1. GLI ASPETTI STORICI DELLA QUESTIONE
(Flavio Barbiero): Ritengo che ogni discussione sulla investitura di Pietro da
parte di Gesù sia fuorviante e non possa portare ad alcuna conclusione, né in un
senso né nell’altro. Tanto più che è tutt’altro che certo che Pietro abbia avuto
un ruolo qualsiasi nella fondazione della Chiesa di Roma.
La prima testimonianza in assoluto del primato di Roma sulle altre chiese è data
da papa Clemente[1]
nella sua celebre «Lettera ai Corinzi», scritta probabilmente verso la fine
dell’impero di Domiziano (95/96). In essa egli richiama all’ordine la comunità
cristiana di Corinto, che a quanto pare s’era ribellata all’autorità dei
presbiteri (XLIV, 4 e 6), evidentemente imposti dall’esterno, invitandola a
sottomettersi, pena l’esclusione dal «gregge di Cristo» (LVII, 1,2). Dalla
lettera (LXIII), apprendiamo anche che egli aveva inviato propri rappresentanti
a Corinto, con l’incarico di ristabilire l’ordine.
Mai, prima d’allora, una comunità cristiana s’era ingerita negli affari di
un’altra. Le prime comunità cristiane, infatti, erano indipendenti l’una
dall’altra e riconoscevano soltanto l’autorità degli apostoli in materie
dottrinali. E in ogni caso guardavano a Gerusalemme, non a Roma. La lettera di
Clemente è la chiara dimostrazione che negli anni dopo il 70 la comunità di
Roma, che fino ad allora non aveva avuto il benché minimo peso nel mondo
cristiano, era diventata di punto in bianco la più importante dell’impero e
aveva imposto la propria autorità su tutte le comunità cristiane dell’epoca.
Eusebio di Cesarea, infatti, testimonia che la lettera di Clemente veniva letta
regolarmente in molte altre chiese (H.E. III,16), segno che il vescovo di Roma
v’aveva stabilito la propria autorità. Come era potuto avvenire un
capovolgimento così radicale e repentino?
Prima di Nerone, la comunità cristiana di Roma non viene mai nominata, tanto che
non sappiamo neppure se esistessero cristiani nella capitale. Di certo nessun
apostolo vi s’era mai recato a predicare. Il primo fu proprio Paolo, che vi fu
condotto come «prigioniero in attesa di giudizio», insieme a qualche suo
discepolo, soltanto nel 61/62 d.C. Alcuni pensano che la comunità cristiana di
Roma sia sorta proprio in quell’occasione, a opera di Paolo e dei suoi compagni.
Essi fanno notare che gli era libero, infatti, di ricevere visite a domicilio e
nei due anni della sua prigionia si dedicò a un attivo apostolato. [N.d.R.
Questa questione verrà affrontata nella seconda parte.]
La giustificazione per il primato della Chiesa di Roma sulle altre Chiese
cristiane è sempre stata quella che Pietro, il principe degli apostoli,
designato da Gesù Cristo quale suo successore in terra, in un momento non meglio
precisato della sua vita scelse di diventare il primo vescovo di Roma, dove morì
martire durante la persecuzione neroniana e fu sepolto. Questo, però, è
riportato soltanto in una tradizione sorta almeno un secolo dopo i fatti in
questione. Naturalmente su una questione di tale importanza tutti gli storici
della Chiesa si sono mobilitati per dimostrare la verità di quella tradizione,
in uno sforzo che non ottiene altro risultato se non quello di mettere in
risalto la totale assenza di testimonianze dirette su quest’argomento.[2]
Gli Atti degli Apostoli raccontano in dettaglio le vicende di Pietro fino al 42
d.C., quando l’Apostolo fuggì miracolosamente dalle prigioni d’Erode Agrippa. Da
questo momento in poi di lui non viene fornita più alcuna notizia diretta. Egli
svanisce dalla storia. Secondo una tradizione sorta nel quarto secolo (il
catalogo dei papi stilato da Girolamo nel 354), subito dopo la fuga, Pietro
sarebbe andato a Roma e vi sarebbe rimasto fino alla morte, avvenuta nel 67.
