Il testo greco degli Evangeli si capisce meglio alla luce del suo retroterra
ebraico. Consideriamo, per esempio, il significato ebraico delle famose parole
di Gesù, «Non pensate che io sia venuto ad abrogare la legge o i profeti; io
non sono venuto per abrogare, ma per portare a compimento. Perché in verità vi
dico: Finché il cielo e la terra non passeranno, neppure uno iota o un solo
apice della legge passerà, prima che tutto sia adempiuto» (Mt 5,17s). La
parola «legge» in ebraico è in effetti Torah «istruzione». Essa non era
una parola negativa per Gesù. Egli credeva che la Torà rivelasse la volontà di
Dio. Egli credeva che fosse buona e santa. La Torà insegnava l’amore di Dio per
tutto il popolo e forniva una guida per la vita giornaliera. Alla luce dell’alta
stima che Gesù aveva per la Torà, Mt 5,17 era certamente indirizzato
all’obiettivo di comprendere correttamente il testo biblico per potersi condurre
nella vita con rettitudine.
Il retroterra ebraico di questo verso rende chiaro il
suo profondo significato. Nella letteratura rabbinica, le parole greche
dell’Evangelo tradotte con «abrogare» e «portare a compimento» hanno una
dinamica equivalente. La parola «abrogare» significa «interpretare non
correttamente». In greco la parola
kataluō significa «abolire», e il suo equivalente ebraico batel
significa anche «cancellare, abolire, distruggere», ma batel è utilizzato
spesso in contesti che hanno a che fare con l’interpretazione della Scrittura.
Si cancella la Torà quando la si interpreta male. La parola «portare a
compimento», inoltre, si riferisce all’interpretazione accurata di un brano. In
greco la parola pleroō
significa «soddisfare, adempiere». Il suo equivalente ebraico kijem è
derivato da una radice che significa «motivo per durare» e ha il senso di
«sostenere, osservare, adempiere, o mettersi su un solido punto d’appoggio». È
anche utilizzato in contesti che hanno a che fare con l’interpretazione della
Scrittura.
Quando uno fraintende il significato corretto della
Torà, è possibile che non obbedisca alla volontà del Signore. Quindi una persona
può «abrogare» la Torà interpretando male la rivelazione divina. Al contrario,
quando uno comprende il suo corretto significato, è in grado di obbedire alla
volontà di Dio e quindi di adempie la Torà. Le polemiche teologiche all’interno
del cristianesimo durante la lotta per definire se stesso, hanno fatto in modo
che la chiesa si staccasse quasi completamente dal giudaismo. Questo ha creato
un ambiente in cui le idee di Marcione potevano fiorire. Nei suoi sforzi per
definire se stessa, è stato facile per la chiesa lasciarsi affascinare
dall’anti-giudaismo di Marcione.
Più tardi, durante il periodo della Riforma, molti
protestanti hanno attaccato il papato. Essi hanno ingiustamente usato la Torà e
il giudaismo per criticare l’insegnamento sbagliato della chiesa ufficiale. Non
è insolito che il giudaismo sia stato il capro espiatorio per attaccare tutto
quello che veniva percepito come malvagio nella dottrina della chiesa. Il buono
era visto come proveniente dal cristianesimo autentico, mentre il male era
ingiustamente descritto come proveniente dal giudaismo.
Come risultato, le moderne traduzioni italiane delle
tre parole chiave di Mt 5,17, ossia «Torà», «abrogare» e «portare a compimento»,
hanno acquistato dei significati abbastanza diversi dai loro originari
significati giudaici. Che cosa volevano dire queste parole per Gesù e per i suoi
primi discepoli? La parola ebraica «Torà» è derivata dalla radice jarah,
che significa lanciare una freccia o insegnare. Torà significa insegnamento o
istruzione veritieri e diritti come le parole della Torà lanciate in un tragitto
diretto come quello di una freccia, con potenza e con forza per vivere una vita
piena. Torà è il proposito divino per tutti quelli che amano Dio. Torà è volontà
di Dio, che va oltre la lettera di ciò che è scritto. La rivelazione divina
della Torà, tuttavia, può essere interpretata in molte e diverse maniere.
L’interpretazione corretta infonde un soffio di vita e di potenza nelle parole
scritte in essa. Se correttamente capita e obbedita, la rivelazione
divina fornisce la guida per una vita efficace. La legge è così portata a
compimento. L’interpretazione sbagliata, d’altra parte, cancella le parole
comunicate attraverso la rivelazione divina. Come Abramo Joshua Heschel ha
mostrato, mentre i Greci studiavano per comprendere e i pensatori occidentali
studiano per applicare la loro conoscenza in un senso pratico, gli antichi Ebrei
studiavano per meglio venerare Dio (A.J. Henschel, God in Search of Man,
pp. 3-12; 43-53; 73-79). Dio ha dato la Torà. Egli deve essere riverito. Ogni
essere umano deve aver timor di Dio e meravigliarsi davanti a Lui. Perciò il
compito di apprendere la Torà è un’impresa sacra. Studiare i comandamenti per
riverenza. Riverire i comandamenti nell’ubbidienza. Gesù è venuto a interpretare
la Torà nella maniera corretta, in modo che Dio che l’ha data, sarà riverito e
ubbidito attraverso delle azioni corrette. «Abrogare» significa ostruire
attraverso una interpretazione sbagliata. «Portare a compimento» si riferisce a
una comprensione del testo che conduce a un comportamento di vita santa.
