Quanto qui segue premette la lettura del confronto fra un lettore avventista e l'autore
nell'articolo «
Avventismo e legge mosaica nel nuovo patto», quindi le risposte date
dall'ultimo al suo interlocutore. Si premette inoltre quando detto dall'autore
in risposta ai lettori all'interno del tema di discussione «
Avventismo e legge mosaica nel nuovo patto? Parliamone». Partiamo dalla premessa che «Il Signore conosce quelli che
sono suoi» (2 Tm 2,19). Inoltre mettiamo a capo di tutto il fatto che «il
regno di Dio non consiste in vivanda né in bevanda, ma è giustizia, pace e
allegrezza nello Spirito Santo» (Rm 14,17), e ciò vale anche per il «giorno»
(v. 5).
Personalmente non credo che all’interno del nuovo patto sia stato ingiunto un
giorno da osservare e che la «legge di Cristo» (1 Cor 9,21; Gal 6,2; o dello
Spirito, Rm 8,2) lo preveda; neppure il Concilio di Gerusalemme ha contemplato
una tale evenienza e obbedienza. Personalmente, basandomi su Romani 14, essendo
tra quelli che stimano «tutti i giorni uguali» (v. 5), non ho problemi
che gli uni (avventisti, giudei cristiani) osservino come «giorno» lo šabbāt
o sabato, e che gli altri osservino la domenica o un altro giorno. Altra cosa è
affermare che il NT comandi un giorno da osservare! Infatti, una tale evenienza
non può essere tratta da brani descrittivi, ma dev’essere comandata con una
chiara ingiunzione nelle parti ingiuntive del NT, ad esempio come segue:
«Ricordatevi del giorno del riposo (sabato, domenica, altro) per santificarlo»;
oppure, ricalcando 1 Cor 14,34: «Come si fa in tutte le chiese dei santi,
osservate il sabato (o la domenica o altro), perché non è permesso di fare
altrimenti, come dice anche la legge».
Il luogo ideale, in cui ribadire ciò sarebbe stato proprio il l Concilio
interecclesiale di Gerusalemme, in cui fu affrontata la questione
dell’ubbidienza alla legge mosaica (di cui il Decalogo ne è la base) da parte
dei cristiani Gentili (At 15). In tale clima rovente, i dignitari della chiesa
avrebbero potuto fare un’eccezione per il Decalogo, ma non la fecero. Nella
lettera che essi scrissero, cominciarono con le seguenti parole: «È parso
bene allo Spirito Santo e a noi di non imporvi altro peso all’infuori di queste
cose, che sono necessarie» (v. 28). Lì sarebbe stato il luogo ideale per
elencare i «Dieci Comandamenti» o almeno di mettere il seguente riferimento:
«Oltre al Decalogo, vi ingiungiamo che…». O almeno avrebbero potuto mettere al
primo posto lo šabbāt e poi le altre cose (v. 29; 21,25). Ma non si legge nulla del genere. [►
Il Decalogo]
Inoltre per rigore di logica, se un giorno fosse stato chiaramente comandato nel
nuovo patto e ai cristiani gentili, Paolo sarebbe stato in grave contraddizione
logica e teologica nello scrivere ai cristiani giudei e gentili di Roma:
«L’uno stima un giorno più d’un altro; l’altro stima tutti i giorni uguali;
sia ciascuno pienamente convinto nella propria mente» (Rm 14,5). Dove c’è un
chiaro comandamento nel nuovo patto, non si può scrivere «sia ciascuno
pienamente convinto nella propria mente» né si può lasciare al singolo se
avere o meno riguardo di qualcosa (v. 6; giorno, legge alimentare). Nel caso di
una incontrovertibile ingiunzione, bisogna ubbidirla e non si può parlare di
giudicare o disprezzare il proprio fratello, che non fa come noi ci aspettiamo
(v. 10). Infatti l’ubbidienza al chiaro comandamento mostra chi è ortodosso o
meno; dove però qualcosa è lasciata alla coscienza del singolo e viene
raccomandato di non scandalizzare il fratello imponendogli la nostra convinzione
o essendogli motivo di caduta rispetto alla sua convinzione (vv. 12s), significa
che non vi è una chiara ingiunzione e che anzi vi è libertà in tale cosa. Il
«privilegio» (v. 16) e la «convinzione» (v. 22) dell’uno non sono sentiti come
tale dall’altro (v. 23). Si ragiona così solo laddove non c’è un chiaro
comandamento riguardo a giorno da osservare e cibi da mangiare, cosicché ognuno
può fare secondo la propria sensibilità religiosa, la propria convinzione
culturale e la propria coscienza. Laddove c’è una chiara ingiunzione, non si
ragiona così, ma rispetto a un comandamento gli uni vengono dichiarati
ubbidienti (giusti) e gli altri disubbidienti (trasgressori).
