Non era mia
intenzione ritornare tanto in fretta su questo tema, ma lettori pentecostali e
non hanno voluto continuare la discussione. Eravamo partiti dall'articolo di
Tonino Mele «Le
ondate dello Spirito tra differenze e affinità: Esiste un rapporto di
causalità tra pentecostali e carismatici?».
Lo abbiamo già discusso nel tema «Le
ondate dello Spirito tra differenze e affinità? Parliamone 1».
Visto il desiderio dei lettori di discutere ancora di questa materia,
proseguiamo qui tale discussione. Ammetto però che ci si sta muovendo in cerchio
e si stanno ripetendo argomenti già trattati. Il tema risulta oramai saturo
e bisognerebbe quindi portarlo a conclusione, visto che le posizioni sono oramai
note e chiare.
Da tutto ciò si evidenzia che il
cuore del problema sia in fondo questo: aver messo l'etichetta «battesimo
di Spirito» a un'esperienza mistica odierna e aver connesso quest'ultima
assolutamente con la manifestazione della glossolalia quale dimostrazione del
primo. È in fondo questa concezione dottrinale che
unisce tutti i «movimenti entusiastici» delle varie «ondate» e di varia
appartenenza (protestanti, cattolici, ecc.). Ed è proprio qui che si dividono
gli animi. È singolare che l'espressione «battesimo di Spirito» non ricorre mai
nel testo greco, che la glossolalia sia il fanalino di coda in 1 Corinzi 12
(neppure nominata in Efesini 4!), ma sia diventata il massimo distintivo di
tutti i «movimenti entusiastici».
Se
questo è ciò che li unisce, a dividerli è la concezione del rapporto fra
Spirito e Parola. Di là dall'uso improprio delle «etichette bibliche» per
spiegare concezioni e fenomeni moderni (battesimo
di Spirito, glossolalia), a parer mio, differenti da quelli del NT — i
pentecostali classici si esercitano, in genere, a trovare un riscontro nella
sacra Scrittura riguardo alle loro concezioni e pratiche; i
neopentecostali o carismaticisti usano invece la sacra Scrittura in
modo arbitrario e strumentale, dichiarando la superiorità dello «Spirito»
sulla «Lettera» e usando tutt'al più la
Bibbia per accreditare le loro
«moderne» concezioni gnostiche ed
esoteriche cristianizzate (p.es. benedizione di Toronto, ideologia della
prosperità, Rhema o parola del giorno, nuovo movimento profetico, riforma
neo-apostolica, abbattimento nello «Spirito», fenomeni compulsivi come ridere,
agitarsi, cadere e fremere, danza estatica irrefrenabile).
Che cosa ne pensate? Quali sono al riguardo le vostre
esperienze, idee e opinioni?
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I contributi sul tema
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1.
{Gianni Siena}
▲
Il movimento pentecostale-carismatico è l’adempimento finale di Gioele 2,28-32
prima del Ritorno di Gesù o la riscoperta d’una verità trascurata da credenti
desiderosi d’una vita spirituale più vigorosa? Data la storica varietà di
risultati collegati non si può dare che una sola risposta.
Pentecostali, carismatici e neopentecostali sono però
legati da una comune dottrina, circa lo Spirito Santo e le sue
manifestazioni: se ne differenziano per quel che vi «appendono». Anche i
pentecostali hanno fatto parecchio rumore, nelle loro chiese sono avvenute cose
poco edificanti, hanno scambiato per «cinese» o altro idioma la semplice
glossolalia. Questo non cancella gli indubitabili miracoli, gli esaudimenti che
Dio ha dato a quanti, umilmente, hanno chiesto con fede: guarigioni, salvezza,
doni spirituali, santificazione, vittorie spirituali e condiviso la propria fede
vittoriosa… questo rende preziosa la testimonianza pentecostale.
