Un taglio netto alle convenzioni anti-bibliche e pseudo-bibliche, all'ignoranza e alle speculazioni — Ein klarer Schnitt zu den anti-biblischen und pseudo-biblischen Konventionen, zur Unwissenheit und den Spekulationen — A clean cut to the anti-biblical and pseudo-biblical conventions, to the ignorance and the speculations — Une coupe nette aux conventions anti-bibliques et pseudo-bibliques, à l'ignorance et aux spéculations — Un corte neto a las convenciones anti-bíblicas y pseudo-bíblicas, a la ignorancia y a las especulaciones

La fede che pensa — Accettare la sfida nel nostro tempo

«Glaube gegen den Strom»: Für das biblische Unterscheidungsvermögen — «Faith countercurrent»: For the biblical discernment — «Foi contre-courant»: Pour le discernement biblique — «Fe contracorriente»: Por el discernimiento bíblico

Per il discernimento biblico

Prima pagina

Contattaci

Domande frequenti

Novità

Arte sana

Bibbia ed ermeneutica

Culture e ideologie

Confessioni cristiane

Dottrine

Religioni

Scienza e fede

Teologia pratica

▼ Vai a fine pagina

 

Šabbât

 

Carismaticismo

 

 

 

 

Il sabato, l’anno sabbatico e il giubileo.

 

Ecco le parti principali:
■ Il patto, l'etica e il pensiero sabbatico
■ Il sabato nell’Antico Testamento, nel giudaismo, nel Nuovo Testamento e relative questioni odierne
■ L’estensione del sabato: l’anno sabbatico e lo jôbel nella Torà e nella storia
■ L’ideale e le funzioni teologiche risultanti
■ Excursus: Storia del giubileo cattolico
■ Le feste principali in Israele.

 

► Vedi al riguardo la recensione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Serviti della e-mail sottostante!

E-mail

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

PROFETI FRA CONTINUITÀ E DISCONTINUITÀ

 

 di Nicola Martella

 

Rispondo alle questioni sollevate da Francesco Manzo a mano a mano così da facilitare la lettura e la comprensione.

 

     ■ Francesco: Credo che dovresti rivedere le tue idee. Dio non cambia mai i suoi modi di fare e l’unico mezzo con cui Egli parla al suo popolo sin dal tempo di Mosè è solo e sempre così sarà per mezzo dei profeti. Bisogna solo avere occhi per vederli e orecchi per ascoltarli. {09-11-2007}

 

     ■ Nicola: Grazie, Francesco, per avermi scritto. Potresti motivare meglio le tue convinzioni alla luce delle Scritture del NT? Se vuoi fanne un contributo, usando però un tono rispettoso. Lo leggerò volentieri. […]

 

     ■ Francesco: Comincio con lo scusarmi se il mio modi di scrivere sembra irrispettoso, ma credo che sia dovuto allo zelo, sentimento che ogni vero ministro o servo deve possedere. Infatti Elia a motivo del suo zelo e gelosia per l’Eterno uccise, anzi sgozzò 850 falsi profeti.

 

     ■ Nicola: Va bene. Mi permetto di far presente che è cambiato patto e testamento, quindi non abbiamo più bisogno di sgozzare gli altri per zelo e gelosia per il Signore. Permettimi un piccolo excursus di carattere generale, quindi valido per ognuno di noi. Paolo parlava dei suoi connazionali come di coloro che «hanno zelo per le cose di Dio, ma zelo senza conoscenza» (Rm 10,2); anche a tanti cristiani d’oggi può succedere la stessa cosa. Agli ateniesi disse che essi erano «quasi troppo religiosi» (At 17,22), ma la stragrande maggioranza di loro rifiutarono l’Evangelo (vv. 32ss). Ed egli parlò anche di coloro che si mostravano zelanti, ma solo per perseguire altri scopi, ossia primeggiare sugli altri cristiani per mire personali (Gal 4,17s). Il «nostro grande Dio e Salvatore, Cristo Gesù… ha dato se stesso per noi al fine di riscattarci da ogni iniquità e di purificarsi un popolo suo proprio, zelante nelle opere buone» (Tt 2,13s).

