Alcune premesse
Il tema di questo studio riguarda l’investigazione
della base giudaica delle fede cristiana e quindi considerare le implicazioni
che questo ha per i credenti d’oggi. L’obiettivo è quello di capire meglio la
nostra fede e il nostro Messia attraverso una migliore comprensione di come
quelli che per primi lo hanno seguito pensavano e vivevano, in modo che
possiamo, a nostra volta, essere dei migliori testimoni della gloria del suo
Evangelo.
Il fatto è che, mentre molte delle cose che discutiamo
in questi articoli sono di solito considerate come «giudaiche», esse però sono
«bibliche». Questo ha un significato profondo per tutti i credenti. In
altre parole, esse non solo sono significative per i Giudei, ma tutti i credenti
possono essere benedetti da una cultura biblica. La fede in Gesù è una eredità giudaica. Egli viveva
come tutti gli altri Giudei nella terra d’Israele. Quelli che per primi egli
chiamò a seguirlo come Messia, erano Giudei. Lo stesso concetto di Messia è
giudaico. I suoi primi discepoli pensavano di sé stessi che erano dei Giudei che
avevano trovato il Messia promesso, e hanno continuato a manifestare l’ebraicità
della loro fede. Un altro punto che deve essere sottolineato, e che ha
un profondo significato, è questo: l’accettazione di Gesù non significava per i
primi credenti, la conversione a una nuova religione. Piuttosto, essi credevano
d’aver ricevuto la realizzazione di quello che era scritto nella Tanakh – nelle
Scritture che noi chiamiamo Vecchio Testamento. Essi hanno continuato a vivere
nell’unico stile di vita che conoscevano, naturalmente nella nuova comprensione
che Gesù era il Messia. Questo fatto li rendeva ancora più zelanti nelle loro
tradizioni, perché i loro occhi erano stati aperti alle verità spirituali. Uno sguardo su Atti 21,20 conferma quanto detto: «Fratello,
tu vedi quante migliaia di Giudei vi sono che hanno creduto; e tutti sono
zelanti della legge». E, affinché non si pensi che la Legge e la
«tradizione» avevano valore solo per i credenti giudei, evidenzio le parole di
Paolo ai credenti gentili di Tessalonica: «Perciò fratelli, state saldi e
ritenete gli insegnamenti (paradoseis = tradizioni) che
avete imparato tramite la parola o la nostra epistola» (2 Ts 2,15). Il cristianesimo, qualunque forma «non-giudaica» abbia
potuto prendere nel corso degli anni, ha comunque le sue radici nel giudaismo
biblico, nella tradizione e nella cultura del popolo giudeo. Ma, la domanda che
ci si pone è, come è avvenuto che qualcosa che era così «giudaico» all’inizio, è
diventato oggi «non-giudaico»?
Voglio iniziare con gli eventi che hanno portato alla
separazione dei credenti giudei dal resto della comunità giudaica. Nel proseguo,
se Dio vorrà, vedremo che c’è stato uno sviluppo distinto tra «cristianesimo
gentile» e giudaismo «rabbinico» o moderno. Che cosa è accaduto che ha causato lo scollegamento del
cristianesimo dalle sue radici giudaiche e creato una chiesa costituita
praticamente da soli gentili? Per capire la risposta a questa domanda, abbiamo
bisogno di conoscere la storia. Devo avvertire però, che non è sempre
un’immagine piacevole. Ma se siamo disposti a confrontarci onestamente con il
nostro passato oscuro, l’amore per la verità prevarrà sul disagio che potremmo
provare. Questo articolo non vuole essere una semplice lezione di storia, ma una
lezione
dalla storia. Lo scopo non è quello di «puntare l’indice» o
attribuire la colpa a qualcuno. Spero solo d’infondere un senso di
responsabilità, in modo da non permettere alla storia di ripetersi. Farò
riferimento ai «padri della chiesa», alla chiesa cattolica, a Martin Lutero, ad
altri leader della chiesa e ai concili della chiesa. Nessuno s’offenda per i
fatti storici presentati. I fatti storici servono per aiutarci a capire e
crescere nel nostro cammino di fede, non per offendere un particolare gruppo o
denominazione.
