Qui di seguito diamo occasione ai lettori di discutere insieme l'articolo «Romani
9,14-24 nel suo contesto». Non vogliamo parlare qui dell'ampio
tema dell'elezione divina e del complesso problema della «(doppia)
predestinazione», ma solo di Rm 9 nel suo contesto di Rm 9-11.
Si veda pure «A
proposito di elezione e predestinazione» e «Romani
9 e doppia predestinazione».
Che cosa ne pensate? Quali sono al riguardo le vostre
esperienze, idee e opinioni?
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I contributi sul
tema
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1.
{Andrea Diprose}
▲
Caro Nicola, hai
fatto bene a scrivere «Romani 9,14-24 nel suo contesto» in quanto il problema
principale sta proprio lì. Si tratta d’un brano che riguarda in primo luogo
l’Israele etnico (infatti è inserito all’interno dei tre capitoli di Romani
9 a 11) mentre alcuni calvinisti — i quali finiscono per sostenere anche
la «teologia della sostituzione», assegnando alla Chiesa di Cristo le
benedizioni che spettano a Israele e lasciando le maledizioni per l’Israele
etnico — estrapolano tale brano dal suo contesto per sostenere le loro teorie di
soteriologia inerenti agli esseri umani nella loro globalità. E quindi, possiamo
dire che questo modo di fare, estrapolare un brano da un contesto diventa un
pretesto per sostenere delle teorie che seguono la logica umana e non la logica
divina, che va oltre la nostra comprensione. {24-01-2008}
2.
{Francesco Dragotto}
▲
Caro Nicola, scusa
la mia ironia, ma a quel tempo, anche se sicuramente ero nei piani di Dio, non
ero presente. Ma comunque volendomi catapultare col pensiero a quel contesto
storico, credo di poter capire quanto sia stato difficile per l’apostolo Paolo
dover discutere con i Giudei, i Gentili e i nuovi fedeli cristiani. Secondo il
mio punto di vista, l’apostolo Paolo vuole far capire a tutte le posterità che
Dio è il Creatore e il Signore della storia e, in contrapposizione al pensiero
umano, il quale è privo di misericordia, Egli è capace di far misericordia a chi
vuole e indurire chi vuole. Scusate la mia affermazione, ma sembra che per Dio
sia quasi un gioco, ma un gioco che porta a riflessione coloro che cercano delle
risposte.
Ci sono tante riflessioni da fare, ma ne propongo solo una che è descritta al
verso 13: «Ho amato Giacobbe e ho odiato Esaù». Anche qui il Signore, che
è l’Onnisciente, sapeva prima che Esaù per un piatto di legumi avrebbe rinnegato
la benedizione di Dio, mentre il suo fratello Giacobbe avrebbe agito d’astuzia
per ottenerla.
Qual è il senso di tutto questo? Qui vediamo due categorie di persone: ▪ 1) La
prima categoria di persone, pur sapendo d’avere le promesse di Dio, sottovaluta
quello che è il proposito di Dio per i piaceri di questo mondo. ▪ 2) L’altra
categoria di persone, pur sapendo d’essere in difetto, cerca d’ottenere quello
che altri non sanno apprezzare. Alla fine Dio chiamerà suo popolo quello che non
era un popolo ecc. ecc., per dire a tutti che chiunque crede in Lui non sarà
svergognato, perché tutta l’umanità rientra nel progetto di Dio per mezzo del
prezzo di riscatto pagato dal nostro Signore Gesù Cristo. {25-01-2008}
3.
{Gianni Siena}
▲
Caro Nicola, pace.
Condivido pienamente quanto tu hai detto nella breve considerazione che mi hai
mandato e so di non essere il solo. Io so che il concetto e la dottrina della
«predestinazione» esistono nella Bibbia, essi non farebbero discutere così tanto
se fossero una semplice «elaborazione» teologica. Come tu hai già messo in
rilievo, Dio non ha agito in base a questo suo diritto, da questo angolo
apprezziamo l’infinita grazia di Lui (cfr. Gv 3,16s).
Anche quando Dio afferma sul faraone: «Appunto per questo ti ho suscitato,
per mostrare in te la mia potenza e perché il mio Nome sia esaltato per tutta la
terra» (Ro 9,17; Es 9,16), il «povero» faraone ebbe ben 10 occasioni per
«ripensare» alla sua ostinazione e arrendersi davanti al Dio del Cielo. Ma
sappiamo come finì e perì nel mar Rosso, alla testa del suo esercito.
