Nicola, ti
sottopongo una questione, sulla quale stavo riflettendo. Studiando il vangelo di
Giovanni, mi sono accorto che ricorrono espressioni del tipo «la pasqua
dei Giudei» (2,13; 11,55) e «una festa dei Giudei» (5,1). Mi
stavo chiedendo come mai questo accento sui «Giudei». L’intento dell’evangelista
appare quasi polemico, come a voler sottolineare che i Giudei (intesi
come abitanti della Giudea), pur rispettando le feste comandate dalla legge,
non riconoscevano Gesù, la luce che era venuta ad abitare tra di loro
(proprio in casa sua!), mentre altrove, ad esempio in Galilea, diversi credevano
in Gesù!? Se non c’è un intento polemico, perché sottolineare che tale feste
erano «dei Giudei»? Tu cosa ne pensi? {Omar Stroppiana; 13-03-2012}
Dopo la mia proposta di
aprire un tema
sull’argomento, il mio interlocutore ha continuato a chiedere: Resta
inteso che la mia è una domanda, non una affermazione, ovvero io al momento non
ho una convinzione precisa in merito, ma sto cercando di capire. Mi chiedo
perché non la Pasqua e basta? La Pasqua era per tutti, compresi Galilei,
ecc., eppure l’accento viene messo sui Giudei. Mi chiedo perché. Grazie
mille. |
1. LE QUESTIONI DI BASE:
Nel suo Evangelo Giovanni presentò un’accesa polemica teologica fra Gesù
e i Giudei. Essa fu già adombrata nel Prologo: «È venuto in
casa sua, e
i suoi non l’hanno ricevuto; ma a
tutti quelli che l’hanno ricevuto egli ha dato l’autorità di diventare figli di
Dio; a quelli, cioè, che credono nel suo nome; i quali non sono
nati da sangue, né da volontà di
carne, né da volontà d’uomo, ma sono nati da Dio» (Gv 1,11ss). Qui fu posto
proprio un manifesto programmatico contro la logica della religione
legata alla razza (giudaismo) e a favore dell’appartenenza a Dio mediante la
nascita dall’Alto. Il punto di rottura fu il rifiuto dei Giudei di
riconoscere in Gesù il loro Messia promesso; proprio i membri del popolo eletto
(!) sono così perduti nei loro peccati (Gv 8,24.28). Tutto ciò fece sì che ci
fosse una lacerazione fra la cultura giudaica (religione rituale e dei
precetti religiosi) e la fede in Gesù Messia. Negli Evangeli fu evidenziato che
il tempio (Mt 24,2), i riti (Mc 7,2ss), le osservanze religiose (Mt
23,13.23.29), i ministeri teocratici, i precetti della tradizione e le
convenzioni culturali (Mt 15,3-6; Mc 7,8s) divennero i «vecchi otri», che non
potevano contenere il «vino nuovo» (Mt 9,16s), il messaggio «rivoluzionario» di
Cristo (cfr. anche Paolo ai Galati e ai Colossesi; l’epistola agli Ebrei).
Se, fino all’avvento di Gesù Messia, i fronti religiosi e culturali erano
fra Israele (popolo del patto) e il paganesimo (il resto del mondo; cfr. At
10,17; 11,2s; Gal 2,15), con l’istituzione del nuovo patto, i fronti divennero
tre (di per sé c’erano già prima poiché, sebbene le promesse valevano a tutto il
popolo del patto, le benedizioni valevano nella pratica solo per il «residuo»
fedele), o almeno divennero più evidenti: l’Israele storico (formalmente
destinatario delle promesse, il «mondo» e l’Assemblea messianica (o suo
«corpo»).
2. IL VALORE TEOLOGICO DI TALE GENITIVO:
Si noti come negli Evangeli il genitivo «dei Giudei» da criterio di onore
rispetto a Gesù quale Messia divenne un criterio di cesura.
■ Criterio di onore: All’inizio e alla fine dell’Evangelo di Matteo
ci sono due domande. I magi d’Oriente chiesero:«Dov’è
il re dei Giudei, che è nato?» (Mt 2,2). Il
procuratore Pilato interrogò Gesù, dicendo: «Sei tu il re dei Giudei?»
(Mt 27,11). ● Luca parlò in modo neutrale della mediazione degli
anziani dei Giudei nei confronti del centurione (7,3). ● Anche in Giovanni
Pilato fece la stessa domanda a Gesù: «Sei
tu il re dei Giudei?» (18,33);.
