Un taglio netto alle convenzioni anti-bibliche e pseudo-bibliche, all'ignoranza e alle speculazioni — Ein klarer Schnitt zu den anti-biblischen und pseudo-biblischen Konventionen, zur Unwissenheit und den Spekulationen — A clean cut to the anti-biblical and pseudo-biblical conventions, to the ignorance and the speculations — Une coupe nette aux conventions anti-bibliques et pseudo-bibliques, à l'ignorance et aux spéculations — Un corte neto a las convenciones anti-bíblicas y pseudo-bíblicas, a la ignorancia y a las especulaciones

La fede che pensa — Accettare la sfida nel nostro tempo

«Glaube gegen den Strom»: Für das biblische Unterscheidungsvermögen — «Faith countercurrent»: For the biblical discernment — «Foi contre-courant»: Pour le discernement biblique — «Fe contracorriente»: Por el discernimiento bíblico

Per il discernimento biblico

Prima pagina

Contattaci

Domande frequenti

Novità

Arte sana

Bibbia ed ermeneutica

Culture e ideologie

Confessioni cristiane

Dottrine

Religioni

Scienza e fede

Teologia pratica

▼ Vai a fine pagina

 

Motti di spirito

 

Cattolicesimo

 

 

 

 

Riflessioni fra cielo e terra: Aneddoti evangelici e non, e l’umorismo nella Bibbia.

  Ecco le rubriche principali:
■ Scenario biblico
■ Vita di comunità
■ Abbecedario riflessivo
■ Ad acta
■ Dietro il velo
■ Casella postale biblica
■ Variazione delle costanti
■ Puntigli e indovinelli
■ Sapienza da quattro soldi
■ Massime e minime
■ Col senno del poi.

 

È «psicoterapia biblica» in forma di umorismo.

 

► Vedi al riguardo le recensioni.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Serviti della e-mail sottostante!

E-mail

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

PIETRO E LA CHIESA DI ROMA

 

 di Flavio Barbiero - Nicola Martella

 

Il lettore prende qui posizione riguardo all’articolo «Pietro aveva il primato sugli altri apostoli?». Il seguente contributo avrebbe potuto trovare posto all’interno del tema di discussione «Pietro aveva il primato sugli altri apostoli? Parliamone», ma a causa della sua lunghezza e della trattazione di aspetti specifici, abbiamo preferito metterlo extra.

 

 

1.  GLI ASPETTI STORICI DELLA QUESTIONE (Flavio Barbiero): Ritengo che ogni discussione sulla investitura di Pietro da parte di Gesù sia fuorviante e non possa portare ad alcuna conclusione, né in un senso né nell’altro. Tanto più che è tutt’altro che certo che Pietro abbia avuto un ruolo qualsiasi nella fondazione della Chiesa di Roma.

     La prima testimonianza in assoluto del primato di Roma sulle altre chiese è data da papa Clemente[1] nella sua celebre «Lettera ai Corinzi», scritta probabilmente verso la fine dell’impero di Domiziano (95/96). In essa egli richiama all’ordine la comunità cristiana di Corinto, che a quanto pare s’era ribellata all’autorità dei presbiteri (XLIV, 4 e 6), evidentemente imposti dall’esterno, invitandola a sottomettersi, pena l’esclusione dal «gregge di Cristo» (LVII, 1,2). Dalla lettera (LXIII), apprendiamo anche che egli aveva inviato propri rappresentanti a Corinto, con l’incarico di ristabilire l’ordine.

     Mai, prima d’allora, una comunità cristiana s’era ingerita negli affari di un’altra. Le prime comunità cristiane, infatti, erano indipendenti l’una dall’altra e riconoscevano soltanto l’autorità degli apostoli in materie dottrinali. E in ogni caso guardavano a Gerusalemme, non a Roma. La lettera di Clemente è la chiara dimostrazione che negli anni dopo il 70 la comunità di Roma, che fino ad allora non aveva avuto il benché minimo peso nel mondo cristiano, era diventata di punto in bianco la più importante dell’impero e aveva imposto la propria autorità su tutte le comunità cristiane dell’epoca. Eusebio di Cesarea, infatti, testimonia che la lettera di Clemente veniva letta regolarmente in molte altre chiese (H.E. III,16), segno che il vescovo di Roma v’aveva stabilito la propria autorità. Come era potuto avvenire un capovolgimento così radicale e repentino?

