sottolineato in tutti i Vangeli:
(i) «vennero da lui i sadducei, i quali dicono che non vi è RISURREZIONE»
(Mt 22:23; Mc 12,18; Lc 20,27)
(ii) La questione sollevata dai sadducei era: «alla RISURERZIONE, dunque, di
chi dei sette costei sarà moglie?» (Mt 22,28; Mc 12,23; Lc 20,33)
(iii) La risposta del nostro Signore si occupa esclusivamente di questo
argomento, che è la RISURREZIONE. Perciò egli dice:
Mt 22,31 «Quando poi alla RISURREZIONE dei morti…».
Mc 12,26 «Riguardo poi alla RISURREZIONE dei morti».
Lc 20,37s «E che i morti RISUSCITANO, lo ha dichiarato Mosè stesso nel passo
del roveto, quando chiama Signore, il Dio di Abrahamo, il Dio di Isacco e il Dio
di Giacobbe. Or egli non è il Dio dei morti ma dei viventi,
poiché tutti vivono in lui».
-> «vivono» (pres. continuo),
non vivranno.
Queste parole sono state dette dal Signore Gesù per dimostrare che «i morti
vengono RISUSCITATI». Molti invece pensano che dimostri che i morti sono «vivi»
senza essere risorti. -> I morti sono vivi (non
vegeti), ma inattivi.
I sadducei possono
avere negato molte altre cose, ma l’unica cosa di cui qui si parla è la
RISURREZIONE. L’argomento di Cristo era:
1. Le parole di Dio dette al roveto dimostrano la vita per i patriarchi morti.
2. Ma non c’è alcuna vita per i morti senza la risurrezione.
-> Non c’è nessuna vita attiva e storica, poiché non sono sulla terra.
3. Quindi essi devono essere RISUSCITATI DALLA MORTE; o «vivere di nuovo» per
mezzo di Lui.
Questo argomento ha fatto tacere i sadducei. Poiché se essi sono ora «viventi»,
e non morti, qual è la differenza tra loro e quelli che sono «nella terra dei
viventi»? Poiché questa è l’espressione costantemente usata per la
condizione attuale della vita in contrasto con lo stato di morte.
Sal 27,13
«Oh, se non fossi stato certo di vedere la bontà dell’Eterno nella terra dei
viventi»
Sal 56,13
«Perché tu hai liberato l’anima mia dalla morte e hai preservato i miei piedi
da caduta, affinché cammini davanti a DIO nella luce dei viventi»
Sal 116,9
«Io camminerò alla presenza dell’Eterno nella terra dei viventi»
Sal 142,5
«grido a te, o Eterno, e dico: «Tu sei il mio rifugio, la mia parte nella
terra dei viventi»
Ger 11,19
«Io ero come un agnello mansueto condotto al macello e non sapevo che
ordivano macchinazioni contro di me, dicendo: Distruggiamo l’albero col suo
frutto ed eliminiamolo dalla terra dei viventi, affinché il suo nome non sia più
ricordato»
Ez 26,20
«allora ti farò scendere con quelli che scendono nella fossa, fra il popolo
di un tempo, ti farò dimorare nelle profondità della terra, in luoghi desolati
dall’antichità, con quelli che scendono nella fossa, perché tu non sia più
abitata, ma darò splendore sulla terra dei viventi»
In quest’ultimo brano il contrasto è molto forte, dove Dio parla di far scendere
nella fossa ma di mettere la Sua gloria «sulla terra dei viventi».
Il ragionamento di Gesù riguardo la risurrezione è stato così conclusivo che gli
scribi che l’hanno ascoltato hanno detto «Maestro, hai detto bene. E non
ardirono più fargli alcuna domanda» (Lc 20,39s).
-> Pur condividendo le questioni sulla «terra dei viventi» (cfr.
Manuale Teologico dell’Antico Testamento), devi
distinguere fra l’aspetto ontologico (i morti non sono annullati) e gli aspetti
dell’efficienza concreta (i morti non possono fare storia fintantoché non
resuscitano). L’apparizione di Mosè alla trasfigurazione mostra l’esistenza
reale e concreta del servo di Dio, ma sua coscienza e la sua interazione con
Gesù ed Elia, ma la sua incapacità di agire nella storia presente. Lo stesso
dicasi di Samuele, quando fu evocato.
