Un taglio netto alle convenzioni anti-bibliche e pseudo-bibliche, all'ignoranza e alle speculazioni — Ein klarer Schnitt zu den anti-biblischen und pseudo-biblischen Konventionen, zur Unwissenheit und den Spekulationen — A clean cut to the anti-biblical and pseudo-biblical conventions, to the ignorance and the speculations — Une coupe nette aux conventions anti-bibliques et pseudo-bibliques, à l'ignorance et aux spéculations — Un corte neto a las convenciones anti-bíblicas y pseudo-bíblicas, a la ignorancia y a las especulaciones

La fede che pensa — Accettare la sfida nel nostro tempo

«Glaube gegen den Strom»: Für das biblische Unterscheidungsvermögen — «Faith countercurrent»: For the biblical discernment — «Foi contre-courant»: Pour le discernement biblique — «Fe contracorriente»: Por el discernimiento bíblico

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Šabbât

 

Cristianesimo giudaico

 

 

 

 

Il sabato, l’anno sabbatico e il giubileo.

 

Ecco le parti principali:
■ Il patto, l'etica e il pensiero sabbatico
■ Il sabato nell’Antico Testamento, nel giudaismo, nel Nuovo Testamento e relative questioni odierne
■ L’estensione del sabato: l’anno sabbatico e lo jôbel nella Torà e nella storia
■ L’ideale e le funzioni teologiche risultanti
■ Excursus: Storia del giubileo cattolico
■ Le feste principali in Israele.

 

► Vedi al riguardo la recensione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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IL TEMPO DELLO ŠABBĀT?

 

 di Nicola Martella

 

Entriamo in tema

     A me che ho insegnato per più di due decenni esegesi della Genesi, il termine toledot è comprensibile, essendo una delle parole chiave di questo libro. Trovarlo come titolo di una rubrica nel mensile «Oltre» mi è sembrato un po’ singolare. Infatti il termine toledot significa etimologicamente «produzioni» e cioè nel senso di «riproduzioni, filiazioni, procreazioni, proliferazioni». A caldo mi sono chiesto che cosa avesse a che fare una tale rubrica con la genetica o, in senso lato, con le genealogie. Anche a freddo rimane un’incognita. Forse l’autrice intende suggerire la «giudaicità» del pensiero cristiano nel senso che il cristianesimo sia pur sempre una filiazione del giudaismo!?

     L’articolo che vorrei commentare è «Il tempo dello Shabbat», apparso nel numero di luglio 2007 di «Oltre», p. 29. Devo ammettere che dopo essere arrivato alla fine di tale apologia dello šabbāt, avrei volentieri girato il foglio per vedere le implicazioni che esso ha nel nuovo patto, ma la firma in calce di Deborah D’Auria mi rendeva chiaro che tutto finiva lì. Devo ammettere che sono rimasto perplesso, sì deluso.

 

Sintesi dell’argomentazione

     L’autrice parte dalla problematica del tempo nel mondo moderno con i suoi ritmi. Poi passa a parlare della «scansione della vita liturgica» e del «ritmo interno della esistenza ebraica». Al riguardo scomoda continuamente A.J. Heschel, che lei definisce «uno dei massimi pensatori ebrei del Novecento».

     Poi l’autrice passa a spiegare l’etimologia e la genesi del termine shabbat (cessare; Gn 2,2s); la semplice enumerazione dei «giorni di sabbia» che scorrono verso lo šabbāt, unico giorno con un nome; i confini di ogni giorno (dal un tramonto all’altro). Poi passa a descrivere il cerimoniale sabbatico domestico dei Giudei: le due candele accese dalla donna, le quali dovrebbero ricordare la doppia ingiunzione sabbatica (Es 20,8; Dt 5,12); la recita del qiddush da parte dell’uomo con vino e due pani (a ricordo della doppia razione della manna nella vigilia). Poi ricorda la norma del sabato nel Decalogo che si riferisce a tutte le categorie e mostra il Dio della liberazione. Evidenzia che riposo non è ozio, ma studio della Torà e preghiera.

     La prima cosa singolare è che — mentre in Es 20,8 è scritto «ricordati del giorno dello šabbāt», ossia poni mente a esso e non lo toglierlo dal tuo uso (zakar è sempre il ricordare fatti successi oppure persone passate o presenti)  — l’autrice scomoda Rabbi Nachaman di Breslavia per asserire «il ricordo del mondo futuro» (?). Nella Bibbia il futuro non viene «ricordato», ma «atteso». Ad esempio, Gesù comandò di fare la nuova pasqua in sua memoria (o ricordo; 1 Cor 11,24). Paolo aggiunse che ciò significa annunziare la «morte del Signore, finché egli venga» (v. 26). Come si vede il ricordo mira a fatti passati, l’attesa a quelli futuri.

     Poi l’autrice si spinge a teorizzare che lo Shabbat, ossia il suo festeggiamento, sia «anticipazione dei tempi messianici» (appellandosi al Talmud, ritiene pure che questi ultimi siano un «Sabato eterno»); quindi osservando il sabato giudaico, si attua «il tentativo di anticipare l’armonia tra uomo e uomo, tra uomo e natura». Certo viene da chiedere: è qual è l’implicazione per il cristianesimo oggi?

