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PROFEZIE PERSONALI

 

 di Nicola Martella

 

 

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1. La questione della prima lettrice

 

Seguo con molto interesse i tuoi studi, mi ha incuriosito soprattutto quello dei profeti.  Vorrei farti una domanda riguardo alle profezie che a volte vengono fatte dalle chiese. Spesso chi profetizza parla come se parlasse Dio e con gli occhi chiusi, secondo il tuo studio questo non è biblico. Ho capito bene? E molto spesso chi profetizza, dà delle direttive alla chiesa riguardante il futuro. A volte queste persone lo fanno anche in maniera personale, per esempio a me una volta dissero che sarei diventata una missionaria... Queste possono essere parole di conoscenza? O cosa? Grazie per la tua disponibilità. {Monica Gallistru; 15-11-2007}

 

 

2. La prima risposta

 

     ■ Nel NT non c’è neppure un solo caso in cui uno dei personaggi conosciuti si rivolga ai Giudei storici, ai Giudei cristiani, ai pagani o ai Gentili cristiani, cominciando il suo discorso con: «Così parla il Signore…» oppure con: «Così parla lo Spirito di Dio…». Quindi nessuno si arrogò il diritto di parlare assolutamente da parte di Dio in modo diretto, inequivocabile, assoluto e senza possibilità di essere contraddetto.

     Ben si accetta per scontato che «mutato il sacerdozio, avviene per necessità anche un mutamento di legge» (Eb 7,12). Si trascura però che Dio aveva messo altresì un punto finale riguardo a ciò che aveva da dire circa alla storia della salvezza: «Dio, dopo aver in molte volte e in molte maniere parlato anticamente ai padri per mezzo dei profeti, 2in questi ultimi giorni ha parlato a noi mediante il suo Figlio» (Eb 1,1s). Ciò che gli Apostoli dissero non andava di là dai confini dell’insegnamento di Gesù, che disse loro: «Queste cose v’ho detto, stando ancora con voi. 26ma il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, egli v’insegnerà ogni cosa e vi rammenterà tutto quello che v’ho detto» (Gv 14,25s).

     Dobbiamo credere a Gesù, quando affermò che Giovanni Battista era stato l’ultimo profeta teocratico, l’Elia che doveva venire. [ Profeti del nuovo patto] Come mutò il sacerdozio, così mutò anche il profetismo. Nessuno degli apostoli e dei dignitari riconosciuti della chiesa venne designato con l’espressione precisa, ad esempio «profeta Paolo» (cfr. invece «apostolo Paolo»). [ Profeta con nome nel NT] Nessuno di loro cominciò il suo discorso con «Così parla il Signore (Dio, lo Spirito)…». Nel nuovo patto nessuna parola detta sotto ispirazione è insindacabile, poiché vale questo: «Parlino due o tre profeti, e gli altri giudichino» (1 Cor 14,29).

     Chi inizia il suo discorso con «Così parla il Signore (Dio, lo Spirito)…», si accolla una grande responsabilità dinanzi a Dio, correndo il serio rischio di togliere e di aggiungere alla Parola di Dio (Ap 22,18s). Di questo dovrà poi rendere conto dinanzi al trono di Dio. Infatti, usare il nome del Signore invano, significa prendersi una grande responsabilità dinanzi a Lui, poiché si tratta di abuso d’ufficio e di lesa maestà codificato nel Decalogo stesso (Es 20,7; Dt 5,11).

     Profetare nel nuovo patto significava parlare / proclamare in modo ispirato sulla base della lettura comunitaria, e cioè in modo applicativo per edificare, esortare e consolare (1 Cor 14,3), mentre l’insegnante parlava in genere in modo sistematico.

