Il Signore ci chiama ad amare i fratelli di là dalle loro convinzioni sugli
aspetti non centrali della dottrina. Quello che qui segue è un confronto
fraterno con Giovanni Melchionda su questo tema. Egli e sua moglie portano
avanti l’opera chiamata «Alleanza Messianica». In una circolare ricevuta dai Melchionda, essi
scrivevano: «Vi auguriamo un anno di benedizioni e rivelazioni spirituali
da parte del Dio d’Israele…».
Ho fatto loro presente quanto segue: L’espressione «Dio
d’Israele» si trova solo due volte nel NT e solo prima di Pentecoste (Mt 15,31;
Lc 1,68). Non si trova però mai più nel NT e tanto meno nelle formule augurali
che si trovano all’inizio o alla fine di un’epistola! [►
Sulla via di un «sionismo cristianizzato»?]
Per togliere equivoci, diciamo fin da ora che
condanniamo qualsiasi tipo di antisemitismo. A ciò si aggiunga che non crediamo
che la chiesa sia Israele né un nuovo «Israele spirituale».
Che cosa ne pensate? Quali sono al riguardo le vostre
esperienze, idee e opinioni?
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I contributi sul tema
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1.
{Giovanni Melchionda} ▲
Se questa fosse la sola volta (ma centinaia di volte è citato nel Primo
Testamento che spero sia da te considerato ugualmente Parola ispirata di Dio
come il secondo testamento) io sono ammirato e meravigliato del Dio che ha
legato il suo nome al nome del Popolo che lui si è scelto per la Sua Gloria.
Leggiamo bene Matteo 15,24: il Signore Gesù ha un peso di Salvezza per le pecore
perdute della casa d’Israele, insegna agli scribi fino alla contesa, guarisce,
libera e salva muti storpi e malati libanesi e siriani (sirofenici) e questi
gentili «diedero gloria al Dio d’Israele». Che meraviglioso esempio di umiltà e
rivelazione di gentili che riconoscono nell’Iddio del popolo vicino colui che
solo può guarire. Ma lì nei paraggi c’era anche un nostro compaesano, il
centurione romano di Capernaum, Mt 8,5ss, che non chiese una guarigione per sé,
ma per il suo schiavo (probabilmente ebreo) e si dichiarò indegno (cioè impuro
in quanto gentile) di ricevere il Signore in casa. Che meraviglioso.
Predecessore italiano che si siederà a tavola con Abrahamo, Isacco, Giacobbe
(Israele).
Domanda: noi evangelici abbiamo l’umiltà del centurione
romano davanti all’Ebreo Gesù? Un supplemento di prova è dato dal Signore Gesù
stesso che chiama il Padre Dio d’Abrahamo, d’Isacco, e naturalmente di Giacobbe
(Israele), Dio dei vivi e non dei morti. [►
«Alleanza messianica» risponde]
2.
{Nicola Martella} ▲
Giovanni non ha risposto
alla mia precisa obiezione che ripeto qui: l’espressione «Dio d’Israele» non fu
mai usata nel NT nelle formule augurali che si trovano all’inizio o alla fine di
un’epistola. Gli scrittori non ne fecero mai uso quando scrissero ai Gentili o
ai Giudei cristiani. Se all’interno del nuovo patto fosse stato importante
salutare qualcuno con questa espressione, essi lo avrebbero fatto.
L’indicazione dell’uso di questa espressione nell’AT
non è una risposta accettabile, poiché intanto c’è stato il passaggio
dall’antico al nuovo patto, dalla teocrazia (Stato con leggi religiose) alla
chiesa (un popolo di là da razza e nazionalità, composto da cristiani giudei e
gentili e disperso in tutto il mondo). Che Dio abbia eletto Israele e che un
giorno, quando esso (ora nel complesso impenitente e nemico della croce di Gesù
Messia) come popolo si convertirà al suo Dio, Egli lo accoglierà, non è qui un
argomento a questo fatto: in tutti gli scritti del NT la formula di saluto e
d’augurio nel nome del «Dio d’Israele» non esiste mai. Chi vuole imparare dagli apostoli «a praticare il
“non oltre quel che è scritto”» (1 Cor 4,6), deve ammettere questa realtà.