Ancora oggi vi sono persone che, evangelizzate, resistono alla grazia. Si
pretende l’esistenza d’una condanna fatidica, ineluttabile, per gli uni e d’una
salvezza «premio per i raccomandati». Ma Dio che vede il cuore può salvare o
perdere anche sulla base dei sentimenti d’esso. Questa domanda mi fu rivolta e
io mi meraviglio della risposta che fui in grado di dare. Mi fu obiettato:
«Supponiamo che una persona non abbia conosciuto Cristo come io dovrei fare,
muore e si trova davanti al Giudice che lo manda all’inferno... potrebbe
obiettare dicendo: “Ma tu non mi hai dato la possibilità di pentirmi e
conoscerti”». La mia risposta, per quanto derisa, fu: «Dio conosce il cuore e —
sottolineo: è una mia supposizione — potrebbe mostrare le eventuali relative
scelte, nel caso costui avesse ascoltato come fa lei che ora sta respingendo la
grazia di Dio. Dio ci conosce e sa anche quello che avremmo scelto nel caso
diciamo «ipotetico». Quando dice «Io indurirò il cuore di faraone» (Es
4,21), il Signore non ha bisogno di sottoporre il soggetto a procedimento di
«tempra». L’uomo è orgoglioso e ostinato, non accetterà d’umiliarsi, potrebbe ma
non lo farà, e la storia raccontata lo dimostra. Quindi la preconoscenza di Dio
non è ingiusta: «Quelli che ha preconosciuti li ha anche predestinati…».
Questo non esclude la responsabilità dell’uomo: il faraone si rese conto di cosa
poteva succedere, solo per timore delle conseguenze avrebbe (dico) potuto
acconsentire, evitando i guai che il suo paese ebbe a subire.
La lezione che la nostra incredula e contenziosa natura non vuole accettare è la
seguente: «O uomo, chi sei tu che replichi a Dio?» (Ro 9,20-23). Sì, noi
vorremmo «replicare» a Colui che ci ha creati... ma è con cuore grato che mi
sono umiliato e lo farò ancora sotto la mano possente di Colui che giudicherà i
vivi e i morti. Gli siano tributati onore e gloria in eterno. {27-01-2008}
4.
{Gianni Siena}
▲
Il problema della
«predestinazione», secondo cui siamo condannati o salvati secondo un
aprioristico decreto, appartiene più a un «calvinismo» esasperato che alla
dottrina biblica.
Calvino, in un’epoca in cui un’arrogante chiesa cattolica (rimasta «tale»)
pretendeva d’aprire o chiudere il cielo e l’inferno, secondo i suoi capricci,
affermò che questo potere — semmai! — appartiene a Dio solo. Nessun «decreto»
del papa o dei suoi concistori può sortire un simile effetto; esiste invece un
«eterno decreto di Dio» al riguardo. Calvino recuperò appunto Romani 9,4-24 (e i
passi correlati) per restituire alla gente la libertà dal timore d’un uomo: Dio
sa quanto ne abbiamo bisogno oggi.
Paolo sottolinea in questi versetti la sovranità di Dio, la sua conclusione è
drastica ma sana: la creatura non può replicare a Dio, se anche suscitata in
vista d’uno scopo così. Paolo fa l’esempio del faraone dell’Esodo, è atroce
pensare che l’abbia suscitato (non «creato»)... per spedirlo all’inferno: volle
andarvi, avrebbe potuto scegliere diversamente. Paolo sottolinea il nostro
essere alla mercé di Dio, altrove mostra la grazia verso tutti gli uomini: «È
volontà di Dio che tutti (!) gli uomini siano salvati». Per questo motivo nessun
uomo potrà mai accusare Dio di qualche ingiustizia. Se Egli non può/vuole
ritirare l’eterno «decreto» di perdizione, ne ha firmato un altro d’amnistia
verso tutti: vale poi per coloro che depongono le armi della ribellione, per
accettare il perdono e la riconciliazione eterna... mediante la fede in Gesù
Cristo. Se Egli, l’Onniveggente, usa un «occhio di riguardo» per coloro che
preconosce essere ben disposti, questo non toglie nulla alla responsabilità
degli «altri». Dio conosce il cuore d’ognuno, non sono i peccati individuali o
la condizione di totale depravazione di certuni: «Può salvare tutti e il più
perverso renderlo un esempio di virtù». Questo è un cantico che amo molto, nella
mia famiglia vi sono non convertiti e penso con dolore (amo i miei) che un
giorno dimenticherò anche il legame più caro. Sarà la sorte dei non redenti, nel
mondo futuro: Le cose di prima saranno dimenticate! Per questo non ho fatto
fatica ad accettare il punto di vista dottrinale delle ADI, d’una
«predestinazione condizionale» (Dio, antivedendo, ha comunque legato tutto
all’accettazione e alla negazione del suo perdono da parte d’ogni uomo)... che
cosa potrebbe fare di più per noi, il Signore? Per questo mi sento incoraggiato
a pregare per la salvezza dei miei e non solo... non trascuriamo di spandere il
profumo di Cristo, oggi che lo possiamo. {28-01-2008}
*°*°*°*°*°
La predestinazione
esiste, è conseguente al peccato dell’uomo privo della gloria di Dio, e
predestinato all’inferno. Ma Dio, che non s’avvalse del suo diritto di disfarsi
di noi, preconosce coloro che avrebbero accettato una salvezza ottenuta a caro
prezzo (il sacrificio di Gesù) e anche gli altri. Dunque, la «doppia
predestinazione» è biblicamente accettabile, ogni uomo ha la facoltà d’accettare
o rigettare la grazia: Dio sarà trovato verace e l’uomo no. La domanda che molti
si pongono è legata all’idea d’una predestinazione «ineluttabile»... non è così.
