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La fede che pensa — Accettare la sfida nel nostro tempo

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Il sabato, l’anno sabbatico e il giubileo.

 

Ecco le parti principali:
■ Il patto, l'etica e il pensiero sabbatico
■ Il sabato nell’Antico Testamento, nel giudaismo, nel Nuovo Testamento e relative questioni odierne
■ L’estensione del sabato: l’anno sabbatico e lo jôbel nella Torà e nella storia
■ L’ideale e le funzioni teologiche risultanti
■ Excursus: Storia del giubileo cattolico
■ Le feste principali in Israele.

 

► Vedi al riguardo la recensione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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AUGURARE NEL NOME DEL DIO D’ISRAELE NEL NT?

 

 a cura di Nicola Martella

 

Il Signore ci chiama ad amare i fratelli di là dalle loro convinzioni sugli aspetti non centrali della dottrina. Quello che qui segue è un confronto fraterno con Giovanni Melchionda su questo tema. Egli e sua moglie portano avanti l’opera chiamata «Alleanza Messianica».

     In una circolare ricevuta dai Melchionda, essi scrivevano: «Vi auguriamo un anno di benedizioni e rivelazioni spirituali da parte del Dio d’Israele…».

     Ho fatto loro presente quanto segue: L’espressione «Dio d’Israele» si trova solo due volte nel NT e solo prima di Pentecoste (Mt 15,31; Lc 1,68). Non si trova però mai più nel NT e tanto meno nelle formule augurali che si trovano all’inizio o alla fine di un’epistola! [► Sulla via di un «sionismo cristianizzato»?]

     Per togliere equivoci, diciamo fin da ora che condanniamo qualsiasi tipo di antisemitismo. A ciò si aggiunga che non crediamo che la chiesa sia Israele né un nuovo «Israele spirituale».

 

     Che cosa ne pensate? Quali sono al riguardo le vostre esperienze, idee e opinioni?

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I contributi sul tema

(I contributi rispecchiano le opinioni personali degli autori.

I contributi attivi hanno uno sfondo bianco)

 

1. Giovanni Melchionda

2. Nicola Martella

3. A. Quintavalle

4. Nicola Martella

5. A. Quintavalle

6. Nicola Martella

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12.

 

Clicca sul lemma desiderato per raggiungere la rubrica sottostante

 

1. {Giovanni Melchionda} ▲

 

Se questa fosse la sola volta (ma centinaia di volte è citato nel Primo Testamento che spero sia da te considerato ugualmente Parola ispirata di Dio come il secondo testamento) io sono ammirato e meravigliato del Dio che ha legato il suo nome al nome del Popolo che lui si è scelto per la Sua Gloria. Leggiamo bene Matteo 15,24: il Signore Gesù ha un peso di Salvezza per le pecore perdute della casa d’Israele, insegna agli scribi fino alla contesa, guarisce, libera e salva muti storpi e malati libanesi e siriani (sirofenici) e questi gentili «diedero gloria al Dio d’Israele». Che meraviglioso esempio di umiltà e rivelazione di gentili che riconoscono nell’Iddio del popolo vicino colui che solo può guarire. Ma lì nei paraggi c’era anche un nostro compaesano, il centurione romano di Capernaum, Mt 8,5ss, che non chiese una guarigione per sé, ma per il suo schiavo (probabilmente ebreo) e si dichiarò indegno (cioè impuro in quanto gentile) di ricevere il Signore in casa. Che meraviglioso. Predecessore italiano che si siederà a tavola con Abrahamo, Isacco, Giacobbe (Israele).

     Domanda: noi evangelici abbiamo l’umiltà del centurione romano davanti all’Ebreo Gesù? Un supplemento di prova è dato dal Signore Gesù stesso che chiama il Padre Dio d’Abrahamo, d’Isacco, e naturalmente di Giacobbe (Israele), Dio dei vivi e non dei morti. [► «Alleanza messianica» risponde]

 

 

2. {Nicola Martella} 

 

Giovanni non ha risposto alla mia precisa obiezione che ripeto qui: l’espressione «Dio d’Israele» non fu mai usata nel NT nelle formule augurali che si trovano all’inizio o alla fine di un’epistola. Gli scrittori non ne fecero mai uso quando scrissero ai Gentili o ai Giudei cristiani. Se all’interno del nuovo patto fosse stato importante salutare qualcuno con questa espressione, essi lo avrebbero fatto.

     L’indicazione dell’uso di questa espressione nell’AT non è una risposta accettabile, poiché intanto c’è stato il passaggio dall’antico al nuovo patto, dalla teocrazia (Stato con leggi religiose) alla chiesa (un popolo di là da razza e nazionalità, composto da cristiani giudei e gentili e disperso in tutto il mondo). Che Dio abbia eletto Israele e che un giorno, quando esso (ora nel complesso impenitente e nemico della croce di Gesù Messia) come popolo si convertirà al suo Dio, Egli lo accoglierà, non è qui un argomento a questo fatto: in tutti gli scritti del NT la formula di saluto e d’augurio nel nome del «Dio d’Israele» non esiste mai.