La crescita numerica, dove non è drogata dalle
invenzioni umane e carismaticiste, è speculare alla crescita della prima chiesa
cristiana. La comunione e la vita di comunità, la dottrina (sempre prioritaria),
la preghiera e la relazione con Dio in Cristo mediante lo Spirito Santo sono le
stesse, dove comincia un risveglio (At 2,41-47). Io sono testimone di queste
meraviglie e rimpiango i tempi gloriosi della mia gioventù.
Pregare insieme e un rapporto caloroso tra fratelli in
Cristo erano l’aspetto più positivo nella chiesa primitiva: ancora Agostino
scriveva qualcosa al riguardo del culto nella chiesa antica del 1° secolo.
Questa preghiera comune praticata (noi non ne sapevamo nulla) fu alla base della
conversione d’un dotto frate molti anni fa, quando la chiesa ADI di Genova era
sita in via Cassini 5.
Chi siamo noi pentecostali? Non potrei
francamente difendere tutti, le negative osservazioni fatte, alle quali non
avrei creduto sino a quindici anni, mi risultano vere, ma difendo un’altra
storia realmente cristiana che dura da oltre 100 anni.
Agli inizi del risveglio pentecostale, un pastore
metodista (= Barratt), interrogato sull’identità pentecostale, ne
espresse l’identificazione con le dottrine distintive delle maggiori correnti
storiche del protestantesimo: luterani, battisti, metodisti, esercito della
salvezza, eccetera… e concluse: «…ma per il Battesimo nello Spirito Santo
siamo pentecostali». Nell’affermazione di Barratt c’è la consapevolezza
delle varie correnti dottrinali evangeliche e protestanti confluite nel
movimento.
Il rifiuto d’alcuni pentecostali d’essere identificati
come «protestanti» (si legga l’opera di Stretti) riflette l’esperienza personale
di coloro che fecero queste affermazioni. Alcuni pentecostali primitivi erano
stati dei buoni «valdo - presbiteriani» ma, raggiunti al cuore dalla
predicazione del Vangelo, dopo aver preso posizione riguardo alla necessità
d’ubbidire al comando del battesimo cristiano, essi si separarono. Uno di loro
fu divinamente avvertito e ubbidì facendosi battezzare, un altro mise da parte i
libri e s’affidò allo Spirito Santo per la sua istruzione teologica: con Bibbia
e concordanza biblica. Nessuno li biasimi: erano umili lavoratori analfabeti che
impararono a leggere sulla Bibbia.
Nelle parole di Barratt si riflette anche un concetto
che ho sentito spesso ripetere:
a) Dio ha operato grandemente in mezzo al suo popolo
all’inizio del 20° secolo.
b) Con la Riforma Dio cominciò a sottolineare ai
credenti le Verità relative al cammino cristiano: da qui le varie correnti del
protestantesimo, sino ad arrivare al 20° secolo, quando il Signore effuse il suo
Spirito in modo abbondante come non succedeva dal 1° secolo.
Non è, a mio avviso, «riuscito» il tentativo di far
passare il fr. F. Toppi per un «neoconservatore barthiano» e/o disposto a
santificare rivelazioni in contrasto con la Scrittura. L’ho ascoltato diverse
volte, l’ho avuto come insegnante, il suo pensiero sulla Parola di Dio è in
linea con il fondamentalismo evangelico. Egli ha la consapevolezza che lo
Spirito Santo stia alla Parola scritta come l’acqua alla fonte. A differenza
dell’acqua d’una fonte, però, la Scrittura può essere «bevuta» senza che produca
Vita nelle persone: esempi ve ne sono tanti e testimoniano la veridicità di
quest’affermazione. Colpa della Scrittura? No, ma dei soliti problemi del cuore
umano: incredulità, formalismo, tradizionalismo religioso… una miscela letale.