     Nel nuovo patto dobbiamo combattere sul piano dialettico: «Vi son molti ribelli, cianciatori e seduttori di menti, specialmente fra quelli della circoncisione, ai quali bisogna turare la bocca» (Tt 1,10; cfr. Rm 3,19). Per il resto dobbiamo mostrare il frutto dello Spirito (Gal 5) e fare il bene. Pietro scrisse ai giudeo-cristiani: «Diletti, io v’esorto come stranieri e pellegrini ad astenervi dalle carnali concupiscenze, che guerreggiano contro l’anima, 12avendo una buona condotta fra i Gentili; affinché laddove sparlano di voi come di malfattori, essi, per le vostre buone opere che avranno osservate, glorifichino Dio nel giorno che Egli li visiterà… 15Questa è la volontà di Dio: che, facendo il bene, turiate la bocca alla ignoranza degli uomini stolti» (1 Pt 2,15; cfr. Mt 5,16).

 

     ■ Francesco: A me non piace discutere e/o ragionare la Parola di Dio; il Signore ci diede la sua Parola affinché noi facessimo d’essa la nostra guida, e non che noi divenissimo la guida della stessa. Molto spesso ci convinciamo che i nostri pensieri o le nostre scoperte siamo coincidenti con quelli di Dio; ed è così che vengono fuori strane teorie, che mischiate alle Scritture generano false dottrine. Dio parlò per mezzo del profeta Isaia e disse: «Poiché i miei pensieri non sono i vostri pensieri né le vostre vie sono le mie vie». Nel Nuovo Testamento anche un altro profeta scrisse una simile cosa: «Sapendo prima questo: che nessuna profezia della Scrittura [VT e NT] è soggetta a particolare interpretazione» (2 Pietro 1,20).

     Credo sia opportuno per tutti noi far quadrare i nostri discorsi, teologici, basandoci sull’intera Parola, la quale come ben dici è una spada, ragion per cui bisogna adoperarla nella maniera più seria e corretta possibile. Non volendomi dilungare, dirò quanto richiestomi.

 

     ■ Nicola: Discutere e ragionare sulla Parola è necessario, poiché non tutti hanno la stessa conoscenza e la stessa maturità. L’autore dell’epistola agli Ebrei rimproverava i suoi connazionali come segue: «Mentre per ragione di tempo dovreste essere maestri, avete di nuovo bisogno che vi s’insegnino i primi elementi degli oracoli di Dio; e siete giunti a tale che avete bisogno di latte e non di cibo sodo» (Eb 5,12). Quanti bambini nella fede ci sono tra i cristiani (cfr. vv. 13s), che si limitano a giocare solo con le loro esperienze soggettive!

     Sul resto non posso che concordare: molti cristiani partono non da una corretta esegesi della Parola, ma da una «sovrastruttura dogmatica» con cui pretendono d’interpretare la stessa Scrittura! [► L’interpretazione biblica; ► Sovrastrutture dottrinali e teologia riformata]

     Un ultimo appunto a 2 Pt 1,20. In tutto il NT mai Pietro fu chiamato «profeta», ma sempre «apostolo» (Gal 2,8; 1 Pt 1,1; 2 Pt 1,1). Quindi se vuoi dare ragione a quanto hai appena affermato, attieniti alla stretta testimonianza della Scrittura, senza aggiungere e senza togliere, ma tagliando (ossia spiegando) «rettamente la parola della verità» (2 Tm 2,15).

     Inoltre il tuo inciso nel verso citato («VT e NT») è semplicemente sbagliato; infatti se tu osservi il contesto, prenderai atto che Pietro intendeva le Scritture ebraiche, le uniche allora esistenti: «parola profetica» (v. 19) corrisponde a «profezia della Scrittura» (v. 20) e a «profezia» (v. 21); nota che Pietro non voleva basarsi su una «teologia dell’esperienza» (v. 18), ma sulla parola dei profeti dell’AT (vv. 19ss). Inoltre l’espressione «profezia della Scrittura» in At 1,16 intende l’AT.

 

     ■ Francesco: Lo scrittore dell’Epistola agli Ebrei scrisse: «Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e in eterno» (Ebrei 13,8). Se Dio mutasse uno solo dei suoi comandamenti, Egli non sarebbe più giusto, immutabile, infallibile; bensì sarebbe volubile come noi esseri umani. In Luca 1,37 è scritto: poiché nessuna parola di Dio rimarrà inefficace. Dio ha stabilito sin dal tempo di Mosè che avrebbe parlato agli uomini per mezzo d’altri uomini UNTI, affinché si conoscesse la volontà di Dio e si potesse mettere in atto. Questa modalità non è affatto cambiata nel Nuovo Testamento, ne tanto meno si è conclusa con Giovanni Battista. Innanzi tutto se Giovanni Battista fosse stato l’ultimo profeta in assoluto, ciò denigrerebbe Gesù Cristo, il quale oltre a Salvatore, Figlio di Dio, Emanuele, Guaritore ecc..., è stato un profeta, poiché non solo poteva leggere nel cuore e rivelare i peccati della gente, ma ha predetto la fine del mondo, l’avvento dell’anticristo, la sua morte e la sua risurrezione.