* * * * * * *
(2) Lc 23,43: «oggi tu sarai con me in paradiso». Questo può solo voler
dire «In verità ti dico oggi, tu sarai con me in paradiso».
-> È una cosa insensata e irragionevole (oltre che inutile) che una persona
sofferente e moribonda potesse dire a un’altra, se non volesse dire qualcosa di
particolare (e speranzoso)!
In primo luogo dobbiamo ricordare che la punteggiatura non è ispirata. È frutto
dell’autorità umana. Nei manoscritti greci non c’è. Abbiamo quindi perfetta
libertà di criticare o modificare l’uso che l’uomo ha fatto di essa. Il verbo
«dire» quando è utilizzato con «oggi», è a volte separato da esso dalla parola
oti,
oti (questo); ed è talvolta congiunto con esso dall’assenza di oti.
Lo Spirito Santo utilizza queste parole con perfetta esattezza, ed è doveroso
per noi imparare quello che Egli vuole insegnarci.
-> Non mettere in gioco lo Spirito Santo in questioni di
opinioni! Oti può esserci o mancarci e può equivalere ai due punti.
Quando Egli mette la parola oti (questo) tra «dire» e «oggi», fa si che
«oggi» venga incluso in quello che è stato detto, e lo separa dal verbo «dire»;
per esempio Lc 19,9 «Gesù gli disse: oggi la salvezza è entrata in questa
(greco
oti) casa» [in greco «questa» si trova tra «gli disse» e «oggi”].
-> Non c’entra nulla! Oti
è «due punti», «questo» è touto! «Oggi» è qui congiunto con il
verbo «entrare» ed è separato dal verbo «dire». Così anche in Lc 4,21 «cominciò
a dir loro: Oggi questa (oti) scrittura si è adempita nei vostri
orecchi». Di nuovo la presenza di oti (che in greco si trova tra
«dire» e «oggi») separa «oggi» da «dire» e lo congiunge con «adempiere».
-> È un grave errore: anche qui
otì equivale ai due punti e aute è «questa».
Ma questo non è il caso di Lc 23:43. Lo Spirito Santo ha qui escluso con
attenzione la parola oti (questo). Comunque c’è chi osa leggere il
versetto come se Egli non lo avesse escluso e lo legge come se dicesse: «io ti
dico che oggi [in questo giorno] tu sarai con me…». Questo significa aggiungere
qualcosa alla parola di Dio: la parola «questo». Ma lo Spirito Santo non ha
utilizzato questa parola, come invece ha fatto in altri due posti dello stesso
Vangelo (Lc 4,21; 19,9). -> Lascia perdere lo Spirito
Santo, poiché sei tu che prendi fischi per fiaschi confondendo oti con
tuotos!
Lc 23,43 si dovrebbe tradurre in questo modo: «In verità ti dico oggi: tu
sarai con me in paradiso». La preghiera è stata esaudita. Essa si riferiva
al futuro: «Signore, ricordati di me quando verrai nel tuo regno» (v.
42), poiché quando il Signore verrà nel suo regno, l’unico paradiso che la
Scrittura conosce sarà ripristinato.
-> Paolo fu rapito in un luogo concreto, nel 3° cielo,
il paradiso, che egli vide come esistente! La parola greca
paradeisō
ricorre nella Septuaginta ventotto volte. Nove volte rappresenta la parola
ebraica «Eden» e diciannove volte la parola ebraica Gan (Giardino). La
parola ebraica per «Eden» ricorre sedici volte (nella Septuaginta). La parola
ebraica per «Giardino» è utilizzata nel senso di Eden tredici volte soltanto in
Genesi; e sei volte in altri passi, come per esempio «il giardino di Dio», ecc.
(vedi Gen 2; Ne 2,8; Ec 2,5; Cc 4,13.