Ecco le sue parole ricavate dalla prefazione del libro
d’E. Stretti: «Forse l’unica obiezione che si può muovere al presente
lavoro riguarda il percorso storico ricostruito dall’autore, risalendo all’ala
zwingliana della Riforma protestante del XVI secolo, per tentare d’affermare
implicitamente e forse giustificare, un luogo comune
che attribuisce al Movimento pentecostale italiano la volontà di
prediligere la priorità dello Spirito
sulla Parola.
Se questa tendenza può essere rilevata in alcuni
circoli dell’attuale “arcipelago pentecostale”, non è assolutamente
riscontrabile nel Movimento pentecostale delle origini, al quale le
Assemblee di Dio in Italia continuano a richiamarsi. Queste chiese di fede
pentecostale, che si ritengono parte del Movimento di Risveglio evangelico sorto
nel 1907, difendono la propria posizione di fedeltà alla Scrittura e
affermano che Dio Spirito non agisce in contrasto o al di sopra della Sua
Parola, ma permette che emergano le verità in essa contenute. Egli non
aggiunge nulla alla “fede che è stata trasmessa ai santi una volta per sempre”
(Giuda 3) La verità scaturisce dalla Parola e non al di fuori d’essa. Nel
libro degli Atti degli Apostoli e nelle Epistole abbiamo la dispensazione dello
Spirito Santo che prosegue l’opera di Cristo nei credenti e attraverso d’essi.
Esiste un progressivo sviluppo: Dio è per noi, con noi, in noi. Le tre Persone
divine sono vitalmente connesse. Il rapporto tra la dispensazione dello Spirito
e quella del Padre e del Figlio è unica nelle promesse e nel loro adempimento.
Come i cristiani di Berea, questi credenti pentecostali, a differenza
d’altri similari, continuano a ricevere
“La Parola con ogni premura, esaminando ogni giorno le Scritture per vedere se
le cose “stanno” così” (Atti 17,11)» (o.c., pp. 8-9).
A volte un’espressione può indicare cose diverse: in
bocca a persone diverse; un fratello disse che «le buone opere non sono le
elemosine»… gli «avvoltoi d’internet» lo criticarono aspramente. Questo fratello
e la sua famiglia sono sempre stati impegnati in prima persona per alleviare le
sofferenze altrui ma, piuttosto che chiedergli chiarimenti, preferirono
crocifiggerlo mediaticamente.
F. Toppi ha la consapevolezza che la Bibbia è una
dispensa con molto cibo spirituale. Anche Gesù usò l’esempio d’uno scriba che
trae «nuovo e vecchio» dal suo tesoro… non capisco perché un credente sia subito
stigmatizzato.
Il problema primo da affrontare è se lo Spirito
Santo possa «parlare» al di fuori della Scrittura. Io ritengo di sì, ma la
Voce sarà in contrasto con quel ch’è scritto? No, e ogni servitore del Signore
conosce questa consuetudine dell’Autore della Sacra Scrittura (1 Cor 4,6)
Non c’è nel Movimento pentecostale originale l’idea
d’una «superiorità» dello Spirito Santo sulla Parola: «Le parole che vi ho
dette sono [= contemporaneamente…]
Spirito e Vita» (Gv 6,63). Serve forse richiamare l’altra dichiarazione
relativa alla Parola vivente ed efficace? (Eb 3,12)
Da trentacinque anni conosco questa nostra posizione
dottrinale, senza della quale me ne sarei ritornato nella chiesa dei Fratelli.
L’argomento pentecostale che fa «scandalo» è, invece,
l’attualità della manifestazione dello Spirito Santo
e, aggiungo senza timore d’essere smentito, nei limiti dati dall’apostolo Paolo.
Su questo solo punto sta la «controversia» di chi non è
d’accordo, per ogni altro tentativo d’etichettarci diversamente non ci sto.
Non nego che, anche nelle ADI, chiese o credenti
abbiano detto e fatto delle cose in contrasto con la Scrittura. Ma su questo
punto valgono i canoni di valutazione che investono ogni altra denominazione.
