Qui di seguito parliamo dell'UBEIC,
ma facciamo notare che, intanto, tale gruppo battista ha preso il nome di «CBI»
(per i dettagli vedi
UBEIC). |
Il seguente
confronto si basa su un articolo precedente di Nicola Martella:
La «C» conservatrice in UBEIC e i fondamentalisti.
Nel seguente articolo Paolo Brancè e Luciano Leoni rispondono a
esso, e Nicola Martella fa alcune osservazioni nel merito. Si rimandano i
lettori anche al sito dell’UBEIC
per prendere visione della dichiarazione di fede, della posizione dottrinale
e dei propositi futuri. Inutile dire che, di là dalla
«C» conservatrice, ho molta simpatia per
le posizioni scritturali e non liberali di questi fratelli. Il seguente
confronto vuole serve per mettere a fuoco meglio le premesse
1. Le tesi
{Paolo Brancè e Luciano Leoni}
▲
Carissimo fratello
Nicola, pace a te. Ti ringrazio per la tua interessante disamina sul nostro
«manifesto», questo mostra, ancora una volta, che affronti quello che ti viene
proposto con attenzione e spirito critico, e questo è sempre un bene perché un
confronto sereno permette di vedere le cose sotto punti di vista che magari non
s’erano valutati precedentemente. Quello che tu hai evidenziato è sicuramente un
punto che richiede una spiegazione, soprattutto oggi che, specie in Italia, vige
una certa confusione in ambito evangelico.
Come premessa voglio dirti che ci troviamo perfettamente d’accordo, come credo
ogni persona di buona volontà, che nessuna «etichetta»
salva o rende di per sé migliori; non è dicendosi «biblico»,
«fondamentalista» o «conservatore» che si diventa cristiani. Quello che conta è
vivere concretamente la fede; però, proprio lo stato d’enorme «confusione», che
ho citato sopra, pretende che chi si «propone» all’attenzione del prossimo,
possa dare a quest’ultimo tutti gli strumenti utili per potersi formare
un’opinione corretta e completa.
Facciamo un piccolo passo indietro e cerchiamo di spiegare, in senso
storiografico, il termine «fondamentalismo» originario. I teologi
conservatori americani redassero un documento durante una conferenza tenutasi
nel 1895 a Niagara Falls nel quale presero posizione contro le nuove mode
interpretative della Scrittura.
Essi ribadirono:
■ L’assoluta inerranza del testo sacro;
■ La riaffermazione della divinità di Cristo;
■ Il fatto che Cristo sia nato da una vergine;
■ La redenzione universale garantita dalla morte e
risurrezione di Cristo;
■ La risurrezione della carne e la certezza della
seconda venuta di Cristo.
Fra il 1909 e il
1915 le idee elaborate nella conferenza di Niagara Falls si diffusero
capillarmente nelle chiese protestanti per mezzo di due pastori battisti che
pubblicarono una serie di volumetti dal titolo «The Fundamentals»
e fu poi questo titolo che qualificò come «fondamentalista» il movimento, di
cui si parla.
Alla diffusione contribuì un episodio che suscitò, a suo tempo, molto clamore e
che assunse dimensioni sociali e politiche, cioè il cosiddetto
processo della «scimmia» (Scope Trial). Il processo prese il nome da un
professore di biologia accusato da un pastore battista fondamentalista
d’insegnare a scuola le teorie evoluzioniste di Charles Darwin. Esso venne
celebrato nel 1925 a Dayton nello stato del Tennessee. Nel 1919 i promotori del
manifesto fondamentalista decisero di dare vita alla «World Christian
Fundamentals Association», che aveva la funzione di riconquistare il mondo
moderno secolarizzato e scristianizzato, ricorrendo ai linguaggi moderni della
comunicazione di massa.
Il
fondamentalismo evangelico americano s’affermò in un arco di tempo ben
preciso, fra il 1909 e il 1925. Tra il 1925 e il 1975 i movimenti
fondamentalisti diventarono, negli Stati Uniti, sempre più incisivi nella sfera
pubblica. Negli anni Settanta essi organizzarono campagne contro l’aborto, la
pornografia, l’omosessualità, e in generale contro le nuove correnti culturali e
politiche che s’erano affermate durante e dopo il 1968. L’obiettivo finale era
lottare contro una concezione dello Stato neutrale in campo etico, lassista e
tollerante nei confronti d’atteggiamenti e comportamenti giudicati in contrasto
con la rivelazione biblica. L’ingresso alla Casa Bianca del Presidente Jimmy
Carter e soprattutto, di Ronald Reagan, entrambi in sintonia con le
idee e i propositi di restaurazione morale della nazione americana, costituì un
elemento favorevole all’espansione dei movimenti fondamentalisti. Si formano due
gruppi politico-religiosi: La «Moral Majority» e la «Christian
Coalition». In quegli anni si creò nei movimenti una stretta
relazione fra l’adesione acritica e letterale al testo biblico e l’impegno
diretto nella società civile e politica, relazione che i primi teologi di
Niagara Falls non avevano messo in conto nella loro agenda. Siamo di fronte alla
politicizzazione dell’agire religioso del neofondamentalismo.