Per loro Gesù era il solo seme d’Abramo (Gal 3,16; cfr. 4,28), era la sola vera
vite (Gv 15,1; immagine usata nell’AT per Israele: Is 5,1ss), istitutore di una
nuova alleanza (Lc 22,20; Eb 9,15; 12,24) che avrebbe messo fuori uso la
vecchia (Eb 8,13), e quindi l’istitutore di una nuova assemblea (Mt
16,18) e di un nuovo Israele all’interno della chiesa («Israele di Dio»
composto dai Giudei cristiani, Gal 6,16; cfr. «I veri circoncisi siamo noi,
che offriamo il nostro culto per mezzo dello Spirito di Dio, che ci gloriamo in
Cristo Gesù, e non ci confidiamo nella carne»; Fil 3,3). Il programma futuro
per Israele non può prescindere da tutto ciò. Perciò Gesù disse ai suoi connazionali: «Chi non è
con me, è contro di me; e chi non raccoglie con me, disperde» (Mt 12,30). E
avvertì seriamente i Giudei increduli: «Perciò v’ho detto che morrete nei
vostri peccati; perché se non credete che sono io (il Cristo), morrete nei
vostri peccati» (Gv 8,24). I Giudei nel complesso (tranne all’inizio pochi
seguaci) preferirono crocifiggerlo («Uomini
israeliti… voi, per man d’iniqui, inchiodandolo sulla croce, lo
uccideste […] quel Gesù che
voi avete crocifisso »; At
2,22s.36) e addossarsi la colpa del suo sangue innocente: «E
tutto il popolo, rispondendo,
disse: “Il suo sangue sia sopra noi e sopra i nostri figli”» (Mt 27,25; cfr.
vv. 22s). Che alcuni migliaia di Giudei si convertirono e formarono la chiesa (a
cui poi si aggiunsero i credenti gentili), non toglie che la stragrande
maggioranza dei Giudei rimasero increduli e perseguitarono i cristiani. Fu per questo rifiuto storico che Gesù, prendendo le
distanze dal popolo storico, che lo aveva rifiutato, annunziò la formazione di
una nuova assemblea messianica: «Io edificherò la mia chiesa» (Mt 16,18),
quella «chiesa di Dio» che i Giudei devastavano (Gal 4,29; così Saulo, Gal
1,13). Per questi motivi, gli apostoli evitarono i
fraintendimenti col popolo storico, non adottando nelle chiese e negli scritti a
loro rivolti la formulazione augurale e di saluto «Dio d’Israele». Al contrario,
essendo il giudaismo storico il più agguerrito avversario dell’Evangelo (Rm
11,28), essi usarono nei saluti e nelle formule augurali altre espressioni,
specialmente queste due:
■ «Grazia a voi e pace da Dio nostro Padre e dal
Signore Gesù Cristo» (Rm 1,7; 1 Cor 1,3; 2 Cor 1,2; Gal 1,2; Ef 1,2; Fil
1,2; 2 Ts 1,2) e simili (Col 1,2; 1 Ts 1,1; Fil 1,3). ■ «La grazia del Signor nostro Gesù Cristo sia con
voi» (Rm 16,20.24) e simili (1 Cor 16,23; Fil 4,23; 1 Ts 5,28; 2 Ts 3,17).
A tali formule di saluto seguivano, ad esempio, anche le seguenti:
■ «Vi saluto nel Signore» (Rm 16,22). ■ «Aquila e Priscilla, con la chiesa che è in casa
loro, vi salutano molto nel Signore» (1 Cor 16,19; cfr. Rm 16,16; 1 Pt
5,13). ■ «Pace a voi tutti che siete in Cristo» (1 Pt
5,14).
■ «La grazia del Signor Gesù Cristo e l’amore di Dio
e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi» (2 Cor 13,13; cfr.
Ap 1,4s). ■ «Pace a voi tutti che siete in Cristo» (1 Pt
5,14).
Gli apostoli sostituirono del tutto negli scritti del NT l’espressione «Dio
d’Israele» con altre più consoni al nuovo patto, come ad esempio le seguenti:
■ «Rendendo del continuo grazie d’ogni cosa a
Dio e Padre, nel nome del Signor
nostro Gesù Cristo» (Ef 5,20) e simili (Col 1,3). ■ «Il Dio e
Padre del nostro Signor Gesù che è benedetto in eterno» (2 Cor
11,31). «Benedetto sia il Dio e Padre del nostro Signor Gesù Cristo» (Ef
1,3; 1 Pt 1,3). ■ «Or il Dio
della pace sia con tutti voi» (Rm 15,33; cfr. Fil 4,9; 2 Ts 3,16).
Il fatto quindi che Gesù avesse un peso per le pecore perdute della casa
d’Israele (Mt 15,24) e che a quel tempo la folla avesse dato gloria al Dio
d’Israele (v. 31), che il sacerdote Zaccaria avesse benedetto allora «il
Signore, il Dio d’Israele» (Lc 1,68) e tutte le altre argomentazioni indirette
(centurione romano) — tutto ciò non cambia nulla al fatto che da Pentecoste in
poi questa espressione non fu mai più usata nella chiesa. Come abbiamo
visto essa fu sostituita da altre più consone al nuovo patto (p.es. «Il Dio e
Padre del nostro Signor Gesù»). Facciamo bene ad attenerci a ciò per non
uscire teologicamente fuori del seminato e confondere dottrinalmente capri e
cavoli. La più grande umiltà del cristiano è quella di
sottomettersi al nuovo patto di Gesù Messia e di adeguarsi all’eccellenza
di tale nuova costituzione (Eb 7,22; 8,6), invece di rimanere ancora ancorato
alle «ombre» della passata costituzione (Col 2,17; Eb 10,1), come se il Signore
Gesù non avesse portato nessuna novità.