Quando Carlo Phinney predicava si convertirono alcuni
battisti, il pastore e gli anziani li richiamarono e li costrinsero a
ribattezzarsi in immersione. Questo fatto non mette sotto accusa l’intera
chiesa battista, essendo nota la sua dottrina/prassi.
Anche noi pentecostali (ADI) abbiamo le nostre
convinzioni e gli «altri» possono fornire ampia dimostrazione del loro credere.
Pace del Signore… {27 gennaio 2010}
2.
{Tonino Mele}
▲
Mi pare che Gianni Siena non risponda soltanto a me, che sono l’autore
dell’articolo principale, ma anche a quanti sono intervenuti nella discussione
che ne è seguita. Ad esempio il dire che Toppi sia un «neo-ortodosso» non
m’appartiene, anche se mi pare ci sia qualche analogia tra i due modi di vedere
la Scrittura. Rispondo dunque per quel che mi compete.
Noto che l’oggetto della discussione si è nuovamente
spostato e forse debbo dare atto che ciò è inevitabile. Quella che doveva
essere una dimostrazione o confutazione dell’assunto che ci sia un rapporto
di causalità tra pentecostali e carismatici, cosa che peraltro poteva
tornare utile a chi vuol preservare degnamente la propria identità, è diventato
un tentativo di legittimazione o delegittimazione del movimento
pentecostale. Non era questo il punto, anche se può esservi connesso. Per cui,
prendo atto che queste «barricate apologetiche», forse anche motivate da una
lettura delegittimante del pentecostalismo, fatta del mio articolo, hanno
spostato l’attenzione sulla
legittimità dell’esperienza pentecostale. Questo è un altro tema. È un tema
che andrebbe trattato con più calma e necessita di più tempo. È un tema che
richiede l’analisi delle basi bibliche del movimento pentecostale, più che
quelle storiche.
La storia può essere facilmente relativizzata,
dicendo che gli abusi d’alcuni non esprimono l’esperienza di tutti, come del
resto si può ribattere che la «moderazione» d’alcuni non legittima delle
dottrine, tipo la ricerca del battesimo dello Spirito Santo, dopo la nuova
nascita, seguito dal parlare in lingue, qualora si dimostrasse che non sono
bibliche. «Abuso» e «moderazione» potrebbero essere modi diversi
di vivere lo stesso errore di fondo e, permanendo tale errore (quello biblico e
teologico), nulla vieta che i «moderati» d’oggi diventino gli «esagitati» di
domani e gli «esagitati» d’oggi, si ricredano e diventino i «moderati» di
domani. Come dissi nella mia recensione su John Bevere; un esempio di
«esagitati» d’ieri, che oggi cercano la moderazione, non basta stroncare gli
abusi e lasciare il ceppo virale che li ha prodotti.
E che ci sia un ceppo virale, che a un certo punto
faccia saltare i paletti d’ogni moderazione, lo posso anche affermare per
esperienza diretta. Io ho visto missionari prendere in mano chiese pentecostali
allo sbando, le quali sembravano aver capito che certe dottrine sono rischiose,
missionari che hanno fatto con queste un certo percorso durato anni, investendo
tempo e fatiche; poi essi hanno dovuto vedersele sfuggire di mano, perché
qualcuno «meno moderato» è riuscito a riaccendere vecchi bollori entusiastici
sopiti nel tempo. Dopo anni che questo servitore del Signore che ho in mente ha
viaggiato ogni settimana in quest’altra città, a un certo punto, nel culto, si è
trovato davanti una profetessa, appena arrivata, la quale disse: «Chi oggi
prende la cena del Signore verrà guarito da ogni malattia, perché quel sangue ha
il potere di guarirvi». Nessuno ha reagito nella chiesa e da lì il missionario
ha avviato un chiarimento che lo ha convinto d’aver per tanti anni «corso
invano». Si è dunque ritirato.