Riteniamo interessante l’articolo di Leonardo De Chirico «Siamo
Fondamentalisti?». In esso s’afferma che, leggendo il fenomeno
«fondamentalista», si ha una «lettura compressa» di fatti distanti fra
loro. Si tratta d’una lettura appiattita, astorica del fenomeno che mette
insieme il fondamentalismo originario, i telepredicatori degli anni Ottanta e i
«teocon», sostenitori dell’amministrazione Bush, come se fossero la stessa cosa.
Dal punto di vista storiografico è plausibile sostenere che al fondamentalismo
della serie di 12 volumetti dei «Fundamentals» (1909-1915), citati sopra, a
partire dalla fine degli anni Venti, seguì un’altra fase, opportunamente
definita «neofondamentalismo». Il prefisso «neo» sta a indicare
l’emergenza di caratteristiche che, pur presenti in maniera marginale nel
fondamentalismo, diventano successivamente preponderanti al punto di
determinarne un mutamento sostanziale nell’identità e nella strategia.
Sulla base dell’adesione alle «fondamenta» nel fondamentalismo avevano potuto
riconoscersi evangelici riformati e arminiani, battisti e pedobattisti,
presbiteriani, episcopaliani e indipendenti, pentecostali e cessazionisti. Nel
neofondamentalismo si verifica, invece, una riduzione della piattaforma
teologica e un restringimento della rappresentatività; emerge e s’impone infatti
la tendenza del millenarismo dispensazionalista. Nel neofondamentalismo, accanto
alle «fondamenta», assume sempre maggior peso l’idea della storia come
fallimento e come generale apostasia, la sottolineatura d’Israele come il popolo
terrestre di Dio totalmente distinto dalla chiesa, e la predilezione d’una
lettura letteralista della Scrittura.
Le conseguenze di questo mutamento non tardano ad affiorare in ambiti diversi:
l’approccio irenico riguardo alla diversità evangelica del fondamentalismo si
trasforma nella pratica separatista nei confronti di chi non adotta
un’ottica dispensazionalista; la battaglia contro il liberalismo si cristallizza
in un pregiudizio anti-intellettuale; la fedeltà all’Evangelo viene scambiata
con l’assunzione d’un atteggiamento isolazionista dalla società e dalla cultura,
che a partire dagli anni Settanta, si trasforma in un progetto di riconquistare
l’America alle sue radici cristiane.
L’errore di molte analisi è quello d’attribuire al fondamentalismo
tout court ciò che è proprio del neofondamentalismo e di compiere quindi una
operazione storiograficamente scorretta. Ad esempio, quando si dice che il
fondamentalismo sostiene una concezione «meccanica» dell’ispirazione biblica
(quasi che la rivelazione fosse avvenuta sotto «dettatura» dello Spirito Santo),
si dice una autentica sciocchezza. Nei «Fundamentals» questa visione non c’è! Il
fondamentalismo, nella sua primitiva accezione, rappresenta il cristianesimo
storico in una fase di profonda revisione contro un’altra forma religiosa. Le
dottrine dei «Fundamentals» sono quelle del cristianesimo storico. Il
fondamentalismo è stato un vasto movimento apologetico trasversale, plurale e
diversificato. Il fondamentalismo s’allinea con la linea classica della Riforma
e dei Risvegli evangelici. Si può parlare del fondamentalismo come
dell’ortodossia a confronto con la modernità liberale. Il fondamentalismo è un
movimento trasversale che lotta contro le degenerazioni della fede, assumendo
una connotazione apologetica.