La Bibbia non insegna questa orribile deformazione, che si trova in bocca a
gente decisa a non ravvedersi. Nessuno gli può resistere e nessuno dovrebbe
replicargli, ma Dio è molto meglio di come lo rappresentiamo. {29-01-2008}
5.
{Nicola Martella}
▲
Non sempre il
contrario di un abuso è l’uso corretto, ma può essere un abuso di segno
contrario. L’opposizione al cattolicesimo — che si riteneva dispensatore di
grazie, indulgenze e salvezza — non legittima la dottrina di una doppia
predestinazione.
In
Rm 9 non si trattava della salvezza degli uni e della perdizione degli
altri, ma del destino d’Israele. La domanda era all’incirca questa: perché
Israele, il popolo
eletto, non ha raggiunto la giustizia ed è diventato incredulo? E perché
invece i Gentili, che eletti non erano, hanno raggiunto la giustizia,
riconoscendo Gesù quale Messia? (vv. 30ss). Sebbene sempre di nuovo ribadito, in
questo capitolo non si parla della doppia predestinazione, ma del destino
storico d’Israele (in contrasto con i Gentili). Proprio il popolo eletto
ha toppato storicamente e teologicamente! Ciò fu poi approfondito da Paolo in Rm
10s.
L’esempio del
Faraone è un’illustrazione storica, che bisogna lasciare tale. Né in
Esodo né in Rm 9 si parla di salvezza o inferno al suo riguardo. Non bisogna
semplificare le questioni né proiettare alcune nelle altre.
Non esiste un «decreto di perdizione» avanti i secoli, secondo la logica
della sedicente doppia predestinazione. L’unico decreto è avvenuto nella storia,
in Cristo: «Dio ha rinchiuso tutti nella disubbidienza per fare misericordia
a tutti. 33O profondità della ricchezza e della sapienza e della
conoscenza di Dio! Quanto inscrutabili sono i suoi giudizi, e incomprensibili le
sue vie!» (Rm 11,32s; cfr. 3,9). Questo è un condono universale, un
indulto, una sanatoria e un decreto di riconciliazione di Dio col mondo (2 Cor
5,18s; Col 1,20ss); esso è rivolto a chiunque crede e vale per chiunque ripone
la sua fede in Cristo (Gv 3,16). Dio predestina tutti a salvezza, questo è il
suo piano; esso però non funziona automaticamente, ma prevede che l’uomo si
ravvedi e si riconcili col proprio Dio (At 17,30s). La novità stava appunto nel
fatto che Dio, superando i confini del popolo eletto, aveva fatto grazia
a tutti, proprio a coloro che erano stranieri rispetto a Israele ed estranei ai
patti della promessa (Ef 2,12ss).
La
predestinazione è il piano di Dio nella storia verso Israele, l’umanità, il
mondo e il creato. Essa è quindi il piano benevolo di Dio per la mia vita
attualmente in questo mondo e per il futuro. Non posso che essere grato a Dio di
aver pensato a me in Cristo, quando in Gesù attuava il suo piano di salvezza.
Non posso che essere grato a Dio che mi ha chiamato a salvezza mediante
l'annuncio dell'Evangelo e che mi ha dischiuso un proposito meraviglioso per la
mia vita, il mio futuro e la mia salvezza all'interno della corporazione dei
santi, il popolo del nuovo patto.
Prima dell’avvento di Cristo c’era un dualismo: Israele – nazioni, circoncisi –
incirconcisi, popolo eletto – pagani, eccetera. Dio, riconciliando il mondo con
sé in Cristo, ha abolito tale discriminazione per i Gentili (Ef 2,12-16). Come
ho detto sopra, ha rinchiuso tutti (Giudei e Gentili) sotto peccato (Rm 3,9) per
fare misericordia a tutti (Rm 11,32).
Dopo un tale atto divino, continuare a parlare di «doppia
predestinazione», ossia di un doppio decreto divino: uno di salvezza e
uno di perdizione, è insostenibile dal punto di vista esegetico e teologico. Dio
ha concepito in Cristo un solo piano: quello di salvare tutto il mondo mediante
Cristo. «Gesù Cristo, il giusto… è la propiziazione per i nostri peccati; e
non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di
tutto il mondo» (1 Gv 2,1s). La discrimina non la fa Dio, che ha
aperto la via della salvezza a tutti (Gv 3,16), ma l’uomo esercitando la fede in
Gesù quale Messia o rifiutando di farne il proprio Salvatore e Signore (Gv
3,36).
Per tali motivi il concetto di «doppia predestinazione» è sbagliato e si
basa solo su un falso sillogismo dottrinale.
Paolo affermava pieno di meraviglia e lode dinanzi alla misericordia
universale
di Dio, seguita al suo decreto di dichiarare tutti disubbidienti: «Quanto
inscrutabili sono i suoi giudizi, e incomprensibili le sue vie!» (Rm
11,32s). Gli iper-calvinisti vogliono invece aver scrutato il consiglio di Dio e
compreso appieno i suoi misteri! E arrivano a prescrivere a Dio ciò che Egli
avrebbe fatto: destinato anzitempo gli uni a salvezza e gli altri a perdizione.