Da questi fatti apprendiamo e ne notiamo altri:
(i) Vediamo che le tre parole, Paradiso, Eden e Giardino sono utilizzate in
maniera intercambiabile; e sempre per l’Eden di Gen 2 o per qualche glorioso
giardino la cui bellezza può essere paragonata a quello dell’Eden.
(ii) Non è mai utilizzato con un significato diverso da quello di un luogo
terrestre pieno di bellezza e delizie.
(iii) L’«albero della vita» e il fiume
dell’«acqua della vita»
sono le sue caratteristiche più importanti.
(iv) Lo vediamo descritto in Gen 2
lo vediamo perduto in Gen 3
lo vediamo promesso in Ap 2,7
lo vediamo riguadagnato in Ap 22,1-5.17.17.
-> Ciò non esclude che tra i due Testamenti si sia
accreditata un uso traslato della parola, come mostra la tradizione ebraica, a
cui tu tanto fai riferimento altrove! Vedi così Gehenna da ghe hinnom!
C’è anche da notare che la formula «ti dico oggi», era un ben noto idioma
ebraico utilizzato per sottolineare la solennità dell’occasione e l’importanza
delle parole. Vedere Dt. 4,26.39.40; 6,6; 7,11; 8,1.11.19; 9,3; 10,13;
11,2.8.13.27.28.32; 13,18; 15,5; 19,9; 26,3.17.18; 27,1.4.10; 28,1.13.14.15;
29,12; 30,2.8.11.15.16.18; 32,46. L’espressione, quindi, «ti dico oggi»
serve a mettere in risalto il carattere meraviglioso della fede del ladrone
sulla croce il quale, nella circostanza in cui si trovava, credeva in Gesù e
attendeva il regno che doveva venire, riconoscendo che Gesù Cristo ne era il Re,
nonostante in quel giorno egli stesse appeso sulla croce.
-> Non convince affatto, poiché fu
Gesù che parlò dell’«oggi» e non c’era nulla da evidenziare come nei
brani su esposti (stipulazione del patto, proclamazione della legge, decisione
morale, giudizio storico, appello al ravvedimento ecc.). Nella tua versione
«geovista» del brano, «l’oggi» poteva benissimo mancare, senza togliere
alcunché.
* * * * * * *
(3) Il terzo passaggio, 2 Cor 5,6.8: «partire dal corpo e andare ad abitare
con il Signore» era il desiderio ispirato dell’Apostolo, che può essere
realizzato solo alla risurrezione. -> Ma alla
risurrezione ci sarà il corpo! Perché volerne partire?
La risurrezione (e non la morte) è l’argomento del contesto. Le
parole «partire dal corpo e abitare col Signore», sono in genere citate
erroneamente, come se si dicesse che quando siamo assenti dal corpo siamo alla
presenza del Signore. Ma non è questo ciò che è scritto.
-> I morti in Cristo non sono alla presenza di Dio nel
cielo, poiché sono impuri, in quanto morti, ma sono appunto nel paradiso, dove
il Signore Gesù Cristo, essendo uomo risuscitato, può avervi accesso!
Molte parole vengono deliberatamente omesse dal contesto quando ci si
esprime così. L’omissione di queste parole determina un significato diverso e
mette il verso fuori dall’armonia del contesto, l’oggetto del quale è quello di
mostrare che non possiamo «abitare con il Signore» se non con l’essere rivestiti
del corpo di RISURREZIONE.
-> Ma, come detto alla risurrezione non si abbandona il
corpo, ma sono i corpi a resuscitare!
Potremmo, usando lo stesso metodo, citare le parole: «Dio non c’è» e non
citare «Lo stolto ha detto in cuor suo» (Sal 53,1), o dire «non ne
berrete il vino» e tralasciare «avete piantato vigne deliziose» (Am
5,11).