     Chi vuole imparare dagli apostoli «a praticare il “non oltre quel che è scritto”» (1 Cor 4,6), deve ammettere questa realtà. Per loro Gesù era il solo seme d’Abramo (Gal 3,16; cfr. 4,28), era la sola vera vite (Gv 15,1; immagine usata nell’AT per Israele: Is 5,1ss), istitutore di una nuova alleanza (Lc 22,20; Eb 9,15; 12,24) che avrebbe messo fuori uso la vecchia (Eb 8,13), e quindi l’istitutore di una nuova assemblea (Mt 16,18) e di un nuovo Israele all’interno della chiesa («Israele di Dio» composto dai Giudei cristiani, Gal 6,16; cfr. «I veri circoncisi siamo noi, che offriamo il nostro culto per mezzo dello Spirito di Dio, che ci gloriamo in Cristo Gesù, e non ci confidiamo nella carne»; Fil 3,3). Il programma futuro per Israele non può prescindere da tutto ciò.

     Perciò Gesù disse ai suoi connazionali: «Chi non è con me, è contro di me; e chi non raccoglie con me, disperde» (Mt 12,30). E avvertì seriamente i Giudei increduli: «Perciò v’ho detto che morrete nei vostri peccati; perché se non credete che sono io (il Cristo), morrete nei vostri peccati» (Gv 8,24). I Giudei nel complesso (tranne all’inizio pochi seguaci) preferirono crocifiggerlo («Uomini israeliti… voi, per man d’iniqui, inchiodandolo sulla croce, lo uccideste […] quel Gesù che voi avete crocifisso »; At 2,22s.36) e addossarsi la colpa del suo sangue innocente: «E tutto il popolo, rispondendo, disse: “Il suo sangue sia sopra noi e sopra i nostri figli”» (Mt 27,25; cfr. vv. 22s). Che alcuni migliaia di Giudei si convertirono e formarono la chiesa (a cui poi si aggiunsero i credenti gentili), non toglie che la stragrande maggioranza dei Giudei rimasero increduli e perseguitarono i cristiani.

     Fu per questo rifiuto storico che Gesù, prendendo le distanze dal popolo storico, che lo aveva rifiutato, annunziò la formazione di una nuova assemblea messianica: «Io edificherò la mia chiesa» (Mt 16,18), quella «chiesa di Dio» che i Giudei devastavano (Gal 4,29; così Saulo, Gal 1,13).

     Per questi motivi, gli apostoli evitarono i fraintendimenti col popolo storico, non adottando nelle chiese e negli scritti a loro rivolti la formulazione augurale e di saluto «Dio d’Israele». Al contrario, essendo il giudaismo storico il più agguerrito avversario dell’Evangelo (Rm 11,28), essi usarono nei saluti e nelle formule augurali altre espressioni, specialmente queste due:

     ■ «Grazia a voi e pace da Dio nostro Padre e dal Signore Gesù Cristo» (Rm 1,7; 1 Cor 1,3; 2 Cor 1,2; Gal 1,2; Ef 1,2; Fil 1,2; 2 Ts 1,2) e simili (Col 1,2; 1 Ts 1,1; Fil 1,3).

     ■ «La grazia del Signor nostro Gesù Cristo sia con voi» (Rm 16,20.24) e simili (1 Cor 16,23; Fil 4,23; 1 Ts 5,28; 2 Ts 3,17).

 

A tali formule di saluto seguivano, ad esempio, anche le seguenti:

     ■ «Vi saluto nel Signore» (Rm 16,22).

     ■ «Aquila e Priscilla, con la chiesa che è in casa loro, vi salutano molto nel Signore» (1 Cor 16,19; cfr. Rm 16,16; 1 Pt 5,13).

     ■ «Pace a voi tutti che siete in Cristo» (1 Pt 5,14).

     ■ «La grazia del Signor Gesù Cristo e l’amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi» (2 Cor 13,13; cfr. Ap 1,4s).

     ■ «Pace a voi tutti che siete in Cristo» (1 Pt 5,14).

 

Gli apostoli sostituirono del tutto negli scritti del NT l’espressione «Dio d’Israele» con altre più consoni al nuovo patto, come ad esempio le seguenti:

     ■ «Rendendo del continuo grazie d’ogni cosa a Dio e Padre, nel nome del Signor nostro Gesù Cristo» (Ef 5,20) e simili (Col 1,3).

     ■ «Il Dio e Padre del nostro Signor Gesù che è benedetto in eterno» (2 Cor 11,31). «Benedetto sia il Dio e Padre del nostro Signor Gesù Cristo» (Ef 1,3; 1 Pt 1,3).