     Prima di Nerone, la comunità cristiana di Roma non viene mai nominata, tanto che non sappiamo neppure se esistessero cristiani nella capitale. Di certo nessun apostolo vi s’era mai recato a predicare. Il primo fu proprio Paolo, che vi fu condotto come «prigioniero in attesa di giudizio», insieme a qualche suo discepolo, soltanto nel 61/62 d.C. Alcuni pensano che la comunità cristiana di Roma sia sorta proprio in quell’occasione, a opera di Paolo e dei suoi compagni. Essi fanno notare che gli era libero, infatti, di ricevere visite a domicilio e nei due anni della sua prigionia si dedicò a un attivo apostolato. [N.d.R. Questa questione verrà affrontata nella seconda parte.]

     La giustificazione per il primato della Chiesa di Roma sulle altre Chiese cristiane è sempre stata quella che Pietro, il principe degli apostoli, designato da Gesù Cristo quale suo successore in terra, in un momento non meglio precisato della sua vita scelse di diventare il primo vescovo di Roma, dove morì martire durante la persecuzione neroniana e fu sepolto. Questo, però, è riportato soltanto in una tradizione sorta almeno un secolo dopo i fatti in questione. Naturalmente su una questione di tale importanza tutti gli storici della Chiesa si sono mobilitati per dimostrare la verità di quella tradizione, in uno sforzo che non ottiene altro risultato se non quello di mettere in risalto la totale assenza di testimonianze dirette su quest’argomento.[2]

     Gli Atti degli Apostoli raccontano in dettaglio le vicende di Pietro fino al 42 d.C., quando l’Apostolo fuggì miracolosamente dalle prigioni d’Erode Agrippa. Da questo momento in poi di lui non viene fornita più alcuna notizia diretta. Egli svanisce dalla storia. Secondo una tradizione sorta nel quarto secolo (il catalogo dei papi stilato da Girolamo nel 354), subito dopo la fuga, Pietro sarebbe andato a Roma e vi sarebbe rimasto fino alla morte, avvenuta nel 67.

     Secondo una tradizione più antica (riportata da Origene e Eusebio), invece, dopo la fuga da Gerusalemme egli sarebbe andato in Siria, dove avrebbe fondato l’episcopato d’Antiochia. Il che non esclude, in principio, che si sia poi recato a Roma. Come prova di questo gli storici portano un passo dello stesso Clemente, dove dice che Pietro e Paolo subirono il martirio, anche se non dice quando, dove e se in maniera congiunta. Soltanto nel 170 d.C. il vescovo Dionigi di Corinto dice esplicitamente che Pietro e Paolo subirono il martirio a Roma. E ancora più tarda è la prima dichiarazione che attribuisce a Pietro la fondazione della Chiesa di Roma, rilasciata dal vescovo di Lione Ireneo tra il 180 e il 190, quando compila il primo elenco dei vescovi di Roma.[3]

     L’unica testimonianza contemporanea diretta d’un soggiorno dell’apostolo in una località precisa è riportata in un passo della Prima Lettera di Pietro (5,13) in cui egli dice testualmente: «Vi saluta la comunità che è stata eletta come voi e dimora in Babilonia». Dal che si deduce che nel momento, in cui scriveva la lettera, egli si trovava a Babilonia. Gli storici della Chiesa, invece, si sono precipitati unanimi ad affermare che con «Babilonia» egli intendeva Roma, la corrotta capitale del mondo, e portano questo passo quale prova del suo soggiorno romano. Ma la cosa appare quanto meno discutibile. L’Apocalisse era di là da venire, e con essa le teorie di coloro che associano la Grande Babilonia di Giovanni alla Roma di Nerone; non risulta che alcun ebreo (e tanto meno un gentile) all’epoca di Pietro fosse in grado di capire un riferimento a Roma come a una «Babilonia». Fra l’altro, se anche così fosse, sembrerebbe quanto meno fuori luogo che l’apostolo, in una lettera ufficiale, si riferisse in termini offensivi alla città di cui era ospite.