Secondo una tradizione più antica (riportata da Origene e Eusebio), invece, dopo
la fuga da Gerusalemme egli sarebbe andato in Siria, dove avrebbe fondato
l’episcopato d’Antiochia. Il che non esclude, in principio, che si sia poi
recato a Roma. Come prova di questo gli storici portano un passo dello stesso
Clemente, dove dice che Pietro e Paolo subirono il martirio, anche se non dice
quando, dove e se in maniera congiunta. Soltanto nel 170 d.C. il vescovo Dionigi
di Corinto dice esplicitamente che Pietro e Paolo subirono il martirio a Roma. E
ancora più tarda è la prima dichiarazione che attribuisce a Pietro la fondazione
della Chiesa di Roma, rilasciata dal vescovo di Lione Ireneo tra il 180 e il
190, quando compila il primo elenco dei vescovi di Roma.[3]
L’unica testimonianza contemporanea diretta d’un soggiorno dell’apostolo in una
località precisa è riportata in un passo della Prima Lettera di Pietro (5,13) in
cui egli dice testualmente: «Vi saluta la comunità che è stata eletta come
voi e dimora in Babilonia». Dal che si deduce che nel momento, in cui
scriveva la lettera, egli si trovava a Babilonia. Gli storici della Chiesa,
invece, si sono precipitati unanimi ad affermare che con «Babilonia» egli
intendeva Roma, la corrotta capitale del mondo, e portano questo passo quale
prova del suo soggiorno romano. Ma la cosa appare quanto meno discutibile.
L’Apocalisse era di là da venire, e con essa le teorie di coloro che associano
la Grande Babilonia di Giovanni alla Roma di Nerone; non risulta che alcun ebreo
(e tanto meno un gentile) all’epoca di Pietro fosse in grado di capire un
riferimento a Roma come a una «Babilonia». Fra l’altro, se anche così fosse,
sembrerebbe quanto meno fuori luogo che l’apostolo, in una lettera ufficiale, si
riferisse in termini offensivi alla città di cui era ospite.
Tanto più che a quei tempi Babilonia esisteva davvero ed era sede della più
grande e antica comunità ebraica al di fuori della Giudea. Comunità che prima o
poi doveva pur essere oggetto d’attenzione da parte degli apostoli. Che la
lettera sia stata scritta proprio da Babilonia sembrerebbe confermato anche
dall’elenco dei destinatari, i cristiani del Ponto, Galazia, Cappadocia, Asia e
Bitinia, tutte località asiatiche.
Questo, ovviamente, non esclude che Pietro, alla fine, sia andato a farsi
martirizzare a Roma; ma è un dato di fatto, comunque, che non esiste alcuna
testimonianza contemporanea in questo senso, né indicazioni di qualsiasi genere
in merito alle circostanze e alla data di quest’ipotetico trasferimento. Data
l’importanza che viene attribuita alla persona e ai fatti in questione, appare
sorprendente e gravemente sospetto che nessuna fonte dell’epoca riporti la
benché minima informazione sulla sorte di Pietro dopo la sua fuga dal carcere,
specie in considerazione dell’ampiezza e del dettaglio con cui vengono trattate
le sue vicende precedenti. Una perdita accidentale di notizie storiche su un
soggetto del genere appare alquanto inverosimile; è più probabile invece una
«dimenticanza» pilotata, per intorbidare le acque: nel vuoto di notizie è facile
costruire leggende più o meno credibili. E i piloti sarebbero stati gli stessi
che hanno fatto «cadere» le informazioni relative a Paolo e alle vicende della
Chiesa romana negli anni dei Flavi.
Fra l’altro, questi stessi «piloti» sono gli autori del mito del primato di
Pietro, che non trova riscontro nei Vangeli, a parte la famosa frase attribuita
a Cristo:
«Tu sei Pietro e su questa pietra fonderò la mia chiesa», che viene
riportata soltanto nel Vangelo di Matteo (16,18). [N.d.R. Si veda al riguardo
nella seconda parte.] La mancanza di notizie dirette relative alla permanenza
romana di Pietro costituisce un forte elemento a favore della tesi che egli non
abbia avuto personalmente alcun peso significativo nella creazione della Chiesa
di Roma. Se davvero l’attività di Pietro fosse tale da costituire il fondamento
della legittimità di Roma come prima fra le Chiese cristiane, è da presumere che
quella stessa comunità avrebbe per lo meno registrato e tramandato gli episodi
più salienti di quell’attività. E tuttavia niente, assolutamente niente di quel
che è stato scritto in quel periodo (e certamente molto fu scritto) è stato
conservato e trascritto per i posteri. Pesante indizio, se non prova certa, che
non era esattamente in sintonia con la tradizione che si volle accreditare in
seguito. {01-06-2009}
2. ALCUNI ASPETTI BIBLICI
(Nicola Martella): Aggiungo soltanto alcune osservazioni, facendo notare
alcuni particolari che risaltano da uno studio dei dati biblici. Giustamente
Flavio Barbiero ha evidenziato che non esistono documenti contemporanei agli
eventi che attestino una presenza di Pietro in Roma e di una sua partecipazione
alla costruzione della comunità cristiana romana. Tutte le fonti sono tardive e
spesso in contraddizione fra loro. Bisogna chiedersi quante di tali fonti siano
state costruite ad arte dal patriarcato di Roma nel suo intento di primeggiare
sugli altri patriarcati allora esistenti.