Ciò rimane però un falso sillogismo dottrinale.
6.
{Guerino De Masi}
▲
Ho con interesse
letto i vari interventi. La questione è a mio avviso, in questi ultimi anni,
affrontata in modo unilaterale nelle assemblee, come per arginare quanto alcuni
(autorevoli), sembrino voler apportare novità riformatrici nelle chiese.
Infatti la domanda che era stata posta a un fratello di Padova in occasione di
un’assemblea d’anziani in Toscana, era: «Ma quale è il tuo scopo? Vuoi riformare
le assemblee?».
Sono stato ultimamente in Francia per il fine anno con la Assemblea dove ho
conosciuto il Signore tanti anni fa. Ricordavo di predicazioni che
esplicitamente insegnavano «l’elezione divina». Parlo degli anni ‘60-‘70. Ho
dunque posto la domanda, al mio amico di gioventù, medico, e adesso anziano e
responsabile nella nostra assemblea: «Esiste in Francia e nelle Assemblee, un
«problema» riguardo l’elezione divina?». «No», mi disse. «La Bibbia lo insegna,
e non vedo perché dovrebbe essere un problema».
Gli ho illustrato dunque, con parole mie, quanto si va dibattendo, a quanto mi
pare, nelle Assemblee su questo soggetto. Quello che mi sembra di carpire, è che
per confutare il calvinismo estremo, alcuni si spingono all’altro estremo,
trascurando la sovranità di Dio che comunque rimane.
È stato citato negli interventi, Faraone, Esaù e quant’altro. Mi viene di
pensare a Ninive. Il messaggio era: Dio distruggerà questo posto a causa del
peccato. Dio non è un uomo per pentirsi di ciò che fa, ma in questa occasione,
di fronte al pentimento del re e del popolo tutto, Dio rinunciò al giudizio.
Credo che questo dovrebbe metterci addosso tanta responsabilità di fronte
all’uomo d’oggi, che se non sente il messaggio di condanna per coloro che
rifiutano il dono, la grazia e il perdono, non avrà mai la possibilità di
ravvedersi.
Il Signore ci aiuti ad avere passione per le anime e per questo mondo, sì
predestinato alla condanna, se io e voi, non gli annunciamo che c’è salvezza
gratuita in Cristo Gesù. {30-01-2008}
7.
{Gianni Siena}
▲
La tua risposta è
una considerazione più contestuale e «panoramica» del problema
«predestinazione». L’apostolo non avalla un iper-calvinista decreto eterno,
«ineludibile», e non biblico. Con i dubbi causati da questa dottrina, insegnata
forse aldilà delle intenzioni di Calvino, mi sono confrontato spesso, durante le
conversazioni evangelistiche, e l’ho contrastata.
Faccio parte d’una chiesa che, avendo accettato il punto di vista «arminiano»,
ha elaborato la dottrina d’una «predestinazione condizionale» alla
volontà dell’uomo evangelizzato. Ogni tanto spunta nel nostro mezzo qualcuno che
si sposta su basi «calviniste»... il problema fa evidentemente discutere.
Uomini famosi, potentemente usati da Dio per evangelizzare nel loro tempo,
sposarono punti di vista opposti sull’argomento, senza escludere aspetti
importanti del punto di vista «avverso». Questo evidenzia le limitazioni d’ogni
opinione al riguardo... abbiamo biasimato spesso qualcuno in nome della «sana
dottrina»!
Tornando in argomento, Paolo a un’obiezione duplice (Rm 9,22) risponde
con un’interrogazione suppositiva: «Che cosa c’è da contestare a
se Dio... ha sopportato con molta
longanimità de’ vasi d’ira preparati per la perdizione?» (Rm 9,22). Il suo
scopo è farci ricordare chi è Dio e chi siamo noi... non c’è paragone!
Se v’è un decreto eterno al
riguardo, secondo una preveggenza di Dio,
se vi fosse «qualunque altra
cosa», non dimentichiamoci della sua grazia e del suo amore, immenso e
incomprensibile ma autentico e
disinteressato. Nessuno soffrirà il giudizio eterno, a causa
d’aprioristici decreti di condanna provenienti da Lui, ma solo per le proprie
responsabilità.
Mi incoraggia pensare questo, riguardando alla storia d’Israele, il Signore
mandò, «fin dal mattino», avvisi ed esortazioni alla conversione. Eppure gli
stessi profeti presagirono e proclamarono i castighi tremendi di Dio su Israele.
Succede che Dio debba castigare con severità una generazione impenitente.
Riguardo al memoriale della Shoah, è buono ricordare quant’è accaduto, ma
non posso fare a meno di pensare come vi si è giunti. La Shoah iniziò nel 70
(almeno 1 milione di morti) e, forse, terminò con i lager nazisti ma quando
leggo il Nuovo Testamento non posso non ripensare alle lacrime di Gesù,
su Gerusalemme e su tutto Israele (Lc 19,41).
