1.
LA TESI:
«Per essere chiari, io non sono protestante. Sono cristiana. Io sono di Gesù».
{Pastore Anna La Vita; 05-05-2017} Dopo la mia nota, posta sotto tale
asserzione, lo scritto è stato da lei cancellato.
2.
OSSERVAZIONI E OBIEZIONI
■ Lacune sul protestantesimo:
«Protestante»
significava in origine «chi attesta pubblicamente». Era la stessa cosa di chi
professava la sua fede, intendendo la salvezza per grazia mediante la sola fede
in Gesù soltanto sulla base solo della Parola. Questo fecero Lutero e altri
testimoni della Riforma dinanzi all’Inquisizione romana.
Inoltre, con
tale frase, formulata a contrasto (io non sono..., ma sono...),
si suggerisce, volenti o
nolenti, che i «protestanti» non siano cristiani, né siano di Gesù. Voglio
ricordare a tale «pastora» che missionari protestanti fedeli alle Scritture
hanno portato l’Evangelo e l’aiuto pratico in pressoché ogni parte del mondo.
Per questi
motivi, io mi sento
«protestante» (dichiaro pubblicamente la mia fede), «evangelico» (credo alle
parole di Gesù) e «cristiano» (= seguace dell’«Unto» [= ebr. Messia, gr.
christós). Chiaramente
non condivido tutto ciò che i protestanti odierni affermano, né approvo tutto
ciò che fanno; ma ciò vale anche per altre denominazioni. Conosco personalmente
credenti, che frequentano chiese protestanti in Germania e che bruciano di zelo
per il Signor Gesù.
■ Una nota al margine:
L’unica cosa che non ho mai trovato nella Bibbia è che una donna si chiami «pastore»,
visto che nel NT a una donna, quanto pia e capace sia, non è permesso di
insegnare pubblicamente in un’assemblea né di guidarla.
3.
ASPETTI CONCLUSIVI:
Consiglio a tale «pastora» di informarsi meglio sulla storia della chiesa, visto
che mostra vistose lacune sul protestantesimo
della Riforma e sul suo importante significato per l’opera di Dio nei secoli
passati.
Le consiglio
pure di fare una ricerca approfondita sul NT riguardo ai prerequisiti per essere
conduttore di
chiesa. Allora, leggendo, i testi chiave (1 Tm 3; Tt 1), scoprirà che per
insegnare pubblicamente in un’assemblea e per guidarla, bisogna essere, oltre
che irreprensibile, maschio; solo allora potrà essere (se sposato) «marito di
una sola moglie», padre e capofamiglia e, come tale, potrà presenziare alla
propria casa e tenere i suoi pargoli in sottomissione.
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riguardo le vostre esperienze, idee e opinioni?
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I contributi sul tema
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1. {Giacomo Todaro}
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Contributo:
Interessante punto di vista. Avrà voluto riferirsi all’appartenenza a qualche gruppo specifico? Avrà forse il dubbio che si stia profilando la nascita di una qualche religione legata alla Riforma? Ricordo che i pastori sardi protestavano, perché gli rubavano le pecore... {12-06-2017}
▬
Nicola Martella:
Quando ci si esprime in modo così assoluto, come fa questa «pastora», si lasciano molti dubbi. Fatto sta che vari conduttori, accreditati dalle chiese o autonominati, specialmente di un certo arcipelago denominazionale, stanno andando sempre più alla deriva verso il romanesimo.
2. {Angelo D’Agostino}
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Contributo:
Oramai è una moda disgustosa parlare male del protestantesimo. Coloro che inveiscono, sono riconoscibili da chilometri: arroganza, ignoranza storica e teologica e di solito sono loro i «fuori binario» da riformare. Dio ci aiuti! {12-06-2017}
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Nicola Martella:
Come facevo notare sopra, conduttori appartenenti specialmente a un certo arcipelago denominazionale, stanno andando sempre più alla deriva verso il romanesimo. Per questo o parlano bene del vescovo romano, o prendono le distanze dal protestantesimo, o ambedue insieme. Le gonnelle clericali sono spaziose. E con esse trovano simpatia i pastori in gonnella.