Le rivolte giudaiche
Nei primi anni che sono seguiti all’ascensione di Gesù
Cristo, i credenti giudei erano conosciuti come i Nazareni, uno dei tanti
partiti del giudaismo di quei tempi, come i più familiari Farisei, Sadducei,
Esseni e Zeloti. Questo stato di fatto è continuato fino all’inizio della prima
rivolta giudaica del 66 d.C. Il titolo, la prima rivolta, è in realtà una
definizione inesatta, poiché non è la prima volta che il popolo giudeo si è
rivoltato contro un’autorità oppressiva e tirannica. Ma quando si parla di prima
rivolta, s’intende la prima rivolta della nazione contro Roma.
Nel primo secolo, la potenza di Roma s’opponeva al
desiderio giudaico di libertà dal giogo della sottomissione. L’esercito romano
stanziato per «proteggere» la Giudea d’Erode il Grande, si doveva confrontare
con la guerriglia degli Zeloti. Nell’anno 65 d.C. ci fu una serie di vittorie
dei Giudei sull’esercito romano. Queste vittorie hanno galvanizzato il popolo
fino al punto di fargli pensare di poter avere la meglio contro l’Impero Romano,
un oppressore praticamente invincibile a quei tempi. Queste vittorie locali
hanno però avuto lo scopo di forzare la mano all’imperatore di Roma, Nerone, il
quale si è visto costretto a riportare la situazione sotto controllo. Egli ha
scelto Vespasiano, un esperto generale, e gli ha dato il compito di domare la
rivolta e ripristinare l’autorità romana. Lentamente, ma costantemente,
Vespasiano ha sottomesso l’intero paese, domando gli insorti. Durante questa
campagna militare, molti Ebrei con le loro famiglie hanno lasciato le loro case
per rifugiarsi nella città fortificata di Gerusalemme. Ben presto Gerusalemme si
trovò a essere super affollata e carente di cibo e acqua.
Nell’anno 68 Vespasiano fu scelto come imperatore e si
recò a Roma da dove nominò suo figlio Tito per sostituirlo nella guerra contro
Israele. Quando Tito riprese l’assedio, fece in modo di circondare la città con
un muro continuo, in modo da tagliare qualunque via di scampo e ridurre la
popolazione alla fame.
Nel frattempo, la rivalità tra le diverse sette e
fazioni logoravano il morale dei difensori della città. I rivali principali
erano costituiti dagli Zeloti e da un altro gruppo d’estremisti, i Sicari. Tra
questi due gruppi le figure chiave erano Giovanni di Gischala, Eleazaro Ben
Simone e Simone Ben Giona. Le lotte di potere si basavano su chi doveva
capeggiare la difesa di Gerusalemme, dato che ognuno voleva essere il gruppo
dominante nella battaglia finale per la città santa e per il Tempio. Giuseppe
Flavio, lo storico giudeo, descrive la malvagia e folle auto-distruzione che
queste fazioni hanno ingaggiato per rafforzare le proprie posizioni. Tutte e tre
si sono incessantemente fatte guerra tra di loro, e la città presentava
l’aspetto d’un campo di battaglia. Nel loro odio reciproco furono così stupidi
che causarono l’incendio del magazzino più grande dove veniva raccolto il grano
della città.
L’offensiva finale dei Romani è stata lanciata contro
la città oramai ridotta allo stremo nel maggio dell’anno 70. I difensori di
Gerusalemme sono riusciti a resistere per alcuni mesi e a far pagare un grosso
prezzo di sangue agli invasori romani. Tuttavia, il 9° d’Av (20 agosto 70 d.C.)
il generale romano Tito, ha sfondato le mura, dato alle fiamme la città e
distrutto il Tempio. Viene generalmente creduto che i discepoli di Gesù che
stavano a Gerusalemme, interpretando gli eventi che accadevano come la
realizzazione delle parole di Gesù in Lc 21 e Mt 24, siano fuggiti a Pella
scampando così dalla distruzione della città e dai suoi orrori, lasciando i loro
concittadini al loro destino. Questo viene generalmente considerato come il
fattore principale della divisione tra i Giudei credenti e quelli non credenti.
Tratterò in seguito in maniera più dettagliata questo fatto, per ora dico solo
che esso, da solo, non può spiegare in maniera adeguata le ragioni della
divisione.