     Tanto più che a quei tempi Babilonia esisteva davvero ed era sede della più grande e antica comunità ebraica al di fuori della Giudea. Comunità che prima o poi doveva pur essere oggetto d’attenzione da parte degli apostoli. Che la lettera sia stata scritta proprio da Babilonia sembrerebbe confermato anche dall’elenco dei destinatari, i cristiani del Ponto, Galazia, Cappadocia, Asia e Bitinia, tutte località asiatiche.

     Questo, ovviamente, non esclude che Pietro, alla fine, sia andato a farsi martirizzare a Roma; ma è un dato di fatto, comunque, che non esiste alcuna testimonianza contemporanea in questo senso, né indicazioni di qualsiasi genere in merito alle circostanze e alla data di quest’ipotetico trasferimento. Data l’importanza che viene attribuita alla persona e ai fatti in questione, appare sorprendente e gravemente sospetto che nessuna fonte dell’epoca riporti la benché minima informazione sulla sorte di Pietro dopo la sua fuga dal carcere, specie in considerazione dell’ampiezza e del dettaglio con cui vengono trattate le sue vicende precedenti. Una perdita accidentale di notizie storiche su un soggetto del genere appare alquanto inverosimile; è più probabile invece una «dimenticanza» pilotata, per intorbidare le acque: nel vuoto di notizie è facile costruire leggende più o meno credibili. E i piloti sarebbero stati gli stessi che hanno fatto «cadere» le informazioni relative a Paolo e alle vicende della Chiesa romana negli anni dei Flavi.

     Fra l’altro, questi stessi «piloti» sono gli autori del mito del primato di Pietro, che non trova riscontro nei Vangeli, a parte la famosa frase attribuita a Cristo: «Tu sei Pietro e su questa pietra fonderò la mia chiesa», che viene riportata soltanto nel Vangelo di Matteo (16,18). [N.d.R. Si veda al riguardo nella seconda parte.] La mancanza di notizie dirette relative alla permanenza romana di Pietro costituisce un forte elemento a favore della tesi che egli non abbia avuto personalmente alcun peso significativo nella creazione della Chiesa di Roma. Se davvero l’attività di Pietro fosse tale da costituire il fondamento della legittimità di Roma come prima fra le Chiese cristiane, è da presumere che quella stessa comunità avrebbe per lo meno registrato e tramandato gli episodi più salienti di quell’attività. E tuttavia niente, assolutamente niente di quel che è stato scritto in quel periodo (e certamente molto fu scritto) è stato conservato e trascritto per i posteri. Pesante indizio, se non prova certa, che non era esattamente in sintonia con la tradizione che si volle accreditare in seguito. {01-06-2009}

 

 

2.  ALCUNI ASPETTI BIBLICI (Nicola Martella): Aggiungo soltanto alcune osservazioni, facendo notare alcuni particolari che risaltano da uno studio dei dati biblici. Giustamente Flavio Barbiero ha evidenziato che non esistono documenti contemporanei agli eventi che attestino una presenza di Pietro in Roma e di una sua partecipazione alla costruzione della comunità cristiana romana. Tutte le fonti sono tardive e spesso in contraddizione fra loro. Bisogna chiedersi quante di tali fonti siano state costruite ad arte dal patriarcato di Roma nel suo intento di primeggiare sugli altri patriarcati allora esistenti.