La «legge di Cristo», base del nuovo patto, permette quindi ai cristiani giudei
di vivere la loro cultura religiosa e ai cristiani gentili di non vivere secondo
tale tradizione. Come abbiamo visto, il problema di comunione nasce
quando questi due «contenitori» vengono a rapportarsi insieme; allora può
nascere il sospetto (e il disprezzo) da parte dei giudei cristiani che i
cristiani gentili siano contaminati, perché non osservano il giorno e mangiano
di tutto; dall’altra parte, i cristiani gentili possono considerare i cristiani
giudei come dei «fissati» e comportarsi con superbia verso chi è «debole
nella fede» (Rm 14,1s) e tali «debolezze dei deboli» (Rm 15,1).
Di là dal fatto che ciascuno possa essere «pienamente convinto nella propria
mente» se osservare o meno un giorno particolare (v. 5) o se mangia tutto o
meno, bisogna tener presente che, comunque l’altro agisca in tali cose, egli «lo
fa per il Signore» (v. 6) e non spetta a noi prescrivergli diversamente o
farlo cadere in fallo rispetto alla sua convinzione (vv. 13s.23), magari
ponendogli un trabocchetto (vv. 20s).
Paolo si comportò per diversamente verso coloro che non solo avevano convinzioni
particolari riguardo al «giorno» e alla legge mosaica, ma ne facevano una
militanza e una ragione d’essere; a dargli tale base di ortodossia fu
proprio il Concilio interecclesiale di Gerusalemme, che contrastò con veemenza
le richieste dei giudaizzanti verso i cristiani gentili (At 15,1.5.24). Al
riguardo Paolo ammonì severamente i Galati, i Filippesi e i Colossesi e si
scagliò con vigore e violenza contro i giudaizzanti e le loro richieste. Una di
tale richieste era appunto che i cristiani gentili osservassero il calendario
liturgico giudaico, cosa che Paolo chiamò «deboli elementi»; gli stoicheia
erano considerati gli «elementi dominanti» dell’esistenza e del mondo (Col
2,8.10 «elementi [dominanti] del mondo»), ad esempio gli astri, le leggi, le
tradizioni e i costumi. Egli li degradò a «deboli e poveri», quando affermò con
costernazione e delusione: «…come mai vi rivolgete di nuovo ai deboli e
poveri elementi, ai quali volete di bel nuovo ricominciare a servire? Voi
osservate giorni e mesi e stagioni e anni. Io temo, quanto a voi, d’essermi
invano affaticato per voi» (Gal 4,9ss). Essendo morti con Cristo a tali
«elementi [dominanti] del mondo» (Col 2,20), i cristiani possono sottrarsi ai
precetti religiosi degli uomini (vv. 21ss); perciò Paolo poté raccomandare a chi
è stato immerso nella morte e nella risurrezione di Cristo (vv. 12s), quanto
segue: «Nessuno dunque vi giudichi quanto al mangiare o al bere, o rispetto a
feste, o a noviluni o a sabati, che sono
l’ombra di cose che dovevano avvenire; ma il corpo è di Cristo» (vv.
16s).