All’inizio dell’opera d’evangelizzazione della mia
regione, i missionari non si facevano problemi a collaborare con tutti,
pentecostali compresi. E il Signore stava benedicendo l’opera con i primi
convertiti. Poi ci si è accorti che queste anime iniziavano a manifestare i
segni d’un nuovo insegnamento, oltre il comune vangelo, cosa che non era stata
concordata tra questi missionari. Di nascosto, i missionari pentecostali avevano
iniziato a dire che il «comune» Evangelo non bastava, ma ci voleva
l’ulteriore esperienza del battesimo dello Spirito Santo e del parlare in
lingue. Dal successivo confronto con questi missionari pentecostali si è cercato
un accordo, ma è stato tutto inutile, e per evitare di confondere ulteriormente
le pecore appena nate, si è deciso né di giudicarsi, né di collaborare più
insieme. Si è fatto come Abramo ha fatto con Lot: «Se tu vai a destra io vado a
sinistra e viceversa». Così, ognuno ha operato nel proprio campo di missione con
le proprie idee e la propria visione dell’opera.
Il Signore ha benedetto noi e i fratelli pentecostali,
così come di problemi ne abbiamo avuto noi e loro. Per cui credo sia ingiusto
ergersi a giudici e censori dell’esperienza pentecostale, ma bisogna essere
onesti e sinceri. Non credo però che l’esperienza pentecostale rappresenti la
soluzione ai nostri problemi, come una strategia pentecostale aggressiva spesso
ha voluto far credere. Così come non credo che, chi rinuncia a quell’esperienza
e torna a frequentare noi, risolva automaticamente i suoi problemi.
Se un appunto devo fare qui all’esperienza
pentecostale, che riguarda non solo chi l’ha sponsorizzata, ma talvolta anche
chi l’ha criticata, è stato quello d’aver spostato l’attenzione dai veri
problemi della vita spirituale ed ecclesiale a qualcos’altro variamente definito
come «seconda esperienza», «battesimo di Spirito Santo», ecc., rendendo
normativo qualche altro tipo di «iniziazione», oltre la nuova nascita. A
un’iniziazione di tipo gnostico (ma credo che il discorso valga anche per
l’esperienza pentecostale) l’apostolo Giovanni ha contrapposto la semplice
nuova nascita, se correttamente sperimentata: «Poiché tutto quello che è
nato da Dio vince
il mondo; e questa è la vittoria che ha vinto il mondo: la nostra fede»
(1 Gv 5,4). Si noti il carattere continuativo e duraturo del verbo «vince»
e il suo legame col soggetto dell’azione: «quello che è nato da Dio».
Tutto ciò mostra e dimostra che il cristiano ha, sin dall’inizio, nella sua
«natura divina», quanto gli serve per «vincere» in questo mondo, senza
dover ricercare e aspettare «esperienze» e «effusioni» successive.
Ma, come ho già rilevato, questo è un altro tema, che
richiede un’impostazione diversa da quella seguita sin qui. E ci sono anche dei
buoni libri a cui rimando, scritti da Standridge, Heinze, Döring, Seibel,
Bühne, nonché da MacArthur e Martella, anche se questi ultimi trattano di
riflesso tale argomento. Per quel che mi riguarda, credo che la discussione
della tesi originaria (causalità tra pentecostali e carismatici) sia giunta a un
punto morto, essendo stata superata dalla necessità di difendere la
legittimità dell’esperienza pentecostale classica, per se stessa. E, come già
detto, questa è un’altra storia. {03-02-2010}
3.
{Pietro Calenzo}
▲
Nota redazionale: Questo scritto mi è stato mandato da un ex-membro delle
ADI per un altro ex-membro delle ADI, che mi ha scritto affermando di aver
subito molte difficoltà e tribolazioni mediante il pastore locale delle ADI e
che attualmente tali cose vanno avanti. Avendo chiesto un parere a Pietro
Calenzo, lui mi ha mandato il seguente scritto. La sua passione è specialmente
la storia, la fenomenologia e gli sviluppi dell’arcipelago pentecostale. In esso
risultano sia la continuità sia la discontinuità dei fenomeni successivi e
spesso intrinsecamente intrecciati. Pietro non era al corrente dei due scritti
sovrastanti. Ho diviso il testo in paragrafi, strutturato il testo e rettificato
il greco.