3.
{Argentino Quintavalle} ▲
Non posso non restare stupito di fronte al dispiegamento di tanta teologia per
una questione del genere. Mi crea l’immagine mentale di chi vuole uccidere una
mosca con una bomba.
Il problema sarebbe l’uso che ha fatto Giovanni
Melchionda dell’espressione «Dio d’Israele»? Così come viene esposta la
questione sembra che tale espressione sia una caratteristica dell’associazione
di cui Giovanni fa parte (Alleanza Messianica). Devo però far notare che
Giovanni non è l’unico a farne uso. Infatti, l’ultimo libro edito dall’IBEI
(Istituto Biblico Evangelico Italiano) il cui autore è Raffaele Ventriglia,
nella pagina dedicata alla «dedica», in alto a destra, compare la scritta: «Ringrazio
YHWH l’Iddio d’Israele». Quindi, chi critica pubblicamente Giovanni deve
criticare altrettanto pubblicamente anche:
■ 1) Raffaele Ventriglia (il suo libro s’intitola:
«Diodati, una Bibbia fra roghi e condanne»).
■ 2) Fares Marzone che fa una positiva introduzione di
50 pagine del libro di Ventriglia.
■ 3) Rinaldo Diprose, in qualità di direttore
responsabile.
■ 4) L’IBEI.
Personalmente non ritengo che ci sia alcunché di male a usare l’espressione «Dio
d’Israele» nel colloquio augurale tra fratelli e soprattutto non ritengo
corretto mettere in cattiva luce quei fratelli che la usano. Nicola dice che
Giovanni l’ha usata nella formula inaugurale della sua lettera. Io ho avuto
l’occasione di leggerla integralmente, ed essa inizia con le parole, «Vi
salutiamo nell’amore del nostro Signore Messia Gesù», e finisce con le parole,
«Shalom Giovanni e Valeria Melchionda», quindi l’espressione «Dio d’Israele» non
si trova in una posizione enfatica. Nicola dice che dobbiamo imparare dagli apostoli «a
praticare il non oltre quel che è scritto», e da ciò trae conferma che non è
una buona prassi cristiana usare l’espressione «Dio d’Israele». Bene, se proprio
vogliamo colare il moscerino,
■ Dove sta scritto che è una buona cosa festeggiare il
natale? Perché non si è presa altrettanta energica posizione, Bibbia alla mano,
su questo fatto?
■ Dove sta scritto che la Santa Cena si possa fare al
mattino? (i primi cristiani la facevano di sera).
■ Dove sta scritto che ci si debba riunire per il culto
la domenica?
■ Dove sta scritto che ci si debba riunire in locali
appositi (i primi cristiani si riunivano nelle case).
■ Dove sta scritto che bisogna passare il sacchetto
delle offerte durante il culto?
■ Dove sta scritto che le offerte così raccolte devono
essere usate per scopi diversi da quelli di sostenere le chiese povere di
Gerusalemme e i missionari?
■ Dove sta scritto che s’evangelizzi facendo delle
recite teatrali?
■ L’elenco potrebbe essere molto più lungo...
Nicola finisce la sua lettera quasi meravigliandosi che qualcuno possa vivere
come se il Signore Gesù non avesse portato nessuna novità. Ma quelle che ho
appena elencato sono i cambiamenti che Gesù è venuto a portare? Nossignori, per
quanto ne so queste sono le novità apportate dagli uomini che non si sono
attenuti alla regola del «praticare il non oltre quel che è scritto». Se per
criticare l’espressione «Dio d’Israele» usiamo il metodo esegetico del «dove sta
scritto?», allora dobbiamo usarlo anche in questi altri casi, ma non possiamo
farlo in una caso sì e in dieci no. Altrimenti dimostriamo d’avere dei
pericolosi preconcetti.
Che poi gli apostoli non abbiano voluto usare tale
espressione per evitare fraintendimenti col popolo storico, è una mera
speculazione. Infatti 1) «Dio d’Israele» non era usato neanche nel Vecchio
Testamento come formula di saluto; 2) Gli apostoli non avevano paura di
fraintendimenti quando parlavano del popolo storico d’Israele, poiché Paolo
dice: «Vorrei essere io stesso anatema, separato da Cristo, per amor dei miei
fratelli, miei parenti secondo la carne» (Rm 9,3). Basta poi leggere il cap.