     ■ «Or il Dio della pace sia con tutti voi» (Rm 15,33; cfr. Fil 4,9; 2 Ts 3,16).

 

Il fatto quindi che Gesù avesse un peso per le pecore perdute della casa d’Israele (Mt 15,24) e che a quel tempo la folla avesse dato gloria al Dio d’Israele (v. 31), che il sacerdote Zaccaria avesse benedetto allora «il Signore, il Dio d’Israele» (Lc 1,68) e tutte le altre argomentazioni indirette (centurione romano) — tutto ciò non cambia nulla al fatto che da Pentecoste in poi questa espressione non fu mai più usata nella chiesa. Come abbiamo visto essa fu sostituita da altre più consone al nuovo patto (p.es. «Il Dio e Padre del nostro Signor Gesù»). Facciamo bene ad attenerci a ciò per non uscire teologicamente fuori del seminato e confondere dottrinalmente capri e cavoli.

     La più grande umiltà del cristiano è quella di sottomettersi al nuovo patto di Gesù Messia e di adeguarsi all’eccellenza di tale nuova costituzione (Eb 7,22; 8,6), invece di rimanere ancora ancorato alle «ombre» della passata costituzione (Col 2,17; Eb 10,1), come se il Signore Gesù non avesse portato nessuna novità.

 

 

3. {Argentino Quintavalle} 

 

Non posso non restare stupito di fronte al dispiegamento di tanta teologia per una questione del genere. Mi crea l’immagine mentale di chi vuole uccidere una mosca con una bomba.

     Il problema sarebbe l’uso che ha fatto Giovanni Melchionda dell’espressione «Dio d’Israele»? Così come viene esposta la questione sembra che tale espressione sia una caratteristica dell’associazione di cui Giovanni fa parte (Alleanza Messianica). Devo però far notare che Giovanni non è l’unico a farne uso. Infatti, l’ultimo libro edito dall’IBEI (Istituto Biblico Evangelico Italiano) il cui autore è Raffaele Ventriglia, nella pagina dedicata alla «dedica», in alto a destra, compare la scritta: «Ringrazio YHWH l’Iddio d’Israele». Quindi, chi critica pubblicamente Giovanni deve criticare altrettanto pubblicamente anche:

     ■ 1) Raffaele Ventriglia (il suo libro s’intitola: «Diodati, una Bibbia fra roghi e condanne»).

     ■ 2) Fares Marzone che fa una positiva introduzione di 50 pagine del libro di Ventriglia.

     ■ 3) Rinaldo Diprose, in qualità di direttore responsabile.

     ■ 4) L’IBEI.

 

Personalmente non ritengo che ci sia alcunché di male a usare l’espressione «Dio d’Israele» nel colloquio augurale tra fratelli e soprattutto non ritengo corretto mettere in cattiva luce quei fratelli che la usano. Nicola dice che Giovanni l’ha usata nella formula inaugurale della sua lettera. Io ho avuto l’occasione di leggerla integralmente, ed essa inizia con le parole, «Vi salutiamo nell’amore del nostro Signore Messia Gesù», e finisce con le parole, «Shalom Giovanni e Valeria Melchionda», quindi l’espressione «Dio d’Israele» non si trova in una posizione enfatica.

     Nicola dice che dobbiamo imparare dagli apostoli «a praticare il non oltre quel che è scritto», e da ciò trae conferma che non è una buona prassi cristiana usare l’espressione «Dio d’Israele». Bene, se proprio vogliamo colare il moscerino,

     ■ Dove sta scritto che è una buona cosa festeggiare il natale? Perché non si è presa altrettanta energica posizione, Bibbia alla mano, su questo fatto?

     ■ Dove sta scritto che la Santa Cena si possa fare al mattino? (i primi cristiani la facevano di sera).

     ■ Dove sta scritto che ci si debba riunire per il culto la domenica?

     ■ Dove sta scritto che ci si debba riunire in locali appositi (i primi cristiani si riunivano nelle case).

     ■ Dove sta scritto che bisogna passare il sacchetto delle offerte durante il culto?

     ■ Dove sta scritto che le offerte così raccolte devono essere usate per scopi diversi da quelli di sostenere le chiese povere di Gerusalemme e i missionari?

     ■ Dove sta scritto che s’evangelizzi facendo delle recite teatrali?

     ■ L’elenco potrebbe essere molto più lungo...

 

Nicola finisce la sua lettera quasi meravigliandosi che qualcuno possa vivere come se il Signore Gesù non avesse portato nessuna novità. Ma quelle che ho appena elencato sono i cambiamenti che Gesù è venuto a portare? Nossignori, per quanto ne so queste sono le novità apportate dagli uomini che non si sono attenuti alla regola del «praticare il non oltre quel che è scritto». Se per criticare l’espressione «Dio d’Israele» usiamo il metodo esegetico del «dove sta scritto?», allora dobbiamo usarlo anche in questi altri casi, ma non possiamo farlo in una caso sì e in dieci no. Altrimenti dimostriamo d’avere dei pericolosi preconcetti.