Queste citazioni parziali sono corrette in
quanto prese dal testo biblico, ma che dire del contesto? Cosa significa essere
«nel corpo» (nei vv. 6.8) è spiegato nel v. 4: «in questa tenda», che nel
v. 1 è chiamata «la nostra abitazione terrena»; e «abitare con il
Signore» è spiegato nel v. 2: «essere rivestiti della nostra abitazione
celeste». L’Apostolo da una parte dice chiaramente che non desiderava
morire: «non desideriamo già di essere spogliati» (v. 4): e d’altra
parte, egli non dice semplicemente «abbiamo molto più caro di partire»
(v. 4), ma «desiderando di essere rivestiti» (v. 2). È vero che qualche
anno dopo egli dirà che «morire è guadagno», ma le circostanze erano molto
diverse perché era in prigione.
-> Quando si è ottenuto una nuova tenda, perché volerla
lasciare per essere col Signore?
* * * * * * *
(4) Questo ci porta al desiderio di Paolo espresso in Fil 1,23. Il desiderio
dell’Apostolo non era di «partire» da se stesso con la morte; ma il suo
desiderio era il ritorno di Cristo; il verbo reso «partire» è usato nel Nuovo
Testamento solo in Lc 12,36, dove è reso «ritorno”: «quando RITORNA dalle
nozze». Non possiamo non chiederci onestamente, «perché non è stato tradotto
nello stesso modo in Fil 1,23”?
La preposizione ana
ana (di nuovo), quando è combinata con il verbo
luw lyō
(sciogliere), significa sciogliere tornando di nuovo indietro al punto di
partenza originale, e non partire per un nuovo posto; da cui,
analuw analyō significa sciogliere indietro o ritornare, e così è
reso nell’unico altro posto dove ricorre nel Nuovo Testamento, Lc 12,36 «quando
RITORNA dalle nozze». NON significa partire, nel senso di muoversi dal posto
dove uno è, ma ritornare al posto che uno ha lasciato. Il sostantivo
analusij
analysis ricorre in 2 Tim 4,6, e ha lo stesso significato, ritorno, cioè
il corpo ritorna alla polvere originaria e lo spirito ritorna a Dio che l’ha
dato. Il verbo non ricorre nella traduzione greca dei libri del Vecchio
Testamento, ma ricorre nei libri apocrifi che, sebbene di nessuna autorità
dottrinale, sono molto importanti per l’uso ed il significato delle parole. In
questi libri, la parola significa sempre ritornare, ed è generalmente tradotta
così. ->
Analuo significa «sciogliere», quindi «disfare, distruggere ecc.»; poiché si
scioglieva la gomena, prese a significare «lasciare gli ormeggi, levare
l’ancora, partire, dipartire nel senso di morire». Non significa mai ritornare!
Dove è stato tradotto così nel NT è pura interpretazione.
Ma c’è un altro fatto in merito a Fil 1,23. Il verbo
partire in italiano, ricorre varie volte nel Nuovo Testamento, ed è
utilizzato come traduzione di diverse parole greche. Ma solo questo verbo
analyo ricorre due volte ed è tradotto «partire» solo una volta; nell’altro
caso è tradotto «ritorno» (-> è sbagliato),
ed in particolare si riferisce al ritorno del Signore dal cielo (->
partenza per il cielo!). Dobbiamo anche osservare che non è il
semplice infinito del verbo ritornare. È una combinazione di tre parole: la
preposizione
eij eis (a), e l’articolo
determinativo to
to (il), con l’aoristo conclusivo
analusai analysai
(ritornare; -> partire!); in modo che il
verbo deve essere tradotto come un sostantivo - «avendo il desiderio del
RITORNO» (-> della dipartenza); cioè di
Cristo (-> ???), come in Lc 12,36. Queste
parole devono essere interpretate dal contesto dal quale risulta chiaro che
l’argomento dell’apostolo è che il vangelo possa progredire (v. 12); e che
Cristo possa essere magnificato (v. 20). Per questo scopo non gli importava se
viveva o moriva; perciò dice: «Per me infatti il
vivere [è] Cristo, e il
morire
guadagno. Ma non so se il vivere nella carne
[sia] per me un lavoro fruttuoso, né [posso dire] che cosa dovrei
scegliere, perché SONO STRETTO da due [lati: cioè vivere o morire; vedi vv.
20.21]: avendo il desiderio del RITORNO (->
della partenza!)
e di essere con Cristo, che è cosa di gran
lunga migliore».
