1.
ENTRIAMO IN TEMA: Un lettore mi ha scritto quanto segue. In
questi ultimi mesi mi sono imbattuto nel calvinismo e nel pensiero
riformato, avendo trovato qui a Napoli alcune persone, che sono in linea con
questo pensiero. Parto dal presupposto che non trovo nella Scrittura una
conferma al calvinismo. Ho molto apprezzato la tua sezione sul sito «Fede
controcorrente», che tratta la dottrina della (doppia) predestinazione.
Attualmente sto cercando di studiare due brani: Romani 8,28-30 ed Efesini
2,1-2. Nel primo brano non capisco esattamente cosa l’apostolo Paolo volesse
intendere con «quelli che ha preconosciuti» (Rm 8,29), mentre nel secondo
l’espressione «morti nelle vostre colpe e nei vostri peccati» (Ef 2,1).
Per caso hai già qualche articolo che tratta questi due brani? La maggior parte
dei commentari, che utilizzo, dà un’interpretazione calvinista e il mio greco
koinè non mi aiuta tantissimo! Grazie in anticipo per il tuo prezioso aiuto.
{Emiliano Gattulli; 01/02/2018}
Rispondendo a questo lettore, premetto quanto segue. Riguardo
alla doppia predestinazione il calvinismo non ha fatto altro che cristianizzare
il fatalismo della cultura islamica, a quel tempo dominante in occidente
nella cultura umanistica. [►
La predestinazione dell’individuo, figlia d’una cultura umanistica {Nicola
Berretta}] Come tutte le cose cristianizzate, si ha un piccolo nocciolo di
verità con un grande contorno ideologico e filosofico.
Tali brani non presentano un
problema, se si fa esegesi contestuale. Il problema è quando un approccio
dogmatico usa tali brani, asservendoli a una ideologia religiosa e,
analizzando tali brani con le lenti filosofiche, si traggono da essi il sangue
dalle rape, ossia ciò che lì esplicitamente non c’è. In casi del genere la
manovra ideologica è sempre la seguente: prima qualcuno proietta in tali
brani la dottrina specifica (qui la doppia predestinazione), poi si cita chi
asserisce ciò come autorità in un libro, un articolo o un commentario, si crea
così un consenso in merito, da lì in poi si leggono tali brani sempre con tali
lenti e si afferma che tale dottrina sia «biblica». Chi obietta qualcosa
al riguardo viene visto in modo strano, se non addirittura si ipotizza che sia
fuori dottrina, ossia fuori del consenso dell’ideologia di riferimento (qui la
doppia predestinazione).
2.
REALTÀ E LIMITI DELL’ELEZIONE: In Romani 8,28ss Paolo
voleva presentare una teologia positiva, ossia intendeva incoraggiare i
rigenerati; non voleva innescare una disquisizione sulla presunta doppia
predestinazione. I credenti non solo avevano problemi come noi oggi in
occidente, ma erano perseguitati (Rm 8,35-39). Paolo intese incoraggiarli,
mettendo l’enfasi sull’«amore di Cristo» (v. 35) e sull’«amore di Dio
in Cristo» (v. 39), da cui nulla e nessuno poteva separare i rigenerati;
perciò, scrisse loro che Dio ha per loro un progetto fin dalla fondazione del
mondo e intende portarlo a termine! Dio è l’unico che può conoscere eventi e
persone del futuro, quando essi ancora non esistono. Ora, la predestinazione è
il progetto di Dio per i credenti, chiamati eletti. Qui non viene detto di più,
tanto meno in senso negativo.
L’elezione non è coincidente con
la salvezza. L’Eterno parlò a Ciro, che fu
chiamato «suo unto» (Is 45,1), al pari di Saul (1 Sm 12,3.5), di Davide
(2 Sm 22,51; Sal 2,1; 18,50) e del Messia (At 4,26; Cristo = Unto). Non fu mai
scritto che Ciro si fosse convertito al Dio vivente, per ottenere salvezza.
Mosè fu chiamato «suo eletto» (Sal 106,23). Davide fu chiamato
dall’Eterno «mio eletto» (Sal 89,3) al pari del Messia (Is 42,1) e di
Israele (Is 43,20; 45,4). Saul
fu chiamato «l’eletto dell’Eterno» (2 Sm
21,6), ma fu riprovato da Dio! (1 Sm 15,26; 16,1). Sebbene Israele
sia il popolo eletto, non tutto è stato mai salvato, se non un residuo fedele
(Is 10,22). Proprio gli Israeliti al tempo di Gesù non lo riconobbero come
Messia né lo ricevettero come tale (Gv 1,11), ma a loro fu tolto il regno (Mt
21,43) e morirono nei loro peccati (Gv 8,24).
Gesù aveva scelto i dodici apostoli
personalmente (Lc 6,13 eklégomai «scegliere, eleggere»; Gv 15,16), eppure
Giuda lo tradì e fu chiamato «figlio della perdizione» (Gv 17,12; cfr. 2
Ts 2,3 avversario) e «calunniatore» (Gv 6,70; gr. diábolos).
Quindi, l’elezione da parte di Dio
non protegge dalla perdizione, come mostrano Saul, Israele e Giuda. Proprio tali
casi concreti mostrano che il proponimento di Dio, quale suo piano nella storia,
la sua chiamata (elezione) e il suo progetto con un obiettivo (predestinazione)
non sono irresistibili, non equivalgono di per sé alla salvezza, non si attuano
senza un impegno all’ubbidienza e alla fedeltà del singolo (patto) né proteggono
dal fallimento.
3.