 

L’apostolo Paolo

     È scritto che «Paolo si mise in animo d’andare a Gerusalemme… “Dopo che sarò stato là”, diceva, “bisogna ch’io veda anche Roma”» (At 19,21). Paolo fu arrestato a Gerusalemme e portato a Cesarea; infine, essendo cittadino romano, si appellò a Cesare (At 25,10ss.21; 26,32; 28,19) e fu mandato a Roma (27,1ss; 28,16). Fu Gesù a dargli tale mandato: «E la notte seguente il Signore si presentò a Paolo, e gli disse: “Sta’ di buon cuore; perché come hai reso testimonianza di me a Gerusalemme, così bisogna che tu la renda anche a Roma”» (At 23,11). Ciò gli fu confermato in viaggio anche da un angelo in visione (At 27,24). Anche in seguito menzionò la sua permanenza in Roma (2 Tm 1,17).

 

L’apostolo Pietro

     Nel NT non si trova nulla di tutto ciò per Pietro. Non si parla di un suo desiderio di visitare Roma, né ricevette dal Signore un mandato al riguardo. Nelle uniche due epistole, che Pietro scrisse, non fece alcuna menzione di tale suo intento futuro o del fatto che avesse già visitato Roma. Tali lettere furono scritte a cristiani giudaici della diaspora, che vivevano nell’attuale Turchia. Di Pietro non è conservata alcuna lettera indirizzata a cristiani gentili. Egli era fermamente ancorato nel giudaismo e la sua visita ad Antiochia non fu molta positiva, visto che fu ripreso pubblicamente da Paolo (Gal 2,11ss).

     Gli accordi storici e strategici che Giacomo, Cefa (Pietro) e Giovanni (si noti la sequenza) presero con Paolo e Barnaba era la seguente: «Essi dettero a me e a Barnaba la mano d’associazione perché noi andassimo ai Gentili, ed essi ai circoncisi» (Gal 2,9). A ciò si aggiunga che Pietro e Paolo erano allora rappresentanti di due mandati e due missioni differenti: «Essi videro che a me era stata affidata la evangelizzazione degli incirconcisi, come a Pietro quella dei circoncisi — poiché Colui che aveva operato in Pietro per farlo apostolo della circoncisione, aveva anche operato in me per farmi apostolo dei Gentili» (vv. 7s).

 

Come arrivò l’Evangelo a Roma?

     La lettera ai Romani mostra che la comunità di Roma era preesistente all’arrivo di Paolo; infatti egli intendeva visitare i credenti per essere aiutato a recarsi in Spagna (Rm 15,24.28s). In tal modo avrebbe usata l’occasione per presentare anche a loro l’Evangelo (Rm 1,15) e per portare loro «la pienezza delle benedizioni di Cristo» (Rm 15,29).

     Quando ci fu la persecuzione in Gerusalemme, dopo la morte di Stefano (32-33 d.C.), «tutti furono dispersi per le contrade della Giudea e della Samaria, salvo gli apostoli» (At 8,1). Alcuni di loro «passarono fino in Fenicia, in Cipro e in Antiochia, non annunziando la Parola ad alcuno se non ai Giudei soltanto. Ma alcuni di loro, che erano Ciprioti e Cirenei, venuti in Antiochia, si misero a parlare anche ai Greci, annunziando il Signor Gesù» (At 11,19s). È evidente che da Antiochia l’Evangelo si sparse a macchia d’olio e da lì esso fu portato dovunque, non solo da paolo e Barnaba, ma anche dai cristiani che si spostavano per molti motivi: predicatori itineranti, commercianti, a causa di persecuzioni, eccetera. Cittadini romani come Paolo si recavano anche a Roma per ottenere giustizia dal Cesare o all’interno di delegazioni delle loro città. È probabilmente così che l’Evangelo arrivò anche a Roma. Paolo menzionò anche «quelli della casa di Cesare» (Fil 4,22).

     Alla fine della lettera ai Romani, Paolo menzionò e salutò una serie di cristiani giudaici, che lui conosceva e alcuni di loro erano suoi parenti. Egli parlò di «chiese in casa» e non di una chiesa centralizzata. Una tale chiesa in casa era ospitata da Aquila e Priscilla; quando l’imperatore Claudio mandò via da Roma i Giudei, essi si recarono a Corinto, dove incontrarono Paolo (At 18,2). Paolo, scrivendo ai cristiani romani, non fece alcuna menzione di Pietro né accennò a una partecipazione pietrina alla fondazione di tale comunità. Sarebbe stato veramente strano, se le cose fossero state diverse.

