Un taglio netto alle convenzioni anti-bibliche e pseudo-bibliche, all'ignoranza e alle speculazioni — Ein klarer Schnitt zu den anti-biblischen und pseudo-biblischen Konventionen, zur Unwissenheit und den Spekulationen — A clean cut to the anti-biblical and pseudo-biblical conventions, to the ignorance and the speculations — Une coupe nette aux conventions anti-bibliques et pseudo-bibliques, à l'ignorance et aux spéculations — Un corte neto a las convenciones anti-bíblicas y pseudo-bíblicas, a la ignorancia y a las especulaciones

La fede che pensa — Accettare la sfida nel nostro tempo

«Glaube gegen den Strom»: Für das biblische Unterscheidungsvermögen — «Faith countercurrent»: For the biblical discernment — «Foi contre-courant»: Pour le discernement biblique — «Fe contracorriente»: Por el discernimiento bíblico

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Ecco le parti principali:
■ Il patto, l'etica e il pensiero sabbatico
■ Il sabato nell’Antico Testamento, nel giudaismo, nel Nuovo Testamento e relative questioni odierne
■ L’estensione del sabato: l’anno sabbatico e lo jôbel nella Torà e nella storia
■ L’ideale e le funzioni teologiche risultanti
■ Excursus: Storia del giubileo cattolico
■ Le feste principali in Israele.

 

► Vedi al riguardo la recensione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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GRAZIA E LEGGE NELL’ANTICO E NEL NUOVO PATTO

 

 Giampiero Vassallo - Nicola Martella

 

Giampiero Vassallo è un pastore avventista della Svizzera. Dopo la pubblicazione dell’articolo «Avventismo e legge mosaica nel nuovo patto» e del tema di discussione «Avventismo e legge mosaica nel nuovo patto? Parliamone», ha espresso il desiderio di confrontarsi con me sui temi a lui cari. Il suo scritto è apprezzabile nelle parti, in cui parla della giustificazione per grazia mediante la fede. Subito dopo, però, arriviamo subito al cuore del problema: il valore della legge mosaica per noi membri del nuovo patto. E proprio qui troviamo il punto cruciale, in cui le due prospettive teologiche immancabilmente si divaricano. Egli applica semplicemente la legge mosaica ai cristiani, prescindendo dal fatto che la chiesa non è l'Israele storico, che il nuovo patto ha portato alla cessazione dell'antico patto e che, perciò, la «legge di Cristo» è l'unica ingiuntiva per i cristiani. È giusto il principio, secondo cui una fede genuina è, nella pratica, quella disposta non solo ad accettare la salvezza, ma anche a ubbidire a Dio; il problema è richiedere ai credenti odierni l'ubbidienza a un vecchio patto, mentre il Messia ne ha istituito uno nuovo. Perché la grazia non sia a buon mercato, l'ubbidienza è necessaria, anche come frutto, che attesti la natura dell'albero; il punto cruciale è il seguente: che cosa è ingiuntivo per i credenti del nuovo patto? Secondo quanto ci convince il NT, per i cristiani non sono certamente ingiuntivi i dettami giuridici di un patto (quello mosaico) oramai messo fuori uso da uno nuovo, unico giuridicamente valido nella nuova economia messianica.

     Questo confronto è avvenuto alcuni anni prima della pubblicazione dell'articolo, rimanendo in deposito; ora lo pubblico, ritenendolo utile per un sano e pacato confronto. Chiaramente la mia analisi teologica finale va ben oltre a quanto detto dal mio interlocutore, anticipando già qui le sue eventuali obiezioni e mostrando un quadro articolato fra ogni patto di grazia (aspetto salvifico) e la sua rispettiva legge (aspetto amministrativo) all'interno della storia della salvezza.