     ■ I rischi e pericoli per una comunità in cui si pretende che profetare significhi «predire», sono ad esempio i seguenti: ▪ 1) Si spaccia per «profezia» i pensieri o le visioni del proprio cuore (Gr 23,16) e ciò aumenta l’orgoglio di chi le fa; ▪ 2) Si mettono in bocca a Dio parole che si intendeva da tempo dire personalmente a qualcuno, senza averne il coraggio (Gr 14,14; 23,21); ▪ 3) Si comunica proprio il contrario di ciò che Dio avrebbe mai voluto dire in tale situazione (Gr 23,17; 27,15); ▪ 4) Si alimentano in coloro, che sono già predisposti, facoltà di divinazione spacciate per carisma di predizione (Gr 14,14; Ez 12,24; 21,28). ▪ 5) Tutto ciò alimenta l’arbitrio soggettivo e inganna il popolo di Dio, facendo ritenere che la Bibbia fosse un libro per i tempi antichi, ormai superata dalle nuove «parole di Dio», comunicate mediante i profeti odierni. ▪ 6) Inoltre la maggior parte delle cose, che vengono spacciate per «profezia», è costituita da cose banali, materiali, quotidiane, ecc., che nulla hanno a che vedere con i grandi orizzonti storico-salvifici dei profeti legittimi dell’AT. ▪ 7) Molte delle predizioni di tali «profeti», che si possono leggere nei loro libri e filmati (cfr. P. Yonggi Cho, Benny Hinn, ecc.) e che riguardano fatti concreti e circostanziati del futuro incombente, non si sono realizzate; essi mostrano così di aver spacciato per «profezia» i desideri e le visioni del proprio cuore e di essere a tutti gli effetti dei «falsi profeti» (Dt 18), accollandosi così il pesante giudizio previsto da Dio! Per l’approfondimento si veda l’articolo «Estasi, visioni e falsa profezia» in Nicola Martella, Carismosofia (Punto°A°Croce, Roma 1995), pp. 147-143; cfr. qui anche «Facoltà extrasensoriali», pp. 154-162; «Fenomeni medianici», pp. 163-175.

     ■ Chi dà alla chiesa locale delle direttive riguardante il futuro, affermando che sia rivelazione di Dio, si accolla una grave e pesante responsabilità. In caso di non adempimento nei termini e nelle circostanze affermate, si squalifica spiritualmente e moralmente, mostrando di essere stato un «falso profeta». Per tali persone, come detto, c’è un pesante giudizio divino (cfr. Gr 28,13-17 Anania; cfr. Mi 3,6s; 5,11; Zc 10,2s).

     ■ Quanto alle «profezie personali», esse rientrano nella stessa casistica e portano con sé pesanti responsabilità (Gr 23,30ss). Spesso vengono fatte per accreditarsi, per mostrare che Dio si usi di loro. In effetti si tratta di desideri del loro cuore. A volte tali «parole profetiche» condizionano le persone che le ricevono, credendo che provengano veramente da Dio, e contribuiscono perciò alla loro infelicità, poiché non riescono a realizzarle. È lo stesso meccanismo dell’oroscopo o di un’altra forma predizionale, ben conosciuto dalla psicologia, che giuda inconsapevolmente chi ci crede alla realizzazione di tale «oracolo».

     Quanti di tali pronostici, spacciati per «profezia», si sono adempiuti? La mia interlocutrice è diventata una missionaria? Altri cui era stata predetta una pesante malattia, si sono poi ammalati? L’Europa che sarebbe stata raggiunta nel giro di 3-5 anni da un potente risveglio, che si sarebbe poi esteso a tutto il mondo, si è spiritualmente risvegliata? Il ritorno del Signore annunciato entro e non oltre 10 anni, si è verificato? Coloro che da decenni hanno affermato di sapere per rivelazione che l’anticristo sarebbe già vivo e attivo in una certa parte del mondo e in breve si sarebbe manifestato, sono essi stessi ancora vivi? E così via. Per l’approfondimento si vedano qui le analisi delle opere di vari autori di escatologia in Nicola Martella (a cura di), Escatologia fra legittimità e abuso. Escatologia 2 (Punto°A°Croce, Roma 2007).