 

Aspetti conclusivi

     È quindi proprio sorprendete che si prescinda da tali radici e decisioni storiche, culturali e missionologiche per affermare che Cefa (Pietro) abbia fondato la chiesa di Roma e ne sia stato il primo vescovo! E questo sarebbe stato proprio quel Pietro, che il Signore aveva stabilito come «apostolo della circoncisione» e a cui aveva affidata l’evangelizzazione dei circoncisi! (Gal 2,7s). È un anacronismo storico, culturale e missionologico senza precedenti e, come tale, si commenta da sé. Costruire su tale mito tutto un primato e tutta una sovrastruttura ideologica e clericale, è come voler edificare un castello sulle nebbie. Altro non c’è da aggiungere.

     Terminiamo con una nota al margine. Abbiamo già commentato altrove la famosa frase di Gesù: «Tu sei Pietro [gr. petros = sasso] e su questa pietra [gr. petra = roccia] fonderò la mia chiesa» (Mt 16,18). Tale frase era in origine solo una promessa personale, senza altre implicazioni, rivolta a Pietro per aver riconosciuto per primo la messianicità di Gesù. Tale asserzione è stata poi riempita di un nuovo significato solo secoli dopo, perché tornava comodo al patriarca di Roma. Chi vuole applicare al vescovo di Roma tale asserzione, non può dimenticare l’altra che segue subito dopo: «Gesù, rivoltosi, disse a Pietro: “Vattene via da me, Satana; tu mi sei di scandalo. Tu non hai il senso delle cose di Dio, ma delle cose degli uomini”» (v. 23). Chi ritiene che qui Gesù si fosse rivolto al solo uomo Pietro, per tagliare rettamente la «Parola della Verità» mediante una corretta e rigorosa esegesi contestuale, non può fare due pesi e due misure nello stesso contesto, visto che ambedue le frasi sono rivolte in origine dallo stesso Gesù allo stesso Pietro.

 



[1] Gabriel Peters, I Padri della Chiesa, p. 59s. - Secondo la lista del vescovo di Lione Ireneo (180 d.C.), Clemente fu vescovo di Roma dal 92 al 101, dopo Pietro, Lino e Anacleto. Secondo Tertulliano, invece, Clemente fu ordinato dallo stesso Pietro e gli successe immediatamente. Anche nella sequenza riportata dai medaglioni dipinti nella Basilica di San Paolo fuori le mura (V sec.) Clemente segue immediatamente Pietro e lo stesso è riportato nel Liber Pontificalis, del IV sec. – Poiché è tutt’altro che accertato che Pietro sia mai stato vescovo di Roma, Clemente sarebbe in realtà il primo dei papi.

[2] K. Bihlmeyer – H. Tuechle, Storia della Chiesa, Vol. I: «L’antichità cristiana», cap. 1.

[3] Scrive Ireneo: «Ma poiché sarebbe troppo lungo… enumerare le successioni di tutte le chiese, prenderemo la Chiesa grandissima e antichissima e a tutti nota, la Chiesa fondata e stabilita a Roma dai due gloriosissimi apostoli Pietro e Paolo… Con questa Chiesa, in ragione della sua origine più eccellente, deve necessariamente essere d’accordo ogni Chiesa…» (G. Peters, I Padri della Chiesa, Roma 1984, p. 59). Ireneo, quindi, non attribuisce il primato di Roma all’investitura da parte di Gesù, ma all’autorità morale dei due asseriti fondatori.

 

► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_Den/A1-Pietro_chiesa-Roma_Mds.htm

05-06-2009; Aggiornamento: 11-06-2009

 

▲ Vai a inizio pagina ▲

Proprietà letteraria riservata

© Punto°A°Croce