 

 

1.  PER GRAZIA SOLTANTO (Giampiero Vassallo): Riflettere sulla dottrina della giustificazione per grazia significa, innanzitutto, indicare Gesù Cristo come parola vivente di Dio che perdona i peccati. L’intera testimonianza neotestamentaria è concorde nell’affermare che, in Gesù Cristo, Dio rivolge all’umanità e alla creazione intera una parola di salvezza: l’evangelo, la buona notizia, che si presenta come «potenza di Dio» (Rm 1,16), che è in grado non solo di manifestare la volontà di Dio, ma anche di renderla attiva e operante in vista della liberazione da quella che è definita «la legge del peccato e della morte» (Rm 8,2). Ciò avviene in forza della libera decisione di Dio, che essendo amore (1 Gv 4,8), agisce in conformità al suo essere: poiché Dio è amore, Egli può agire, nella sua libertà, amando, qualificando la sua azione come totale e libera dedizione, come grazia. L’essere di Dio, che liberamente si dona, è Gesù Cristo.

     La a Riforma del XVI secolo, nell’interpretare il messaggio salvifico testimoniato dal Nuovo Testamento con il nome di Gesù Cristo, pone al centro il tema della giustizia o giustificazione di Dio. Gesù Cristo è evento di salvezza, in quanto giustizia di Dio. Dire giustificazione significa dire Cristo, cioè l’amore di Dio per l’essere umano. La grazia è l’agire di Dio — e di Dio soltanto — che rivolge agli esseri umani la sua parola di salvezza; la fede include una risposta da parte dell’uomo. La fede può e deve essere confessata, la grazia soltanto attesa. L’essere umano non ha in sé le forze per vivere secondo le esigenze di Dio, ma quest’ultimo elargisce il perdono a chi non se lo merita, per pura benignità, per grazia, appunto.

     La giustizia di Dio è stata interpretata da Lutero come una giustizia, che rende giusto chi la riceve (di Dio inteso come genitivo oggettivo e non di specificazione). Tuttavia non può essere intesa come puro e semplice premio per i «buoni» e punizione per i «malvagi». Dio è giusto, non perché riconosce i meriti d’alcuni e condanna le colpe d’altri. Dio è giusto donando giustizia, giustificando il peccatore. La giustizia di Dio deve essere intesa come un dono, che non può mai essere separato dal donatore, perché resta legata all’azione di Dio. In questo consiste la giustificazione, nel fatto che Dio comunica, dona all’essere umano una giustizia che non è propria di quest’ultimo.

     Come possiamo parlare allora di giustificazione per fede? Quale fede giustifica? La fede che giustifica, e quindi che salva, non deve essere considerata, in primo luogo, dal punto di vista dell’essere umano credente. Al centro dell’evento della fede è l’azione di Dio in Gesù Cristo. La salvezza è per fede soltanto, «senza le opere» (Rm 4,6), «senza le opere della legge» (Rm 3,28). Ma qual è, allora, il senso delle opere e della legge? Le opere non vengono cancellate né relativizzare: esse però non hanno un significato meritorio né una funzione salvifica. Detto questo, la grazia e la fede, che salvano da sole, sono accompagnate dalle opere e dunque, di fatto, non sono mai sole. Ciò non significa che le opere aggiungono qualcosa alla grazia di Dio; esse, tuttavia, rappresentano una conseguenza della fede. Lutero dice chiaramente che è pazzia pensare di diventare buoni e pii di fronte a Dio, compiendo opere buone; con altrettanto chiarezza, egli dirà che l’uomo buono, reso tale dalla Parola che Dio rivolge, non può non compiere buone opere. In questo senso, fede e opere possono dirsi tra loro strettamente connesse.

     La Riforma ha dato particolare enfasi all’l’uso teologico della legge. Considerata da questo punto di vista, la legge porta l’individuo alla conoscenza del proprio peccato e, di conseguenza, lo rende consapevole della condizione di radicale perdizione nella quale si trova. Soltanto affidandosi alla misericordia di Dio e abbandonando ogni speranza di salvezza a partire dalle proprie possibilità etiche e religiose, l’essere umano può sperare di salvarsi. In questa prospettiva, la legge apre lo spazio all’interno del quale l’annuncio della giustificazione dell’empio dispiega la propria potenza. Il messaggio della giustificazione per grazia può risuonare nel peccatore perché la legge ha «predisposto» l’individuo ad accoglierlo.