De Chirico continua nella sua disamina affermando che oggi la parola «evangelicale»
sostituisce la definizione «fondamentalista», indicando con essa coloro
che sono gli eredi del fondamentalismo dell’inizio del 20° secolo. Egli sostiene
anche che la parola «fondamentalista» è strettamente collegata alla storia e
alla cultura nordamericana per essere un aggettivo della cristianità evangelica
contemporanea. Di più, De Chirico sostiene che l’evangelicalismo è quel
tipo di protestantesimo che racchiude in sé termini come «evangelico»,
«conservatore», «biblico», «radicale». «Sul piano istituzionale», egli prosegue,
«l’evangelicalismo taglia trasversalmente le famiglie confessionali e s’esprime
in una pluralità di denominazioni. Esso è tra i soggetti più dinamici e in
espansione della cristianità e si propone come un interprete vigoroso
dell’identità protestante nell’odierno scenario ecumenico. La teologia
evangelica riprende l’impronta
conservatrice del fondamentalismo. L’Evangelicalismo è il vero erede
delle istanze sane del fondamentalismo d’inizio del Novecento. Dal
fondamentalismo ha ereditato l’importanza delle “fondamenta” bibliche della fede
sulla base dell’autorità della Bibbia. L’Evangelicalismo deve vegliare contro le
degenerazioni della fede, interne ed esterne al movimento evangelicale».
Complessivamente, l’articolo di De Chirico mette in risalto termini
intercambiabili come «fondamentalismo» (in contrapposizione al
«neofondamentalismo»), «cristianesimo storico», «evangelicalismo», che racchiude
categorie espressive come «conservatorismo», «radicalismo». Dobbiamo a questo
punto dire che se è ottimo, in Inglese, il vocabolo «evangelical», questo
diventa estremamente aspro e cacofonico, se tradotto in italiano con
«evangelicalismo» per rendere l’idea di conservatorismo, come movimento
evangelico trasversale che conserva e difende i principi costitutivi della fede
apostolica fortemente riaffermati dalle «Riforme».
Di conseguenza, il Battismo conservatore è una denominazione che
s’inserisce nel movimento degli «evangelical», che sostiene lo statuto della
fede apostolica, riscoperta e rielaborata dai Riformatori, con una accentuazione
della peculiarità del battesimo dei credenti e d’una ecclesiologia che
sottolinea un concetto di chiesa costituita da credenti, che volontariamente e
responsabilmente accettano il messaggio evangelico, rigettando il concetto di
chiesa di massa, la quale coincide con la popolazione d’una determinata nazione,
che ha adottato la sua spiritualità. Non è per nascita ma per scelta che le
chiese battiste sono nate e affermate. Tutto il movimento evangelico seguente la
Riforma, che ha adottato il radicalismo ecclesiologico, può definirsi di prassi
battista: così il Movimento dei Fratelli, il Movimento Pentecostale, le chiese
del Nazareno, le Chiese di Cristo, le Chiese Libere, e le Chiese Cristiane
Bibliche.
Dunque, riteniamo che sia storicamente ed eticamente corretto che i
Battisti Conservatori assumano questa peculiare definizione. Essi,
assumendo valenza apostolica o fondante il cristianesimo storico, s’allontanano
da ogni forma di degenerazione evangelica, laddove le chiese «fondamentaliste»
(o neofondamentaliste) assumano nel loro credo, riti e credenze ininfluenti per
la salvezza e per la crescita spirituale. Riteniamo altresì che le etichette,
di cui si parla, non devono essere sottovalutate perché il cristianesimo si
muove anche sul piano rigorosamente storico, ed è rilevante che un cristiano si
muova all’interno d’una propria convinta identità ecclesiale, senza per questo
rinunciare a incontrare il fratello della porta accanto, all’interno d’una
esperienza di comunione fraterna, al di là della barriera denominazionale. Tutto
questo concorre a un arricchimento spirituale e umano senza sminuire le proprie
convinzioni personali, ma evitando d’ingigantirle conferendo a esse la stessa
statura dogmatica del dettato costitutivo della fede evangelica. Per i Battisti
conservatori... {26-11-2009}
2. Osservazioni e obiezioni {Nicola Martella}
▲
Osservazioni e obiezioni
Leggendo questo dotto e illuminante trattato, mi sono venute in mente alcune
cose. Chiaramente esse sono basate su una dialettica del confronto che è
rispettosa dei suoi interlocutori e che interroga criticamente, facendo
osservazioni e obiezioni, col fine di aiutare a chiarire le cose.