     La seconda cosa singolare è che l’autrice conclude il suo articolo, scomodando nuovamente Heschel, per dire: «Il mondo senza Sabato sarebbe un mondo che ha conosciuto solo se stesso; sarebbe scambiare Dio per una cosa, sarebbe l’abisso che lo separa dall’universo; un mondo senza una finestra che dall’eternità si apra sul tempo». Mi viene da chiedere: le cose stanno veramente così? Ma di che cosa stiamo parlando come cristiani, gente del nuovo patto?

 

Osservazioni e obiezioni

     Oltre a quanto già accennato sopra, valga quanto segue. L’interessante articolo di Deborah D’Auria finisce improvvisamente con una frase a effetto di Eschel che lascia molti inquietanti e irrisolti interrogativi. Mancando l’altra parte della medaglia, ossia le implicazioni per il nuovo patto, tale articolo potrebbe essere stampato su una rivista tipo la sabbatista «Avvento» o la giudaica «Menorah» e non farebbe lì una grinza. Su una rivista cristiana, così come sta, è teologicamente inconcludente e rappresenta una molteplice trappola, sebbene inconsapevole all’autrice e al direttore della rivista «Oltre».

     L’articolo è teologicamente inconcludente (e deludente) poiché passa sopra a millenni di storia e di teologia, come se non ci fosse stato uno sviluppo, non ci fossero stati l’avvento del Messia-Re e l’istituzione del nuovo patto, non ci fossero stati Pentecoste e l’inizio dell’assemblea messianica, non ci fossero stati dibattiti in seno alle chiese del primo secolo riguardo al sabato e nemmeno decisioni in merito. Riprenderemo sotto questi aspetti.

     L’articolo rappresenta una molteplice trappola ideologica (probabilmente inconsapevole, almeno si spera) perché fa semplicemente l’apologia sabbatista senza alcuna differenziazione e senza mostrare le implicazioni per la gente del nuovo patto, ad esempio per i cristiani gentili. La trappola ideologica di tale articolo ha i seguenti contorni.

     ■ L’articolo rafforzerà gli Avventisti militanti nella loro convinzione che l’osservanza giudaica del sabato sia cosa giusta anche nel nuovo patto per i credenti delle nazioni. Nel giudaismo si dà all’osservanza dello šabbāt quasi contorni salvifici; si veda la citazione di Heschel. Gli Avventisti, almeno quelli militanti, — ringraziando l’autrice — si sentiranno vieppiù incoraggiati nella loro missione di sabbatizzare il cristianesimo.

     ■ L’articolo rafforzerà nelle loro convinzioni anche i cosiddetti «cristiani messianici» e i loro simpatizzanti militanti (i sionisti cristianizzati) che la loro osservanza sabbatica sia quella originale del cristianesimo e che bisogna quindi diffonderla nel resto del cristianesimo.

     ■ L’articolo confonderà le idee a tanti cristiani che ora non sapranno che cosa fare, se devono anch’essi chiedere alla moglie di accendere due candele il prossimo sabato e informarsi come recitare correttamente il qidduš. Ho conosciuto alcuni cristiani con tale «insalata mista» in testa fatta di Bibbia e Talmud. Uno dei risultati di ciò è che poi siffatti cristiani nutrono in sé del continuo un senso di colpa o una coscienza sporca riguardo al fatto presunto di non stare facendo ciò che Dio chiede ai cristiani, ossia l’osservanza giudaica delle norme sabbatiche e di altre simili.

     ■ L’articolo proietterà in tanti altri cristiani la malsana idea che tutto ciò si possa tradurre in un «sabato cristianizzato», ossia nella domenica. Essi si illuderanno così che Dio abbia veramente comandato in modo chiaro ed esplicito tale «sabato domenicale» alla chiesa. Il risultato è la sabbatizzazione di un altro giorno, ossia la ritualizzazione della domenica. Che i cristiani decidano di dedicare al Signore un giorno, qualunque esso sia, può essere nobile; ma non si cerchi al riguardo una chiara ingiunzione biblica nel nuovo patto, perché semplicemente non c’è.

     Trovo nobile e appropriato quanto Elpidio Pezzella affermi nell’editoriale dello stesso numero di «Oltre» (p. 3) a proposito del «giorno di risposo», differenziando opportunamente; ma anch’egli prende per scontato tale logica del «“giorno dedicato” al Signore», senza differenziare tra ciò che il NT afferma al riguardo (Rm 14) e l’uso corrente delle chiese (domenica quale «giorno del Signore»). Infatti anch’egli non si è accorto della possibile trappola ideologica che sta alla base dell’articolo in esame, quando lo presenta in modo indifferenziato con queste parole: «Nella rubrica Toledot di questo numero, la dott.ssa D’Auria ci propone il significato dello Shabbat, lo spirito e l’atteggiamento con cui gli ebrei vivono il “giorno del riposo”, un giorno dedicato a Dio». Egli continua semplicemente cristianizzando le parole dell’autrice e applicando tutto ai cristiani, parlando della «festa da santificare, il giorno da dedicare al Signore», ossia il sabato domenicale. A sua difesa aggiungo che poi egli si sofferma sul «giorno», ribadendo: «Grazie a Dio, migliaia di persone non dedicano solo “un” giorno al Signore, ma l’intera settimana».