11 della lettera ai Romani per capire che Paolo non aveva alcuna paura d’essere
frainteso quando nominava il popolo storico d’Israele. 3) Che non avevano paura
di fraintendimenti lo dimostra anche il fatto che Paolo (e gli altri apostoli),
fino a quando gli veniva permesso, frequentava le sinagoghe, frequentava il
tempio e festeggiava le feste bibliche anche in presenza di cristiani gentili
(cfr. At 21,26.29). Aggiungo infine, che dopo la Pentecoste, non troviamo
più l’espressione «regno dei cieli». Questo significa che non è bene
usarla quando parliamo tra fratelli delle cose di Dio, in quanto non facente più
parte del nuovo patto? Oppure per evitare fraintendimenti con l’Israele storico,
dato che è un’espressione tipicamente ebraica? Ed ancora, nel Nuovo Testamento
non compare mai la parola «Eterno». Questo significa che non ci è lecito dire:
«L’Eterno ti benedica»? Gli apostoli non hanno mai usato l’espressione
«Trinità», questo significa che non dobbiamo usarla neanche noi?
Dove è andata a finire la tanto predicata libertà
cristiana? Si ha paura della giudaizzazione (cosa per altro utopistica) come
possibile minaccia della libertà, e poi si sfocia in una teologia che condanna
l’uso di un’espressione che nella Bibbia compare quasi 200 volte? Mi sta venendo
il sospetto che l’unica libertà di cui ci si vanta è quella d’essere liberi di
non fare le cose che facevano i primi cristiani!
Sia gloria all’Iddio d’Abrahamo, d’Isacco e di
Giacobbe; nel nome di Gesù Cristo, nostro Salvatore e liberatore della nazione
d’Israele; «e così tutto Israele sarà salvato, secondo che è scritto: Il
liberatore verrà da Sion» (Rom 11,26).
4.
{Nicola Martella} ▲
Ho insegnato per più di 20 anni l’AT e ho parlato sempre di
Jahwè, d’Israele, del «Dio d’Israele», del «Dio del patto» e così via. Basta
sfogliare i miei libri di «Panorama
dell’AT» (Radici 1-6) e di «Teologia dell’AT» (Manuale
Teologico dell’Antico Testamento) per rendersene conto.
So mostrare le linee di continuità e di discontinuità fra il vecchio e il nuovo
patto. La questione nasce laddove s’intende «veterotestamentizzare» il nuovo
patto, si costringono a quest’ultimo un linguaggio, dei concetti e delle
categorie che sono legittimi nell’AT, ma fuori luogo nel NT. Questo era il caso
dei giudaisti al tempo del NT e dei fautori di un «sionismo cristianizzato» in
tempi più recenti. Essi usano il concetto «Israele» (e di «amore per Israele»)
in modo ambiguo, intendendo di volta in volta cose diverse: il popolo storico, i
cristiani messianici (termine anch’esso ambiguo: non sono tutti i cristiani
ugualmente messianici? [Cristo = Messia = Unto]), che formano proprie comunità e
seguono la legge mosaica, e «l’Israele di Dio», ossia i cristiani giudaici
inseriti nelle chiese a maggioranza di Gentili. |
Ringrazio il mio caro amico Argentino per le sue osservazioni. Lo stimo anche
perché non si tira indietro in un confronto. Ritengo che l’espressione «Dio d’Israele» usata
nell’incipit di lettere fra cristiani è solo un sintomo di una convenzione che
si sta facendo strada all’interno del cosiddetto «sionismo cristianizzato», il
quale non riguarda una singola persona. Non ho nulla contro l’uso
dell’espressione «Dio d’Israele» nella teologia, dove ci azzecca (p.es. nella
teologia dell’AT). Giovanni Melchionda mi ha dato solo l’occasione pubblica (una
circolare) per prendere posizione. A ciò si aggiunga che ha avuto modo di
spiegare il suo pensiero. [à
sopra]
Argentino usa un metodo singolare per affrontare
la questione: la diluizione del problema, dapprima rispetto ad altre persone,
poi ad altri temi. La sua tesi è chi critica l’uno (o una cosa) deve anche
criticare l’altro (o l’altra cosa). Questo non è un metodo corretto per
affrontare un problema e fare obiezioni. La relativizzazione di un problema per
mezzo di altri non lo sminuisce né lo risolve. Secondo Argentino dovrei «criticare altrettanto
pubblicamente anche»
Raffaele Ventriglia e quanti all’Ibei hanno permesso la pubblicazione di
un numero di Lux Biblica. Non volendo essere trascinato in tale polemica,
consiglio ad Argentino di rivolgersi direttamente a loro. Infatti, non si fa
bene a rispondere alle mie obiezioni, coinvolgendo altre persone, ma è opportuno
rispondere nel merito e basta. Torniamo alla questione di base. Analizzando il NT,
constato che il nome divino «Jahwè» non esiste mai e l’espressione «l’Iddio
d’Israele» non ricorre mai in una invocazione o in un ringraziamento a Dio. Nei
brani in cui una persona nel NT esprime un personale ringraziamento a Dio, si
rivolge a Lui nei seguenti termini (tralascio Lc 18,11 Fariseo). ■ «Padre, ti ringrazio» (Gv 11,41 Gesù). ■ «Io ringrazio Dio» (1 Cor 1,14; 14,18 Paolo).