3. {Fabrizio Colapietro}
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Contributo:
Entrambe le posizioni sono sbagliate e senza neanche rendersene conto condividono lo stesso pensiero aberrante del politicamente corretto. La pastora si fa scandalo della protesta, che è parte integrante della Riforma; e il Martella, come tanti altri, sostituisce la «protesta» con il più sdoganato «manifestare»; ma manifestare pubblicamente, non è forse protestare? Il termine protestante deriva da coloro che protestarono ovvero che manifestarono pubblicamente il loro dissenso verso una chiesa dispotica. Allo stesso modo le chiese oggi hanno spento le fiamme dell’inferno e allargato la via stretta alla stregua di autostrade per l’impunità. Predicando un evangelo dolce, si allarga la platea, ma questo non è l’Evangelo. {13-06-2017}
▬
Nicola Martella:
Faccio notare che il nostro termine «protestare» al tempo della Riforma era latino e non italiano e significava ben altro, appunto «attestare [= testare “testimoniare”] pubblicamente [= pro- “davanti”]», ossia la salvezza per grazia mediante la fede in Cristo. Il significato di «dissentire» è postumo. Era la stessa cosa come «confessare pubblicamente» e aveva una connotazione positiva; col tempo, il termine ha modificato il suo campo semantico, per significare oggigiorno anche «dissentire». L’Evangelo annacquato e la grazia a poco prezzo sono cose differenti dal tema trattato, e ne ho parlato abbondantemente altrove. Qui si tratta solo del significato del termine «protestare» nel suo uso originario, quando lo utilizzò Lutero dinanzi all’Inquisizione; com’era abitudine allora, egli parlava latino (era la lingua franca come l’inglese di oggi) e non italiano.
■
Fabrizio Colapietro:
Ti sbagli, protestante deriva dal termine «protestamur» nel senso di «dichiariamo solennemente». Così inizia il documento dei principi di Germania, che si schierano a favore dei luterani, dichiarando legittima la libertà della fede in Dio e sostenendo così la Riforma (Seconda Dieta di Spira). Le chiese evangeliche sono il frutto della Riforma e basano il loro diritto proprio sulla carta, che inizia con «protestamur». Il termine originale dunque non fa alcun riferimento alla salvezza e tantomeno a «attestare» come da te tradotto genericamente dal latino. Come ben saprai però spesso i termini nell’uso comune sfuggono al loro significato originale, tutti noi ogni giorno usiamo termini, di cui non conosciamo le origini. Il termine protestante è nell’uso comune assimilato al concetto di protesta e tutto sommato questa interpretazione non si discosta dalla realtà; difatti la carta dei principi è un atto di protesta ufficiale verso la chiesa di Roma, che a sua volta è frutto delle proteste del popolo, che vede di buon occhio la possibilità di dissociarsi da una chiesa corrotta e troppo invadente. Dire che la protesta o il termine in sé non abbiano connotazioni negative, come se protestare sia una brutta cosa, non è altro che voler imbellettare una realtà... non a caso Lutero venne scomunicato. Tuttavia, che senso ha volersi far belli al mondo sulle spalle di chi si fece carico di tutto l’onere di una presa di posizione contro la chiesa di Roma? Non è questo il politicamente corretto che il mondo ci propina in ogni salsa e che ritroviamo oggi non solo nelle chiese ma anche tra diversi teologi? {13-06-2017}
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Nicola Martella:
Tu confondi varie cose, sia letterariamente, sia
storicamente, che vorrei farti capire. ●
1. Il significato reale del termine latino «protestare», usato da Lutero e
da altri al loro tempo. Ecco che cosa afferma al riguardo
l’Enciclopedia Treccani: «Protestare v. tr. e intr. [dal lat. tardo
protestari “attestare,
dichiarare pubblicamente”, composto di
pro- e testari “attestare”] (io protèsto, ecc.). [...], anche come agg. e
sost., quasi esclusivamente nel significato storico-religioso (v. protestante)».
● 2. Perciò, «dichiariamo
solennemente» non è una traduzione letterale, ma una trasposizione a senso. ●
3. Con il significato originale non
bisogna confondere l’accezione odierna di «protestare» nel senso: «Dichiarare
con energia la propria opposizione o disapprovazione, anche pubblicamente,
collettivamente» (ibid.). Nessuno che protesta pubblicamente contro qualcosa
viene chiamato «protestante». ● 4.
Per il resto penso che siamo abbastanza d’accordo.