■ Criterio di cesura: Nell’Evangelo di Matteo
Gesù fu schernito dai soldati (Mt 27,29). Il motivo
della condanna fu scritto sulla croce: «Questo è Gesù, il re dei Giudei»
(v. 37). ● In Marco
a ciò si aggiungeva la domanda rivolta da Pilato
ai Giudei: «Volete che io vi liberi
il re dei Giudei?» (Mc 15,2; v. 12 «che voi
chiamate…»). Essi risposero negativamente, accollandosi la responsabilità.
● Luca aggiunse l’ingiuria dei soldati
sotto la croce: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso!» (Lc 23,36ss). ● Giovanni parlava a chi era avulso dal
giudaismo e dai suoi rituali e dalle sue convenzioni, rimarcando così la
distanza dalla fede in Gesù Messia. Egli parlò, perciò, dei seguenti elementi: «la
purificazione dei Giudei» (Gv 2,6); «la
Pasqua dei Giudei» (v. 13; 11,55); i «capi
dei Giudei» (3,1); «una festa dei Giudei»
(5,1); «la Pasqua, la festa dei Giudei»
(6,4; 19,42 «Preparazione dei Giudei»);
«la festa dei Giudei, detta delle Capanne»
(7,2); la «paura verso i Giudei» (=
Giudei religiosi o capi), che impediva alla gente di esprimere apertamente le
proprie opinioni su Gesù (v. 13; 9,22); ricorre anche l’espressione «per
timore dei Giudei» 19,38; 20,19); «le
guardie dei Giudei» (= dei capi giudaici; 18,12);
Gesù parlò del fatto di essere «dato nelle mani dei Giudei»
(v. 33; erano intesi specialmente i capi giudaici); Pilato chiese ai Giudei: «Volete
che io vi liberi il re dei Giudei?»
(v. 39; la risposta fu negativa); i soldati schernirono Gesù: «Salve,
re dei Giudei!» (19,3); «V’era scritto:
Gesù il Nazareno, il re dei Giudei» (v. 19; cfr.
v. 21 non «Il re dei Giudei», ma «Io
sono il re dei Giudei»). ● Tale distinzione
esiste anche nel libro degli Atti, dove diventa sempre più marcata.
3. APPROFONDIMENTI: VECCHIE FESTE E NUOVI
SIGNIFICATI: Perciò, specialmente nell’Evangelo di Giovanni, che
è teologico, i fronti sono netti: ci sono i seguaci di Gesù Messia, da
una parte, e, dall’altra, i Giudei nel loro complesso (specialmente i capi
religiosi e politici), proprio coloro che l’hanno rifiutato come Messia, che lo
hanno contrastato e che lo hanno portato al supplizio. Per questo motivo, anche
ogni singola festa solenne dei Giudei, che dovevano prefigurare il mistero e
ministero del Messia, diventò così solo «una festa
dei Giudei» (Gv 5,1). Dinanzi
alla nuova Pasqua del Messia, quella del vecchio patto diventò solo «la
Pasqua dei Giudei» (Gv
2,13; 11,55).
Gesù mise l’enfasi su «questa
Pasqua
con voi» (Lc 22,15), su «questo
calice» quale «nuovo patto nel mio
sangue» (Lc 22,20; 1 Cor 11,25). E comandò un
nuovo ordinamento pasquale: «Fate
questo in memoria di me»
(Lc 22,19). In tutto ciò c’era un’evidente polemica velata verso il memoriale
giudaico. Il memoriale messianico della Pasqua rappresentava la continuità
con la Pasqua ebraica e, allo stesso tempo, la discontinuità, ossia il
punto di rottura. Ciò che restava era, oltre alla ricorrenza annuale (era la
Pasqua!), al pane azzimo e al vino, il significato: alla rammemorazione
dell’uscita dall’Egitto si sostituiva l’evento cristologico; all’agnello, il cui
sangue protesse allora dall’angelo distruttore, si sostituì una volta per sempre
il sangue di Cristo, che protegge i credenti dal giusto giudizio; alla prontezza
per il viaggio verso la terra promessa si sostituì l’attesa del Messia-Re, che
inaugurerà il suo regno politico in terra.
Per tali motivi, Paolo, pur
ricordando alcuni
elementi della Pasqua ebraica, quali l’eliminazione del vecchio lievito e
l’inizio di una nuova pasta, ci tenne a precisare: «Poiché anche la
nostra Pasqua [= agnello pasquale],
cioè Cristo, è stata immolata.