     Che poi gli apostoli non abbiano voluto usare tale espressione per evitare fraintendimenti col popolo storico, è una mera speculazione. Infatti 1) «Dio d’Israele» non era usato neanche nel Vecchio Testamento come formula di saluto; 2) Gli apostoli non avevano paura di fraintendimenti quando parlavano del popolo storico d’Israele, poiché Paolo dice: «Vorrei essere io stesso anatema, separato da Cristo, per amor dei miei fratelli, miei parenti secondo la carne» (Rm 9,3). Basta poi leggere il cap. 11 della lettera ai Romani per capire che Paolo non aveva alcuna paura d’essere frainteso quando nominava il popolo storico d’Israele. 3) Che non avevano paura di fraintendimenti lo dimostra anche il fatto che Paolo (e gli altri apostoli), fino a quando gli veniva permesso, frequentava le sinagoghe, frequentava il tempio e festeggiava le feste bibliche anche in presenza di cristiani gentili (cfr. At 21,26.29).

     Aggiungo infine, che dopo la Pentecoste, non troviamo più l’espressione «regno dei cieli». Questo significa che non è bene usarla quando parliamo tra fratelli delle cose di Dio, in quanto non facente più parte del nuovo patto? Oppure per evitare fraintendimenti con l’Israele storico, dato che è un’espressione tipicamente ebraica? Ed ancora, nel Nuovo Testamento non compare mai la parola «Eterno». Questo significa che non ci è lecito dire: «L’Eterno ti benedica»? Gli apostoli non hanno mai usato l’espressione «Trinità», questo significa che non dobbiamo usarla neanche noi?

     Dove è andata a finire la tanto predicata libertà cristiana? Si ha paura della giudaizzazione (cosa per altro utopistica) come possibile minaccia della libertà, e poi si sfocia in una teologia che condanna l’uso di un’espressione che nella Bibbia compare quasi 200 volte? Mi sta venendo il sospetto che l’unica libertà di cui ci si vanta è quella d’essere liberi di non fare le cose che facevano i primi cristiani!

     Sia gloria all’Iddio d’Abrahamo, d’Isacco e di Giacobbe; nel nome di Gesù Cristo, nostro Salvatore e liberatore della nazione d’Israele; «e così tutto Israele sarà salvato, secondo che è scritto: Il liberatore verrà da Sion» (Rom 11,26).

 

 

4. {Nicola Martella} 

 

Ho insegnato per più di 20 anni l’AT e ho parlato sempre di Jahwè, d’Israele, del «Dio d’Israele», del «Dio del patto» e così via. Basta sfogliare i miei libri di «Panorama dell’AT» (Radici 1-6) e di «Teologia dell’AT» (Manuale Teologico dell’Antico Testamento) per rendersene conto. So mostrare le linee di continuità e di discontinuità fra il vecchio e il nuovo patto. La questione nasce laddove s’intende «veterotestamentizzare» il nuovo patto, si costringono a quest’ultimo un linguaggio, dei concetti e delle categorie che sono legittimi nell’AT, ma fuori luogo nel NT. Questo era il caso dei giudaisti al tempo del NT e dei fautori di un «sionismo cristianizzato» in tempi più recenti. Essi usano il concetto «Israele» (e di «amore per Israele») in modo ambiguo, intendendo di volta in volta cose diverse: il popolo storico, i cristiani messianici (termine anch’esso ambiguo: non sono tutti i cristiani ugualmente messianici? [Cristo = Messia = Unto]), che formano proprie comunità e seguono la legge mosaica, e «l’Israele di Dio», ossia i cristiani giudaici inseriti nelle chiese a maggioranza di Gentili.

 

Ringrazio il mio caro amico Argentino per le sue osservazioni. Lo stimo anche perché non si tira indietro in un confronto.

     Ritengo che l’espressione «Dio d’Israele» usata nell’incipit di lettere fra cristiani è solo un sintomo di una convenzione che si sta facendo strada all’interno del cosiddetto «sionismo cristianizzato», il quale non riguarda una singola persona. Non ho nulla contro l’uso dell’espressione «Dio d’Israele» nella teologia, dove ci azzecca (p.es. nella teologia dell’AT). Giovanni Melchionda mi ha dato solo l’occasione pubblica (una circolare) per prendere posizione. A ciò si aggiunga che ha avuto modo di spiegare il suo pensiero. [à sopra]

     Argentino usa un metodo singolare per affrontare la questione: la diluizione del problema, dapprima rispetto ad altre persone, poi ad altri temi. La sua tesi è chi critica l’uno (o una cosa) deve anche criticare l’altro (o l’altra cosa). Questo non è un metodo corretto per affrontare un problema e fare obiezioni. La relativizzazione di un problema per mezzo di altri non lo sminuisce né lo risolve.