■
Ivaldo Indomiti:
Io la sapevo «pro texto» cioè a favore del testo biblico (cioè sola Scriptura). Ma c’è sempre da imparare nella vita. {13-06-2017}
■
Fabrizio Colapietro:
Ribadisco le origini del termine protestante vengono da «protestamur», già precedentemente contestualizzato e non deriva da cosa intendesse Lutero con protestare. Poi se vogliamo fare il gioco dell’ho ragione io, tutto va bene. Ma anche ammettendo per assurdo che abbia ragione lei circa l’origine del termine, la sostanza non cambia. La pastora si dice cristiana ma non protestante, eppure il suo pastorato è frutto della Riforma, quindi non si capisce il senso delle sue affermazioni. Purtroppo poi nella pagina c’è solo la risposta, ma non l’articolo della pastora per poter capire meglio il suo pensiero. Dall’altra parte il Martella afferma di riconoscersi nel protestantesimo, ma non come protesta, ma attestazione o come voglia dire. Trovo un arrampicarsi sugli specchi il sostenere che la Riforma e il protestantesimo non includano o non siano fattivamente una protesta. {13-06-2017}
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Nicola Martella:
● Tale «pastora» non ha scritto un articolo, ma solo il testo da me citato. Su Facebook preferiscono il «fast food» e il «mordi e fuggi». ● Ho citato la Treccani. Penso che basti. Quanto al «protestare» nel senso di «dissentire», il mio sito è pieno di apologetica; perciò, so sia «attestare pubblicamente» la verità, sia difenderla, combattendo per la fede tramandata una volta per sempre ai santi (Gd 1,3). Qui, però si tratta solo del significato etimologico e dell’uso del termine ai tempi della Riforma protestante; allora il significato predominante era «attestare pubblicamente». Esso equivaleva a «professare» (anche qui «pro» intendeva pubblicamente).
4. {Davide Marazzita}
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Concordo pienamente con la
tesi che il cristiano evangelico non può esimersi dal riconoscere le sue radici
nell’azione della Riforma, anche se è
vero che le chiese tradizionali protestanti si sono molto allontanate da quei
principi riassunti nei «5 sola». Ho avuto modo a tal proposito di scrivere
qualche cosa sul forum di
evangelici.net, commento visibile anche sula
pagina FB della Shepherd International University.
Mi ha incuriosito la nota a margine, in cui
si critica il ministero pastorale
femminile. Credo che la Scrittura sia chiara riguardo ai ruoli che ogni
genere deve avere nella vita famigliare, nella chiesa e con Dio. I ruoli non
possono essere soggetti a interpretazioni o manipolazioni, perché uno
smentirebbe l’altro e non permetterebbe che il naturale svolgimento della vita
abbia il suo senso nel progetto divino. Così, Dio è capo di Cristo come Cristo è
il capo della chiesa e l’uomo è il capo della donna. Non è una questione di
discriminazione, ma semplicemente una destinazione di ruoli, che lasciano
inalterata la dignità di ognuno. Il fatto che Cristo sia sottomesso a Dio non lo
rende meno degno di adorazione e gloria o meno Dio.
Credo che diversamente debba essere trattato
il tema dei doni, che lo Spirito
Santo elargisce come vuole. Nella distribuzione dei doni spirituali non vedo
alcuna limitazione da parte del Signore verso uomini o donne. Il dono di
pastore, che non va confuso con il ruolo di anziano / presbitero, può benissimo
essere dato dal Signore alle donne, così come il dono d’insegnamento. Se così
non fosse dovremmo seriamente riflettere sul ruolo, che hanno le donne nella
«scuola domenicale» o a quelle che scrivono libri, che poi tutti leggiamo. Se la
«regola» del silenzio della donna nella comune assemblea è testualmente tratta
dalla lettera di Paolo ai Corinzi (1 Corinzi 14), ci si dimentica che prima di
far tacere le donne Paolo impone agli uomini di tacere in almeno due
circostanze; succede invece che troppi uomini parlano, quando invece sarebbe
meglio che tacessero; e troppe donne stanno in silenzio, quando invece lo
Spirito del Signore le ha equipaggiate a parlare. Secondo quanto capisco dalla
Scrittura, una donna non può essere marito (uomo nel testo biblico), non può
essere padre e non può essere presbitero / anziano, ma può esercitare tutti i
doni che il Signore le elargisce, in sottomissione al Signore e alla chiesa
locale, come tutti del resto. Del resto nella lettura e studio della Scrittura
bisogna sempre riflettere, quando un testo è normativo e quando non lo è.
{13-06-2017}
5. {Danilo Ristagno}
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Ormai, siamo in tempi così difficili che ogni singolo
versetto, estrapolato da qualcuno, cerca di dimostrare che il pensiero
filosofico del medesimo sia giustificabile alla luce delle Scritture. Non si
tiene conto che far contraddire volontariamente la Bibbia, sia una mancanza di
rispetto verso Dio stesso. Posso pure capire che vi siano delle leggere
differenze tra la dottrina di una
chiesa e di un’altra su alcuni questioni, che infine non sono fini alla
salvezza.