L’apostolo Paolo
È scritto che «Paolo si mise in animo d’andare a Gerusalemme… “Dopo che sarò
stato là”, diceva, “bisogna ch’io veda anche Roma”» (At 19,21). Paolo fu
arrestato a Gerusalemme e portato a Cesarea; infine, essendo cittadino romano,
si appellò a Cesare (At 25,10ss.21; 26,32; 28,19) e fu mandato a Roma (27,1ss;
28,16). Fu Gesù a dargli tale mandato: «E la notte seguente il Signore si
presentò a Paolo, e gli disse: “Sta’ di buon cuore; perché come hai reso
testimonianza di me a Gerusalemme, così bisogna che tu la renda anche a Roma”»
(At 23,11). Ciò gli fu confermato in viaggio anche da un angelo in visione (At
27,24). Anche in seguito menzionò la sua permanenza in Roma (2 Tm 1,17).
L’apostolo
Pietro
Nel NT non si trova nulla di tutto ciò per Pietro. Non si parla di un suo
desiderio di visitare Roma, né ricevette dal Signore un mandato al riguardo.
Nelle uniche due epistole, che Pietro scrisse, non fece alcuna menzione di tale
suo intento futuro o del fatto che avesse già visitato Roma. Tali lettere furono
scritte a cristiani giudaici della diaspora, che vivevano nell’attuale Turchia.
Di Pietro non è conservata alcuna lettera indirizzata a cristiani gentili. Egli
era fermamente ancorato nel giudaismo e la sua visita ad Antiochia non fu molta
positiva, visto che fu ripreso pubblicamente da Paolo (Gal 2,11ss).
Gli accordi storici e strategici che Giacomo, Cefa (Pietro) e Giovanni (si noti
la sequenza) presero con Paolo e Barnaba era la seguente: «Essi dettero a me
e a Barnaba la mano d’associazione perché noi andassimo ai Gentili, ed essi ai
circoncisi» (Gal 2,9). A ciò si aggiunga che Pietro e Paolo erano allora
rappresentanti di due mandati e due missioni differenti: «Essi videro che
a me era stata affidata la evangelizzazione degli
incirconcisi, come a Pietro quella
dei circoncisi — poiché Colui che aveva operato in Pietro per farlo
apostolo della circoncisione, aveva anche operato in me per
farmi apostolo dei Gentili»
(vv. 7s).
Come arrivò
l’Evangelo a Roma?
La lettera ai Romani mostra che la comunità di Roma era preesistente
all’arrivo di Paolo; infatti egli intendeva visitare i credenti per essere
aiutato a recarsi in Spagna (Rm 15,24.28s). In tal modo avrebbe usata
l’occasione per presentare anche a loro l’Evangelo (Rm 1,15) e per portare loro
«la pienezza delle benedizioni di Cristo» (Rm 15,29).
Quando ci fu la persecuzione in Gerusalemme, dopo la morte di Stefano
(32-33 d.C.), «tutti furono dispersi per le contrade della Giudea e della
Samaria, salvo gli apostoli» (At 8,1). Alcuni di loro «passarono fino in
Fenicia, in Cipro e in Antiochia, non annunziando la Parola ad alcuno se non ai
Giudei soltanto. Ma alcuni di loro, che erano Ciprioti e Cirenei, venuti in
Antiochia, si misero a parlare anche ai Greci, annunziando il Signor Gesù»
(At 11,19s). È evidente che da Antiochia l’Evangelo si sparse a macchia d’olio e
da lì esso fu portato dovunque, non solo da paolo e Barnaba, ma anche dai
cristiani che si spostavano per molti motivi: predicatori itineranti,
commercianti, a causa di persecuzioni, eccetera. Cittadini romani come Paolo si
recavano anche a Roma per ottenere giustizia dal Cesare o all’interno di
delegazioni delle loro città. È probabilmente così che l’Evangelo arrivò anche a
Roma. Paolo menzionò anche «quelli della casa di Cesare» (Fil 4,22).