     Secondo Argentino dovrei «criticare altrettanto pubblicamente anche» Raffaele Ventriglia e quanti all’Ibei hanno permesso la pubblicazione di un numero di Lux Biblica. Non volendo essere trascinato in tale polemica, consiglio ad Argentino di rivolgersi direttamente a loro. Infatti, non si fa bene a rispondere alle mie obiezioni, coinvolgendo altre persone, ma è opportuno rispondere nel merito e basta.

    Torniamo alla questione di base. Analizzando il NT, constato che il nome divino «Jahwè» non esiste mai e l’espressione «l’Iddio d’Israele» non ricorre mai in una invocazione o in un ringraziamento a Dio. Nei brani in cui una persona nel NT esprime un personale ringraziamento a Dio, si rivolge a Lui nei seguenti termini (tralascio Lc 18,11 Fariseo).

     ■ «Padre, ti ringrazio» (Gv 11,41 Gesù).

     ■ «Io ringrazio Dio» (1 Cor 1,14; 14,18 Paolo).

 

A ciò si aggiungano le espressioni in terza persona e quelle collettive.

     ■ «Sia ringraziato Dio» (Rm 6,17; 1 Cor 15,57; 2 Cor 8,16; 9,15).

     ■ «Noi ti ringraziamo, o Signore Dio onnipotente» (Ap 11,17).

 

Quindi concludo che dal punto di vista di una teologia del NT, nel linguaggio del nuovo patto usato dagli apostoli e dalla chiesa del primo secolo non esistono mai né il nome divino «Jahwè»  né l’espressione «l’Iddio d’Israele». Ciò è per me rilevante.

 

Come comincia la lettera di Giovanni? «Vi salutiamo nell’amore del nostro Signore Messia Gesù. Vi auguriamo un anno di benedizioni e rivelazioni spirituali da parte del Dio d’Israele…». È la seconda frase che si coordina immediatamente alla prima (vi salutiamo… vi auguriamo). Ora che ci penso, nel NT le «benedizioni» sono trasmesse ai credenti mediante Gesù Cristo (Rm 15,29 benedizioni di Cristo; Gal 3,14 la benedizione d’Abramo venisse sui Gentili in Cristo Gesù; Ef 1,3 ogni benedizione spirituale nei luoghi celesti in Cristo) e le «rivelazioni spirituali» mediante lo Spirito Santo (1 Cor 2,10; Ef 3,5; cfr. Lc 2,26), provenienti da Dio Padre: «…il Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per la piena conoscenza di lui» (Ef 1,17; Lc 10,21).

 

Non entro in merito nella lista che Argentino fa per diluire la problematica specifica. Ciò ci porterebbe lontano e non risponderebbe al tema. A vari punti si risponde altrove nel sito. È sempre sbagliato fare obiezioni su un tema, mettendo tanta carne a cuocere su altre questioni.

     Argentino parla singolarmente del fatto la formula «Dio d’Israele» non fosse usata come saluto neppure nell’AT. Io ho parlato di formula di augurio, ossia quella usata da Giovanni Melchionda. Essa si trova in questi brani: Rt 2,12; cfr. Gr 31,23. A ciò si aggiunga che in genere non veniva usata la formula «vi benediciamo da parte del Dio d’Israele…», ma questa: «Sia benedetto l’Eterno, il Dio d’Israele, che / perché…» (in 10 versi). Per l’approfondimento si possono anche tener presenti le formule di giuramento (1 Sm 25,34; 1 Re 1,30; 17,1) e le invocazioni (1 Cr 4,10).

     Inoltre Argentino, invece di affrontare in merito il problema specifico diluisce nuovamente la questione citando Rm 9,3 e Rm 11. Qui si tratta di una trattazione teologica della questione d’Israele, io non ho mai parlato di una «paura d’essere frainteso quando [Paolo] nominava il popolo storico d’Israele», ma solo che l’espressione «Dio d’Israele» non ricorre mai, essendo teologicamente pregna di significato, significato che gli apostoli preferirono mettere ora su Cristo: al posto di «Dio d’Israele» (Dio legato a Israele) essi usarono «Dio di Gesù Cristo» (Dio legato a Cristo) e simili («Dio e Padre del Signor nostro Gesù Cristo»; 1 Pt 1,3; cfr. 2 Cor 1,3; 11,31; Ef 1,3.17; Col 1,3), per rimarcare la novità del nuovo patto.