Questi significati delle parole «Torà», «abrogare» e
«portare a compimento» sono illustrate in una pittoresca storia della vita del
re Salomone nella letteratura giudaica. Salomone è ricordato per la sua
leggendaria sapienza. Nondimeno, anche il saggio Salomone potrebbe decidere di
cancellare una lettera della Torà. A causa dei propri desideri, egli ha
interpretato la Bibbia in modo tale da cancellare il suo significato. Egli ha
avuto problemi con un comandamento della Torà, quello che dice al re che «non
deve procurarsi un gran numero di cavalli… non deve procurarsi un gran numero di
mogli… non deve accumulare per se stesso una grande quantità di argento e d’oro»
(Dt 17,16s). Questo serviva a impedire che il cuore del re si allontanasse da
Dio. Così re Salomone decise di cancellare uno iota o un apice dalle parole
ebraiche del verso.
Quando Dio ha dato la Torà ad Israele, Egli vi ha messo
dei comandamenti sia positivi che negativi e, come abbiamo visto, ha dato dei
comandamenti per il re (Dt 17,16s). Secondo la tradizione giudaica,
Salomone si sarebbe levato e avrebbe studiato la ragione del decreto di Dio,
dicendo: «Perché Dio ha comandato: non procurarti un gran numero di mogli? Non è
perché il tuo cuore non si svii? Se il mio cuore non si svia io ne posso però
avere molte, ed è quello che farò». I rabbini dicono: in quel momento, lo jod
(la lettera più piccola dell’alfabeto Ebraico, j, la prima lettera di
jarbeh, che significa moltiplicare) è salita in alto e si è prostrata
davanti a Dio dicendo: «Padrone dell’Universo! Non hai detto che nessuna lettera
sarà mai abrogata dalla Torà? Guarda, Salomone si è levato e ne ha abrogata una.
Chi sa cosa succederà? Oggi egli ha abolito una lettera, domani ne abolirà
un’altra fino a che l’intera Torà non sarà annullata». Dio rispose: «Salomone e
mille come lui passeranno, ma l’apice più piccolo della Torà non sarà cancellato
da voi» (Exodus Rabbah 6,1).
Cancellando la lettera più piccola dell’alfabeto
ebraico, il re Salomone ha interpretato il comandamento secondo la sua propria
sapienza. Alla fine egli l’ha cambiato da un comandamento negativo, «non
procurarti un gran numero» di cavalli, mogli e denaro, in un comandamento
positivo, dando a se stesso l’ordine divino che avrebbe potuto «procurarsi gran
numero» di cavalli, mogli e denaro. Egli ha «portato a compimento» il verso
secondo la sua versione riveduta. Tutto questo è stato possibile attraverso una
«sapiente» interpretazione biblica. La potenza straordinaria dell’esegesi non
dovrebbe mai essere sottovalutata. Questa leggenda si riferisce all’abilità del
re Salomone di abrogare e portare a compimento la Torà attraverso la propria
interpretazione. Questo esempio della letteratura rabbinica dimostra che
rimuovere anche uno iota o un apice da un verso potrebbe fare in modo che la
Torà venga abolita. Quando Gesù ha usato le parole «Torà», «abrogare» e «portare
a compimento», la gente sarebbe andata subito col pensiero alla interpretazione
corretta. Quando uno studia con attenzione il contesto delle
parole di Gesù, «Non pensate che io sia venuto ad abrogare la legge o i
profeti; io non sono venuto per abrogare, ma per portare a compimento»,
diventa chiaro che egli si sta occupando di quello che noi oggi chiamiamo
Vecchio Testamento e della sua corretta interpretazione. Le parole «Voi avete
udito che fu detto dagli antichi» introduce una citazione (Mt 5,21). Per
esempio, Gesù cita un brano dei Dieci Comandamenti: «Non uccidere». Il
significato letterale del comandamento si riferisce all’effettivo versamento di
sangue. Ma l’interpretazione di Gesù va oltre la lettera del comandamento e si
eleva a un livello più alto di santità. Se uno si adira contro il suo fratello,
si è incamminato su una strada pericolosa. Un rabbino ha detto che se uno viola
una comandamento secondario, come il divieto di adirarsi, ciò può condurlo alla
trasgressione di un comandamento primario, come il divieto di uccidere. Inoltre,
negli insegnamenti di Gesù, se uno insegna agli altri di trasgredire anche un
comandamento minore (in ebraico kal), cioè, «uno di questi minimi
comandamenti» (Mt 5,19), quelli che vengono considerati secondari, sarà
chiamato minimo (in ebraico kal) nel regno dei cieli. Quando qualcuno
viola un comandamento minore (kal), inizia a percorrere una strada che lo
condurrà a una violazione più grave (in ebraico chamor, «pesante o
maggiore). I rabbini hanno messo in confronto le leggi maggiori o pesanti (chamor)
come i Dieci Comandamenti, con altri che potevano essere considerati minori (kal).