Non posso non riconsiderare la premura dolorosa di Pietro, nel giorno di
Pentecoste, quando disse ai convertiti: «E con molte altre parole li
scongiurava e li esortava, dicendo: “Salvatevi da questa perversa generazione”»
(At 2,40). Perché «perversa generazione», nelle chiese evangeliche del
«risveglio», tra i «redenti», non si commettono ingiustizie, non abbiamo
pensieri e comportamenti ostili alla volontà di Dio? Ognuno risponda a se stesso
per le personali trasgressioni. Non posso fare a meno di ricordare il dolore di
Paolo
quando esterna le sue ansie per Israele (Rm 9,1-5); anche laddove scrive: «Colmano
così senza posa la misura dei loro peccati; ma ormai li ha raggiunti l’ira
finale» (1 Ts 2,16), si riferisce alla «perversa generazione» d’ebrei (=
coloro che commisero le cose denunciate) a lui contemporanei. Nell’amarezza e
nella rabbia di Paolo leggo anche un senso di frustrazione, sapeva che non ce
l’avrebbe fatta a convincerli; ma non era contento di ciò e nessuno usi più
queste parole per accusarlo di «antisemitismo» (era ebreo, eccome!).
Ho ben presente la foto d’Eli Wiesel/Weisz, quando era un bambino, sotto il tiro
del soldato tedesco: quella foto è il simbolo d’un Israele innocente che paga
per colpe non commesse. Ma non posso dimenticare le disattese esortazioni dei
profeti ebrei, il loro sangue sparso da assassini «religiosi»; si pensi al
sangue innocente di Stefano; si pensi all’uditorio «religioso» e ostile,
che freme di rabbia e, insoddisfatto, si chiude le orecchie e trascina il
giovane alla lapidazione (At 7,54-60).
Se fosse vera la «predestinazione» assoluta che cosa si rimprovera a chi
sbaglia? Stefano doveva morire per «forza»? Quegli uomini dovevano ucciderlo per
altrettanta «forza»? Erano peggiori (in quanto «ebrei») dei romani che
macellarono la Giudea in due sanguinosissime guerre? Chi può dire «sono puro»?
Dio sapeva «tutto» ma lo ha «decretato»? No, è impossibile che un Dio Santo
possa fare una cosa simile! Sarebbe diverso se Dio «sapendo» tutto questo, lo
avesse appunto «decretato», ma il Santo e il Vero non potrebbe essere «Dio»
senza gettare ombre sulla sua reputazione. Non sono blasfemo, Dio non mi punirà
per questa mia audacia, Egli penserebbe così: «Chi mi può replicare o chiedere
conto d’alcuna cosa? Io sto facendo (creandole) del male a delle creature, opera
delle mie mani, create per commettere il male... il paradosso e la
contraddizione stanno in questo: Dio, giusto e santo, non (!!!) ha creato il
malvagio in quanto tale. Neppure Satana e gli angeli rivoltatosi erano «così»...
non in origine. Dunque? Neppure l’uomo che, perciò, non avrà argomenti per
«replicare» quando sarà davanti a Dio. La malvagità degli Ebrei è sanzionata a
caro prezzo ma quella dei Gentili è, ugualmente, sotto il giudizio di Dio; il
conto dei massacri di innocenti ebrei (e non) è un fascicolo non ancora
archiviato: ne renderemo conto (Rm 11,19-22).
Se, secondo una sbagliata esegesi, v’è un decreto «ineludibile», Dio come
ci chiede conto dei «peccati»? Il male non è una fatalità, l’appello divino di
non commetterlo è scritto prima di tutto nelle coscienze (Rm 2,14s). Alla fine
si deve per forza abbracciare la tesi della non esistenza di un simile decreto e
della grazia di Dio o affermare (la Bibbia dà, comunque, queste evidenze) che
v’è una via di scampo, sempre attuale ed efficace (Eb 10,20). Ad un simile
«decreto», fondato sulle esigenze d’assoluta giustizia di Dio, come ho già
scritto, corrisponderebbe un «altro» decreto, basato sul suo amore non meno
assoluto ed esigente, che ci è favorevole... quest’ultimo dà, a chiunque crede
(siamo ancora sul terreno delle libere scelte), fondate speranze d’essere
salvato e in eterno! (Gv 3,16s).
Io faccio una considerazione su ogni sistema di dottrina ecclesiale, a
cominciare dal mio particolare, nessuno è perfetto, possiamo confrontarli,
discutere ma essi portano il marchio della limitatezza umana. Io considero con
quanta fierezza, dopo aver visto lo Spirito Santo produrre autentici miracoli
nella mia vita, abbracciai la «causa» pentecostale. Poi ho saputo degli errori
commessi dai miei «correligionari» e ho cominciato a riflettere su essi: anch’io
li ho commessi... taluni. Ho fatto un passo indietro, senza rimangiarmi anni di
fede vera e vissuta, sono ritornato alle «basi» (Eb 6,1). Ho capito che nessun
uomo è perfetto e, solo a prezzo d’un duro processo quotidiano, si può tendere
verso l’esempio perfetto di Cristo (Eb 6,1s). Alla fine ho tratto le mie
conclusioni, partendo dalla Riforma e dai suoi esponenti più autorevoli,
«colonne» del pensiero evangelico, ho constatato che niente e nessuno era
perfetto. Io sono un tipo facile a innamorarmi di qualcuno o qualcosa, ma tutto
è relativo, e alla fine rimane in piedi la sola realtà di Cristo Salvatore: «Infatti
è per grazia che siete stati salvati, mediante la fede; e ciò non viene da voi;
è il dono di Dio. Non è in virtù d’opere affinché nessuno se ne vanti; infatti
siamo opera sua, essendo creati in Cristo Gesù per fare le opere buone, che Dio
ha già preparate affinché le pratichiamo» (Ef 2,8-10). {30-01-2008}
8.