     Ci deve pur essere un motivo che l’espressione «Dio d’Israele», ricorrente nell’AT in ben 201 versi (!) come un distintivo della teologia dell’AT, non compaia mai dagli Atti in poi? (NT solo Mt 15,31; Lc 1,68). Deve pur significare qualcosa che nel NT dopo la formula «Dio di… (e/o Padre di)» ricorra, al posto d’Israele, Gesù Cristo?

     Un’ulteriore diluizione del problema avviene quando Argentino introduce nuovamente altro. «Regno dei cieli» non ricorre più? Non bisogna confondere capre e cavoli. Il motivo è chiaro: perché è una caratteristica solo di Matteo (in 31 versi). «Regno di Dio» si trova però (oltre che in 54 versi degli Evangeli) in 14 versi nel resto del NT, se si prescinde poi da «regno» (in tutto in 151 versi) e «regno di Cristo» (Ef 5,5). Il termine «Eterno» è un segnaposto del cosiddetto tetragramma ed è chiaro che non ricorre nel NT. Ma nell’accezione popolare «Eterno», «Padreterno» e simili sono intesi come sinonimi di «Onnipotente». Poi il mio caro Argentino non poteva far mancare «Trinità»! L’uso di alcune espressioni non è la questione che si sta dibattendo qui, ma l’uso specifico (e ideologico) di un’espressione cara al «sionismo cristianizzato». Diluire il problema non lo risolve, mio caro amico rabbino!

     Sull’espressione «unica libertà di cui ci si vanta è quella d’essere liberi di non fare le cose che facevano i primi cristiani!» ci sarebbe tanto da dire. Ma andremmo fuori tema. Di pretese di ciò che facevano i primi cristiani ce ne sono tante! E il mio caro amico Argentino abolirebbe volentieri il «concilio di Gerusalemme» (At 15), come ha già scritto in questo sito.

     Il cristianesimo giudaico (simil giudaico o giudaizzante) come miglior cristianesimo? Ad ascoltare Paolo ai Galati non si direbbe. Diamo venia in base a Rm 14 a coloro che aspirano a tale stile di vita, fintantoché non pretendono da noi altri il ritorno all’osservanza di giorni (qualunque essi siano) e a norme rituali di purità alimentari. Abbiamo ben altro di santificante e da santificare nel nuovo patto.

 

 

5. {Argentino Quintavalle} 

 

Premessa: non faccio parte d’alcun movimento sionista e mangio ancora salsicce e prosciutto.

     È vero che non bisogna «veterotestamentizzare» il nuovo patto, ma è anche vero che bisogna predicare che il nuovo patto non è quello del natale, perché altrimenti s’introducono in esso, per usare le stesse parole di Nicola, dei concetti e delle categorie che non sono legittimi, ma fuori luogo. Questo è il caso di molti cristiani d’oggi, fautori d’un «cristianesimo gentilizzato e cattolicizzato».

     Oggi si parla di «sionismo cristiano» in termini offensivi, e i principali oppositori di questo movimento sono le chiese istituzionalizzate e l’islam. Le prime sono gelose, i secondi sono acerrimi nemici della nazione d’Israele in primis, ma anche dei cristiani. Come tutti i movimenti umani ci sono sicuramente degli estremismi da biasimare, ma il movimento che è perfetto scagli la prima pietra. L’importante è che venga predicato Cristo Salvatore e non la Legge salvatrice.

     Non è certo un movimento in più sulla scena che mi preoccupa, ce ne sono tanti. A titolo d’informazione e a mo’ d’esempio faccio notare che nella sola città di Firenze ci sono:

     1) Chiesa Episcopale Americana; 2) Chiesa Anglicana; 3) ADI; 4) Chiesa Apostolica Italiana; 5) Chiesa Avventista del 7° Giorno; 6) Chiesa Battista; 7) Chiesa Cristiana Biblica; 8) Chiesa dei Fratelli; 9) Chiesa del Nazareno; 10) Chiesa di Cristo; 11) Chiesa Metodista; 12) Chiesa Riformata Svizzera; 13) Chiesa Valdese; 14) Esercito della Salvezza; 15) Chiesa Luterana; 16) Chiesa Cristiana Evangelica Indipendente; 17) Chiesa Apostolica Internazionale; 18) Chiesa Evangelica «Cantico Nuovo»; 19) Istituto Evangelico «S. Ferretti»; 20) Istituto «Gould»; 21) Visione Vocazionale; 22) Agape Italia; 23) Atleti in azione; 24) Gruppi Biblici Universitari; 25) Centro Giovanile Protestante; 26) Centro Sociale Evangelico; 27) Gideons Internazionale; ecc. ecc.