■ Più del 70% dello scritto illustra bene come i «Fundamentals» e il
fondamentalismo originario siano da distinguere dalle fasi successive e
specialmente dal neofondamentalismo. È onesto distinguere tale sviluppo e non
fare, come giustamente afferma De Chirico, una «lettura compressa» di fatti
distanti fra loro; in caso contrario si fa qui, come per altri movimenti e
fenomeni storici, culturali e religiosi un’operazione storiograficamente
scorretta.
■ Il 20% circa dello scritto si occupa di «evangelicalismo». Chiaramente
lo scritto di De Chirico mostra dapprima che il
neofondamentalismo col suo iper-letteralismo (quindi non con un’esegesi
contestuale), il suo dispensazionalismo spinto e il suo separatismo si sia
allontanato dalle basi dei «Fundamentals» e del fondamentalismo
originario, che era un movimento trasversale. Poi presenta e pretende come
normale che gli «evangelicali» siano gli eredi naturali dei primi
fondamentalisti. Certamente egli potrebbe suggerire, in modo sottile, la
proposta secondo l’amillenarismo e la teologia riformata, rivisti e aggiornati,
siano parti importanti di tale «evangelicalismo». Non sto qui a elencare dubbi e
perplessità dei critici di tale «evangelicalismo», specialmente nella sua
fattispecie di «neoevangelicalismo» (sì, c’è già questo!). Come si vede,
«etichette» si aggiungono a «etichette», che oggigiorno hanno una validità
sempre più ridotta e una scadenza abbastanza ravvicinata.
■ Il 10% circa dello scritto si occupa della critica al termine «evangelical» e
della difesa del termine «conservatorismo» (solo gli ultimi due
paragrafi!). Devo ammettere di essere rimasto abbastanza deluso, per motivi sia
statistici, sia logici, sia nel merito. Se De Chirico ribadiva
l’intercambiabilità di «fondamentalismo», «evangelicalismo» e «conservatorismo»,
i miei interlocutori iniziano il penultimo paragrafo con un «Di conseguenza, il
Battismo conservatore è…». Le
conseguenze si traggono da un’analisi storica e teologica nel merito (è
buona quella dello sviluppo del fondamentalismo), che però non trovo nello
scritto riguardo al conservatorismo! Ammetto le mie perplessità riguardo a un
tale modo di agire.
■ Fare un’analisi così particolareggiata del fondamentalismo, per poi ascrivere
il «Battismo conservatore» semplicemente nel movimento degli «evangelical», per
accreditarlo, senza mostrare l’origine e lo sviluppo (perlopiù politico) del
termine «conservatore», mostra grossolane smagliature di natura logica e
ideologica. Ciò mostra che, in fondo, si vuol riempire la locuzione «Battismo
conservatore» con contenuti dottrinali ed etici, chiaramente condivisibili, ma
che non hanno peculiarità specifiche a tale «etichetta» né hanno molto a che
fare col concetto originario di conservatorismo (in quanto perlopiù termine
politico, sebbene anche con accenti religiosi).
■ Ogni movimento odierno di rinnovamento per l’espansione del regno di Dio sulla
base della «sola Scrittura», è benvenuto, e questo di là dall’etichetta che
porta. Associare però vari movimenti, nati in seguito al Risveglio
dell’Ottocento, a una definizione di «prassi battista», conviene a una
filosofia espansiva di un «Battismo conservatore», ma non convince nessuno
studioso di Teologia Biblica (esegesi) e di Teologia Storica (denominazioni,
dottrine e loro sviluppo). In fondo, viene il sospetto che si vuole credere che
sia così, per portare avanti un progetto denominazionale che, in fondo, avrebbe
potuto chiamarsi anche diversamente.
■ Si afferma poi in modo conclusivo: «Dunque, riteniamo che sia
storicamente ed eticamente corretto che i Battisti Conservatori
assumano questa peculiare definizione». Ciò presume che ci sia stata una
disamina storica ed etica, che poi culmina in tale conclusione. Si rimane
delusi, se si cerca tale analisi preliminare. In tal modo le conclusioni,
quantunque possano essere legittime, si basano su pilastri che non esistono
nella trattazione.
■ Rimane sibillina anche la frase, secondo cui i «Battisti Conservatori»
intendano assumere «valenza apostolica o fondante il cristianesimo
storico». Se non conoscessi gli autori di questo scritto e le loro buone
intenzioni, sarei rimasto non solo perplesso, ma addirittura allibito.