-> Vedi il parallelismo!
L’arresto di Paolo era «risultato ad un più grande avanzamento dell’evangelo»
(v. 12). La sua morte avrebbe potuto produrre un frutto ancora più abbondante
della sua opera; poiché i fratelli erano il frutto del suo lavoro (v. 11; 4,17;
Rm 1,13). Cristo sarebbe stato magnificato nel suo corpo, sia che Paolo vivesse
o morisse. Egli non sapeva cosa scegliere tra queste tre cose: Vivere sarebbe
stata cosa buona: avrebbe potuto continuare a predicare Cristo. Morire sarebbe
stato migliore; perché la predicazione di Cristo sarebbe stata moltiplicata,
giudicando dal risultato del suo arresto. -> Non
convince; ma afferma: «essere con Cristo». Ma c’era una terza cosa, di
gran lunga migliore di tutte, ed era il ritorno di Cristo, che egli desiderava
ardentemente.
-> Non parla di tale ritorno, è qui la tua proiezione.
Egli parla di partire per essere con Cristo; il tutto è riferito al suo
presente!
Chi non è d’accordo deve dimostrare le proprie opinioni. Non basta dire di non
credere a queste interpretazioni, ma bisogna dimostrare con la Bibbia le proprie
conclusioni. Ho esaminato quattro passi biblici che sembrano essere contrastanti
con il Vecchio Testamento. Entrambi non possono essere veri. Dobbiamo credere ai
passi del Vecchio Testamento, oppure dimostrare che ammettono altre
interpretazioni. Le interpretazioni che ho dato dei passi del Nuovo Testamento,
mostrano che non c’è contraddizione tra i brani del Vecchio e del Nuovo
Testamento.
-> Sig!
*********************************
Caro Argentino, quanto al tema da te
inviatomi, ti consiglio di fare l’esegeta e non «l’avvocato» di questi o di
quegli (tanto meno del diavolo). Stai cercando di combattere delle esagerazioni,
ma tu stesso ne fai delle altre. Questo è il tipico modello di una
sovrastruttura ideologica o dottrinale che si oppone a un’altra: un modello che
io personalmente ho dismesso da tempo, poiché si combattono sempre esagerazioni,
facendone altre di altro segno. La via maestra è l’esegesi biblica stringente,
corretta, coerente...
Ti ho fatto delle
osservazioni, a tratti «dure». Voglio farti un discorso sull’approccio dogmatico
e su quello esegetico. Devi stare a tento, poiché se parti dall’apologetica,
anche tu risulterai ideologicamente «spostato». Alla fine avrai ragione
all’interno della tua sovrastruttura ideologica, ma ciò non significa che hai
colto la verità nel segno. Quando si cerca la verità di una cosa di per sé, sia
quella che sia e costi quel che costi, è probabile che la si trovi: allora essa
non solo libererà, ma trasformerà chi la trova. Le ideologie e le sovrastrutture
dottrinali possono costituire delle dorate prigioni mentali: esse richiedono che
ci si schieri (pro o contro) e umiliano la verità, pretendendo di ridurla alla
logicità del proprio sistema dogmatico. Proiettando poi le proprie convinzioni
nella Scrittura (eisegesi), la si stravolge a propria immagine e consumo.
L’esegesi è un approccio
umile dinanzi al testo, come fa il minatore che scava. Egli non arriva a
conclusioni affrettate, sapendo che la realtà (anche esegetica) è più grande di
ciò che può capire (al momento). L’esegesi accetta correzione (i sistemi
ideologici no). L’esegesi differenzia: autore, tempo, sviluppo della
rivelazione, destinatari, tipo di letteratura; la sovrastruttura ideologica non
lo fa, poiché pressa le tanti testimonianze bibliche in uno schema
preconfezionato, snaturando la Scrittura stessa a serva delle ideologie,
assoggettandola alle proprie convinzioni...
Ti saluto come fratello in Cristo.
Dio ti faccia prosperare... Nicola
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► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_Dot/A1-Anima_sonno2_EnB.htm
07-04-2007; Aggiornamento: 23-03-2009
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