MORTI SPIRITUALI CHIAMATI A RAVVEDIMENTO!: Quanto a Efesini
2,1ss qui fu descritta una categoria morale: «Voi
eravate morti nelle vostre trasgressioni e nei
vostri peccati» (v. 1). Non è una categoria assoluta nel senso che
l’uomo sia del tutto incapace di percepire la rivelazione di Dio. Quando Dio
parlò o si rivelò a dei pagani, essi compresero il messaggio di Dio. Così
fu per Abimelek, che era un re filisteo, quindi idolatra (Gn 20,3ss).
Balaam che era un mago e tale rimase (Nu 22,31-35; 23,5.16 «l’Eterno mise
delle parole in bocca a Balaam»!; 31,16). Così fu per altri, ad esempio per
l’idolatra Labano (cfr. Gn 31,24.29), per i magi o sapienti venuti
dall’oriente (Mt 2,12; vv. 12.19.22 Giuseppe) e probabilmente con la moglie
di Pilato (Mt 27,19). Dio non dovette prima «vivificarli», perché potessero
capire; essi non divennero seguaci del Dio vivente, ma rimasero ciò che erano.
L’uomo è creato a immagine di Dio; perciò, gli uomini sono in grado di capire,
quando Dio parla loro direttamente.
L’azione di Dio verso tali ribelli e
figli d’ira è stata la «vivificazione» (Ef 2,1ss). Questa è l’azione di
Dio, che è conseguente al ravvedimento e alla conversione. Ora, i
calvinisti affermano che prima si viene rigenerati e poi si può credere, come se
la fede fosse un dono di Dio. Tuttavia, questa visione dogmatica contrasta con
le asserzioni dei testi nei loro contesti. Gesù non disse: «La fede, che Dio ti
ha donato, ti ha salvato», ma affermò in modo ricorrente: «La tua fede
ti ha salvato»! (sṓzō = salvare: Mt 9,22; Mc 10,52; Lc 7,50; 17,19;
18,42).
4.
RISPOSTE ALL’ATTO DI GRAZIA: La grazia è l’atto di condono
della pena, che un’istanza in autorità elargisce a chi è stato condannato a
morte; per essere esecutivo, tale atto dev’essere accettato dal malvivente. La
grazia è il dono di Dio (Rm 5,15.17), non la fede (= fiducia), che è la risposta
del credente all’offerta di salvezza. Infatti, è scritto che la fede
viene dal messaggio udito (Rm 10,17), ossia quale risposta all’Evangelo,
chiamato «parola di Cristo». Di Abramo fu
scritto che «dinanzi alla promessa di Dio, non vacillò per incredulità, ma fu
fortificato per la sua fede, dando gloria a Dio [21] ed essendo
pienamente convinto che ciò, che aveva promesso, Egli era anche potente da
effettuarlo» (Rm 4,20s). Come si vede, la sua
fede è la risposta di fiduciosa convinzione che Dio attuerà le sue promesse.
Grazia e promesse sono dono di Dio, mentre la fede è la risposta dell’uomo, che
si esprime nella piena convinzione dell’attendibilità (fedeltà e lealtà) di Dio.
Quando gli apostoli predicavano
l’Evangelo fra i Giudei e i Gentili, gli astanti rispondevano gli uni con
la fede (= fiducia) e gli altri con l’incredulità (= sfiducia). Furono posti in
contrasto coloro, che crederono (At 14,1 Giudei e Gentili; pisteúō), con
i Giudei che non si fecero convincere (v. 2 apeithéō) e che quindi non
ubbidirono alla chiamata di Dio (cfr. apeithéō in At 26,19; Rm 15,31
increduli di Giudea). Avere fede (= fiducia),
farsi convincere o decidere di ubbidire sono risposte dell’uomo a un’offerta
esterna; il contrario è l’incredulità, la disubbidienza e il rifiuto (Rm 10,21).
L’incredulità (= mancanza di
fiducia, disubbidienza) impedisce l’opera di Dio (cfr. Mt 13,58; Eb 3,18s; cfr.
anche Rm 11,20.23). Essere credente e incredulo sono agli antipodi e ambedue
sono la risposta dell’uomo alle parole di Dio o di Cristo (Eb 11,31 fede [pístis]
di Raab vs. disubbidienti [apeithḗsantes]; Gv 20,27 Toma era eletto, ma
incredulo!). La generazione che uscì dall’Egitto, sebbene fosse stata eletta da
Dio, non poté entrare nella terra promessa a motivo
dell’incredulità espressa nella loro disubbidienza (Eb 3,18s apeithéō
= esercitare apistía). Senza la risposta di fede da parte dell’uomo,
l’atto di grazia non arriva al suo obiettivo, essendo rifiutato. All’interno
dello stesso popolo d’Israele, Gesù è diventato la pietra angolare per coloro,
che credono in Lui, ma una pietra d’inciampo per gli increduli o disubbidienti,
che così intoppano nella Parola (1 Pt 2,7s).
Sebbene gli Israeliti fossero il
popolo eletto, innestato su Abrahamo, rifiutando Cristo, furono paragonati a
quei rami troncati per la loro incredulità; al contrario, i credenti
delle nazioni sussistono per la loro fede in Gesù quale Messia (Rm 11,20). I
Giudei, non perseverando più nella loro incredulità,
potranno essere nuovamente innestati (v. 23). Come si vede, fede e
incredulità sono le risposte dell’uomo all’Evangelo, che è l’offerta e l’atto di
grazia di Dio.
►
Sovrastrutture dogmatiche e calvinismo {Nicola
Martella} (D)
►
Sovrastrutture dottrinali e teologia riformata 1
{Nicola Martella} (T)
►
Sovrastrutture dottrinali e teologia riformata 2
{Nicola Martella} (T)
► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_Den/A1-Grazia_rispo_UnV.htm
19/02/2018; Aggiornamento: |