A ciò si aggiungano le espressioni in terza persona e quelle collettive. ■ «Sia ringraziato Dio» (Rm 6,17; 1 Cor 15,57; 2
Cor 8,16; 9,15). ■ «Noi ti ringraziamo, o Signore Dio onnipotente»
(Ap 11,17).
Quindi concludo che dal punto di vista di una teologia del NT, nel linguaggio
del nuovo patto usato dagli apostoli e dalla chiesa del primo secolo non
esistono mai né il nome divino «Jahwè» né l’espressione «l’Iddio
d’Israele». Ciò è per me rilevante.
Come comincia la lettera di Giovanni? «Vi salutiamo nell’amore del nostro
Signore Messia Gesù.
Vi auguriamo un anno di benedizioni e
rivelazioni spirituali da parte del Dio d’Israele…». È la seconda frase
che si coordina immediatamente alla prima (vi salutiamo… vi auguriamo). Ora che
ci penso, nel NT le «benedizioni» sono trasmesse ai credenti mediante Gesù
Cristo (Rm 15,29 benedizioni di Cristo; Gal 3,14 la benedizione d’Abramo venisse
sui Gentili in Cristo Gesù; Ef 1,3 ogni benedizione spirituale nei luoghi
celesti in Cristo) e le «rivelazioni spirituali» mediante lo Spirito Santo (1
Cor 2,10; Ef 3,5; cfr. Lc 2,26), provenienti da Dio Padre: «…il Padre della
gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per la piena conoscenza
di lui» (Ef 1,17; Lc 10,21).
Non entro in merito nella lista che Argentino fa per diluire la
problematica specifica. Ciò ci porterebbe lontano e non risponderebbe al tema. A
vari punti si risponde altrove nel sito. È sempre sbagliato fare obiezioni su un
tema, mettendo tanta carne a cuocere su altre questioni. Argentino parla singolarmente del fatto la formula «Dio
d’Israele» non fosse usata come saluto neppure nell’AT. Io ho parlato di formula
di augurio, ossia quella usata da Giovanni Melchionda. Essa si trova in
questi brani: Rt 2,12; cfr. Gr 31,23. A ciò si aggiunga che in genere non veniva
usata la formula «vi benediciamo da parte del Dio d’Israele…», ma questa: «Sia
benedetto l’Eterno, il Dio d’Israele, che / perché…» (in 10 versi). Per
l’approfondimento si possono anche tener presenti le formule di giuramento (1 Sm
25,34; 1 Re 1,30; 17,1) e le invocazioni (1 Cr 4,10). Inoltre Argentino, invece di affrontare in merito il
problema specifico diluisce nuovamente la questione citando Rm 9,3 e Rm 11. Qui
si tratta di una trattazione teologica della questione d’Israele, io non
ho mai parlato di una «paura d’essere frainteso quando [Paolo] nominava il
popolo storico d’Israele», ma solo che l’espressione «Dio d’Israele» non ricorre
mai, essendo teologicamente pregna di significato, significato che gli apostoli
preferirono mettere ora su Cristo: al posto di «Dio d’Israele» (Dio legato a
Israele) essi usarono «Dio di Gesù Cristo» (Dio legato a Cristo) e simili («Dio
e Padre del Signor nostro Gesù Cristo»; 1 Pt 1,3; cfr. 2 Cor 1,3; 11,31; Ef
1,3.17; Col 1,3), per rimarcare la novità del nuovo patto. Ci deve pur essere un motivo che l’espressione «Dio
d’Israele», ricorrente nell’AT in ben 201 versi (!) come un distintivo della
teologia dell’AT, non compaia mai dagli Atti in poi? (NT solo Mt 15,31; Lc
1,68). Deve pur significare qualcosa che nel NT dopo la formula «Dio di… (e/o
Padre di)» ricorra, al posto d’Israele, Gesù Cristo?
Un’ulteriore diluizione del problema avviene quando
Argentino introduce nuovamente altro. «Regno dei cieli» non ricorre più?