Carissimo fratello, essendo stato come te, per circa quattro anni e mezzo,
membro delle ADI, ti propongo quella che può essere la mia testimonianza di
membro comunicante (lo statuto delle ADI ci denominava così) di questa grossa
realtà del panorama pentecostale italiano. Il mio commento, sarebbe
presumibilmente più focalizzato o centrato, se tu m’esponessi quali siano i
problemi di carattere dottrinale, che ti hanno spinto a scrivere al fratello
Nicola Martella. Premetto, che sono felice nel Signore, che egli goda della tua
stima e del tuo apprezzamento, poiché pochi ministri o dottori della Chiesa
Evangelica Italiana sanno coniugare il precetto paolino di dire con amore la
verità, come il nostro caro Nicola. Ad ogni buon conto, spero e prego il Signore
che questi miei pensieri e questo mio contributo, ti possano essere in qualche
maniera d’aiuto.
Nascita e sviluppi delle Assemblee di Dio
Come sai molto meglio di me, le Assemblee di Dio
sono nate con atto costitutivo a Hot Springs nel Colorado nel 1914, per
fornire una copertura giuridica e finanziaria ai tanti ministri o servitori, per
la gran parte reduci dalla cosiddetta visitazione del 1901 al Bethel Bible
School di Topeka nel Kansas (diretta dal noto pastore di derivazione quacchera e
metodista, Charles Fox Parham) e da quella successiva di Los Angeles,
sotto la supervisione di William Seymour, prima in Bonnie Brae Street e
poi a Azusa Street.
Non è però aderente alla realtà fermarsi a questi soli
indizi, poiché essendo il movimento pentecostale sorto
senza una specifica volontà di formare nuove denominazioni
(poiché non intendevano riconoscersi in alcuna organizzazione né in alcun
leader), ma propedeuticamente solo per affermare con convinzione la peculiare
dottrina del «battesimo dello Spirito Santo» (che a dire dei ministri
fondatori si doveva necessariamente estrinsecare con il parlare lingue nuove o
sconosciute) e una forte aspettativa del ritorno del Signore.
È altresì rispondente a una verità storica acclarata
che molti credenti unitariani (di tipo modalista) guidati da Frank.
J.Ewart, abbracciarono questa nuova dottrina o esperienza denominata
pentecostale; così nel 1914, erano già presenti nelle ADI nel dì della loro
costituzione, «avendo - le Assemblee di Dio - al loro interno i segni d’un già
possibile scisma» (M. Introvigne). Solo nel 1916 a S. Louis, nella quarta
convocazione annuale, una risoluzione vincolava alla fede Trinitaria; gli
Unitariani, constatata tale deliberazione (la forte componente unitariana - M.
Itrovigne), formarono proprie denominazioni pentecostali, che non mi dilungo a
elencare.
Nel 1947 in Italia, la maggioranza delle congregazioni
pentecostali italiane, stipulò un rapporto d’intesa
con le Assemblee di Dio statunitensi.
Onda su onda
Passando, caro fratello, a una disamina dottrinale, o
organizzativa delle Assemblee di Dio in Italia, t’espongo quelle che sono le mie
convinzioni spirituali e personali. Come prima considerazione, mi preme
precisare che le ADI hanno una struttura organizzativa più autarchica
delle altre realtà pentecostali italiane; e da questo punto di vista, il mio
giudizio è positivo, poiché hanno mantenuto un sano distacco dalle successive «ondate
dello Spirito», come pochi altri movimenti pentecostal-carismatici italiani.