{Domenico Falbo}
▲
Caro Nicola il tuo articolo su Romani 9,14-24 è il più
giusto rispetto a tanti altri che in questi anni abbiamo letto. Ecco come noi
tempo fa abbiamo risolto il problema, te ne parliamo per arricchire la
conoscenza.
Dio non è ingiusto, come mostra Rm
9,14-24. Le parole di Paolo mettono confusione specie a chi non conosce bene le
Scritture; in 2 Pt 3,15-16 Pietro dava credito agli scritti dell’apostolo Paolo.
Da lui noi siamo stati avvertiti riguardo al parlare difficile di Paolo.
Non cerchiamo di chiarire tutti i misteri delle Scritture,
finiremmo con il fare dei dogmi
senza valore, perché non sono mai insegnamenti divini
ma umani. I calvinisti sono
dogmatici come i cattolici, i dogmi non portano la fede
ma la tolgono.
Paolo è elastico nel suo parlare, secondo cosa vuole
insegnare. Ecco che mentre
in Rm 9,14-24 sembra dar ragione alla doppia
predestinazione — la quale fa apparire Dio come un bambino monello che rompe o
salva i giocattoli come vuole, un Dio ingiusto (ma se Dio è ingiusto non esiste,
oppure esistono divinità demoniache
come insegnano le
religioni pagane, e perfino l’Islam ha un Do che non usa giustizia
ma favoritismo
capriccioso) — in altri brani Paolo parla di Dio che vuole la salvezza di tutti
(1 Tm 2,3).
Paolo fa anche quella famosa affermazione: «Chiunque
invocherà
il nome del Signore sarà salvato»
(Rm 10,13), citazione tratta da Gioele 3,5 e che incontriamo anche in Atti 2,21.
Ma ora vediamo che cosa insegna chiaramente l’unico vero
Maestro, il Signore Gesù, riferendosi ai farisei, suoi accaniti oppositori: «Tutto
ciò che non piantò il Padre mio celeste, sarà sradicato.
Lasciateli andare: sono
ciechi, guide di ciechi» (Mt 15,13).
Ora, chi ha piantato queste piante che verranno sradicate?
Ecco come insegna Gesù: «Colui che semina il buon seme è il Figlio dell’uomo;
il campo è il mondo; il buon seme rappresenta i figli del regno; la zizzania
invece i figli del
male; il nemico che la seminò è il diavolo; la mietitura è
la fine del mondo; i mietitori, infine, sono gli angeli. Come dunque si
raccoglie la zizzania e la si brucia nel fuoco
così avverrà alla fine
del mondo: il Figlio dell’uomo manderà i suoi angeli a radunare dal suo regno
tutti gli scandali e tutti gli operatori d’iniquità, perché li gettino nella
fornace ardente. La sarà pianto e stridore di denti. Allora i giusti
risplenderanno come il sole
nel regno del Padre loro.
Chi ha orecchi intenda!»
(Mt 13,37-43; cfr. anche Mt 25,31-46).
Ecco nel regno di Dio si salvano solo i giusti dice Gesù,
questo dimostra che Dio è giustissimo! {31-01-2008}
9.
{Nicola Martella}
▲
Di là dalle giuste osservazioni che possiamo dare su questo o su quel punto
all'interno di un ampio orizzonte teologico, non bisogna dimenticare
l'obiettivo proprio di Rm 9. Faccio notare nuovamente che in Rm 9 nel suo
contesto (Rm 9-11) non si stratta della salvezza e della perdizione di singoli,
eternamente decisa, ma del destino storico di un popolo (Israele), che Dio aveva
eletto, storicamente guidato e difeso, riscattato dall'Egitto, eccetera.
Ricordo ancora una volta che la domanda di base era questa: perché il
popolo eletto non ha conseguito la giustizia, pur avendo la legge e
cercandola, ma hanno intoppato proprio rispetto a Gesù quale Messia, mentre
invece i Gentili hanno conseguito la giustizia, pur non cercandola? (Rm
9,30-33). Questa è la sostanza del capitolo. Per il resto rimando al punto
►
5.
10.
{Marco Solaris}
▲
Caro Nicola, ho
letto attentamente quanto hai scritto. Ci sono molte osservazioni interessanti,
ma alcune cose non mi convincono.
Ad esempio tu dici: «Quindi la loro elezione in Abramo senza la fede in Gesù
quale Messia non serviva a nulla. Così facendo, si comportavano in modo
contrario rispetto a Abramo (v. 56)».