Non bisogna confondere capre e cavoli. Il motivo è chiaro: perché è una
caratteristica solo di Matteo (in 31 versi). «Regno di Dio» si trova però (oltre
che in 54 versi degli Evangeli) in 14 versi nel resto del NT, se si prescinde
poi da «regno» (in tutto in 151 versi) e «regno di Cristo» (Ef 5,5). Il termine
«Eterno» è un segnaposto del cosiddetto tetragramma ed è chiaro che non
ricorre nel NT. Ma nell’accezione popolare «Eterno», «Padreterno» e
simili sono intesi come sinonimi di «Onnipotente». Poi il mio caro Argentino non
poteva far mancare «Trinità»! L’uso di alcune espressioni non è la
questione che si sta dibattendo qui, ma l’uso specifico (e ideologico) di
un’espressione cara al «sionismo cristianizzato». Diluire il problema non lo
risolve, mio caro amico rabbino!
Sull’espressione «unica libertà di cui ci si
vanta è quella d’essere liberi di non fare le cose che facevano i primi
cristiani!» ci sarebbe tanto da dire. Ma andremmo fuori tema. Di pretese di ciò
che facevano i primi cristiani ce ne sono tante! E il mio caro amico Argentino
abolirebbe volentieri il «concilio di Gerusalemme» (At 15), come ha già scritto
in questo sito. Il cristianesimo giudaico (simil giudaico
o giudaizzante) come miglior cristianesimo? Ad ascoltare Paolo ai Galati non si
direbbe. Diamo venia in base a Rm 14 a coloro che aspirano a tale stile di vita,
fintantoché non pretendono da noi altri il ritorno all’osservanza di giorni
(qualunque essi siano) e a norme rituali di purità alimentari. Abbiamo ben altro
di santificante e da santificare nel nuovo patto.
5. {Argentino
Quintavalle} ▲
Premessa: non faccio parte d’alcun movimento sionista e mangio ancora salsicce e
prosciutto.
È vero che non bisogna «veterotestamentizzare» il nuovo
patto, ma è anche vero che bisogna predicare che il nuovo patto non è quello del
natale, perché altrimenti s’introducono in esso, per usare le stesse parole di
Nicola, dei concetti e delle categorie che non sono legittimi, ma fuori luogo.
Questo è il caso di molti cristiani d’oggi, fautori d’un «cristianesimo
gentilizzato e cattolicizzato».
Oggi si parla di «sionismo cristiano» in termini
offensivi, e i principali oppositori di questo movimento sono le chiese
istituzionalizzate e l’islam. Le prime sono gelose, i secondi sono acerrimi
nemici della nazione d’Israele in primis, ma anche dei cristiani. Come tutti i
movimenti umani ci sono sicuramente degli estremismi da biasimare, ma il
movimento che è perfetto scagli la prima pietra. L’importante è che venga
predicato Cristo Salvatore e non la Legge salvatrice.
Non è certo un movimento in più sulla scena che mi
preoccupa, ce ne sono tanti. A titolo d’informazione e a mo’ d’esempio faccio
notare che nella sola città di Firenze ci sono:
1) Chiesa Episcopale Americana; 2) Chiesa Anglicana; 3)
ADI; 4) Chiesa Apostolica Italiana; 5) Chiesa Avventista del 7° Giorno; 6)
Chiesa Battista; 7) Chiesa Cristiana Biblica; 8) Chiesa dei Fratelli; 9) Chiesa
del Nazareno; 10) Chiesa di Cristo; 11) Chiesa Metodista; 12) Chiesa Riformata
Svizzera; 13) Chiesa Valdese; 14) Esercito della Salvezza; 15) Chiesa Luterana;
16) Chiesa Cristiana Evangelica Indipendente; 17) Chiesa Apostolica
Internazionale; 18) Chiesa Evangelica «Cantico Nuovo»; 19) Istituto Evangelico
«S. Ferretti»; 20) Istituto «Gould»; 21) Visione Vocazionale; 22) Agape Italia;
23) Atleti in azione; 24) Gruppi Biblici Universitari; 25) Centro Giovanile
Protestante; 26) Centro Sociale Evangelico; 27) Gideons Internazionale; ecc.
ecc.
Ognuno di questi movimenti ha i suoi pregi e i suoi difetti. Cerco di prendere
il bene da tutti e scartare il male di tutti, senza criticare chi vi fa parte.