 

Come dicevo all’inizio, alla fine dell’interessante articolo dell’autrice, ogni conoscitore della Bibbia, studioso o teologo rimane perplesso e deluso. Infatti, cercando il proseguo dell’articolo con le implicazioni del nuovo patto, non lo trova. Tutto finisce come apologia dello šabbāt giudaico!

     L’autrice non accenna neppure alle faticose diatribe di Gesù con scribi e farisei sullo šabbāt, a cui rivolse pesanti accuse a causa della loro ristrettezza mentale e della loro lunga casistica arbitraria su ciò che in tale giorno si potesse fare o meno! Non si accenna a questa presa di posizione del Messia-Re: «Il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato; perciò il Figlio dell’uomo è Signore anche del sabato» (Mc 2,27s).

     L’autrice non accenna neppure alle faticose diatribe intercorse nelle chiese del primo secolo fra i giudaizzanti e i non-giudaizzanti a proposito dello šabbāt e della loro imposizione anche ai cristiani gentili. Non accenna alla decisione storica presa nel concilio interecclesiale di Gerusalemme (At 15), in cui si decise in comune accordo e convinti dallo Spirito Santo di non dover imporre in alcun modo la Legge mosaica ai cristiani delle nazioni, ma di prescrivere solo quattro precetti (vv. 19s) per non scandalizzare gli Ebrei presenti in tutto l’impero romano con le loro sinagoghe (v. 21). Tra tali precetti non figura assolutamente lo šabbāt!

     L’autrice non accenna neppure alla faticosa impresa di Paolo di conciliare fra di loro i gruppi cristiani di estradizione giudaica e quelli di estradizione gentile, presenti in Roma (Rm 14). I cristiani giudaici osservavano il «giorno», ossia tutte le ricorrenze giudaiche, chiamate šabbāt (sabato settimanale, noviluni, feste comandate dalla Torà e altre nate durante la storia). Per i cristiani gentili, invece, tutti i giorni erano uguali (v. 5), ossia non avevano nessun giorno speciale da osservare, per loro non c’era un «sabato cristiano» (la «domenica» fu introdotta molto tempo dopo!). L’apostolo dichiara legittime ambedue le posizioni; ciò era possibile perché c’era stata la decisione storica di At 15! I cristiani giudaici potevano continuare a osservare lo šabbāt, se volevano; i cristiani gentili potevano continuare a ritenere tutti i giorni uguali (cfr. Rm 14,6.22). Diverse epistole sono piene d’invettive contro coloro che volevano costringere ai credenti gentili lo šabbāt e le altre prescrizioni (cfr. Gal 4,10s; Col 2,16).

 

Alcune conclusioni

     Ritengo che Deborah D’Auria abbia agito in buona fede, non rendendosi conto delle implicazioni e delle conseguenze per aver lasciato monco il suo articolo. Anche il non dire e il non spiegare sufficientemente può però diventare, volenti o nolenti, un atteggiamento ideologico e rappresentare una «trappola» per altri. Probabilmente neppure il direttore della rivista, Elpidio Pezzella, se n’è reso conto, conoscendolo come uomo accorto.

     Le mie osservazioni hanno voluto dare un segnale d’avvertimento e costituire l’altra parte della medaglia, che purtroppo manca nell’articolo. Esse vogliono essere altresì un monito a esercitare maggiore discernimento nella rubrica «Toledot». Si possono dire cose giuste oppure più o meno condivisibili su un certo piano e, nonostante ciò, lanciare messaggi sbagliati e costruire degli skandalon, assicelle che se mosse fanno scattare la trappola sugli ignari.

     Termino parafrasando secondo lo spirito del nuovo patto quanto asserito da Heschel: «Il mondo senza Gesù quale Messia-Re è un mondo che ha conosciuto solo se stesso e non il Dio della salvezza; sarebbe scambiare Dio per una cosa lontana e indistinta, sarebbe l’abisso che lo separa dalla salvezza; sarebbe un mondo senza il Mediatore che dall’eternità garantisce la salvezza nel tempo». È così che devono parlare i cristiani, gente del nuovo patto! Tutto il resto può diventare idolatria, compreso lo šabbāt, sia esso quello giudaico o il «sabato domenicale».

 

Per l’approfondimento cfr. Nicola Martella, Šabbât (Punto°A°Croce, Roma 1999). Si vedano qui specialmente i seguenti articoli: «Il sabato nel Nuovo Testamento», pp. 36ss; «Questioni intorno al sabato ebraico», pp. 46ss; «La questione della domenica», pp. 57ss.

 

Il tempo dello šabbāt? Parliamone

 

► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_Den/A1-Tempo_shabbat_Sh.htm

11-08-2007; Aggiornamento: 02-07-2010

 

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