Alcuni lettori ci hanno presentato le seguenti questioni.
■ 1.
Caro Nicola, ti ringrazio per le tue note che ricevo
via mail e che gettano un po’ di luce su argomenti sempre molto controversi.
Vorrei porti una domanda,
alla quale probabilmente hai già risposto in passato pubblicamente o
privatamente: quale è la giusta traduzione della parola greca
kecharitomene, con cui l’angelo saluta Maria all’inizio dell’Evangelo di
Luca. Le Bibbie generalmente usate nelle nostre assemblee traducono tale parola
con «favorita dalla grazia» (Luzzi e Nuova Riveduta), con «tu a cui è
stata fatta grazia» (Diodati), con «grandemente favorita» (Nuova
Diodati). Le mie scarse nozioni di greco mi hanno portato a capire che
kecharitomene è il participio passato passivo di charizomai,
che il vocabolario greco Rocci traduce con «faccio cosa gradita, gratifico,
m’ingrazio» oppure, come in Ef 1,6, «concedo, elargisco gratuitamente» e che al
passivo si può tradurre con «sono gradito, piaccio». La radice è la stessa di
charis «grazia».
Il significato
dell’espressione è che Maria è stata resa gradita al Signore, le è stata
fatta grazia, è piaciuta al Signore, che le ha accordato il suo favore e l’ha
scelta per un compito speciale.
La Vulgata invece
traduce tale termine con
gratia plena, da cui la traduzione delle Bibbie cattoliche «piena di grazia»
che poi assume il significato di «dispensatrice di grazia».
Puoi per favore fare
maggiore chiarezza su questo controverso termine sul quale la Chiesa di Roma ha
costruito tutta una dottrina? {Massimo Medda; 25-02-2008}
■ 2. Pace, Nicola. Mi puoi dare la
traduzione di Luca 1,28 e con allegato il versetto in greco. Mi sono trovato a
discutere con un cattolico (Pippo Pancaro) sul fatto che le traduzioni nostre
riportano «favorita dalla grazia» e invece la traduzione della CEI riporta
«piena di grazia». Nella versione originale come c’è scritto? {1 marzo 2010}
Ad aspetti
rilevanti di tali questioni rispondiamo qui di seguito. |
Partiamo dalle
richieste del secondo lettore.
■
Greco: «Και εισελθων o αγγελος προς αυτεν ειπεν, Χαιρε, κεχαριτωμενη· o
κuριος μετα σου».
■
Greco traslitterato: «Kai eiselthōn
ho aggelos pros autēn eipen: “Chaire,
kecharitōmenē;
ho kurios meta sou”».
■
Traduzione letterale: «E l’angelo, entrato da lei, disse: “Ti saluto, o
favorita [dalla grazia]! Il Signore è con te!».
Il primo lettore ha già fatto un’analisi
abbastanza accurata del termine, della problematica associata e dei risvolti
dottrinali connessi. Chi ama la verità, deve ricercarla a qualunque costo e
accettarla così com’è senza sotterfugi, visto che è solo la verità a rendere
liberi ed è solo la perseveranza nella parola di Cristo a palesare che si è
veramente suoi discepoli (1 Gv 8,31s).
Se si fa esegesi
contestuale, ci si rende conto che la risposta sta spesso nel contesto
stesso. Partiamo dalla traduzione italiana. L’angelo disse a Maria: «Ti
saluto, o favorita [gradita o prescelta]: il Signore è con te» (Lc 1,28).
Ciò creò turbamento e confusione nella giovane donna ebrea (v. 29). Lo stesso
angelo le spiegò quanto intendeva dire: «Non temere, Maria, perché hai
trovato grazia presso Dio» (v. 30), e cioè per dare la luce al Messia.
Già così ci si rende conto
che «favorita [dalla grazia]» (v. 28) equivale a «hai trovato grazia
presso Dio» (v. 30). La reazione di Maria fu questa: «Io sono la schiava
del Signore» (v. 38 doúlē Kyríou);
infatti in quella cultura la doúlē
era la schiava e il kyrios era il
padrone. Poi ella magnificò il Signore, chiamandolo «Dio mio Salvatore»,
ritenendo un onore che Egli avesse «riguardato alla bassezza della sua
schiava» (vv. 46ss) per dare proprio a lei l’onore di diventare la mamma del
Messia.
