1. Le tesi
{Roberto Castagnoli}
▲
Entriamo in tema
Avendo letto le riflessioni che avete pubblicato sul «carismaticismo», v’invio
questa nota di riflessione su questo argomento. Chi scrive proviene da una
chiesa pentecostale prima «chiesa apostolica in Italia» poi «chiesa apostolica
italiana», ovvero pentecostale, ma che ha rinunciato al «fondamentalismo». Oggi
mi sento più vicino alle chiese della Riforma nel modo di pensare e di leggere
la Bibbia, preferendo il «metodo storico-critico» di lettura pur
rimanendo convinto, che l’esperienza del battesimo nello Spirito Santo, così
come è vissuta nelle chiese pentecostali classiche, appartenga all’esperienza
cristiana, come s’evince dalla lettura del Nuovo Testamento e da esperienza
personale. Le mie sono semplici riflessioni d’un pentecostale, che si
basano sopratutto sull’esperienza; conoscendo personalmente dei gruppi
carismatici, non sono d'accordo che sia tutto da buttare, ma che convivano
aspetti positivi con molte derive pericolose, che vanno da pratiche
sciamaniche (intendo l’idea di liberare luoghi e città da poteri occulti, ecc.)
a credenze quali i peccati generazionali, ecc.
Le cose positive sono un culto meno formale, la profezia ad personam
può essere positiva; ma queste pratiche devono essere fatte con molto
discernimento. Nello stesso tempo, devo far notare che esiste un forte
«fondamentalismo» anche in chiese evangelicali, le quali interpretano quasi
tutta la Bibbia in «modo letterale», in modo particolare in riferimento
all’antico patto; quale sia il suo rapporto corretto storico-teologico rispetto
al nuovo, non è mai stato chiarito dal cristianesimo. Ed è fonte di molti
problemi, perché si va da un simbolismo al racconto storico-epico e mitico a
un’interpretazione fondamentalista, che traslittera con troppa facilità e senza
nessuna coerenza dettami che sono legati alla storia e come tali vanno
collocati.
L’eredità della Riforma e i movimenti di santificazione
La formula che abbiamo ereditato dalla riforma che sintetizza la sua eredità si
condensa nei principi noti come «sola fede, sola grazia, sola Scrittura».
Già dalle polemiche di Paolo nei confronti delle tendenze giudaico-cristiane e
del pericolo d’una deriva giudaico-legalista ci fa prendere atto che egli
insiste sul concetto che la grazia esclude per sua natura le opere, altrimenti
cesserebbe d’esserlo. Dopo la Riforma, l’anabattismo e poi i movimenti
pietistici riportano subito in primo piano l’antica questione. Il punto
saliente fu individuare immediatamente l’oggetto del contendere, ovvero in
sintesi Romani 7. Per i riformatori, il vecchio uomo, in conformità con
quanto afferma Paolo, convive con l’uomo nuovo (due leggi contrapposte che
convivono). Per l’anabattismo e i pietisti la nuova nascita è il superamento di
questa condizione, che ci presenta Romani 7, un superamento illusorio, come
anche la Parola e l’esperienza ci attestano (se diciamo d’essere senza peccato
inganniamo noi stessi). A tal proposito si racconta la storia d’un neofita che,
dopo due o tre settimane dal battesimo, ebbe a confessare: «Sapete fratelli,
forse il mio vecchio uomo sapeva nuotare!».
Ebbene quest’illusorio superamento della condizione di Romani 7 è fonte di
nevrosi per i credenti e per le chiese e alimenta derive «legalistiche», che
altro non sono, in accordo con quanto scrive Subilia, una variante della via
romana delle opere! La sola grazia non è più intesa come principio assoluto,
ma condizionato all’etica praticata dal gruppo.
L’eredità della Riforma tradita dalla deriva pentecostale carismatica?