 

Ognuno di questi movimenti ha i suoi pregi e i suoi difetti. Cerco di prendere il bene da tutti e scartare il male di tutti, senza criticare chi vi fa parte. Tale è il mio atteggiamento anche nel confronti del cosiddetto «sionismo cristiano» e ritengo che né un fratello né un movimento evangelico debba essere giudicato perché nella forma augurale, senza alcuna pretesa teologica, usa l’espressione «Dio d’Israele». Di danni siffatti le chiese ne hanno fatti abbastanza. Anche oggi, purtroppo, molti vengono giudicati da come salutano. C’è chi saluta dicendo «pace» il quale viene visto di cattivo occhio da altri fratelli di correnti religiose diverse, e viceversa.

     Se oggi qualcuno dovesse testimoniare di non mangiare cibi impuri, sarebbe tacciato di giudaizzare, quando invece Paolo scrisse: «Perciò, se un cibo scandalizza il mio fratello, io non mangerò mai più carne, per non scandalizzare il mio fratello» (1 Cor 8,13). Tale è il mio atteggiamento anche nei confronti del saluto. Che cosa è più importante, teologizzare su come si saluta o mantenere l’armonia tra fratelli? Personalmente dico «pace» con chi dice «pace»; dico «il Signore ti benedica» con chi dice lo stesso; dico «ciao» con chi dice «ciao» (ma è teologicamente corretto salutarsi con «ciao»?); dico «Shalom» con chi dice «Shalom»; naturalmente non ho difficoltà ad accettare l’espressione «Dio d’Israele». Cerco di mettere in pratica le parole di Paolo: «Tu, la convinzione che hai, serbala per te stesso dinanzi a Dio. Beato colui che non condanna se stesso in quello che approva» (Rm 14,22).

     Il metodo della diluzione non è corretto? Tutt’altro, caro e stimato fratello. In ogni aula di tribunale c’è la scritta «la legge è uguale per tutti». La diluizione serviva a far capire che bisogna usare lo stesso sistema di giudizio con tutti. Giusto è colui che non ha riguardi personali e che applica gli stessi pesi e misure. È stato abbastanza palese che nei confronti della discussione sul natale non si è adottata la stessa regola critica ed esegetica usata per l’espressione «Dio d’Israele», eppure non mi sembra che dopo la Pentecoste i cristiani festeggiassero il natale.

     Nicola dice: «Ci deve pur essere un motivo che l’espressione Dio d’Israele… non compaia mai dagli Atti in poi». Rispondo: non si costruisce una teologia o una dottrina sul silenzio della Scrittura.

     Ho portato gli esempi di «Regno dei cieli», «Eterno», «Trinità», perché credevo che si stesse proprio dibattendo l’uso d’alcune espressioni. Se poi il «sionismo cristiano», che per il momento è un movimento essenzialmente americano, ne fa un uso ideologico questo non lo so (e comunque non bisogna confondere il sionismo cristiano con le chiese messianiche, altrimenti anche qui le capre e i cavoli si mischiano). Quello che so è che quando certe volte ho salutato dei fratelli dicendo «pace» mi hanno guardato storto, perché in certi ambienti ne hanno fatto una ideologia evitare di dire «pace» quando si saluta. Non critico loro e per coerenza non critico neanche i sionisti cristiani quando li incontro.

     Non è affatto vero che ho scritto in questo sito di desiderare di voler abolire il concilio di Gerusalemme (At 15)!!

     Su quello che poi molti cristiani oggi santificano, spero che Dio abbia misericordia.

     Io predico la grazia, non la legge (questo ho scritto sul sito!), e riflettere sulla basi giudaiche della propria fede non significa giudaizzare. Molti sono resistenti a quest’argomento, preoccupati che qualcuno reintroduca il giudaismo nella nostra fede violando così lo spirito della grazia di Dio. Il mio invito è che tutti possano aprire gli occhi per poter meglio conoscere il nostro Messia giudeo e gioire ancora di più della nostra grande salvezza e redenzione che il Signore ci ha dato.

     È un male che la comunità cristiana non capisca la ricca eredità sulla quale si basa la propria fede. Dall’altra parte il popolo ebraico ha bisogno di freschezza (credere nel Messia Gesù) per poter capire il vero significato e il vero scopo di ciò che è scritto. Molti nella comunità ebraica sono oggi sfidati a vedere lo stretto collegamento tra la loro cultura e il Berit HaDasha — il Nuovo Testamento.

     Storicamente, la chiesa ha avuto una comprensione insufficiente delle sue radici, e ciò è dovuto in parte alla sua paura di cadere nel legalismo. Quello che trovo ironico è che il mondo cristiano ha spesso rifiutato le tradizioni bibliche/giudaiche, ma le ha sostituite con altre non bibliche. Il pericolo del legalismo è sempre là.

     A proposito del cristianesimo giudaico. I primi discepoli pensavano che essi erano i primi giudei ad aver trovato il Messia promesso e hanno continuato con naturalezza a manifestare la giudaicità della loro fede. La loro accettazione di Gesù non significava per loro la conversione a una nuova religione. I credenti giudei si vedevano come quelli che avevano ricevuto la realizzazione delle promesse scritte nel Vecchio Testamento. Essi hanno capito che questo significava essere Giudei messianici che con naturalezza avrebbero continuato a vivere secondo l’eredità data loro da Dio.