     La Bibbia offre in Deuteronomio 30,11-14 una spiegazione chiara e semplice circa il modo, in cui la legge debba essere intesa: il comandamento di Dio è offerto all’essere umano, perché egli lo metta in pratica. Questo è il criterio fondamentale, sulla base del quale la legge deve essere interpretata. La grazia rimane il solo elemento che conduce alla salvezza, tuttavia si deve evitare di porre in secondo piano la semplice e concreta richiesta d’obbedienza avanzata dalla legge. Ciò vale tanto per l’Antico quanto per il Nuovo Testamento, tanto per i Dieci Comandamenti quanto per il Sermone sul Monte. Il fatto che, a causa del peccato, la legge sia disattesa, non ne modifica lo statuto e non permette di passarne sotto silenzio la praticabilità. Se ciò avvenisse, la legge sarebbe riconosciuta come impraticabile in linea di principio e al posto della realtà del peccato come concreta ribellione alla volontà di Dio, perfettamente praticabile, subentrerebbe una dottrina — sbagliata — del peccato. Sarebbe così il peccato a essere giustificato, non soltanto il peccatore. Sarebbe la grazia a buon mercato di cui ha parlato Bonhoeffer, cioè quella comprensione della grazia, che rende superflua l’ubbidienza.

     Come la grazia anche la legge non può essere trasformata in un principio astratto: il suo uso teologico dovrà essere inteso come un «risultato» e non come un «presupposto». {11-07-2008}

 

 

2.  VALUTAZIONE GENERALE (Nicola Martella): Si può essere d’accordo con l’impianto generale e con la maggioranza delle asserzioni. Sì, si è salvati per grazia mediante la fede in Gesù Messia, senza le opere della legge mosaica o di alcuna altra legge. Alcune osservazioni o obiezioni possono essere fatte ai dettagli e qui di seguito ne indico alcuni. Poiché il linguaggio del mio interlocutore è più filosofico che teologico (poco attento alla storia e alla rivelazione progressiva; p.es. egli parla dell’«uomo» in genere, dove la Torà parla dell’Israelita), aggancerò il discorso più all’esegesi. Quindi le cose che dirò non sono per forza in antitesi, ma di approfondimento.

     ■ Si afferma: «La fede può e deve essere confessata, la grazia soltanto attesa». Faccio presente che la fede, essendo fiducia nelle promesse di Dio, dev’essere espressa, mentre la grazia accettata. Visto che quest’ultima è stata già offerta, non dev’essere più attesa, ma soltanto la gloria legata alla manifestazione di Gesù. «La grazia di Dio, salutare per tutti gli uomini, è apparsa… aspettando la beata speranza e l’apparizione della gloria del nostro grande Dio e Salvatore, Cristo Gesù» (Tt 2,11.13).

 

     ■ Si afferma: «Come possiamo parlare allora di i giustificazione per fede? Quale fede giustifica? La fede che giustifica…». Approfondendo la questione, faccio presente che nell’espressione «la giustizia di Dio mediante la fede in Gesù Cristo, per tutti i credenti» (Rm 3,22), la fede in Gesù è l’atto di accettazione di ciò, che Dio ha già fatto in Cristo: la dichiarazione di assoluzione del credente e l’attribuzione dei suoi meriti al peccatore che crede in lui (Rm 4,5.9). La giustificazione è la realizzazione pratica della grazia di Dio. Quindi, la «giustizia di Dio» è quella che il Dio giusto dona a «colui che ha fede in Gesù» (Rm 3,26); ma l’uomo è giustificato per grazia mediante la fede, «senza le opere della legge» (v. 28; Gal 2,16; 3,11); così riceve pure l’espiazione «mediante la fede nel sangue» di Gesù (Rm 3,25). Come nel caso d’Abramo e di tutti i credenti, circoncisi o meno, si tratta di una «giustizia ottenuta per la fede» e quest’ultima è «messa in conto la giustizia», ossia Dio considera il credente come se avesse praticato la giustizia (Rm 4,11.13). Per brevità d’espressione si afferma perciò che si è giustificati per fede (Rm 5,1; 9,30; 10,6; Gal 3,8), indicando così l’atto specifico d’accettazione della giustificazione già prodotta per grazia in Cristo.