Perciò una cosa era il rispetto dei cristiani gentili verso i cristiani
giudei (Rm 14), a cui non è stata richiesta l’ubbidienza della legge mosaica o
del Decalogo (Costituzione della teocrazia d’Israele e legge di base; At 15;
21,25); altra cosa è la coercizione religiosa e la sudditanza psicologica
verso i tentativi di giudaizzazione da parte di chicchessia e
dell’assoggettamento sotto precetti religiosi non comandati da Dio ai cristiani
gentili.
Paolo e gli altri apostoli non ingiunsero la legge mosaica né il
Decalogo. Essi trassero dall’AT insegnamenti e principi morali (Rm 15,4); si
noti però che una cosa è l’ingiunzione di una legge (una norma vale quanto
l’altra; l’infrazione porta all’esecuzione della pena all’interno di un sistema
teocratico, dove la legge religiosa è altresì la legge di Stato); altra cosa
sono i principi morali desunti dall’AT (qui vale solo ciò che è in accordo con
le direttive della «legge di Cristo» [Mt 5ss] e con i suoi insegnamenti — su cui
si basano le esortazioni e le ammonizioni del nuovo patto. È interessante notare
che in tutti i punti che la «nuova costituzione» recepì della «vecchia
costituzione», non è contemplata una chiara e incontrovertibile ingiunzione
riguardo a un giorno da osservare all’interno dei brani ingiuntivi o dottrinali!
Vorrei applicare tanto il principio di Paolo «pur essendo libero da tutti, mi
sono fatto servo a tutti… mi faccio ogni cosa a tutti» (1 Cor
9,19.22), ma esso era finalizzato solo all’evangelizzazione e al guadagnare
delle anime a Cristo (vv. 19-23). Non si può certo dire questo degli Avventisti
(«Il Signore conosce quelli che sono suoi»; 2 Tm 2,19). Paolo in Rm 14
non ha affrontato il caso in cui i cristiani gentili osservassero il «giorno»
(il calendario liturgico giudaico). Come abbiamo visto, dove parlò del «giorno»
con i cristiani gentili, lo fece con rimprovero e ammonizione verso di loro
(Gal) o mettendoli in guardia (Col).
Che dire però se gli Avventisti, pur essendo cristiani gentili, vogliono
osservare il «giorno»? Lo facciano; non spetta a me giudicarli, sebbene io
sia tra coloro per i quali «tutti i giorni sono uguali». Che dire, quando alcuni
Avventisti fanno del «giorno» un cavallo di battaglia e una discriminante per
l’ortodossia? Non avranno le mie simpatie, anzi disapproverò una tale ideologia.
Se ho
rispetto per i fratelli avventisti moderati, che vivono la loro devozione
sabbatica, verso gli avventisti militanti per ideologia non posso che avere lo
stesso fermo atteggiamento di Paolo verso i «falsi fratelli,
introdottisi di soppiatto, i quali s’erano insinuati fra noi per spiare la
libertà che abbiamo in Cristo Gesù, col fine di ridurci in servitù. Alle
imposizioni di costoro noi non cedemmo neppure per un momento, affinché la
verità dell’Evangelo rimanesse ferma tra voi» (Gal 2,4s).
■ Nicola Martella,
Šabbât (Punto°A°Croce, Roma 1999). Vedi qui particolarmente: «Il
sabato nel Nuovo Testamento», pp. 36-45; «Questioni intorno al sabato ebraico», pp. 46-50; «La
questione della legge», pp. 51-56; «La questione della domenica», pp. 57-60.
■ Nicola Martella (a cura di), Escatologia fra legittimità e abuso.
Escatologia 2 (Punto°A°Croce, Roma 2007). Vedi qui particolarmente: «Dall’Illuminismo
alla “gran delusione”», pp. 90-100; «Dall’avventismo al geovismo», pp. 108-113.
■ Nicola Martella, Esegesi delle origini,
Le Origini 2 (Punto°A°Croce, Roma 2006). Vedi qui particolarmente: «Il
settimo giorno e la conclusione [Gn] 2,1-4a», pp. 94-105. |
► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_Den/A1-Sabato_Decalogo_avvent_UnV.htm
08-07-08; Aggiornamento:
02-07-2010
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