 

     ■ Nicola: Se si chiedesse a un esegeta del NT greco, direbbe che Ebrei 13,8 correttamente dovrebbe recitare: «Gesù è lo stesso Cristo ieri, oggi, e in eterno». E questo è logico per diversi motivi. L’autore parlò di «ieri», ossia del loro vicino passato, come di un dato storico acquisito; non parlò quindi di un’eternità passata. Gesù esistette come uomo e personaggio storico tangibile in questo mondo solo dall’incarnazione in poi (Mt 1,20), quando la madre gli pose il nome «Gesù» (Lc 1,31); Egli iniziò il suo ministero di Messia solo dal battesimo in poi, ossia con l’investitura divina (Mt 3,17; cfr. Mt 17,5); si noti pure la formula d’adozione tipica dell’AT riguardo agli unti della casa di Davide (Sal 2,7; At 13,33; cfr. 2 Sm 7; Sal 89). E ciò fu confermato da Dio mediante la risurrezione, stabilendolo così «e Signore e Cristo» (At 2,36), ossia Messia-Re. Prima dell’incarnazione (Gv 1,14) il Logos (rivelatore) era presso Dio ed era Dio (Gv 1,1s). Perciò Gesù può essere «lo stesso Cristo» solo dopo essere divenuto carne (Gv 1,14), ossia dopo che Colui che era «in forma di Dio… annichilì se stesso, prendendo forma di servo e divenendo simile agli uomini» (Fil 2,6ss).

     L’immagine di Dio proposta da Francesco è quella della dogmatica ma non quella della storia biblica. Ecco alcuni esempi. Dio aveva comandato che in Israele ereditassero solo i maschi, ma quando nel caso concreto tutti i maschi di una famiglia erano morti, Dio mutò la legge, permettendo anche alle donne in tale circostanza di ereditare i beni di famiglia (Nu 27,1-11; 36,2). Nell’antico patto c’era il dovere morale che, se moriva un uomo senza prole, il proprio parente più stretto esercitasse il suo obbligo morale di sposare la vedova per procreare al defunto una discendenza (Dt 25,5ss). Tale costume si chiamava «matrimonio leviratico» (cfr. il libro di Rut). Esso esisteva ancora al tempo di Gesù (Mt 22,25ss). Nel nuovo patto non c’è traccia di questo obbligo morale né i cristiani lo praticano. Si pensi anche al costume di dare la propria serva personale come concubina al marito in caso di sterilità (cfr. Agar Gn 16,1s; Bilha Gn 30,3; Zilpa Gn 30,9). Nell’antico patto chi non osservava il sabato, veniva messo a morte (Es 31,14s; 35,2). Nel nuovo patto è scritto: «L’uno stima un giorno più d’un altro; l’altro stima tutti i giorni uguali; sia ciascuno pienamente convinto nella propria mente» (Rm 14,5). E la lista potrebbe continuare ed essere lunga. Per l’approfondimento rimando in Šabbât, agli articoli «La questione della legge», pp. 51-56; «La questione della domenica», pp. 57-69.

     Quando diciamo che Dio sia immutabile, dobbiamo stabilire che cosa significa. Quando si cita: «Io, l’Eterno, non muto» (Mal 3,6), bisogna continuare a leggere: «E perciò voi, o figli di Giacobbe, non siete consumati»; e bisogna leggere anche il contesto, che mostra il quadro amorale dei Giudei del tempo. Quindi l’affermazione di Dio indica che egli non viene meno al giuramento fatto ad Abramo relativamente al fatto che la sua progenie non verrà mai distrutta (Gn 22,16s; 2 Re 8,19; Is 43,1ss; Eb 6,13s). Quindi Dio non ritira le sue promesse. Anche in Gcm 1,17 l’autore dopo aver ricordato che «ogni donazione buona e ogni dono perfetto vengono dall’alto, dal Padre degli astri luminosi», aggiunge che presso di Lui «non c’è variazione né ombra prodotta da rivolgimento». È chiaro che l’ultima parte si riferisce alla prima: ossia Dio non è volubile e non ritira le sue promesse. L’autore dell’epistola agli Ebrei applica il termine «immutabilità» al consiglio di Dio relativo alla promessa, che egli confermò con un giuramento (Eb 6,16s); perciò egli concluse che poiché al riguardo «è impossibile che Dio abbia mentito, troviamo una potente consolazione» (v. 18).