Per quello che capisco io, la maggior parte degli ebrei del 1° secolo non furono
degli eletti che persero la possibilità di salvarsi, ma semplicemente non furono
mai eletti, dato che nell’elezione sovrana di Dio è inclusa la fede salvifica e
le opere che ne derivano.
«Che dunque? Quello che Israele cerca, non lo ha ottenuto; mentre lo hanno
ottenuto gli eletti; e gli altri sono stati induriti» (Rm 11,11).
Qui si differenzia chiaramente tra eletti e non eletti, e si spiega chiaramente
che coloro che sono stati eletti (scelti) da Dio hanno creduto e i non scelti
(gli altri) sono stati induriti.
«Ma che cosa gli rispose la voce divina? “Mi sono riservato settemila uomini
che non hanno piegato il ginocchio davanti a Baal”. Così anche al presente, c’è
un residuo eletto per grazia» (Rm 11,4-5).
Dio dice che Lui stesso si è riservato un residuo eletto che è stato fedele, non
che il residuo si è riservato da sé. Insomma Dio ha scelto sovranamente delle
persone e ha conferito loro la grazia per essere fedeli, sia al tempo d’Elia,
sia nel 1° secolo, perlomeno mi sembra il significato letterale del brano.
Altrove nel tuo sito dici: «La predestinazione è il piano di Dio; avendo
Egli riconciliato il mondo con sé, tale piano vale per chiunque crede, senza
esclusioni».
Certamente chiunque viene a Gesù con fede sarà accolto, ma chi viene a Lui?
Nessuno può venire a Lui se non il Padre ad attirarvelo (cfr. Gv 6,37) e il
Padre attira solo chi Dio ha scelto.
Ho poi analizzato meglio la questione e ho trovato in Giovanni dei versetti che
mi hanno colpito moltissimo: «Il Padre che mi ha mandato, egli stesso ha reso
testimonianza di me.
La sua voce, voi non
l’avete mai
udita»
(Gv 5,37).
«L’ora viene, anzi è già venuta, che
i morti udranno la
voce del Figlio di Dio; e
quelli che l’avranno
udita, vivranno»
(Gv 5,25).
Io ho sempre creduto che tutti sentono Dio che parla interiormente nel cuore e
li invita alla conversione, ma che alcuni scelgono d’indurirsi e altri d’aprirsi
a Lui, invece da questi brani sembra che i reprobi non è che abbiano udito la
voce del Padre e la abbiano respinta, ma che proprio non la abbiano mai sentita!
Così pure i salvati non sembra che abbiano sentito la voce divina e abbiano
deciso se seguirla o rifiutarla, ma che tutti coloro che odono questa voce
indistintamente si convertono. {06-02-2008}
11.
{Nicola Martella}
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■ Gli ebrei del primo secolo erano eletti o no?: A sentire il mio
interlocutore no. Tempo dopo la Pentecoste, Pietro non avevano dubbi che i
giudei fossero gli unici eletti, poiché non solo si recava al tempio (come tutti
i credenti d’allora), ma disse al popolo: «Voi siete i
figli dei profeti e del patto che
Dio fece coi vostri padri, dicendo ad Abramo: “E nella tua progenie tutte le
nazioni della terra saranno benedette”. 26A
voi per i primi Dio, dopo aver suscitato il suo Servitore,
l’ha mandato per benedirvi, convertendo ciascun di voi dalle sue malvagità»
(At 3,25s). I «figli del patto» erano gli eletti, poiché l’elezione nella
teologia biblica è sempre legata a un patto.
Anche Paolo non aveva dubbi che gli Israeliti fossero eletti, quando affermò
nella sua trattazione teologica: «Per quanto concerne l’Evangelo, essi sono
nemici per via di voi; ma per quanto concerne l’elezione, sono amati per via dei
loro padri; 29perché i doni e la vocazione di Dio sono senza
pentimento» (Rm 11,28). Dio elesse Israele e tutta la sua progenie per
sempre. L’elezione (il proposito di Dio) è collettiva e non impedisce che, dove
manca la fede personale per entrare personalmente nel patto, il singolo decada
dal patto e divenga profano; così successe a Esaù (Eb 12,16s).
Chi viene aggiunto al «residuo eletto» e innestato sull’ulivo, non può
pretendere che proprio i «rami naturali» non siano eletti! (per la «teologia del
resto» si veda sotto).
■ Chi sono «gli eletti» in Rm 11,11?: Non è un caso che qui la Riveduta
traduca «residuo eletto». Il greco ha qui: «Che dunque? Ciò che Israele
cerca, non lo ha ottenuto; ma l’elezione lo hanno ottenuto, mentre gli altri
sono stati induriti». È chiaro che si parla dello stesso resto fedele del v.