Nel Sermone sul Monte, Gesù confronta i comandamenti secondari con quelli
principali. La sensualità può essere considerata una violazione secondaria, ma
essa conduce all’adulterio. L’ira porta all’omicidio.
I rabbini impiegano questo metodo di esegesi per la
loro interpretazione della Bibbia. Dio ha dato la Torà al popolo che, per la
loro riverenza nei suoi confronti, hanno studiato i suoi vitali comandamenti per
la vita quotidiana. La menzione di leggi leggere (kal
minore) e pesanti (chamor maggiore) della Torà appare in un
commentario giudaico sul libro del Deuteronomio. Nel loro «timore del peccato» e
desiderio di una vita santa, i rabbini hanno spiegato il modo in cui l’ira può
portare all’omicidio: «Se un uomo odia il suo prossimo, gli tende un agguato, lo
aggredisce e lo ferisce a morte» (Dt 19,11). Da ciò è stato dedotto: se un uomo
ha trasgredito un comandamento leggero (kal), egli alla fine trasgredirà
un comandamento pesante (chamor). Se egli ha trasgredito il comandamento:
«Amerai il tuo prossimo come te stesso» (Lv 19,18), egli infine
trasgredirà il comandamento: «Non farai vendetta e non serberai rancore»
(Lv 19,18), e il comandamento: «Non odierai il tuo fratello» (Lv 19,17),
e il comandamento: «Il tuo fratello vivrà presso di te» (Lv 25,36) — ed
alla fine sarà portato a commettere l’omicidio. Quindi è detto: «Se un uomo odia
il suo prossimo, gli tende un agguato, lo aggredisce…»
(A Tannaitic Commentary on the Book of Deuteronomy
[Yale University, New Haven 1986]).
La base della spiegazione si trova in Dt 19,11. La
progressione dell’azione è data dalla sequenza dei verbi, «Se un uomo
odia il suo prossimo, gli
tende un agguato, lo
aggredisce
e lo ferisce a morte», ha
logicamente suggerito ai rabbini che di solito un peccato maggiore sia il
risultato di una serie di torti minori. Quindi, uno deve fare attenzione a non
trasgredire il minimo comandamento perché il pericolo è troppo grande. Il primo
peccato condurrà a un altro ancora più grave del precedente. Il timore di
peccare deve portare una persona a rispettare il comandamento più «leggero» con
la stessa determinazione di quanto fa con il comandamento più «pesante».
Il Sermone sul Monte nell’Evangelo di Matteo contiene
le parole di Gesù che riguardano la corretta interpretazione biblica. Che Gesù
ha portato a termine (adempiuto) la Torà non significa certamente che non ci sia
più la proibizione dell’adulterio e dell’omicidio. Le parole di Gesù mettono il
significato della Torà su un livello più alto di rettitudine. Uno deve
abbandonare tutto il male, anche il peccato minore, perché una volta che una
persona intraprende il cammino della trasgressione apparentemente
insignificante, non può stabilire quale sia il limite di questo male. La
concupiscenza conduce all’adulterio. L’ira porta all’omicidio. Uno deve
ricercare il livello più alto di rettitudine in tutti gli aspetti della propria
vita. Gesù non ha abrogato la Torà. Egli l’ha messa su un piedistallo più solido
interpretandola correttamente. Il giudaismo di Gesù, l’analisi dei rapporti tra gli
Evangeli Sinottici, i semitismi del testo greco e la lingua ebraica hanno molto
da dirci sulla sua vita e i suoi insegnamenti. Nella sua prima venuta egli è
venuto come salvatore e insegnante. Come servo sofferente egli è morto in croce.
Ha promesso ai suoi discepoli che sarebbe ritornato.
Sfortunatamente, i suoi insegnamenti sono oggi
raramente studiati o praticati. L’urgenza della chiamata di Gesù per un
discepolato attivo nel regno è oggi alquanto pertinente per un mondo con tanta
sofferenza umana, sebbene possa essere sentito come un fastidio da alcuni. Gesù,
con i suoi insegnamenti, continua a sfidare tutti quelli che hanno orecchi per
ascoltare.
Per l’approfondimento si vedano in Nicola Martella,
Manuale Teologico dell’Antico Testamento (Punto°A°Croce, Roma 2002), i
seguenti articoli: ▪ «Insegnamento, istruzione», pp. 187s; ▪ «Legge di Mosè», p.
212; ▪ «Legge: origine», pp. 213s.
In Nicola Martella, «E voi, chi dite ch’io sia?»,
Offensiva intorno a Gesù (Punto°A°Croce, Roma 2000), si veda particolarmente:
«L’insegnamento di Gesù», pp. 54-67. |
► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_Den/A2-Gesu_Tora_Ori.htm
12-04-2007; Aggiornamento: 02-07-2010
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