     Ogni espressione di fiducia umana si basa su un’azione di grazia già avvenuta: «Per la fede [in Gesù Cristo, nostro Signore] abbiamo l’accesso a questa grazia nella quale stiamo saldi» (Rm 5,1s. L’espressione completa è quindi la seguente: «È per grazia che voi siete stati salvati, mediante la fede» (Ef 2,8 + dono di Dio; cfr. Rm 4,16 eredità). Il giusto vive (o meglio sopravvive nel giudizio storico) per la sua fede (Hb 2,4) e la trasmette ad altri (Rm 1,17). È vero che Gesù disse spesso: «La tua fede ti ha salvato /a», ma tale espressione idiomatica è normalmente in connessione con una guarigione, quindi con un’azione puntuale e non per forza con la salvezza eterna (Mc 5,34; 10,52; Lc 8,38; Lc 17,19; 18,42); in tali contesti non dev’essere neppure la fede della persona stessa (Lc 8,50 fede dl padre per la figlia morta). La probabile eccezione è Luca 7,47-50, dove comunque si parla di peccati già commessi (v. 47) e non di guarigione fisica.

 

     ■ Si afferma: «Il comandamento di Dio è offerto all’essere umano perché egli lo metta in pratica». Faccio presente che questo è un linguaggio dogmatico (quindi filosofico) da rifiutare. Dio ha dato comandamenti specifici a persone specifiche (p.es. Adamo, Noè, Abramo, Israeliti, Davide) all’interno di patti specifici.

 

     ■ Si afferma: «Ciò vale tanto per l’Antico quanto per il Nuovo Testamento, tanto per i Dieci comandamenti quanto per il Sermone sul monte». Faccio presente che come Dio non aveva chiesto agli Ebrei presso il Sinai l’ubbidienza alla Costituzione del nuovo patto (il cosiddetto Sermone sul monte; cfr. il «ma io vi dico»), così Gesù non ha ingiunto il Decalogo (Costituzione del patto mosaico) nel nuovo patto. Chi afferma il contrario, mostri il chiaro comandamento, dato ai suoi discepoli, in cui Cristo lo afferma: «Ubbidite alle Dieci parole datevi da Mosè». Ad esempio, il fatto che Paolo ammise la legittimità di osservare il giorno (sabato per i cristiani giudei) o di non farlo (cristiani gentili; Rm 14), mostra che il comandamento sabatico non era più ingiuntivo nel nuovo patto. Esso non era tra i punti perentori, che furono richiesti ai credenti gentili durante il Concilio di Gerusalemme (At 15).

 

     ■ Si afferma: «Il fatto che, a causa del peccato, la legge sia disattesa non ne modifica lo statuto e non permette di passarne sotto silenzio la praticabilità». Faccio presente che non solo lo statuto è stato modificato, ma è mutato del tutto. Gesù disse: «Nessuno strappa un pezzo da un vestito nuovo per metterlo a un vestito vecchio; altrimenti strappa il nuovo, e il pezzo tolto dal nuovo non adatta al vecchio. E nessuno mette vino nuovo in otri vecchi; altrimenti il vino nuovo rompe gli otri, il vino si spande, e gli otri vanno perduti. Ma il vino nuovo va messo in otri nuovi» (Lc 5,36ss). «Dicendo: “Un nuovo patto”, Egli ha dichiarato antico il primo. Ora, quel che diventa antico e invecchia è vicino a sparire» (Eb 8,13). «Nuovo» è ciò che sostituisce il «vecchio» e ne prende il posto, facendo diventare antico il precedente (cfr. Lc 25,22; 26,10 raccolta; Mt 9,16 stoffe; Mt 9,17 otri; 1 Cor 5,7 pasta; 2 Cor 5,17 cose passate e nuove; Col 3,10 uomo vecchio e nuovo; Ap 21,1 vecchia e nuova creazione). Il resto lo approfondisco sotto.

 

     ■ Si afferma: «Sarebbe cosi il peccato a essere giustificato, non soltanto il peccatore». Faccio presente che «giustificare» significa dichiarare qualcuno come giusto (cfr. Mt 11,19 sapienza); biblicamente parlando, significa attribuire a qualcuno i meriti di Gesù Cristo. In tal caso la fede (fiducia nell’opera di Cristo) «viene messa in conto di giustizia» (Rm 4,5), ossia come se l’empio stesso avesse praticato tale giustizia. Un giustificazione mediante le opere della legge è perciò esclusa (Rm 3,20). Questo è l’uso giuridico. Nella Bibbia non si usa mai questo termine per il peccato in senso giuridico; quindi l’asserzione è biblicamente impossibile.

