Certamente ci sono nell’AT brani bellissimi su Sion e Gerusalemme, che
vengono circondate poeticamente d’attenzione, nostalgia, lode e benedizione
(cfr. Sal 48,2.11s; 74,2), specialmente quando sono poste in connessione
positiva verso il Signore (cfr. Sal 14,7; 20,2; 50,2; 51,18; 53,6) o si
riferiscono al tempio (cfr. Sal 76,2; 84,7; 132,13). Esistono però anche
nell’AT brani in cui Gerusalemme è paragonata a Sodoma e Gomorra (Is 1,9s;
3,9; Gr 23,14; Ez 16,47ss.53-56), a un luogo di brutture e maledizione. Non
fu un caso che Dio minacciò di non lasciare pietra sopra pietra, cosa che
poi attuò, a causa dell’ostinazione del popolo. Nel NT troviamo ambedue gli aspetti, ma
particolarmente quello negativo. Anche Gesù confrontò le città della Giudea
al paese di Sodoma e ritenne la condizione di quest’ultima giuridicamente
meno pesante (Mt 10,15; 11,23s). Dopo che i capi politici e religiosi
avevano rifiutato Gesù come Messia, egli disse ai discepoli, turbandoli, che
non sarebbe rimasta pietra sopra pietra del tempio (Mt 24,2) e di
Gerusalemme: «…non lasceranno in te pietra sopra pietra, perché tu
non hai conosciuto il tempo nel quale sei stata visitata» (Lc
19,44). Già nell’AT il tempio era stato reso pari a una «spelonca di
ladroni» (Gr 7,10) e ciò lo era anche al tempo di Gesù (Mt 21,13), sebbene
egli aveva cercato di purificarlo (v. 12). Dopo che i Giudei condannarono a morte Gesù,
costringendo Pilato a eseguire la sentenza (Gv 19,12), dopo la sua
risurrezione, dopo la sua ascensione al cielo e dopo Pentecoste, la voragine
fra Gerusalemme e i seguaci di Gesù si accrebbe. Ciò avvenne già perché Gesù
aveva predetto la prossima distruzione della città e aveva intimato ai
discepoli di fuggire da essa e dalla Giudea (Mc 13,14), quando avrebbero
veduto «l’abominazione della desolazione in luogo santo» (Mt 24,15; ciò
avvenne per mano degli Zeloti che fecero del tempio la loro base militare
contro i Romani, come afferma Giuseppe Flavio). A ciò si aggiunga che il
giudaismo aveva sferrato proprio da Gerusalemme un’incredibile e feroce
persecuzione contro i seguaci di Gesù, tant’è che tutti fuggirono da essa,
tranne gli apostoli, e si dispersero in ogni dove (At 8,1; 11,19). Molti
discepoli (p.es. Stefano; At 7,57s) e l’apostolo Giacomo stesso (At 12,1ss
da Erode per fare piacere ai Giudei) furono messi a morte in Gerusalemme;
Paolo e altri farisei come lui divennero dei veri e propri carnefici alle
dipendenze del Sinedrio (At 9,1s; 22,4s; 26,9ss). In seguito Pietro stesso
dovette defilarsi per un periodo (At 12,17). Alla fine non si sentì parlare
più di alcuno apostolo in Gerusalemme, ma solo di anziani e di Giacomo,
fratello di Gesù (At 21,18). Fu in Gerusalemme che lo stesso Paolo cadde
nelle mani di Giudei inferociti (At 21,27). Tutto ciò fece sì che la relazione dei Giudei
cristiani verso questa città mutò col tempo. I cristiani non guardarono più
a Gerusalemme (che presto sarebbe stata comunque distrutta) come luogo di
riferimento, ma alla «Gerusalemme celeste», la città che il Messia affermò
che andava a preparare per i credenti (Gv 14,2). L’autore della lettera agli
Ebrei, scrivendo ai suoi connazionali, disse: «Voi siete venuti al monte
di Sion, e alla città del Dio vivente, che è la Gerusalemme celeste» (Eb
12,22); subito dopo parlò della «chiesa dei primogeniti che sono scritti
nei cieli». Già dalla prigionia babilonese in poi, Gerusalemme
non fu più l’unico luogo di preghiera e culto, essendo che la maggior parte
del giudaismo viveva fuori della Palestina e si incontrava regolarmente
nelle sinagoghe (cfr. At 13,14; 15,21; 18,4; 2 Cor 3,15). Ciò fu accentuato
ancor più dalle chiese cristiane (erano perlopiù «chiese in casa»), le quali
furono in pochi decenni a maggioranza gentile. I Gentili non avevano nulla
che li legasse alla Gerusalemme giudaica, poiché guardavano alla
«Gerusalemme celeste». Si realizzò quanto Gesù disse alla Samaritana, ossia
che a breve non ci sarebbe più stato un luogo privilegiato per l’adorazione,
ma che in ogni dove si sarebbe potuto adorare il padre in spirito e verità
(Gv 4,23). A ciò si aggiunga che in conformità con la visione di Giovanni,
essi aspettavano la «Nuova Gerusalemme» (Ap 3,12; 21,2). Per quello che in Gerusalemme avevano subito Gesù,
gli apostoli e i credenti, essa venne a prendere sempre più una valutazione
negativa. Essa fu paragonata a Sodoma e all’Egitto (Ap 11,8). La «madre» dei
cristiani non fu ritenuta la Sion giudaica («Gerusalemme del tempo
presente»; Gal 4,25), ma la Sion celeste («Gerusalemme di sopra»; v. 26).