     Nel nuovo patto ogni cosiddetta «parola di conoscenza» dev’essere assoggettata al giudizio della chiesa locale (1 Cor 14,29). Se è una parola non convince la chiesa, perché non ci sono i presupposti oggettivi, o non si adempie nei termini e nelle circostanze predetti, chi l’ha detta dev’essere pubblicamente rimproverato e gli si deve chiedere di ravvedersi, smettendola di nominare il nome di Dio invano (Es 20,7; Dt 5,11) e di pretendere di parlare da parte sua. In caso contrario dev’essere espulso dalla chiesa locale. {Nicola Martella}

 

 

3. La questione della seconda lettrice

 

Ciao Nicola, ho letto sul sito la risposta data alla sorella che ti chiede un parere inerente la profezia personale e il dono di conoscenza e mi è parso bene di scriverti il mio parziale dissenso sulla posizione da te presa.

     Nonostante condivida i pericoli segnalati, mi permetto di farti notare che in 1 Cor 14,30-31 Paolo dice: «Se una rivelazione è data a uno di quelli che stanno seduti, il precedente taccia. Infatti tutti potete profetare a uno a uno, perché tutti imparino e tutti siano incoraggiati».

     Da questo passo si comprende molto bene che, al di là degli abusi e del tornaconto personale, siamo incoraggiati a pronunciare agli altri ciò che pensiamo che il Signore ci abbia fatto capire. Ovvio che dobbiamo farlo alla luce dell’umiltà, dell’amore, della consapevolezza che potremmo errare (mai dire «il Signore dice» ma piuttosto «sento di dire questo... ma prega affinché il Signore confermi queste parole») e soprattutto sottomettendoci gli uni agli altri senza mai ritenerci degni di chissà quale favore da parte di Dio solo perché abbiamo avuto il privilegio d’essere usati in questo senso.

     Il rifiutare categoricamente la parola basandosi solo su chi la usa impropriamente, secondo me, è un errore da evitare in quanto porta alla chiusura nei confronti di quello che potrebbe essere un modo che il Signore ha scelto per edificare la sua chiesa o un suo figlio in un contesto specifico.

     Non possiamo schematizzare Dio, perché Lui è Dio!

     Sperando che quanto scritto possa essere pubblicato e generi un dialogo costruttivo, colgo l’occasione per porgerti i miei saluti. {Barbara Venturello; 21-11-2007}

 

 

4. La seconda risposta

 

Dissentire da un altro credente è legittimo, se si è interessati a capire la verità che ci fa liberi e si è disposti a dialogare sulla base dell’approfondimento reciproco della sacra Scrittura. Ringrazio Barbara per il tono del suo parziale dissenso.

     Ripeto qui la definizione che ho dato diverse volte sulla «profezia» nel nuovo patto. Nelle chiese al tempo degli apostoli, i profeti erano «proclamatori ispirati» che parlavano in modo estemporaneo e sotto ispirazione, sulla base della lettura comune delle sacre Scritture (allora l’AT), con fine di edificare, esortare e consolare la chiesa locale (1 Cor 14,3ss) con l’applicazione della Parola.

     Non si trattava quindi di un evento interpersonale, ma comunitario, ossia quando la chiesa locale si radunava per la lettura e la spiegazione delle sacre Scrittura, che allora accadeva in modo collegiale o partecipato. 1 Cor 14,30s, che Barbara cita, parla d’un evento ecclesiale e non privato: ci sono persone sedute e una di loro parla, ma non in modo ispirato, mentre un’altra ha avuto un’intuizione spirituale relativa alla Parola appena letta. Se tutti possono «profetare a uno a uno», mostra che si tratta di una riunione di chiesa.