Il
1906 è da quasi tutti riconosciuto come inizio del movimento che va sotto il
nome di «pentecostalismo», anche se nella storia della chiesa abbiamo avuto
molti precursori dello Spirito, da Montano (2° secolo d.C.) a
Gioacchino da Fiore (12°-13° secolo), che affermò che si era entrati
nell’«era dello Spirito», ai Gianseniti, ai Quaqueri, ecc. Essi credevano che si
era aperta o meglio riscoperta l’era dello Spirito. Sicuramente mancante, in
qualche modo, riguardo alla Riforma, sebbene non vada necessariamente a urtare
contro il principio della sola fede e della sola Scrittura, ma ne è la sua
naturale complementarietà, anzi conferma la stessa («quando sarà venuto lui, il
Consolatore»). Qualcuno dirà che era già venuto per la chiesa a Pentecoste; di
questo ce ne potremmo occupare in sede più opportuna, quello che interessa è
come si pone l’esperienza della Pentecoste in relazione alla Scrittura?
Sola Scrittura? Se siamo fedeli al principio, andiamo a rileggerci i fatti della
Pentecoste, descritti dal medico Luca negli Atti degli Apostoli! Come tutti
sappiamo, l’evidenza più tangibile e udibile era la Parola; essi
parlavano delle cose grandi di Dio. Quest’era ed è una profonda esperienza, che
si manifesta con una lingua o con lingue nuove, con un nuovo parlare. Luca,
raccontando l’accaduto, ci dice che Pietro comincio a «parlare» e fa subito
riferimento a vari passaggi della Parola veterotestamentaria, citando
specialmente il profeta Gioele e dando una chiave di lettura nuova alla luce dei
fatti accaduti e allo stesso tempo spiegandoli! Quindi abbiamo lo Spirito
che rimanda alla Parola. «Ora in quei giorni io manderò il mio Spirito…»; è la
Parola che spiega i fatti e rimanda all’esperienza della Pentecoste! La Parola e
lo Spirito interagiscono. La Parola ci attesta che Pietro era pieno di
Spirito Santo; sembra suggerire che più d’una predica fosse quasi un parlare
profetico. Un paio di capitoli dopo, davanti al Sinedrio, Pietro insieme con
Giovanni cita a memoria altri versi della Parola, la quale attesta che gli
uditori, videro che erano illetterati, cioè non sapevano né leggere ne scrivere;
era difficile per loro in queste condizione dar sfoggio a conoscenze bibliche al
pari dei rabbini. Probabilmente qui Luca scrive e riporta l’interpretazione che
la Chiesa primitiva o lo stesso Luca dava della Pentecoste; aveva riflettuto
sulle letture veterotestamentarie sia per la Pentecoste che per la resurrezione,
eccetera. Quindi la Pentecoste rimanda alla Scrittura. Allora si può domandare:
È l’esperienza che conferma la Scrittura o la Scrittura conferma l’esperienza?
Direi che è la Scrittura in quanto essa viene prima.
Il pentecostalismo è stato fedele a questo principio ribadito con forza dalla
Riforma? Direi di sì con alcune limitazioni: questo movimento ha amore per
la Parola, anzi un grande amore. Le limitazioni sono purtroppo quelle di leggere
la medesima non in modo sistematico, accogliendo la Parola come storia della
salvezza, ma soggettivizzandola in modo eccessivo e rifiutando ogni metodo di
lettura che non sia quello letterale. Eppure Luca ci dice che s’era informato
con cura, aveva fatto ricerche, aveva indagato, aveva sentito testimoni, aveva
insomma usato metodi che oggi diciamo d’indagine scientifica. Quindi non
s’accetta il metodo storico-critico, niente esegesi ed ermeneutica, anzi
avversione verso la cultura considerata sapienza mondana, dalla quale tenersi
alla larga.
Questi in breve, i limiti del rapporto con la Scrittura che molte volte si
ritiene di conoscere e d’interpretare in modo giusto, appoggiandosi
all’esperienza della Pentecoste («egli vi guiderà in tutta la verità»).
Nell’episodio di Filippo con l’eunuco è evidente che Filippo fosse guidato dallo
Spirito Santo. Eppure è detto. «Intendi quello che leggi? E come posso se
nessuno me lo spiega?». Capire e spiegare sono facoltà intellettive che
presumono anche studio, impegno, ricerca! Quindi l’azione dello Spirito
Santo interagisce e usa mezzi e limitazioni che la condizione umana c’impone.
