La lettura
del testo di Donato Mangia (ps.) [►
Lo stato del cuore di un carismaticista] m’ha fatto meditare sulla necessità di combattere secondo
le regole», come ricorda Paolo a Timoteo. A prescindere dai suoi contenuti,
che non credo utile controbattere perché tale lavoro è già stato effettuato, è
la forma dello scritto che m’ha fatto riflettere.
Innanzitutto, nonostante la tristezza di constatare tanto veleno in quelli che
pensano di detenere l’esclusiva dello Spirito Santo, mi rallegro del fatto che
diventa sempre più facile trovare la giusta via attraverso la giungla delle
opinioni e delle visioni dottrinali. Forse si realizza la parola Gesù tramite
l’angelo apocalittico: «Chi è ingiusto sia
ingiusto ancora; chi è contaminato si contamini ancora; e chi è giusto pratichi
ancora la giustizia e chi è santo si santifichi ancora» (Ap 22,11).
Ricordo decenni fa, quando a fronte dei risultati che apparentemente venivano
prodotti in seno a certe comunità carismaticiste, dove agivano credenti sinceri
e seri, restava difficile capire perché una dottrina sarebbe stata errata se
produceva del bene in risposta alla fede di figli di Dio umili e fedeli. Nello
stesso tempo, quelli che rispettavano il «non
oltre quel che è scritto» per mantenere il primato delle Scritture
sull’esperienza, restavano a volte perplessi davanti al fatto che in loro la
potenza di Dio sembrava voler serbare l’incognito, e pur agendo in profondità
nei cuori e trasformando le vite, non mostrava la le stesse manifestazioni di
potenza in risposta a una fede altrettanto sincera.
Si sarebbe detto che in quegli anni, dal ‘70 fino al ‘90 all’incirca del secolo
scorso, la potenza di Dio (o per lo meno, una certa forma di potenza: non quella
della pietà che cambia il cuore, ma quella sovrannaturale che può cambiar le
circostanze) si manifestava soprattutto là dove all’esperienza veniva
riconosciuta un’autorità superiore alla Parola. In quel tempo la fede di molti
evolse e s’approfondì, per certi nella Parola, per altri nei prodigi; per alcuni
nel Signore, per altri nella propria fede... Mentre per altri ancora, instabili
perché guidati dal loro sentire, il cammino divenne scabroso di dubbi e
delusioni: molti «persero la fede», o meglio persero quel tipo di fede che non
si fondava su una Persona, ma sui vantaggi che ne potevano derivare.
Furono gli anni del dopoguerra, della ripresa economica dai lauti guadagni, e
della contestazione globale, e dell’affrancamento dai divieti e dai limiti. Fu
il tempo in cui s’iniziò a passare dallo scritto all’immagine, dal progressivo
all’immediato, dal collettivismo all’individualismo... Era impossibile che tutto
ciò non contaminasse la metodologia stessa del nostro credere.
Infatti, molte cose s’invertirono. Se prima la fede sapeva che la verità produce
prima o poi un frutto, da allora in poi quel che pareva produrre un frutto
diventava subito vero; e se da sempre la speranza in Cristo s’era basata sulla
fede in Lui, da quel tempo molti presero a basare la loro fede sulla
realizzazione delle proprie speranze. Allora non ci fu più Cristo al centro, né
le Scritture, né il ravvedimento; ma uno Spirito Santo che lo metteva in ombra,
visioni e lingue soggettive, e una ricerca compulsiva d’autorealizzazione.
In definitiva, dal centro del suo universo l’uomo tolse Dio, e mise se stesso.
Chi opera nel campo della cura d’anime sa quanti credenti sinceri, dopo essersi
infiammati in eruzioni d’entusiasmo, finirono delusi e muti come vulcani spenti.
Parrebbe come una malattia dell’infanzia dei nati di nuovo, una specie di
handicap spirituale. Si sbloccano solo quelli che riscoprono la liberazione
della croce e la centralità di Cristo: quelli ripartono, e sono vaccinati a vita
contro il misticismo cristiano di vario stampo.
Chi opera nel ministero dottrinale e ha cercato di confrontarsi dottrinalmente
con esponenti del movimento carismaticista, sa come a un certo punto il dialogo
s’incrina e si spezza perché l’ultima parola per il carismaticista spetta ai
fatti sperimentati e sentiti, e non alla Parola udita («Fatti e non Parola»:
questo è forse un criterio accettabile nel mondo, ma non nel Regno di Dio; Gal
1,8; 2 Cor 11,14).
Chi opera nell’evangelizzazione e ha cercato di cooperare con fratelli
carismaticisti in nome del «solo Signore, sola
fede, solo battesimo, solo Dio e Padre...», sa come diventa difficile
camminare insieme quando lo Spirito Santo sembra dover far premio sulla Signoria
di Gesù; la sensazione di pienezza, sulla fertile tristezza del ravvedimento; e
le visioni profetiche e le lingue incomprensibili, sul chiaro testo delle
Scritture.
Molti, come me, vissero quegli anni un po’ in ritiro cercando di stare entro i
limiti definiti dalla Parola, e nonostante le apparenze destabilizzanti — e una
certa frustrazione di non vivere quelle sensazioni tanto alla moda — cercarono
di camminare seguendo le indicazioni della Parola, «lampada
al nostro piede» e non fuoco d’artificio.