     Uno sguardo su Atti 21,20 conferma quanto detto: «Fratello, tu vedi quante migliaia di Giudei vi sono che hanno creduto; e tutti sono zelanti della legge». I primi credenti hanno continuato a vivere nell’unica maniera che conoscevano, e la fede in Gesù come Messia li rendeva ancora più zelanti per le loro tradizioni, perché i loro occhi erano stati aperti e vedevano i profondi significati spirituali della legge. Che poi il cristianesimo praticato dai gentili sia migliore ci sarebbe tanto dire.

     Ritornando al «Dio d’Israele», do venia in base a Rm 14 a coloro che pongono limiti ad alcuni stili di saluto, fintantoché non pretendono da me di fare altrettanto. Vivendo nel nuovo patto ho ben altro di santificante e da santificare.

 

 

6. {Nicola Martella} 

 

Come al solito, in ciò che dice Argentino c’è molto di condivisibile. Altri aspetti non lo sono in parte o in tutto. Ma qui il brodo si allungherebbe troppo. Faccio comunque presente che nell’ottavo intervento del tema di discussione ► Partecipazione al «travaglio del natale», alla mia osservazione riguardo a chi vorrebbe riportare l’intera chiesa a prima del concilio di Gerusalemme? (At 15)», Argentino ha risposto: «A parte il fatto che sarebbe una grande benedizione poter ritornare a prima del concilio di Gerusalemme, non è certo mia intenzione di voler rimettere i cristiani sotto il giogo della Legge!...».

     Poi chi cita Atti 21,20, in cui Giacomo e gli anziani di Gerusalemme parlano di «migliaia di Giudei… che hanno creduto e tutti sono zelanti della legge» — come potevano far altro visto che vivevano in tale cultura religiosa ? — non dovrebbe trascurare che essi pretendevano che ogni Giudeo fosse un «osservatore della legge» (v. 24); ma a ciò si aggiunga anche quanto segue sui Gentili: «Quanto ai Gentili che hanno creduto, noi abbiamo loro scritto, avendo deciso che debbano astenersi dalle cose sacrificate agli idoli, dal sangue, dalle cose soffocate, e dalla fornicazione» (v. 25), cosa che ricalcava la decisione del concilio di Gerusalemme (At 15,28s). Erano passati tanti anni da allora e tale decisione era ancora coercitiva; se non che il decreto di At 15,28 era molto più esplicito: «Infatti è parso bene allo Spirito Santo e a noi di non imporvi altro peso all’infuori di queste cose, che sono necessarie». La necessità di osservare tali minime prescrizioni era dettata dal fatto di poter avere un rapporto con i cristiani giudei (At 15,19.21). Che ci fosse una certa tendenza dei credenti giudei a giudaizzare i cristiani gentili (cfr. At 15,1) e a giudaizzare fra i Gentili, fu ricordato da Paolo ai Galati, con un accento negativo e con disappunto: «Ma quando Cefa [= Pietro] fu venuto ad Antiochia, io gli resistei in faccia perché egli era da condannare. Difatti, prima che fossero venuti certuni provenienti da Giacomo, egli mangiava coi Gentili; ma quando costoro furono arrivati, egli prese a ritrarsi e a separarsi per timor di quelli della circoncisione. E gli altri Giudei si misero a simulare anch’essi con lui; talché perfino Barnaba fu trascinato dalla loro simulazione. Ma quando vidi che non procedevano con dirittura rispetto alla verità dell’Evangelo, io dissi a Cefa in presenza di tutti: “Se tu, che sei Giudeo, vivi alla Gentile e non alla giudaica, come mai costringi i Gentili a giudaizzare?...”» (Gal 2,11-14). Questa domanda resta attuale anche oggigiorno! Essa resta di monito anche per tutti coloro che vogliono seguire un «giudaismo cristianizzato». Lo stesso Pietro che normalmente fra i Gentili viveva «alla Gentile e non alla giudaica», era stato lo stesso che durante il concilio di Gerusalemme aveva giustamente preso posizione contro i giudaisti cristiani, affermando: «Perché dunque tentate adesso Dio mettendo sul collo dei discepoli un giogo che né i padri nostri né noi abbiamo potuto portare?» (At 15,10). Anche questa domanda resta attuale e di monito per tutti coloro che vogliono seguire un «giudaismo cristianizzato».

     Penso che qui si possa chiudere l’argomento, per non ripeterci, a meno che non sopravvengono interventi particolari.

 

 

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► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_Den/T1-Dio_Israele_NT_Sh.htm

29-01-07; Aggiornamento: 01-02-2008

 

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