Ora, però,
scadere addirittura nel proclamare che la
donna pastore sia biblica, perché bisogna comprendere la lettera
(che da sola uccide) con lo Spirito, e far dire quel che si vuole, con questo
passo, alla Bibbia è davvero assurdo. Su queste cose non penso neppure che
alcuni, non dico tutti, siano davvero in buona fede, ma il Signore sa queste
cose molto meglio di me e aldilà del mio personale pensiero. Credo che l’umiltà
preceda la gloria (Proverbi 15,33) e che Dio abbia stabilito un
ordine divino (come v’è un ordine nel cielo), sulla terra, per le
sue creature. La Bibbia dichiara che «il
capo di ogni uomo è Cristo, che il capo della donna è l’uomo, e che il capo di
Cristo è Dio» (1Corinzi 11,3); e questo è il piano del Signore nell’ordine
delle cose da Lui stabilite. Una donna (o un uomo), non può avere un concetto
diverso dal ruolo, che Dio ha stabilito per lei nella sua chiesa, come non può
una persona, ministro o no che sia, vantarla di un tale falso diritto ai danni
di una comunità, come ai danni di se stessa; sarebbe un disubbidire al Signore,
che non ha mai istituito alcun ministro donna nella sua chiesa. Inoltre, Dio ha
creato la donna come aiuto dell’uomo, non come suo sostituto (Genesi 2,18).
Condivido pienamente, perciò, questo scritto del fratello Martella Nicola. Dio
ci benedica. {13-06-2017}
6. {}
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8. {}
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9. {}
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10. {}
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11. {Vari e medi}
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Francesco Cicala:
Sembra quasi che sia incompatibile chiamarsi protestanti o cristiani evangelici. Affermare pubblicamente ogni giorno la propria fede nel vangelo di Gesù è una libertà concessami dal vangelo stesso; dov’è la differenza? Mi chiedo se la sola grazia, la sola scrittura e la sola fede hanno valore nella vita di questa pastora. «Alla legge alla testimonianza, se il popolo non parla così, non ci sarà nessuna aurora» (e per la pastora nessuna chiarezza o certezza del suo «ministero»). {12-06-2017}
■
Sara Vinti:
A 500 anni dalla Riforma protestante io sono stra-orgogliosa di essere protestante perché significa appartenere solo a Cristo. «Sola fide, sola gratia, sola scriptura, solus christus». Io vorrei ricordare a quella pastora che il protestantesimo è il ritorno all’origine delle comunità del 1° secolo. Il protestantesimo è il ritorno alla semplice fede in Cristo, così come la esprimevano i primi discepoli e i primi apostoli, senza madonne né santi, o reliquie, o dogmi. {13-06-2017}
■
Donatella Nancy Festa:
Noto purtroppo che molte persone identificano l’appartenenza a questa o quella chiesa (soprattutto chiese del protestantesimo storico) come una sorta di defezione dal rapporto personale col Cristo, che sarebbe garantito (secondo alcuni) da una sorta di slancio operativo dettato dall’entusiasmo, che prescinde dalla conoscenza... Ma sta scritto che lo zelo senza conoscenza non va bene! Meglio impiegare più tempo, per conoscere, che muoversi senza aver chiesto a Dio la luce. {14-06-2017}
12. {Vari e brevi}
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Ivaldo Indomiti:
Caro Nicola, mi trovi d’accordo.
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Angela Sica:
Io appartengo a Cristo, non c’è religione che tenga. {13-06-2017}
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Nicola Martella:
Guardiamoci da tali semplificazioni sterili, che palesano una non conoscenza storica e teologica. Anch’io appartengo a Cristo. L’Evangelo è arrivato a me, perché altri, promulgandolo, hanno messo a rischio la loro vita. Al tempo della Riforma, diversi credenti sono stati torturati e uccisi dall’Inquisizione romana, per aver annunciato la salvezza per sola grazia mediante la fede solo in Cristo e basandosi solo sulla sacra Scrittura. Non viviamo nel nulla, ma in una sequenza di storia e di «fede a fede» (cfr. Rm 1,17); per mezzo di loro l’Evangelo è arrivato a noi. Essi furono chiamati allora «protestanti», ossia coloro, che attestavano pubblicamente la loro fede; io mi onoro di poter fare la stessa cosa per la gloria di Dio.
► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_Den/T1-Protestante_UnV.htm
12-06-2017; Aggiornamento: 20-06-2017 |