     Esiste anche un uso diverso di «giustificare» nel senso di far apparire un empio come giusto (o più giusto di un altro), perché i suoi atti sono confrontati con quelli ancora più peccaminosi di un altro: «Tu hai fatto apparire tua sorella come giusta per mezzo di tutti i tuoi abomini» (Ez 16,51s); ma ciò non ha nulla a che fare col nostro tema, essendo una perversione della giustizia.

 

     ■ Si afferma: «Come la grazia anche la legge non può essere trasformata in un principio astratto». Faccio presente che l’intero periodo finale non è pienamente comprensibile. Tornando a tale frase, però, faccio rilevare, come approfondirò, che ogni singolo patto biblico ha la sua legge particolare. Nel NT il concetto di «legge» non è mai un «principio astratto», ma intende come termine tecnico sempre la «legge mosaica». Come tale essa è stata messa fuori uso (Eb 7,18s «debolezza e inutilità»; «la legge non ha condotto nulla a compimento») nel nuovo patto e sostituita dalla «legge di Cristo», a cui Paolo e i cristiani erano sottoposti (1 Cor 9,21). L’approfondimento segue sotto.

 

 

3.  LA QUESTIONE DELLA LEGGE (Nicola Martella)

 

3.1.  LA LEGGE MOSAICA E IL NUOVO PATTO: Tornando al rapporto fra giustificazione e fede, abbiamo visto che la salvezza, il riscatto o la giustificazione avvengono «senza le opere della legge» mosaica (Rm 3,28; Gal 2,16; 3,11). La funzione della legge mosaica era vista come quella del precettore durante l’infanzia; essa smette la sua funzione e il suo ruolo al raggiungimento dell’autonomia dell’istruito: «La legge è stata il nostro pedagogo per condurci a Cristo, affinché fossimo giustificati per fede. Ma ora che la fede è venuta, noi non siamo più sotto pedagogo, perché siete tutti figli di Dio, per la fede in Cristo Gesù» (Gal 3,24ss). Come è inappropriato che la persona matura sia ancora sotto precettore, è inadeguato che nel nuovo patto chi è «figlio» (quindi erede; v. 29), sia ancora sotto la tutela della legge mosaica.

     La funzione della legge mosaica era quella di mostrare il peccato nella sua gravità ed estensione, poiché «mediante la legge è data la conoscenza del peccato» (Rm 3,20); Paolo si azzardò a addirittura ad affermare che «la legge è intervenuta affinché la trasgressione abbondasse», certo per aprire gli occhi alla grazia sovrabbondante (Rm 5,20; 7,7ss). Stando così le cose, ogni tentativo di «essere giustificati per la legge», significa che Cristo è morto inutilmente (Gal 2,21) e significa rinunziare a Cristo e scadere così dalla grazia (Gal 5,4s). Paolo invece affermò di aver fatto la sua scelta chiara, rinunciando a una giustizia propria, alfine di guadagnare Cristo e la giustizia prodotta da lui (Fil 3,7-10). Tutti i personaggi rilevanti di Eb 11 scelsero una «giustizia che si ha mediante la fede».

     Non si può chiudere gli occhi dinanzi al mutamento di paradigma di base, che vede «legge» mosaica e «grazia» (ossia quella in Cristo) come due sistemi antitetici: «Non siete sotto la legge, ma sotto la grazia» (Rm 6,14s). E ancora: «La legge è stata data per mezzo di Mosè; la grazia e la verità sono venute per mezzo di Gesù Cristo» (Gv 1,17).

     La legge, pur essendo spirituale (Rm 7,14) e santa (v. 12), ha di fatto messo in evidenza il peccato e la morte (vv. 7ss.21; 1 Tm 1,8ss). Perciò, la legge che era intesa a dare vita, è diventata di fatto una «legge del peccato e della morte», da cui solo «la legge dello Spirito della vita in Cristo Gesù» ha potuto liberare (Rm 8,2s). Infatti, «il dardo della morte è il peccato, e la forza del peccato è la legge» (1 Cor 15,56s).