Detto questo, vediamo che i tre principi della Riforma non sono più assoluti, in
qualche modo! Ma la deriva avviene e si realizza con il più recente
movimento carismatico. Attenzione pentecostalismo e movimento carismatico
non sono la stessa cosa. Potremmo semplificare le cose, dicendo che per i
carismatici in primo piano non ci sono il battesimo dello Spirito e i carismi o
doni dello Spirito, come è per i pentecostali, ma un forte misticismo
estatico che si manifesta con cadute o riposo nello Spirito. Qui il soggetto
può essere in spirito in altro luogo o prevalentemente avere visioni profetiche,
forti sensazioni di realtà spirituali, come vedere demoni, che disturbano la
quasi totalità dei non credenti e anche dei credenti, influenzandoli in modo
negativo e vivendo così una vera guerra spirituale, fatta di vittorie e
sconfitte e, a seconda del risultato delle medesime, si vive stati o periodi
d’euforia, di certezze e anche di spinte profetiche (vedi casi noti come Benny
Hinn); qui tali cose vengono poi smentite dai fatti e da modelli di vita poco
evangelici. Inoltre tali persone vanno soggetti a periodi di depressione,
alternati a stati euforici, risate convulse e tante altre stranezze, che non sto
qui a citare e che non ritengo utile commentare ulteriormente, lasciando il
passo caso mai agli esperti di psicologia e antropologia.
Quello che più fa preoccupare è ché l’esperienza
mistica o spirituale, come si voglia chiamarla, tende a sostituire il posto dato
dalla Riforma al principio della «sola Scrittura», sostituendola di fatto con il
«Rhema» o «rivelazione personale», che si ottiene in questo rapporto non
più mediato dalla Parola, ma reso diretto e possibile nel mondo dello Spirito!
Nella Parola si cerca, caso mai, conferme alla propria esperienza; in ogni caso
si ha l’impressione e sufficienti motivi per credere che sia tale «Rhema» ad
avere valore per il soggetto e, allo stesso tempo, è la risorsa a cui alimenta
la propria fede e il proprio credo. Tendendo a dare priorità al «Rhema», senza un’adeguata
ricerca e confronto con la rivelazione scritta, essa sostituisce la Parola
scritta ed è preferita a quest’ultima; ne è prova il fatto che i carismatici
cattolici non hanno abbandonato il culto mariano alla regina del cielo
(Iside, madre di Dio, com’era chiamata molto tempo prima di Maria), eppure tutto
questo viene tollerato pur in evidente contrasto con i dettami biblici! E questo
viene tranquillamente accettato dai carismatici diciamo pentecostali. Possiamo chiedere allora: C’è ancora fedeltà
alla eredità della Riforma? (sola fede, sola Scrittura). Oppure siamo alla
deriva rispetto a tali principi? {15 agosto 2009; 5 gennaio 2010}
2. Osservazioni e obiezioni
{Nicola Martella}
▲
Entriamo in tema
Prendo atto che si tratta di «semplici riflessioni
d’un pentecostale», convinto dell’esperienza del cosiddetto «battesimo nello
Spirito Santo». L’autore distingue fra pentecostali classici e carismaticisti.