     Vediamo però tante volte, in cui Dio ha ritirato il giudizio annunziato, ossia quando c’è stato un ravvedimento all’ultima curva o l’intercessione di qualcuno. L’espressione «l’Eterno si pentì del male che aveva detto di fare» intendeva che a Dio dispiacque di aver annunziato un certo giudizio (Es 32,14 [vv. 1ss intercessione]; 2 Sm 24,16 [v. 17 pentimento di Davide]; Gr 26,19 intercessione; Am 7,3.6 intercessione; Gna 3,10 pentimento). Giona fu indignato con Dio riguardo ai Niniviti (Gna 4,1ss).

     Dio ha mutato il patto da quello vecchio a quello nuovo (cfr. Gr 31,31ss), mettendo in quest’ultimo fuori uso il primo e la sua legge in tutti i suoi aspetti legislativi (Rm 4,14; 8,1ss; 1 Cor 9,20s; Gal 3,10; 5,18; Eb 8,13); infatti la chiesa non è una teocrazia (Stato con una legge religiosa). Quindi il suo consiglio divino e il suo piano nella storia contengono diverse tappe, di cui ognuna presenta aspetti sia continuità sia di discontinuità con lo status quo precedente.

     Non solo questo, ma Dio stesso è mutato. Se non comprendiamo questo, non intenderemo mai il mutamento epocale che ha costituito l’incarnazione. Il Logos, che era Dio presso Dio (Gv 1,1s), essendo stato fatto carne (v. 14), annichilì se stesso e divenne uomo (Fil 2,6ss). Ora sebbene Dio lo abbia sovranamente innalzato (vv. 9s), Gesù Cristo rimane per sempre uomo alfine di garantire la salvezza ed essere mediatore per sempre: «Uno è infatti Dio, uno e mediatore di Dio e degli uomini, l’uomo Cristo Gesù» (1 Tm 2,5). Non è un caso che nella visione del futuro Giovanni vide Gesù come un agnello che era stato scannato (Ap 5,6).

     A volte confondiamo quello che Dio è veramente con l’immagine che ci siamo costruiti di Lui. Pensiamo che un Dio infallibile non possa mutare nulla né mutare Egli stesso, perché ciò lo renderebbe volubile. Questo non è però il Dio della storia, ma il Dio della filosofia dogmatica! Per l’approfondimento si veda l’articolo «Chi è Dio?» in Entrare nella breccia, pp. 103-111.

     Quanto a Luca 1,37, il contesto intende che nessuna promessa di Dio (qui riguardo all’anziana Elisabetta e alla giovane Maria) rimarrà inadempiuta; né di più né di meno.

     Gesù stesso ha affermato: «La legge e i profeti hanno durato fino a Giovanni; da quel tempo è annunziata la buona novella del regno di Dio» (Lc 16,16). Io credo a Lui. Giovanni fu l’ultimo profeta teocratico (Mt 11,14; cfr. Mal 4,5s) e il primo predicatore dell’Evangelo (Mt 3,1s; Mc 1,4s.14s).

     Gesù, sebbene fosse considerato dai suoi contemporanei un «profeta», non era un semplice «profeta», ma era il Messia! Egli non ha mai definito direttamente se stesso come un semplice «profeta». Non bisogna male interpretare i proverbi popolari che Gesù usò (Mt 13,17; Gv 4,44), ciò che la gente pensava di Lui (Mt 21,11; Gv 6,14) né alcuni suoi discepoli frustrati e delusi (Lc 24,19). In ogni modo, «profeta» significava «portavoce» di Dio. Già nella Torà Jahwè  distinse la posizione dei normali profeti da quella di Mosè (Nu 12,6ss; cfr. Es 33,11; Dt 34,10). Perciò Mosè stesso annunciò un «profeta» del suo calibro per il futuro (Dt 18,15; At 3,22; 7,37). Per tale motivo, Gesù fu paragonato a Mosè, iniziatore del patto e istitutore della religione (Eb 3,2), e ne fu evidenziata la superiorità (Gv 1,17; 6,32; Eb 3,3-5). La lettera agli Ebrei inizia mostrando novità e discontinuità: «Dio, dopo aver in molte volte e in molte maniere parlato anticamente ai padri per mezzo dei profeti, 2in questi ultimi giorni ha parlato a noi mediante il suo Figlio» (Eb 1,1s).

     Ha Gesù contraddetto se stesso affermando Giovanni come ultimo profeta (o Elia), pur essendo egli stesso un «profeta»? Certo Gesù ha predetto la propria morte, la propria risurrezione, i tempi della fine e altre cose, ma lo ha fatto in quanto Messia e detentore dello Spirito Santo (Mt 3,16-4,1; Lc 4,14;10,21).