Tutto è cominciato con la seconda ondata, che ha
proposto un antibiblico ecumenismo patrocinato dai noti nomi come Rita e Dennis
Bennet, L. Chrinstensen, K. Kuhlman e Aimee Mac Pearson, ecc. A ciò si sono
aggiunte le ondate successive, che hanno avuto come sponsor R. Bonnke, la
TBNE e il suo paladino Benny Hinn, Peter Wagner, Yonggi Cho, J. Wimber; qui c’è
stato non solo un ulteriore sviluppo all’ecumenismo, ma in molteplici casi la
sperimentalità della fede carismatica o neopentecostale, cosa che ha prodotto
dottrine ed esperienze (a mio giudizio) a dir poco imbarazzanti, per finire con
la cosiddetta Toronto Blessing, dove penso che le esperienze soggettive del
neopentecostalismo e la sua ecumenicità abbiamo toccato livelli ereticali
oggettivamente non discutibili.
Consiglio al riguardo i libri di N. Martella
«Carismosofia» (ed. Punto°A°Croce), Wolfgang Bühne «La Troisieme Vague» o
«Explosion Carismàtica» (CLV), Tommaso Heinze «Il movimento pentecostale» (Ed.
Centro Biblico), J. Mac Arthur «I Carismatici», Dave Hunt «La mas de la
seducion». Positivo è anche il giudizio sugli istituti di formazione biblica,
che per quanto ho potuto constatare sono di buon livello.
Glossolalia: carisma di coda messo a capo
Il punto focale di tutto il movimento pentecostale, e
conseguentemente delle ADI, è l’elevazione oltre ogni legittimazione biblica
d’un carisma, il dono della
glossolalia (o segno, ci sono molti leader pentecostali, che fanno una
distinzione precisa tra segno e dono delle lingue), che sarebbe il carattere
distintivo del cosiddetto «battesimo dello Spirito». Per quanto ho potuto
recepire dalla esegesi dei testi biblici, che parlano del battesimo dello
Spirito, esso è patrimonio di tutti i cristiani nati di nuovo, l’unico passo
della Bibbia che ne parla in maniera specifica (ossia 1 Cor 12,12-13), infatti
chiarisce senza alcun alone di dubbio che allorquando entriamo a far parte del
Corpo di Cristo, riceviamo il battesimo d’un
unico Spirito
per formare un unico corpo. Evitare
la chiarezza specifica, da parte di tutto il movimento pentecostale o
carismatico di questo passo, è a mio parere, impossibile.
Mi si dirà che il dono delle lingue era presente nella
Chiesa di Corinto. Nessuno lo può negare, ma è altresì vero che l’apostolo
Paolo, invece d’esaltarne la ricerca o l’uso, ne limita e ne canalizza l’uso
cultuale. Infatti poiché nella chiesa di Corinto s’era soliti parlare in lingue
in modo disordinato o e senza aspettare l’interpretazione, ne
regolò in modo limitativo la sua espressione: uno alla volta, uno dopo
l’altro, sempre che ci sia il dono dell’interpretazione, altrimenti si tacciano.
Nella lettera ai Romani, che è da tutti
considerata l’epistola contenente tutte le dottrine più importanti della
salvezza e della santificazione, non una sola volta si parla di battesimo dello
Spirito Santo. Come mai? Degno d’attenzione, è anche il fatto che nelle chiese
neotestamentarie considerate da Paolo come le più bisognose di particolari
consigli o raccomandazioni, come quelle di
Corinto o dei Galati, non una sola volta, l’apostolo fa cenno alcuno
di ricercare il battesimo dello Spirito Santo; eppure, secondo l’ottica
pentecostale o carismatica, questa sarebbe stata la medicina spirituale più
opportuna o idonea. Nel noto passo Paolino di 1 Corinzi 13,8, dove si
parla dell’abolizione delle profezie s’usa il verbo katarghéo (nel futuro
passivo) mentre in riferimento alle lingue il verbo in greco si differenzia;
Paolo usa: pausontai (futuro medio) da paùo
«finire, cessare», come in Luca 5,4; Luca 8,24; Luca 11,11; Atti 5,42; Atti 6,13
(Giulio Vigini, Vocabolario del Nuovo Testamento greco italiano), che
indica specificatamente l’azione in corso, le lingue stanno cessando o vanno a
cessare (il tempo in greco è medio, non passivo), infatti nei tempi successivi
alla chiesa apostolica le lingue cessarono.