Perché l’artificio c’era: e secondo quel che è scritto, alla fine le cose
iniziarono a mostrarsi nella loro vera luce. Come dice Paolo in 1 Tim 5,25-26, «di
alcuni uomini i peccati si manifestano prima, e d’altri dopo; così anche le
opere buone vengono alla luce, e quelle stesse che non sono tali non possono
rimanere nascoste».
Sono passati quasi cinquant’anni: ormai le cose si chiariscono. Dai movimenti
dei segni e dei prodigi, attraverso la «benedizione» di Toronto, per giungere a
certi deliri mistici del carismaticismo contemporaneo che attira ormai perfino
l’attenzione del Governo e di chi lotta contro le sette, l’inganno non riesce
più a nascondersi nelle pieghe della pietà discontinua d’uomini comunque fedeli;
perché lo sono sempre meno. Basta ormai consultare internet, per accedere
facilmente a fatti e verità che una volta erano terreno riservato ai soli
specialisti: ormai la verità viene a galla da sola.
E nel nostro caso, quel che la fa venire a galla qui, è lo stile stesso di
Donato Mangia (ps.), la cui arroganza mi rassicura perché in tutta quella lunga
dimostrazione di carnalità nessun credente sincero riesce più a trovare l’eco
della voce del Buon Pastore: anche a prescindere dai contenuti. E mi rassicura
constatare che il contenuto e la forma convergono; per lo meno, riconoscere il
frutto dello Spirito in un’opera o in uno scritto, diventa ormai un compito
elementare.
Che quindi ci sia dato di trarre insegnamento, a me e a tutti quelli che il
Signore ha chiamato al ministero della Parola! Allora questa corrispondenza non
sarà stata inutile. Anche a noi infatti, pur volendo essere fedeli al Signore,
può succedere di scivolare verbalmente: vegliamo quindi ancor più sul nostro
modo di dispensare la Parola e non solo sul suo contenuto! Ormai il compito di
discernere non è più così difficile come lo era all’inizio poiché questo tipo
d’invettive sono frequenti sul versante carismaticista.
Quanto allo Spirito vero, quello Santo, ricordo che il suo frutto è «amore,
gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, autocontrollo»:
eccolo, il formato autentico d’una vera «sana
dottrina» secondo le Scritture.
Sforziamoci d’essere trovati come «operai che non
hanno da essere confusi», non solo in merito alla nostra fedeltà alla
Parola, ma anche nel nostro modo d’esprimerci: «con
dolcezza e rispetto» come ricorda Pietro (1 Pt 3,15). Allora sarà sempre
più facile per chi, ancora instabile, stupisce davanti alle luci della seduzione
e ai miracoli bugiardi degli Iannè e Iambrè d’ieri (2 Tm 3,8) e d’oggi,
comprendere dov’è la verità del Dio che parla «con
voce dolce e sommessa». Perché, com’è scritto in Ecclesiaste 9,17, «le
parole calme dei saggi s’ascoltano più delle grida di chi domina fra i pazzi».
Con infinita riconoscenza per Colui che, pur essendo il Logos Onnipotente, si
presentò a noi come «mansueto e umile di cuore»
(Mt 11,29).
Erik Benevolo è anziano di una chiesa
dei Fratelli in Cannes La Bocca (Francia). Egli ha un ministero d’insegnamento e
pastorato, con esperienze anche nel campo carismaticista. |
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Parlando del cuore di un carismaticista (1) {Nicola Martella} (T)
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Parlando del cuore di un carismaticista (2) {Nicola Martella} (T)
Nota redazionale: A distanza di molti anni, ho ricevuto la
seguente lettera: Caro Nicola, in passato, come credo ricorderà,
abbiamo avuto uno scambio epistolare di cui Le ho autorizzato la pubblicazione
integrale di alcune mie email in risposta a quanto lei scrisse riguardo a Bob
Hazlett. Di fronte ai suoi commenti a dir poco discutibili e che tuttora
biasimo, ammetto di aver espresso con toni sarcastici e coloriti il mio
dissenso, di cui faccio ammenda, la quale estendo anche a quei credenti della
chiesa dei fratelli che si sono sentiti offesi dalla mia reazione. Comunque, al
tempo della nostra diatriba ebbi l’occasione di spiegare e chiarire la mia
posizione con il defunto fratello Rinaldo Diprose, autorevole responsabile della
chiesa menzionata.
Poiché credo che tali conversazioni
non siano edificanti per la Chiesa, né utili per l’avanzamento del Regno di Dio,
e dato che sono state effettuate diversi anni fa e non sono più d’interesse per
nessuno, le chiedo, da fratello nel Messia, la cancellazione integrale dei
contenuti e dei conseguenti commenti. In attesa della sua risposta la saluto con
la pace del Messia. {28-06-2017}
Ricordo che io allora avevo «scolorito» un po’ i suoi termini offensivi, a
tratti pieni di coprofilia, per rendere un po’ più accettabili i suoi scritti
per il vasto pubblico. In seguito a tale lettera, per pietas cristiana,
ho deciso di dargli lo pseudonimo «Donato Mangia (ps.)», dietro cui si nasconde
detta persona reale, che conosceremo solo noi due.
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► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_Den/A2-Carismaticista_stile_EnB.htm
09-11-2007; Aggiornamento: 03-07-2017
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