Andando al termine in
questione, prendiamo atto che non è per nulla particolare per essere tradotto in
modo speciale. Il termine kecharitōménē
è participio perfetto passivo di charitóō «rendere gradito, amabile,
aggraziare, fare grazia» (Ef 1,6). Nel passivo significa «essere accettabile,
gradito, essere favorito, essere oggetto o destinatario di grazia». Il verbo è
denominativo di cháris «grazia». Come lo stesso termine possa avere
aspetti di gradimento, amabilità e di favore immeritato, ciò è mostrato dal
fatto che anche in italiano abbiamo dalla stessa radice, tra altre cose,
«grazioso e grazia», riferiti alla bellezza e all’avvenenza, e «grazia» nel
senso di favore immeritato e di clemenza. Un problema della lingua italiana è
che possediamo il participio passivo «aggraziato /a» del verbo «aggraziare», ma
non significa «chi è oggetto di grazia; colui al quale è stato fatto grazia», ma
«abbellito /a; grazioso /a».
In Lc 1,28
si può tradurre semplicemente così: «Ti saluto, o favorita (gradita o
prescelta)», cioè da Dio. Infatti la grazia, che Maria aveva trovato presso
Dio, non aveva nulla che fare con meriti particolari che ella avesse (quali
meriti può avere una donna che si definisce «schiava»?) o con la salvezza (non
ne poteva dispensare, visto che fu lei a invocare Dio come suo Salvatore; 1,47),
ma con fatto che Dio l’aveva scelta per diventare la mamma del Messia (vv.
30ss).
C’è da menzionare anche il verbo charízomai «usare grazia, donare
per grazia». Charitóō si differenzia da quest’ultimo nel fatto che non
significa «donare grazia mediante un dono», ma «donare a qualcuno la grazia
stessa, fare grazia, far trovare a qualcuno grazia presso di sé». Infatti
charízomai ricorre spesso nel NT nel senso di «donare» (Lc 7,21.42s; At
27,24; Rm 8,32; Fil 2,9) e di «perdonare» (2 Cor 2,7.10; 12,13; Ef 4,32; Col
3,13).
Essendo
Maria diventata la donna favorita o prescelta di Dio per dare luce al
Messia, giustamente Elisabetta la dichiarò «benedetta… fra le donne» a
causa del benedetto frutto del suo seno» (v. 42), visto che ciò la rendeva la «madre
del mio Signore» (v. 43). Ella dichiarò Maria «felice» perché aveva creduto
alle parole del Signore, che non avrebbe mancato di realizzarle (v. 45).
Avendola il Signore prescelta a diventare la mamma del Messia, Maria stessa si
rese conto che «d’ora innanzi tutte le età mi chiameranno felice» (v.
48), tuttavia ella non mise se stessa al centro, ma «il Potente [che] mi ha
fatto grandi cose» (v. 49) e opere potenti nella storia (vv. 50ss).
Bisogna osservare che il
verbo
charitóō
si trova solo in due luoghi nel NT: in Lc 1,28 e in
Ef 1,6. In quest’ultimo brano significa «fare grazia». «…a
lode della gloria della sua grazia, con la quale Egli ci fatto grazia [o ci ha
resi graditi] nell’amato».
Faccio notare che dalla
radice latina grat*
derivano, tra altri, non solo grato, gratis, gratuito, gratificare (mostrarsi
grato), ringraziare, ma anche gradire (da gratire), gradito e gradimento.
Il termine «gradito» è proprio ciò che si può tradurre in Lc 1,28 e in Ef 1,6.
Questo è tutto. Trarre
dottrine così particolari e gravide di conseguenze per la fede di milioni di
cristiani da una questione così semplice non può che meravigliare. Come faceva
una semplice donna giudea, che necessitava lei stessa della grazia divina per la
propria vita a diventare «dispensatrice di grazia»? Misteri spiritualistici!
«Non c’è più cieco di chi non vuol vedere», recita un proverbio, e ciò vale
specialmente per le evidenze contestuali. Se è la verità a rendere liberi, come
disse Gesù, per contrappasso sono le menzogne dottrinali ad aggiogare i cuori e
le menti dei semplici.
►
Che pensare del culto a Maria e ai santi?
{Nicola Martella} (T)
► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_Den/A1-Piena_di_grazia_Car.htm
27-02-2008; Aggiornamento: 03-03-2010
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