Gerusalemme, la patria giudaica, fu addirittura paragonata ad Agar, la
schiava (v. 25), mentre la patria celeste fu paragonata a Sara, la libera
(v. 26). A ciò si aggiunga che la schiava e suo figlio furono mandati via,
per non fare ereditare quest’ultimo (v. 29), mentre la libera e suo figlio
restarono e quest’ultimo divenne erede, rappresentando i «figli della
promessa» (v. 28). Questi ultimi sono tutti i seguaci di Gesù Messia, sia
Giudei sia Gentili. «Colui che era nato secondo la carne» (Ismaele;
il giudaismo etnico) fu contrapposto al «nato secondo lo Spirito» (i
seguaci di Gesù Messia), anche nel senso che il primo perseguitava il
secondo (v. 29). In Apocalisse il Signore Gesù, scrivendo al
conduttore della chiesa di Smirne, menzionò «le calunnie lanciate da
quelli che dicono d’esser Giudei e non lo sono, ma sono una sinagoga di
Satana» (Ap 2,9). Infatti, la gnosi giudaica era un sistema di pensiero
esoterico applicato alla sacra Scrittura, come fece poi anche la cabala,
l’alchimia e la numerologia mistico-esoterica. Una situazione simile fu
denunciata dal Signore Gesù anche per la città di Filadelfia, per la quale
parlò di «quelli della sinagoga di Satana, i quali dicono d’esser Giudei
e non lo sono, ma mentiscono» (Ap 3,9). Come non ricordare le parole di Gesù rivolte a
coloro che pensavano di essere nel giusto solo perché erano quanto alla
razza «figli d’Abramo»? Dopo il loro rifiuto di riconoscerlo come Messia-Re
e a causa delle loro intenzioni di ucciderlo (Gv 8,37.39s.59), Gesù disse
loro: «Voi siete progenie del diavolo, che è vostro padre, e volete fare
i desideri del padre vostro» (v. 44). Come non ricordare le parole di Paolo, che scrisse
ai Filippesi? «Guardatevi dai cani, guardatevi dai cattivi operai,
guardatevi da quei della mutilazione; poiché i veri circoncisi siamo noi,
che offriamo il nostro culto per mezzo dello Spirito di Dio, che ci gloriamo
in Cristo Gesù, e non ci confidiamo nella carne [= razza]» (Fil 3,2).
Come non vedere qui il profondo disprezzo di Paolo per i fautori di una
contro-missione giudaizzante?
Quando il resto d’Israele si sarà convertito al
Signore, accettando Gesù quale Messia-Re, solo allora sarà un residuo santo
al Signore, che sarà affinato mediante la gran tribolazione e entrerà nel
regno messianico. Solo allora il «monte della casa dell’Eterno» avrà
un nuovo significato per Israele e i popoli, come è stato annunciato da
Isaia e Michea (Is 2,2; 4,1). Per il tempo presente e fino ai tempi della
fine, quando Israele riconoscerà Gesù quale Messia, la «santa città» (Ap
11,2), ossia Gerusalemme, resta la «gran città, che spiritualmente si
chiama Sodoma ed Egitto, dove anche il Signor loro è stato crocifisso»
(v. 8). Fare i turisti in Israele (o in altri luoghi
descritti nella Bibbia) non è biblicamente sbagliato. Andare o meno in quei
luoghi non porta però alcun vantaggio, benessere o benedizione particolare
per l’anima di chi ci va (rischieremmo di sacramentalizzare nuovamente quei
luoghi! cfr. Gr 7,4.8). Certo si può avere lì comunione con i credenti
locali e si può evangelizzare, ma in fondo lo si può fare anche dove ci si
trova. Il rischio è di credere che il cristianesimo giudaico, lì vissuto,
sia un cristianesimo migliore e, tornati, si può pensare che si abbia
«l’obbligo morale» di introdurre tali contenuti nelle chiese locali. Il
conflitto è programmato.
► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_Den/A1-Gerusalemme_cristiani_MT_AT.htm
06-02-2007;
Aggiornamento: 12-04-07 |