     La legge mosaica rimane, quindi, come un metro per misurare trasgressioni e peccati (Gcm 2,9s; 1 Gv 3,4).

     Paolo contrappose il vecchio patto al nuovo, la «lettera» (la legge mosaica) allo «Spirito», e affermò che Dio ha istituito «ministri d’un nuovo patto, non di lettera, ma di spirito; perché la lettera uccide, ma lo Spirito vivifica» (2 Cor 3,6). Paolo era, quindi, convinto che il nuovo patto avesse una dinamica differente rispetto all’antico patto. Egli formulò perciò una contrapposizione così netta, che non lascia dubbi né fraintendimenti:

 

Vecchio patto (lettera)

Nuovo patto (Spirito)

«Ministero della morte scolpito in lettere su pietre» (v. 7)

«Ministero dello Spirito» (v. 8)

«Ministero della condanna» (v. 9)

«Ministero della giustizia» (v. 9)

«Ciò che aveva da sparire» (v. 11)

«Ciò che ha da durare» (v. 11)

 

Alcuni affermano che nel nuovo patto, in pratica, non cambiano le regole, ma solo l’approccio a esse; da quanto abbiamo visto, risulta che ciò è assolutamente sbagliato. Ciò che è definito morte, condanna e transitorio non può essere solo aggiornato, ma viene abrogato.

 

3.2.  DINAMICA DEI PATTI E RELATIVA LEGGE: Quando si usa un linguaggio dottrinale, si astrae, si passa sopra i tempi e i momenti, sopra la storia, si ignora il testo nel suo contesto e la rivelazione progressiva. Ciò è tipico di tutti i sistemi dottrinali di natura filosofica. L'approccio storico-esegetico alla Scrittura è completamente differente. Pur essendo Dio lo stesso, non agisce allo stesso modo durante la storia della salvezza. Questo è un lungo discorso, che fa parte della «teologia dei patti» e della loro dinamica storica e teologica; mi limiterò solo ad alcuni elementi, rimandando a quanto già scritto per gli approfondimenti.

 

Per l’approfondimento si veda in Nicola Martella, Manuale Teologico dell’Antico Testamento (Punto°A°Croce, Roma 2002), gli articoli: «Adamo (Patto con ~)», pp. 79s; «Noè (Patto con ~)», pp. 238s; «Abramo (Patto con ~)», pp. 76s; «Israele (Patto con ~)», pp. 195ss; «Davide (Patto con ~)», pp. 134s; «Nuovo patto con Israele», pp. 241ss; «Patto levitico», p. 266; per la dinamica dei patti cfr. pp. 254-266.

 

Si notino al riguardo i seguenti aspetti.

     ■ Ogni «patto amministrativo» contiene delle regole esplicite, ed esse variano da patto a patto, oltre a «elargizioni» regali particolari (per l’approfondimento dei termini e locuzioni rimando al Manuale Teologico dell’Antico Testamento). Ecco due esempi qui di seguito.

 

 

Elargizione regale

Ingiunzioni

Patto adamitico (Gn 2)

Mangia di tutti gli alberi del giardino (v. 16); altro cfr. anche 1,29

Non mangiare dell’albero della conoscenza (Gn 2,17 + sanzioni); altro cfr. anche Gn 1,28

Patto noetico (Gn 9)

Animali per cibo (v. 3)

Proibizione alimentare del sangue (v. 4) e persecuzione degli omicidi (vv. 5s); altro cfr. anche vv. 1.7

 

Per l’esegesi Genesi 2,16s si veda Nicola Martella, «I diritti e i doveri [Gn] 2,16-17», Esegesi delle origini. Le Origini 2 (Punto°A°Croce, Roma 2006), pp. 144-149.

     L’altro «patto amministrativo» è quello mosaico; esso seguì a un atto di riscatto storico da parte di Dio per Israele (fase salvifica sulla base delle promesse del patto abramitico).