Coloro che comunemente (ed erroneamente) sono
denominati «padri della chiesa», testimoniano effettivamente che le
lingue cessarono qualche tempo dopo (cenni isolati di linguaggi carismatici si
trovano fino all’anno 346 d.C.). Altra considerazione, a mio avviso importante,
come mai grandi servitori del Signore, come Valdo, Hus, Lutero, Calvino,
Melantone, Zwingli, Farel, Vinet, Carlostadio per arrivare ai più contemporanei
Martin Lloyd Jones, Charles Spurgeon, James Tozier, Guicciardini, J. Darby, non
hanno mai parlato in lingue? È possibile mai che il Signore si sia dimenticato
di benedire con il dono delle lingue queste colonne della Chiesa d’ogni tempo!?
Molti di loro furono martiri della fede!
L’ordine del culto delle ADI
Un altro punto, da ponderare mio carissimo fratello, è
l’ordine del culto delle ADI. Ti posso portare la mia testimonianza personale,
che nei quattro anni e mezzo di mia passionale presenza tra i credenti delle
ADI, nelle due assemblee settimanali da me visitate frequentemente, ho udito
cori di credenti che parlavano in lingue, ma mai, e dico mai, ho udito la loro
interpretazione. Una sola volta chiesi al pastore dell’assemblea di Cassino
(dove il Signore mi ha fatto nascere spiritualmente) se intendeva ciò che gli
altri fratelli stavano proferendo in lingue; il caro ministro mi rispose che
percepiva qualcosa. La domanda che sorge spontanea è questa: Può un carisma di
Dio essere solo parzialmente in azione? [N.d.R.: Intende: può esserci oggigiorno
una glossolalia legittima e vera, senza un vero carisma di traduzione delle
stesse e una pratica usuale di ciò?] Credimi, caro fratello, ho amato questo
fratello svisceratamente fino al suo trapasso nel regno dei cieli.
Un’altra considerazione è la seguente. Nelle ADI come
in gran parte delle chiese carismatiche o pentecostali, si prega o si loda il
Signore molto spesso all’unisono e tutti ad alta voce; e se associamo a
questo fatto che un non piccolo numero di questi credenti stanno parlando in
lingue, cosa penseranno gli increduli, che sono in visita, o che entrano
nell’assemblea per curiosare o in visite estemporanee?! L’apostolo Paolo ci
risponde in 1 Corinzi 14,23. Recentemente ho letto un libro di W. Purkiser, «I
Doni dello Spirito» (casa editrice del Nazzareno), che come movimento di
risveglio ha preceduto il movimento pentecostale del Galles, di Topeka City e di
Los Angeles; e anch’esso parla a proposito del dono delle lingue della «pretesa
pentecostale».
Carismaticismo cattolico
Ultima questione, e forse la più importante, riguardo
ai neopentecostali e carismofili (non parlo in questo caso delle ADI). Perché
oltre cinquanta milioni di carismatici cattolici romani parlano in lingue, o
hanno manifestazioni carismofile come gli evangelici, i loro antagonisti
(teologicamente parlando)!? Sono forse i cattolici romani nati di nuovo? O forse
il pedobattesimo, che usa formule verbali che ricordano un frasario esoterico,
conferisce loro il «battesimo dello Spirito Santo»!?
Dio ti benedica, fratello; spero d’esserti stato
d’aiuto. Shalom. {06 febbraio 2010}
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► URL:
http://puntoacroce.altervista.org/_Den/T1-Ondate-SS_diff_affin2_GeR.htm
09-02-2010; Aggiornamento: 10-02-2010 |