5. «E così anche nel tempo presente, v’è un residuo secondo l’elezione della
grazia». Nel v. 11 «elezione» non intende «l’atto di eleggere», ma «ciò che
è stato eletto». L’«elezione della grazia» è avvenuta in Abramo, avendo Dio
letto lui e la sua progenie; l’elezione rappresenta la chiamata del Signore al
patto e alla benedizione che ne deriva, ma si concretizza nella storia solo in
chi entra anche personalmente nel patto di grazia mediante una decisione
personale. Dopo l’avvento di Gesù, entrare nel patto di grazia significa entrare
nel nuovo patto. Se si fa uno studio dell’AT, si prenderà atto che Dio ha agito
sempre non mediante la massa degli Israeliti, ma soltanto mediante un «resto
fedele» o un «residuo santo» (Is 1,9; 10,20ss; 11,11.16; 28,5; 37,4.31s; 41,14;
46,3; Gr 6,9; 31,7; 50,20; Ez 6,8; 14,22; Mi 4,7; 5,6s; 7,18; Sf 2,7.9; 3,13; Zc
8,6).
Perciò Rm 11,4s mostra che Dio ha da sempre agito secondo la «teologia del
resto», com’era al tempo di Elia, così era al tempo di Paolo. Quindi
troviamo un principio di continuità. Sebbene tutta la progenie di Abramo fosse
eletta in virtù del patto di grazia, l’elezione arrivò al suo traguardo solo nel
resto fedele, in cui fu viva la fede personale che permise ai singoli di entrare
personalmente nel patto di grazia. Qui la dinamica è tutta interna al popolo
d’Israele.
La novità del nuovo patto è che Dio, riconciliando tutto il mondo con sé,
applicò la stessa dinamica a tutto il mondo: tutti gli uomini sono eletti in
Cristo (questo è il senso della riconciliazione!), ma l’elezione divina arriva
al suo obiettivo efficace solo in coloro che, esercitando la fede, entrano
personalmente nel patto messianico, siano essi Giudei o Gentili (cfr. Ef
2,11-22; cfr. «voi pure»: Ef 1,13; 2,1.22).
■ La citazione di Gv 6,37 è fuori posto, poiché qui Gesù non presentò un
principio universale, ma affrontava una questione concreta del giudaismo del suo
tempo che lo rifiutava in gran parte come Messia, pur cullandosi sul fatto
d'essere progenie d'Abramo (cfr. Gv 8). Ho già risposto altrove a tutto ciò. Si
fa male a togliere un certo verso dal suo contesto specifico, dove ha il suo
particolare significato!
■ La citazione di Gv 5,25.37 e le osservazioni in merito non sono molto
congeniali al tema. Nel v. 25 si parla della chiamata escatologica del Figlio di
Dio perché i redenti risuscitino ed entrino nel regno (cfr. vv. 28s). È chiaro
che solo i redenti l’udiranno e risusciteranno; i perduti risusciteranno solo
per il giudizio finale. Nel v. 37 Gesù affermò di essere l’unico ad aver visto
ed udito personalmente il Padre, essendo proceduto da Lui (cfr. Gv 1,18; Mt
11,27). Quindi questi versi non c’entrano nulla con la questione, né con
l’elezione, né con la conversione! Gv 5,25 tratta lo stesso tema di 1 Ts 4,16s.
Gv 5,37 evidenzia la differenza fra Gesù e gli altri uomini; il Logos fatto
carne, provenendo da Dio, è l’unico che può spiegare chi Egli sia veramente.
■ Qualche nota finale, come spunto di ulteriori riflessioni Bisogna tener
presente che l’elezione non ha direttamente a che fare con la salvezza
individuale, come noi occidentali spesso pretendiamo (i termini ricorrono
insieme solo in 2 Ts 2,13; 2 Tm 2,10; sono al plurale), ma col piano globale di
Dio. L’unico che nel nuovo patto si può vantare d’essere eletto in modo speciale
e singolare (ma qui non c’entra la salvezza), è Gesù: «Cristo,
l’Eletto di Dio» (Lc 23,35; 9,35). Si parla del Messia come «pietra
vivente… dinanzi a Dio eletta e preziosa» (1 Pt 2,4.6).
Poi viene usato per Paolo (At 9,15; anche qui non si parla di salvezza,
ma di servizio). Inoltre fu usata per Rufo, «l’eletto nel Signore»
(Rm 16,13): qui intendeva indicare una persona particolarmente benedetta;
infatti perché chiamare solo lui così, visto che tutti in Roma erano amati e
santi? (Rm 1,7).
Poi se ne parla in senso collettivo per «residuo eletto» d’Israele (Rm
11,7 Riv.; cfr. v. 5; lett. «l’elezione»; altri «gli eletti») e per «generazione
eletta» (1 Pt 2,9; qui Pietro scrisse ai cristiani giudei). Pietro ne parlò in
senso collettivo per «la chiesa che è in Babilonia eletta come voi»
(1 Pt 5,13). Giovanni usò il termine per la «signora eletta» (2 Gv 1,1),
espressione che intende una donna pregiata o meglio una chiesa locale, visto che
poi parla del fatto che «i figli della tua sorella eletta ti salutano» (2
Gv 1,13).
Non rientra in questa categoria Tito, che è «eletto dalle chiese»(2 Cor
8,16.19). E qui finisce la storia. Negli altri 18 versi del NT si parla sempre
di «eletti» al plurale, quindi di una corporazione di eletti.
12.
{}
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► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_Den/T1-Romani9,14-24_parla_Mds.htm
25-01-2008; Aggiornamento: 13-02-2008
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