Egli vede nel «fondamentalismo» e nel suo letteralismo un pericolo; purtroppo
non ha spiegato che cosa intenda per «fondamentalismo». Per
letteralismo intende che si interpreta «quasi tutta la Bibbia in “modo
letterale”» e si applica con disinvoltura cose dell’antico patto alla gente del
nuovo patto. Posso concordare con lui sull’uso spregiudicato
che in certi ambienti entusiastici si fa della Bibbia, saccheggiandola per i
propri usi ideologici per mezzo della versettologia indebita, l’uso di
spiritualizzazioni arbitrarie e di allegorizzazioni di brani storici. Che l’alternativa sia il «metodo storico critico»,
ho i miei seri dubbi, e parlo come chi lo conosce e ha insegnato per più di due
decenni teologia dell’AT. I fautori del «metodo storico critico», con le sue
bizzarre e contraddittorie teorie, partono da un forte dubbio programmatico
rispetto ai testi biblici e in genere non credono neppure che essi siano «Parola
di Dio», né tanto meno inerrante. Così è singolare trovare chi da pentecostale
creda all’esperienza del cosiddetto «battesimo di Spirito» (per altro locuzione
che non ricorre mai in greco nel NT) e segua il «metodo storico-critico», che
praticamente fa a pezzi il NT. Per l’approfondimento rimando alla seguente
letteratura, da me scritta:
■ Nicola Martella,
Manuale Teologico dell’Antico Testamento (Punto°A°Croce, Roma 2002): «Le posizioni teologiche
più ricorrenti», pp. 21-30; «Criticismo storico», pp. 127-130; «Sistemi teologici», pp. 332ss.
■ Nicola Martella, «La Bibbia fra criticismo e modernismo»,
Radici 5-6 (Punto°A°Croce, Roma 1995), pp. 187-195.
■ Nicola Martella, Temi delle origini,
Le Origini 1 (Punto°A°Croce, Roma 2006): «L’interpretazione della Genesi», pp. 25-48; «Genesi
1-2 e la critica biblica», pp. 54-65; «Orientamento e osservazioni a Genesi
2,4b-3,24», pp. 197-204; «Il rapporto fra Genesi 1 e Genesi 2», pp. 212-224;
cfr. anche «La Genesi e l’antico Medio Oriente», pp. 169-180.
Non è qui il luogo
per approfondire tali questioni, ma faccio presente che esiste anche il «metodo
storico-grammaticale» (storico-biblico o storico-esegetico) che è rispettoso
dei sacri Testi, è basato sull’esegesi contestuale e crede nell’inerranza della
bibbia nei suoi testi originali. Per l’approfondimento rimando alla seguente
letteratura, da me scritta:
■ Nicola Martella,
Manuale Teologico dell’Antico Testamento (Punto°A°Croce, Roma 2002): «I patti e gli altri approcci», pp.
31-53; «Ermeneutica», p. 155; «Teologia biblica e dogmatica: confronti», pp. 352s; «Teologia biblica», pp. 353s.
La deriva
giudaico-legalista e quella mistico-entusiastica
Passiamo alla parte che più ci interessa. Il mio interlocutore parla di «deriva
pentecostale carismatica»
e si chiede se il risveglio pentecostale nella fattispecie del
neopentecostalismo sia un tradimento dei principi della Riforma (a cui manca
«solo Cristo» e magari «soli Deo gloria» nella sequenza). È una domanda serie,
tanto più che arriva da un pentecostale «illuminato».
Egli
paragona l’attuale deriva carismaticista e la deriva
giudaico-legalista al tempo degli apostoli. Faccio notare che a Corinto tale
componente giudaico-legalista fu introdotta dai «sommi apostoli» giudaici,
unendola a forti elementi gnostici e sincretistici «biblicizzati» (cfr. 2 Cor
11). Anche oggigiorno si stanno saldando insieme movimenti carismaticisti con
elementi tipici della devozione giudaica, portati avanti in nome dell’amicizia
con Israele. Assistiamo che situazioni tipiche di Corinto stiano ritornando e
sono veicolate da «contaminazioni» reciproche fra giudaismo e carismaticismo
(cfr. la danza carismaticista con elementi giudaici; l’uso di segni e costumi
giudaici nella devozione carismaticista).
L’eredità della Riforma e i movimenti di santificazione
La questione intorno a Romani 7 è presentata in modo un po’ riduttivo. Il
Pietismo poneva la questione che la devozione non fosse solo un’adesione mentale
(come in tanti protestanti liberali, per i quali l’etica era distante dalla
dottrina), ma fosse una cosa seria che doveva trovare riscontro nella
santificazione. È vero che alcuni hanno interpretato Romani 7 come la realtà
prima della conversione, sbagliano a mio avviso (tale interpretazione c’era
anche tra i seguaci della Riforma!), ma bisogna stare attenti a non
rappresentare l’anabattismo, il pietismo e altri movimenti simili come una
caricatura; essi hanno, per certi aspetti, salvato il cristianesimo da
pericolose involuzioni. Inoltre il pietismo fa parte delle chiese della Riforma.