Celebriamo dunque la festa...»
(1 Cor 5,6ss). Tale festa era appunto l’annuale Pasqua cristocentrica.
La polemica contro
l’osservanza di particolari giorni giudaici e di altri elementi dei
giudaismo) si trova specialmente nelle lettere ai Galati e ai Colossesi. Le
feste, che furono espressamente cristianizzate nel NT, furono appunto
specialmente la Pasqua (istituzione del nuovo memoriale pasquale) e
secondariamente Pentecoste (festa della raccolta; Gesù comandò agli apostoli di
aspettare a Gerusalemme, e lo Spirito Santo fu manifestato su di loro in quel
giorno).
4. PERCHÉ «DEI GIUDEI» SOLTANTO?:
Alle questioni poste dal mio interlocutore, rispondo come segue. Il termine
«giudeo» ha vari significati, ad esempio: ▪ 1. In origine, appartenente alla
tribù di Giuda; ▪ 2. Dopo il ritorno dalla cattività, appartenenti alla
provincia (persiana, greca, romana) della Giudea (il territorio dell’antico
Israele o Efraim andò a popolazioni, che poi furono chiamate Samaritani); ▪ 3.
Durante il periodo del regno asmoneo e poi di Erode, designava gli appartenenti
del regno di Giuda; essi venivano distinti dagli Israeliti, che abitavano in
altre parti della Palestina, ad esempio, in Galilea; ▪ 4. Nel mondo d’allora
designava gli Israeliti in genere, qualunque fosse la loro tribù di
appartenenza.
Tra i «Giudei» residenti in Gerusalemme venivano distinti gli «ellenisti»
(Giudei della diaspora) dagli «Ebrei» (Giudei della Palestina; At 6,1).
Timoteo era «figlio di una donna giudea
credente, ma di padre greco» (At 16,1; non era
«ebrea» come scrive la NR). Aquila era un Giudeo, oriundo del Ponto (At 18,1); e
Apollo era un Giudeo, oriundo d’Alessandria (v. 24; non erano «ebrei» come
scrive la NR). In Efeso, Sceva era Giudeo e capo sacerdote (At 19,14; non
«ebreo» come scrive la NR). Il popolo di Efeso riconobbe che un certo Alessandro
era Giudeo (At 19,34; non «ebreo» come scrive la NR). Drusilla, moglie, del
procuratore Felice, era giudea (At 24,24; non era «ebrea» come scrive la NR).
Paolo,
contrapponendosi ai falsi apostoli giudaici, che presero il potere nella chiesa
di Corinto, disse: «Sono
Ebrei? Lo sono anch’io. Sono Israeliti? Lo sono anch’io. Sono seme
d’Abramo? Lo sono anch’io» (2 Cor 11,22). È
evidente che «Ebrei», «Israeliti» e «seme d’Abramo» intendono qui la
stessa cosa, evidenziando di non avere parti di sangue gentile. Questo è
evidente ancor più qui: «Io, [sono] circonciso l’ottavo giorno, della
razza d’Israele, della tribù di Beniamino, ebreo d’Ebrei;
quanto alla legge, Fariseo» (Fil 3,5). Quindi il
termine «Ebreo» poteva indicare l’appartenenza etnica, oppure la distinzione
particolare dei Giudei ebraici (Gerusalemme e dintorni) da quelli greci
(diaspora).
Eppure, lo stesso Paolo,
quando dovette specificare la sua provenienza, disse al tribuno: «Io
sono un
Giudeo, di Tarso» (nella Cilicia; At 21,39);
similmente disse ai Giudei di Gerusalemme: «Io sono un Giudeo,
nato a Tarso di Cilicia, ma allevato in questa città, ai piedi di Gamaliele…»
(At 22,3). Questo spiega perché Paolo si definiva sia «Giudeo» che «Ebreo»:
era nato a Tarso, ma era cresciuto in Gerusalemme. È possibile che il padre
stesso fosse di Gerusalemme e che Paolo fosse nato a Tarso, a causa del mestiere
del genitore, che aveva anche la cittadinanza romana, può darsi per servigi resi
a Cesare (cfr. At 22,25-29).
Quindi, una «festa (o la
Pasqua) dei Giudei» era una «festa (o la Pasqua) del giudaismo», senza
distinzioni. «Giudeo» era un termine sia religioso che culturale.
► URL:
http://puntoacroce.altervista.org/_Den/A1-Giudei_cesura_Avv.htm
15-03-2012; Aggiornamento: |