Tale è il mio atteggiamento anche nel confronti del cosiddetto «sionismo
cristiano» e ritengo che né un fratello né un movimento evangelico debba essere
giudicato perché nella forma augurale, senza alcuna pretesa teologica, usa
l’espressione «Dio d’Israele». Di danni siffatti le chiese ne hanno fatti
abbastanza. Anche oggi, purtroppo, molti vengono giudicati da come salutano. C’è
chi saluta dicendo «pace» il quale viene visto di cattivo occhio da altri
fratelli di correnti religiose diverse, e viceversa. Se oggi qualcuno dovesse testimoniare di non mangiare
cibi impuri, sarebbe tacciato di giudaizzare, quando invece Paolo scrisse: «Perciò,
se un cibo scandalizza il mio fratello, io non mangerò mai più carne, per non
scandalizzare il mio fratello» (1 Cor 8,13). Tale è il mio atteggiamento
anche nei confronti del saluto. Che cosa è più importante, teologizzare su come
si saluta o mantenere l’armonia tra fratelli? Personalmente dico «pace» con chi
dice «pace»; dico «il Signore ti benedica» con chi dice lo stesso; dico «ciao»
con chi dice «ciao» (ma è teologicamente corretto salutarsi con «ciao»?); dico
«Shalom» con chi dice «Shalom»; naturalmente non ho difficoltà ad accettare
l’espressione «Dio d’Israele». Cerco di mettere in pratica le parole di Paolo: «Tu,
la convinzione che hai, serbala per te stesso dinanzi a Dio. Beato colui che non
condanna se stesso in quello che approva» (Rm 14,22).
Il metodo della diluzione non è corretto? Tutt’altro,
caro e stimato fratello. In ogni aula di tribunale c’è la scritta «la legge è
uguale per tutti». La diluizione serviva a far capire che bisogna usare lo
stesso sistema di giudizio con tutti. Giusto è colui che non ha riguardi
personali e che applica gli stessi pesi e misure. È stato abbastanza palese che
nei confronti della discussione sul natale non si è adottata la stessa regola
critica ed esegetica usata per l’espressione «Dio d’Israele», eppure non mi
sembra che dopo la Pentecoste i cristiani festeggiassero il natale.
Nicola dice: «Ci deve pur essere un motivo che
l’espressione Dio d’Israele… non compaia mai dagli Atti in poi». Rispondo: non
si costruisce una teologia o una dottrina sul silenzio della Scrittura.
Ho portato gli esempi di «Regno dei cieli», «Eterno»,
«Trinità», perché credevo che si stesse proprio dibattendo l’uso d’alcune
espressioni. Se poi il «sionismo cristiano», che per il momento è un movimento
essenzialmente americano, ne fa un uso ideologico questo non lo so (e comunque
non bisogna confondere il sionismo cristiano con le chiese messianiche,
altrimenti anche qui le capre e i cavoli si mischiano). Quello che so è che
quando certe volte ho salutato dei fratelli dicendo «pace» mi hanno guardato
storto, perché in certi ambienti ne hanno fatto una ideologia evitare di dire
«pace» quando si saluta. Non critico loro e per coerenza non critico neanche i
sionisti cristiani quando li incontro. Non è affatto vero che ho scritto in questo sito di
desiderare di voler abolire il concilio di Gerusalemme (At 15)!!
Su quello che poi molti cristiani oggi santificano,
spero che Dio abbia misericordia.
Io predico la grazia, non la legge (questo ho scritto
sul sito!), e riflettere sulla basi giudaiche della propria fede non significa
giudaizzare. Molti sono resistenti a quest’argomento, preoccupati che qualcuno
reintroduca il giudaismo nella nostra fede violando così lo spirito della grazia
di Dio. Il mio invito è che tutti possano aprire gli occhi per poter meglio
conoscere il nostro Messia giudeo e gioire ancora di più della nostra grande
salvezza e redenzione che il Signore ci ha dato. È un male che la comunità cristiana non capisca la
ricca eredità sulla quale si basa la propria fede. Dall’altra parte il popolo
ebraico ha bisogno di freschezza (credere nel Messia Gesù) per poter capire il
vero significato e il vero scopo di ciò che è scritto. Molti nella comunità
ebraica sono oggi sfidati a vedere lo stretto collegamento tra la loro cultura e
il Berit HaDasha — il Nuovo Testamento.
Storicamente, la chiesa ha avuto una comprensione
insufficiente delle sue radici, e ciò è dovuto in parte alla sua paura di cadere
nel legalismo. Quello che trovo ironico è che il mondo cristiano ha spesso
rifiutato le tradizioni bibliche/giudaiche, ma le ha sostituite con altre non
bibliche. Il pericolo del legalismo è sempre là. A proposito del cristianesimo giudaico. I primi
discepoli pensavano che essi erano i primi giudei ad aver trovato il Messia
promesso e hanno continuato con naturalezza a manifestare la giudaicità della
loro fede. La loro accettazione di Gesù non significava per loro la conversione
a una nuova religione. I credenti giudei si vedevano come quelli che avevano
ricevuto la realizzazione delle promesse scritte nel Vecchio Testamento. Essi
hanno capito che questo significava essere Giudei messianici che con naturalezza
avrebbero continuato a vivere secondo l’eredità data loro da Dio.