Confrontare i
movimenti di santificazione al Romanesimo, è singolare e deleterio, visto
che i primi predicano la salvezza per grazia mediante la sola fede in Cristo,
mentre il secondo predica la salvezza per opere. I movimenti di santificazione
affermano che non basta un’adesione mentale, ma una rigenerazione, e dove questa
accade, produce immancabilmente una vita trasformata mediante il processo di
santificazione. Che ci siano state delle esagerazioni dottrinali in alcuni, non
può indurre a dire cose poco vere e a rappresentare tale movimento come una
macchietta. Le chiese anabattiste, il movimento pietista e le chiese del
Risveglio hanno prodotto missione, diaconia, opere sociali e quant’altro in
tutto il mondo.
L’eredità della Riforma e la deriva mistico-entusiastica
Riguardo a Montano e a Gioacchino da Fiore rimando in Nicola
Martella (a cura di), Escatologia fra legittimità e abuso,
Escatologia 2 (Punto°A°Croce, Roma 2007), ai seguenti articoli: «L’escatologia gnostica»
(Montano e altri), pp. 42ss; «Nel Medioevo», pp. 54-66 (Gioacchino da Fiore).
Per la nascita e gli sviluppi del pentecostalismo nelle sue diverse «ondate» rimando a Nicola Martella,
Carismosofia (Punto°A°Croce, Roma 1995), specialmente agli articoli: «L’influenza di Agnes
Sanford», pp. 9-17; «Le “tre ondate” dello spirito», pp. 18-30.
Non tutto ciò, che esprime il mio interlocutore in sintesi, è chiaro per chi
legge; ho cercato di interpretare il suo stile frammentario, rendendolo
letterario. Tralascio gli aspetti legati alla glossolalia, avendone scritto
altrove; tralascio pure i singolari aspetti legati a un’interpretazione
storico-critica, avendo trattato ciò sopra. In ogni modo, è interessante la
disamina sul rapporto fra Spirito Santo e Scrittura. Giustamente si
afferma che lo Spirito che rimanda alla Parola scritta, cha a sua volta
spiega i fatti accaduti; essi interagiscono. Nel rapporto fra Scrittura ed
esperienza egli rileva che dev’essere la Parola di Dio a confermare
l’esperienza, e non viceversa.
Alla domanda se il pentecostalismo sia stato fedele al principio della «sola
Scrittura», ribadito dalla Riforma,
si risponde di sì, ma con riserva. Egli mette il dito sul soggettivismo
interpretativo. L’enfasi che egli mette su una «lettura letterale» è viziata dal
criticismo storico. Egli è probabilmente all’oscuro che esiste il metodo
storico-biblico che fa una «lettura letteraria» della Bibbia, ossia secondo i
generi letterari effettivamente presenti nel testo; fra coloro che rifiutano il
criticismo storico, ci sono grandi esegeti che applicano con rigore i principi
dell’ermeneutica, pur avendo un profondo rispetto nel testo biblico e credendo
nella sua inerranza. Come recita un motto a me caro, per caratterizzare le
analisi di parte: «Chi ha un martello in mano, vede tutto come chiodi».
Giustamente la guida dallo Spirito Santo non toglie che bisogna studiare
i testi biblici e praticare un’esegesi contestuale
rigorosa, rispettando lo sviluppo della rivelazione e il passaggio dal vecchio
al nuovo patto.
Essendo l’autore pentecostale (sebbene attinga ai criteri interpretativi del
criticismo storico), ci tiene a precisare che bisogna distinguere fra
pentecostalismo e carismaticismo. Non affronta la questione che quest’ultimo
è storicamente un efflusso e uno sviluppo del primo, ma v pragmaticamente alla
situazione attuale. Egli presenta la seguente distinzione:
■
Pentecostalismo: In primo piano stanno il battesimo dello Spirito e i
carismi.