 

     ■ Ogni «patto di grazia» (abramitico, davidico, nuovo) contiene una fase amministrativa e quindi una legge; ogni legge però rispecchia il relativo patto e segue all’atto di grazia. Come esempio riporto il patto abramitico, il quale aveva una «fase di grazia», basata sul patto e sulla giustificazione per fede (Gn 15,6.18; Gal 3,18) e una «fase amministrativa» per sostenere una vita morale compatibile col patto di grazia. Dio, confermando le promesse fatte ad Abrahamo, affermò anche la motivazione esecutiva: «Abrahamo ubbidì alla mia voce e osservò quello che gli avevo ordinato, i miei comandamenti, i miei statuti e le mie leggi» (Gn 26,5). Tra queste rientrava anche il segno della circoncisione, la quale era soltanto il «suggello della giustizia ottenuta per la fede che aveva quando era incirconciso» (Rm 4,11; si noti che ogni patto ha il suo segno specifico).

     ■ La legge di un «patto di grazia» non si può applicare a un altro, e tanto meno la legge di un «patto amministrativo» (p.es. quello mosaico) si può applicare a un «patto di grazia» successivo (p.es. al nuovo patto). Un patto amministrativo successivo (quello mosaico) non può invalidare un «patto di grazia» (quello abramitico): «Un patto già prima debitamente stabilito da Dio, la legge, che venne quattrocento trent’anni dopo, non lo invalida in modo tale da annullare la promessa» (Gal 3,17).

     ■ È nella dinamica dei patti di grazia che la giustificazione avvenga per fede (patto abramitico, nuovo patto) o che le elargizioni regali dipendano dalla volontà del donatore e siano accettati per fede dal ricevente (patto davidico, 2 Sm 7; patto levitico, Nu 25,12; Mal 2,4). In tali patti la grazia consiste nell’elargizione del relativo patto, e la salvezza è rappresentata dall’entrata in essi.

     ■ Era altresì nella dinamica dei patti che chi entrava in uno di essi per grazia mediante la fede, prendeva su di sé l’impegno all’ubbidienza ai comandamenti, che Dio avrebbe dato all’interno del relativo patto. Poiché in ogni «patto di grazia» la fase amministrativa segue a quella salvifica (cfr. Gn 15 con Gn 17; 26,5), anche nel nuovo patto la «fase amministrativa» segue all’istituzione del patto stesso. Perciò è assolutamente sbagliato voler assoggettare la gente del «nuovo patto» alla legge mosaica, intendendo che essa sia ancora valida nell’era della grazia. Nel «nuovo patto» esiste una legge, tuttavia non è quella mosaica (che era teocratica e quindi legata a un popolo specifico), ma è la «legge di Cristo» (1 Cor 9,21; Gal 6,2) o «legge dello Spirito» (Rm 8,2). Mutato un paradigma di base, cambia immancabilmente anche la legge (cfr. Eb 7,12). Chiaramente il nuovo statuto conterrà analogie col primo, ma quest’ultimo è messo per sempre fuori uso. Voler avere l’eccellenza del nuovo patto (Eb 7,22; 8,6), ma vivere secondo i dettami del vecchio, che — oltre a essere difettoso (Eb 8,7) e affetto dalla debolezza e inutilità del relativo comandamento (Eb 7,18) e dalla mancanza di risultato della legge complessiva (v. 19) — è stato abrogato (Eb 7,18s; 8,13), è illogico e insano.

     ■ Ciò che è stato abrogato, non ha più un carattere ingiuntivo, ma rimane un documento storico e morale, da cui trarre analogie e principi per l’edificazione; la cosa è molto diversa per un corpo di leggi, che è in vigore. Nel nuovo patto è ingiuntiva solo la legge del nuovo patto, quella di Cristo e dello Spirito; su tale base il Signore sanziona attualmente i disubbidienti e darà il premio un giorno ai suoi diletti (cfr. 1 Cor 3,13; Fil 3,12ss; Col 2,18s; Ap 22,12). In nessuna parte del NT il premio è connesso all’ubbidienza della legge mosaica, e questo semplicemente perché essa è stata abrogata; le analogie tra due costituzioni sono una cosa, la validità riguarda solo una, quella nuova. Ora ogni adempimento (e quindi premio) è relativo alla «legge di Cristo» (Gal 6,2).

 

► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_Den/A1-Grazia_legge_patti_Sh.htm

23-07-2008; Aggiornamento: 14-11-2011

 

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