Uno sguardo su Atti 21,20 conferma quanto detto: «Fratello,
tu vedi quante migliaia di Giudei vi sono che hanno creduto; e tutti sono
zelanti della legge». I primi credenti hanno continuato a vivere nell’unica
maniera che conoscevano, e la fede in Gesù come Messia li rendeva ancora più
zelanti per le loro tradizioni, perché i loro occhi erano stati aperti e
vedevano i profondi significati spirituali della legge. Che poi il cristianesimo
praticato dai gentili sia migliore ci sarebbe tanto dire.
Ritornando al «Dio d’Israele», do venia in base a Rm 14
a coloro che pongono limiti ad alcuni stili di saluto, fintantoché non
pretendono da me di fare altrettanto. Vivendo nel nuovo patto ho ben altro di
santificante e da santificare.
6. {Nicola
Martella} ▲
Come al solito, in ciò che dice Argentino c’è molto di condivisibile. Altri
aspetti non lo sono in parte o in tutto. Ma qui il brodo si allungherebbe
troppo. Faccio comunque presente che nell’ottavo intervento del tema di
discussione ►
Partecipazione al «travaglio del natale», alla mia osservazione riguardo a
chi vorrebbe riportare l’intera chiesa a prima del concilio di Gerusalemme? (At 15)»,
Argentino ha risposto: «A parte il fatto che sarebbe
una grande benedizione poter ritornare a prima del concilio di Gerusalemme, non è certo
mia intenzione di voler rimettere i cristiani sotto il giogo della Legge!...».
Poi chi cita Atti 21,20, in cui Giacomo e gli anziani
di Gerusalemme parlano di «migliaia di Giudei… che hanno creduto e tutti sono
zelanti della legge» — come potevano far altro visto che vivevano in tale
cultura religiosa ? — non dovrebbe trascurare che essi
pretendevano che ogni Giudeo fosse un «osservatore della legge» (v. 24); ma
a ciò si aggiunga anche quanto segue sui Gentili: «Quanto ai Gentili che
hanno creduto, noi abbiamo loro scritto, avendo deciso che debbano astenersi
dalle cose sacrificate agli idoli, dal sangue, dalle cose soffocate, e dalla
fornicazione» (v. 25), cosa che ricalcava la decisione del concilio di
Gerusalemme (At 15,28s). Erano passati tanti anni da allora e tale decisione era
ancora coercitiva; se non che il decreto di At 15,28 era molto più esplicito: «Infatti
è parso bene allo Spirito Santo e a noi di
non imporvi altro peso all’infuori di queste cose, che sono
necessarie…». La necessità di osservare tali minime prescrizioni era
dettata dal fatto di poter avere un rapporto con i cristiani giudei (At
15,19.21). Che ci fosse una certa tendenza dei credenti giudei a giudaizzare i
cristiani gentili (cfr. At 15,1) e a giudaizzare fra i Gentili, fu ricordato da
Paolo ai Galati, con un accento negativo e con disappunto: «Ma quando Cefa [=
Pietro] fu venuto ad Antiochia, io gli resistei in faccia perché
egli era da condannare. Difatti,
prima che fossero venuti certuni provenienti da Giacomo, egli mangiava coi
Gentili; ma quando costoro furono arrivati, egli prese a
ritrarsi e a separarsi per timor di quelli della circoncisione. E gli
altri Giudei si misero a
simulare
anch’essi con lui; talché perfino Barnaba fu trascinato dalla loro
simulazione. Ma quando vidi che non procedevano con dirittura rispetto
alla verità dell’Evangelo, io dissi a Cefa in presenza di tutti: “Se tu, che sei
Giudeo, vivi alla Gentile e non alla giudaica, come mai
costringi i Gentili a giudaizzare?...”» (Gal 2,11-14). Questa domanda
resta attuale anche oggigiorno! Essa resta di monito anche per tutti coloro che
vogliono seguire un «giudaismo cristianizzato». Lo stesso Pietro che normalmente
fra i Gentili viveva «alla Gentile e non alla giudaica», era stato lo
stesso che durante il concilio di Gerusalemme aveva giustamente preso posizione
contro i giudaisti cristiani, affermando: «Perché dunque
tentate adesso Dio mettendo sul
collo dei discepoli un
giogo che né i padri nostri né noi
abbiamo potuto portare?» (At 15,10). Anche questa domanda resta attuale e di
monito per tutti coloro che vogliono seguire un «giudaismo cristianizzato». Penso che qui si possa chiudere l’argomento, per
non ripeterci, a meno che non sopravvengono interventi particolari.
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► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_Den/T1-Dio_Israele_NT_Sh.htm
29-01-07; Aggiornamento: 01-02-2008 |