■
Carismaticismo: In primo piano sta un forte misticismo estatico con varie
manifestazioni paranormali (cadute, bilocazione, visioni profetiche, visione di
demoni, guerra spirituale, euforia, risate convulse).
Egli mette
giustamente l’enfasi sulla discrepanza fra tali manifestazioni mistiche e
l’etica quotidiana e sul fatto che stati di euforia entusiastica si alternano a
periodi di grande prostrazione e depressione. In tale semplificazione
manca però di dire che anche per i carismaticisti stanno in primo piano il
battesimo dello Spirito, la glossolalia e gli altri carismi, e che anzi ciò è
l’anello di congiunzione, che lega gli uni agli altri, e i «geni» dottrinali e
devozionali, che i genitori pentecostali hanno trasmesso ai figli
neopentecostali.
L’autore passa poi a disquisire sul rapporto fra «sola Scrittura» e «Rhema»,
concetto introdotto da Kenneth Hagin.
Giustamente afferma che i carismaticisti hanno sostituito la «sola Scrittura»
con tali rivelazioni personali e, quindi, con la presunzione di poter vedere e
parlare con Dio (Cristo, ecc.) in modo diretto e personale. La Bibbia serve qui
solo come pezza d’appoggio per difendere la «biblicità» delle proprie
esperienze. In effetti, però, tali carismaticisti vivono di tali rivelazioni
trascendentali o paranormali. Si veda un approfondimento di tali fenomeni nel
mio libro «Carismosofia»: «Estasi, visioni e falsa profezia», pp. 147-153; «Facoltà extrasensoriali», pp.
154-162; «Spiritualismo esoterico e spiritismo», pp. 176-181.
L’autore mette l’enfasi sul fatto che gli stessi fenomeni avvengano nel
carismaticismo cattolico, dove convivono la mariolatria, l’idolatria e
altre dottrine palesemente in contrasto con la sana dottrina. Aggiungo che i
carismaticisti protestanti hanno riunioni e riti comuni con i primi, con
imposizione comune di mani, senza porsi molti problemi dottrinali. La «teologia
dell’esperienza» è il collante di tutti i tipi di carismaticismo e il
lievito dell’ecumenismo e del sincretismo.
Le domande conclusive riguardo all’adesione coerente ai principi della Riforma,
sono importanti. Faccio comunque presente che, intanto, la Riforma protestante è
stata messa in ombra in molti ambienti carismaticisti dalla «riforma
neoapostolica» di Peter Wagner. [►
Corrado Salmé e la riforma strutturale delle chiese;
►
La «riforma strutturale» di Corrado Salmé]
-------------------------------------------
. Meraviglia che Volto Di Gennaro — nel suo libro
«Breve storia del Cristianesimo» (Hilkia Inc.), pp. 26s — definisca Montano
«un grande personaggio con un grande messaggio», «una delle figure più ricche di
fede e di spiritualità», «carismatico quindi un risvegliato», uno che «reagì al
formalismo contro lo gnosticismo». Faccio notare che Montano, ex sacerdote di
Cibele, era un esponente dello gnosticismo! Era inoltre un falso profeta, visto
che il suo annuncio incombente dell’avvento del Messia non si realizzò. Per i
dettagli rimando alla letteratura sopra menzionata. Nonostante ciò Volto Di
Gennaro ne tesse le lodi, e altri loda pubblicamente quest’ultimo
(ADI;
CLC).
. Per l’analisi delle esperienza da morente di Kenneth Hagin
rimandiamo a Nicola Martella, «Visioni dell’aldilà», Escatologia fra legittimità e abuso,
Escatologia 2 (Punto°A°Croce, Roma 2007), pp. 313-328. [►
Kenneth Hagin e la «confessione positiva»; ►
Kenneth Hagin e confessione positiva? Parliamone]
► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_Den/A1-Riforma-tradita_deriva-carismat_MT_AT.htm
06-01-2010; Aggiornamento: 18-01-2010 |