 

     ■ Francesco: Io credo che una tale confusione nasca dal fatto che si sappia poco che la parola profeta vuol dire chi proferisce o predicatore. Ora un profeta del vecchio patto era tale perché proferiva le parole di Dio, e Pietro, Paolo, chi erano? Non proferirono anch’essi le parole di Dio? «Le cose che vi scrivo sono comandamenti del Signore» (1 Corinzi 14,37). Be dirai erano apostoli, certo. Ma apostolo vuol dire inviato. Ed anche quelli del VT allora potremmo dire che erano apostoli, poiché anch’essi erano inviati da Dio. Non si mossero mai da soli: «La parola dell’Eterno fu rivolta a Giona, figliuolo d’Amittai, in questi termini: “Lèvati, và a Ninive, la gran città, e predica contro di lei”» (Giona 1,1,2). Come vedi non solo Giona fu un apostolo (inviato = «và a Ninive»), ma era anche un predicatore (predica contro di lei), eppure tutti lo conosciamo come il profeta Giona. Dio è lo stesso, Alleluia!!!

 

     ■ Nicola: Se generalizziamo tutto o se confondiamo le categorie (qui profeti e apostoli), non arriveremo mai alla verità. Sono due lingue diverse, due patti differenti, eccetera. Mentre nessun profeta dell’AT fu chiamato «apostolo» (p.es. «apostolo Giona»), nessuno dei dodici apostoli né Paolo furono mai chiamati «profeti», ad esempio «profeta Giovanni». [► Profeta con nome nel NT] I dodici apostoli erano persona particolari nella chiesa, essendo stati designati da Cristo come suoi inviati e rappresentanti (At 1,2; 2,42 insegnamento degli apostoli; onore Ap 21,14); ad essi il Signore associò anche Paolo (1 Cor 15,7ss). I Dodici in quanto apostoli erano certamente anche profeti, poiché parlavano da parte di Dio, e sul loro insegnamento fu stabilità la chiesa (Ef 2,20; At 2,42; 5,21). Ma mai nessuno di loro si definì «profeta» o fu definito da altri come, ad esempio, «profeta Paolo».

 

     ■ Francesco: Voglio aggiungere che in Atti 21,10 si trova questa citazione: «E, restando noi lì molti giorni, un certo profeta di nome Agabo, scese dalla Giudea». Quindi anche nel NT v’erano profeti, ma non fu solo lui, ve ne furono altri a cui Paolo scrisse: «Se uno si stima essere profeta o spirituale, riconosca che le cose che vi scrivo sono comandamenti del Signore» (1 Corinzi 14,37).

     Per cui credo realmente che non solo nel VT e nel NT ma ancora oggi Dio manda i suoi profeti, cioè coloro ai quali viene rivolta la Parola di Dio per ammaestrare la greggia di Dio. Se ciò non fosse così allora significherebbe che Dio ha smesso di parlare con gli uomini. Ma ciò è lungi dal Piano di Dio. Egli pur di riconquistare gli uomini ha dato la sua vita. Amen! {10-11-2007}

 

     ■ Nicola: Ho già affrontato altrove la questione particolare di Agabo. [► Agabo] Nota «un certo profeta». Quanto a 1 Cor 14,37 non bisogna dimenticare il contesto e il fatto che due versi dopo affermò: «Fratelli, bramate il profetare» (v. 39); e alcuni versi prima disse: «Tutti, uno ad uno, potete profetare; affinché tutti imparino e tutti siano consolati». Se nella chiesa locale tutti possono profetare (= parlare in modo ispirato sulla base della Parola), allora non ci sono profeti speciali nel nuovo patto!

     Dio parla certamente oggigiorno agli uomini, ma mediante la sua Parola, sia quando la leggiamo, sia quando viene insegnata per ammaestrare il gregge del Signore, sia quando in gruppo viene usata per l’edificazione reciproca. «Attendi finché io torni, alla lettura, all’esortazione, all’insegnamento» (1 Tm 4,13). «La testimonianza di Gesù è lo spirito della profezia» (Ap 19,10): il cuore della «profezia» (allora l’AT) è testimoniare di Gesù; dall’altro lato, quando si testimonia di Gesù, si pratica «profezia», ossia si parla in modo ispirato da parte di Dio mediante lo Spirito del Padre (Mt 10,18ss; Lc 12,11s).

 

 

► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_Den/A1-Profeti_discontinuita_Sh.htm

12-11-2007; Aggiornamento: 02-07-2010

 

▲ Vai a inizio pagina ▲

Proprietà letteraria riservata

© Punto°A°Croce