Dopo la guerra, l’animosità fra i due gruppi divenne
sempre più evidente. Nell’anno 90, i rabbini hanno aggiunto la diciannovesima
benedizione alle «Shemoneh Esrei» (diciotto benedizioni), una raccolta di
benedizioni o preghiere, conosciuta anche come Amidah (stare in piedi), perché
vengono recitate nella sinagoga stando in piedi. Questa ulteriore «benedizione»
è stata aggiunta proprio a causa della defezione dei giudei messianici, ed è
chiamata «Contro gli Eretici». Ancora oggi viene letta tra i Giudei ortodossi
durante il tradizionale servizio sinagogale. Essa recita così: «Non possano gli
apostati avere alcuna speranza, a meno che essi non ritornino alla Torah, e
possano scomparire i Nazareni in un istante. Possano essere cancellati dal libro
della vita e non essere annoverati tra i giusti».
Così, quando i credenti giudei che frequentavano le
sinagoghe dovevano partecipare a questa preghiera, essi dovevano invocare una
maledizione su loro stessi oppure astenersi dalla recitazione della preghiera,
nel qual caso sarebbero stati esclusi dalla sinagoga. La preghiera è stata
istituita perché i rabbini hanno ritenuto che i credenti giudei in Gesù fossero
degli eretici e dovevano quindi essere isolati ed esclusi. Questa situazione si
è trascinata per circa sessant’anni, fino a circa l’anno 135 e alla rivolta di
Bar Kochba. Ma prima di discutere di questo, diamo uno sguardo allo sviluppo del
giudaismo rabbinico.
Dopo la guerra, i problemi degli Israeliti erano a dir
poco monumentali. La popolazione è stata molto ridotta. L’intero paese era
devastato. Cisterne e sorgenti erano state fatte defluire o distruggere. La
povertà e la carestia abbondavano. Le risorse naturali sono state prese come
bottino di guerra, impoverendo ancora di più i giudei sopravvissuti.
Un effetto della distruzione di Gerusalemme fu la
scomparsa delle diverse sette giudaiche. I Sadducei, costituiti dalla gerarchia
e dal sacerdozio, scomparvero quasi del tutto, poiché il Tempio, ora distrutto,
era la base non solo della loro potenza, ma anche della loro ragion d’essere.
Per quanto riguarda gli Esseni, si dice che si siano
estinti a seguito del loro isolamento e della loro rinuncia a sposarsi. La loro
speranza nella venuta del Messia che avrebbe sconfitto il nemico in una grande
battaglia, sembrava essere stata infranta nell’anno 70. Le loro piccole comunità
o sono state abitate dai Giudei superstiti della guerra o sono state distrutte
dagli eserciti romani.
Le diverse fazioni di Zeloti sono quelle che hanno
sofferto maggiormente l’onta della sconfitta contro le legioni di Tito, poiché
hanno combattuto, in molti casi, fino all’ultimo uomo. I Farisei non hanno
appoggiato la guerra contro Roma e si è detto che essi avevano denunciato le
azioni insensate degli Zeloti. Dopo la guerra, è evidente che abbiano incolpato
i leader della rivolta per le conseguenze devastanti e la distruzione del
Tempio.
Dopo la guerra e con la cessazione delle rivalità, i
Farisei sono emersi come il gruppo predominante. Praticamente senza alcuna
opposizione essi furono in grado d’esercitare l’autorità sopra la comunità
giudaica. Essi hanno riguardato a sé stessi come ai custodi della Legge e hanno
eretto della mura non di pietra, ma di fede e d’ideali che i Romani non
sarebbero mai stati capaci d’abbattere.
L’uomo accreditato come il padre del rabbinismo
giudaico è Johanan Ben Zakkai, che era un membro della famiglia sacerdotale. È
interessante osservare che, benché egli avesse avuto contatti con i Romani
durante e dopo la guerra, non è stato mai etichettato come un traditore. Si dice
di lui che fu portato fuori di Gerusalemme in una bara dai suoi discepoli mentre
la città era sotto assedio. Che l’etichetta di traditore non gli sia mai stata
applicata può solo essere a causa del grande rispetto che aveva dai suoi
compatrioti. Gli storici giudei lo descrivono come una voce moderata in un’età
d’estremismo. Egli parlava di pace e di riconciliazione mentre la sua nazione
era afflitta sia dalla guerra esterna con lo straniero e sia da conflitti
interni.