     Comunicare «agli altri ciò che pensiamo che il Signore ci abbia fatto capire» non è «profezia» (proclamazione ispirata), poiché quest’ultima si basa sulla Parola letta comunitariamente e rappresenta un’applicazione circostanziata della stessa. Certamente si può comunicare a qualcuno, che conosciamo: «Sento di dire questo... ma prega affinché il Signore confermi queste parole», ma questo non è «profezia». Al riguardo si tratta, secondo i casi, di incoraggiamento, di cura pastorale, di esortazione, di rimprovero e così via. Ma perché chiamare «profezia» (proclamazione ispirata) ciò che non lo è?

     Ecco alcuni esempi biblici. È scritto che Gionathan si recò da Davide nella foresta e «fortificò la sua fiducia in Dio» (1 Sm 23,16s). Gionathan non era però un nabî’ «proclamatore» d’Israele. Anania fu mandato dal Signore a Saulo da Tarso per incoraggiarlo e rafforzarlo, ma Anania non fu mai chiamato «profeta», ma «discepolo» (At 9,10ss). Barnaba giunto nella chiesa d’Antiochia «esortò tutti ad attenersi al Signore con fermo proponimento di cuore» (At 11,23). Paolo e di Sila, dopo essere usciti di prigione, entrarono in casa di Lidia e, prima di partire confortarono i fratelli (At 16,40). Aquila e Priscilla, dopo aver ascoltato il brillante Apollo, lo presero da parte e lo istruirono maggiormente nelle cose del Signore (At 18,24ss). Similmente i fratelli confortarono Apollo prima che partisse per l’Acaia (At 18,27). Paolo rimproverò Pietro pubblicamente, quando quest’ultimo giudaizzava, non lo fece però perché ciò fosse il compito di un profeta (Gal 2), gli bastava essere apostolo. Paolo esortò i suoi collaboratori Timoteo e Tito addirittura per iscritto (1-2 Tm; Tt), ma non chiamò ciò «profezia» né titolò se stesso «profeta». Tali lettere di esortazioni le scrissero anche Giovanni (1-3 Gv), Pietro (1-2 Pt) e Giacomo (Gcm).

     Il Signore edifica la chiesa locale con la sua Parola, quando essa viene letta, spiegata, insegnata o quando da essa si traggono applicazioni ispirate per l’oggi, quali incoraggiamenti, ammonizioni, esortazioni, edificazioni, eccetera; in quest’ultimo caso si può parlare di «profezia» nel senso di proclamazione ispirata, estemporanea e circostanziata. Certamente ciò può accadere anche a tu per tu fra due figli o due figlie di Dio; ma ciò non è mai chiamato nel NT col nome di «profezia». Quindi facciamo bene a chiamare le cose col loro nome: incoraggiamento, edificazione, cura d’anime, esortazione e così via.

     È chiaro che non vogliamo «schematizzare Dio», rimanendo sovrano. Rischiamo però di farlo quando chiamiamo le cose col nome sbagliato. Lo onoriamo chiamando le cose col loro proprio nome e dandogli il valore che dà loro la sua Parola. Per dire: «Il Signore mi ha detto (rivelato, ecc.) e mi ha incaricato di dirti che…», bisogna che ciò sia realmente vero, come successe ad Anania: «Fratello Saulo, il Signore, cioè Gesù, che ti è apparso sulla via per la quale tu venivi, mi ha mandato perché tu ricuperi la vista e sii ripieno dello Spirito Santo» (At 9,17). Se le cose non stanno veramente così, è bene usare un linguaggio più realistico e verace come: «Ho riflettuto (pensato, ecc.) sulla data cosa e dopo aver pregato per giorni, per scrupolo sono venuto a dirti che…».

     Se chiamiamo tutto ad esempio «primavera», quando essa verrà non sapremo come definirla in modo comprensibile. La stessa cosa è per «profezia»: usiamo tale designazione in modo legittimo e solo dove ci azzecca veramente! {Nicola Martella}

 

► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_Den/A1-Profezie_personali_Car.htm

19-11-2007; Aggiornamento: 22-11-2007

 

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