Alla fine della lettera ai Romani, Paolo menzionò e salutò una serie di
cristiani giudaici, che lui conosceva e alcuni di loro erano suoi parenti.
Egli parlò di «chiese in casa» e non di una chiesa centralizzata. Una tale
chiesa in casa era ospitata da Aquila e Priscilla; quando l’imperatore Claudio
mandò via da Roma i Giudei, essi si recarono a Corinto, dove incontrarono Paolo
(At 18,2). Paolo, scrivendo ai cristiani romani, non fece alcuna menzione di
Pietro né accennò a una partecipazione pietrina alla fondazione di tale
comunità. Sarebbe stato veramente strano, se le cose fossero state diverse.
Aspetti
conclusivi
È quindi proprio sorprendete che si prescinda da tali radici e decisioni
storiche, culturali e missionologiche per affermare che Cefa (Pietro) abbia
fondato la chiesa di Roma e ne sia stato il primo vescovo! E questo sarebbe
stato proprio quel Pietro, che il Signore aveva stabilito come «apostolo
della circoncisione» e a cui aveva affidata l’evangelizzazione dei
circoncisi! (Gal 2,7s). È un anacronismo storico, culturale e missionologico
senza precedenti e, come tale, si commenta da sé. Costruire su tale mito tutto
un primato e tutta una sovrastruttura ideologica e clericale, è come voler
edificare un castello sulle nebbie. Altro non c’è da aggiungere.
Terminiamo con una nota al margine. Abbiamo già commentato altrove la
famosa frase di Gesù: «Tu sei Pietro [gr. petros = sasso] e su questa pietra
[gr. petra = roccia] fonderò la mia chiesa» (Mt 16,18). Tale frase era in
origine solo una promessa personale, senza altre implicazioni, rivolta a Pietro
per aver riconosciuto per primo la messianicità di Gesù. Tale asserzione è stata
poi riempita di un nuovo significato solo secoli dopo, perché tornava comodo al
patriarca di Roma. Chi vuole applicare al vescovo di Roma tale asserzione, non
può dimenticare l’altra che segue subito dopo: «Gesù, rivoltosi, disse a
Pietro:
“Vattene via da me, Satana; tu mi sei di scandalo. Tu non hai il senso delle
cose di Dio, ma delle cose degli uomini”» (v. 23). Chi ritiene che qui Gesù
si fosse rivolto al solo uomo Pietro, per tagliare rettamente la «Parola della
Verità» mediante una corretta e rigorosa esegesi contestuale, non può fare due
pesi e due misure nello stesso contesto, visto che ambedue le frasi sono rivolte
in origine dallo stesso Gesù allo stesso Pietro.
[1] Gabriel Peters, I Padri della Chiesa, p. 59s. -
Secondo la lista del vescovo di Lione Ireneo (180 d.C.), Clemente fu vescovo di
Roma dal 92 al 101, dopo Pietro, Lino e Anacleto. Secondo Tertulliano, invece,
Clemente fu ordinato dallo stesso Pietro e gli successe immediatamente. Anche
nella sequenza riportata dai medaglioni dipinti nella Basilica di San Paolo
fuori le mura (V sec.) Clemente segue immediatamente Pietro e lo stesso è
riportato nel Liber Pontificalis, del IV sec. – Poiché è tutt’altro che
accertato che Pietro sia mai stato vescovo di Roma, Clemente sarebbe in realtà
il primo dei papi.
[2] K. Bihlmeyer – H. Tuechle, Storia della Chiesa,
Vol. I: «L’antichità cristiana», cap. 1.
[3] Scrive Ireneo: «Ma poiché sarebbe troppo lungo…
enumerare le successioni di tutte le chiese, prenderemo la Chiesa grandissima e
antichissima e a tutti nota, la Chiesa fondata e stabilita a Roma dai due
gloriosissimi apostoli Pietro e Paolo… Con questa Chiesa, in ragione della sua
origine più eccellente, deve necessariamente essere d’accordo ogni Chiesa…» (G.
Peters, I Padri della Chiesa, Roma 1984, p. 59). Ireneo, quindi, non
attribuisce il primato di Roma all’investitura da parte di Gesù, ma all’autorità
morale dei due asseriti fondatori.
► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_Den/A1-Pietro_chiesa-Roma_Mds.htm
05-06-2009; Aggiornamento: 11-06-2009
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