Nell’anno 90, Johanan Ben Zakkai ha riunito i maestri
giudei da tutto Israele per incontrarsi con lui a Yavneh (Jamnia), la «città di
studiosi e rabbini». Insieme essi hanno cercato di ricostruire il giudaismo alla
luce della distruzione del Tempio e per il bene del popolo della nazione
sconfitta.
L’ultimo lascito di Yavneh fu l’accordo per il canone
definitivo della Bibbia (Vecchio Testamento) e la redazione della Mishnah. Il
loro compito è stato anche quello di trovare delle ragioni per la sostituzione
del culto e dei sacrifici del Tempio. Per quanto importante fosse il culto per
la vita della nazione, nuove alternative e spiegazioni dovevano riempire questo
vuoto. Dopo la distruzione del Tempio, Ben Zakkai e i suoi colleghi, si sono
sforzati a sottolineare l’unità religiosa dei Giudei dovunque essi avessero
vissuto e la loro comunione spirituale con Dio dovunque essi avessero pregato.
Hanno cercato di sostituire il sacrificio giornaliero con un rituale fisso di
preghiere da recitare a determinate ore del giorno, e con il pentimento e
l’abbondanza d’elemosine. Questo ha segnato l’inizio del giudaismo «rabbinico» o
moderno.
La distruzione di Gerusalemme non è stata la fine
dell’odio giudeo contro i Romani. Dopo quaranta anni, è sorta una nuova
generazione di combattenti disposta a raccogliere il testimone della lotta
contro Roma a qualunque costo. Questa seconda rivolta giudaica — conosciuta
anche come la rivolta di Bar Kochba, è stato l’evento fondamentale della
separazione definitiva dei cristiani giudei dalla comunità giudaica. L’umiliazione inflitta alla nazione, il desiderio di
libertà e la sete di vendetta erano il combustibile per la seconda guerra
romana. Il leader spirituale era Rabbi Akiba e Simon Bar Kochba era il
carismatico comandante militare. All’inizio, i cristiani giudei hanno combattuto
a fianco dei loro amici ma increduli giudei. Però, quando Rabbi Akiba ha
proclamato Bar Kochba come Messia, i cristiani giudei non hanno potuto più
sostenere questa lotta per la libertà. Questo rifiuto di portare le armi è stato
visto come il tradimento ultimo e così, lo scisma è stato completato.
Dopo la sconfitta finale di Bar Kochba e i suoi
seguaci, l’imperatore Adriano decise d’espellere i Giudei sopravvissuti
proibendo loro di far ritorno a Gerusalemme. Egli decise anche di proibire tutte
le pratiche religiose giudaiche, come lo studio della Torah e l’osservanza del
sabato, che egli considerava come la radice di tutti i mali che avevano afflitto
la provincia. La grande dispersione è stata completata in pochi anni.
Gerusalemme è stata ricostruita come città romana, Aelia Capitolina. Non c’era
più una patria giudaica e la speranza d’un restauro della nazione era alquanto
debole.
Negli anni seguenti, il potere teologico e politico è
passato dai leader giudeo-cristiani ai centri dei leader cristiano-gentili come
Alessandria, Roma e Antiochia. È importante capire questo cambiamento, perché ha
influito sui padri della chiesa per fare dichiarazioni anti-giudaiche man mano
che il cristianesimo si staccava dalle sue radici giudaiche. Come la chiesa
s’espandeva all’interno dell’Impero Romano, e i suoi membri crescevano sempre
più con mentalità non-giudaica, il pensiero greco e quello romano, strisciando e
infiltrandosi, hanno iniziato a cambiare completamente l’orientamento
dell’interpretazione biblica attraverso la mentalità greca, invece che ebraica.
Una volta che il cristianesimo e il giudaismo hanno iniziato a prendere percorsi
separati, il vuoto tra di loro è diventato sempre più grande.
I Romani avevano soppresso con efficacia il giudaismo,
tuttavia, il cristianesimo si diffondeva velocemente. Questo divenne una delle
preoccupazioni principali di Roma, e la pressione politica è stata un fattore
importante per allargare la crepa tra cristiani e Giudei.
Per una presa di posizione su alcuni aspetti di questo articolo si veda:
►
La questione della «cultura biblica» alla luce del giudaismo 1 {Nicola Martella}.
► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_Den/A2-Lezioni_storiche1_Sh.htm
13-02-2007; Aggiornamento: 30-06-2010 |