■ Prendo atto della fase ancora reattiva di questo progetto. Infatti si
afferma ciò che non si vorrebbe essere, denunciandolo (vedi accanimento contro
il fondamentalismo), ma non si hanno molte idee chiare su ciò che si debba
effettivamente essere, per costituire una proposta credibile. Inoltre i critici
del (neo)conservatorismo e del (neo)evangelicalismo potrebbero rinfacciare loro
proprio ciò, che qui si ascrive alle «chiese «fondamentaliste» (o
neofondamentaliste)»; anche a loro si potrebbe rimproverare di assumere «nel
loro credo, riti e credenze ininfluenti per la salvezza e per la crescita
spirituale». A me pare che i promotori del nostrano «battismo conservatore» si
trovino ancora in una fase reattiva, dalle cui «fasce» dovrebbero ancora uscire
per essere una proposta genuina e un progetto credibile e coinvolgente. Il
timore è che tale «reazionarismo» rimanga come costitutivo e che ciò
porterà tale ben pensata riforma a esaurirsi in una battaglia ideologica o farà
sì che la montagna partorisca un topolino, un’altra «etichetta», l’ennesima
denominazionuncola. Una «propria convinta identità ecclesiale» non necessita per
forza di un nuovo, impegnativo e singolare acronimo denominazionale.
■ Chi ha studiato la «storia delle chiese», ha imparato che i leader di
movimenti nati come veemente reazione a uno status quo di lassismo morale
e liberalismo dottrinale sanno spesso che cosa combattere, ma non sempre che
cosa proporre in modo equilibrato e salutare, e spesso formulano le loro tesi in
modo reattivo secondo un’idea di conservatorismo o di rivoluzione religiosa. Può
succedere che tali leader siano accomunati proprio da tale reattività al sistema
e non tanto da convinzioni comuni sulle cose da attuare. Perciò, dopo aver
iniziato la riforma o come si voglia chiamarla, spesso tali leader si
contrappongono fra loro al punto da spaccare il movimento o da portarlo alla
tomba.
Non vorrei essere un profeta, ma se tale progetto non è pensato con
calma, se viene visto come punto di partenza e non come importante tappa di un
certo sviluppo già esistete e abbastanza consolidato, se gli attuali leader non
si chiariscono a fondo sul modo di procedere e su come affrontare le eventuali
future disparità di pensiero (visti anche i due caratteri dissimili), se non
fanno decantare abbastanza il progetto per la fretta d’attuarlo, se non escono
dalla fase reattiva a quella propositiva, se e se e se… il loro progetto
ambizioso, non avendo profonde radici, finirà come quello di tanti altri che
intendevano essere «chiesa della restaurazione» del cristianesimo in Italia.
È comunque positivo che abbiano accettato di esporsi alle mie osservazioni.
Spero che continueranno così e lo faranno con equilibrio e raziocinio anche per
le obiezioni di altri.
Aspetti
conclusivi
Analizzare tale scritto mi è costato chiaramente tempo e forze. Il mio intento è
di critica costruttiva nel rispetto delle convinzioni altrui. Tanto più che
prima o poi, forse a breve tempo, si vorrà arrivare a formalizzare i contenuti,
gli scopi e gli obiettivi del «battismo conservatore» per essere un’entità
visibile. Chiaramente per me — che mi baso su una Teologia Esegetica e a
cui stanno strette etichette come «(neo)fondamentalista», «(neo)conservatore»,
«(neo)evangelicale», «(neo)dispensazionalista», «(neo)amillenarista» e tanti
altri «nei» ideologico-dottrinari — sta stretta anche l’etichetta di «battismo
conservatore» (tanto più che «conservatore» è un termine prettamente politico) e
preferirei che «conservatore» cadesse del tutto e fosse relegato alle «conserve»
della storia passata. Se «battista» dev’essere, ridurrei l’acronimo a «UBI»
e basta, visto che non esistono «battisti non evangelici».
Adottare vecchie e ambigue etichette, porterà con sé fraintendimenti,
incomprensioni, accese reazioni e quant’altro; oppure si verrà del tutto
ignorati e snobbati. Ciò che io ho espresso con franchezza e lealtà, altri lo
penseranno e lo diranno in giro e tanti di loro non avranno molto garbo ma,
essendo teologicamente e umanamente più sprovveduti, penseranno di reagire
veementemente come dinanzi a una presunta e immane minaccia ideologica.
Infine vorrei portare alcune riflessioni di carattere scritturale. Mi sono
venuti in mente i seguenti versi riguardo al «campo nuovo». «Dissodatevi
un campo nuovo e non seminate fra le
spine!» (Gr 4,3). Vecchie etichette possono essere
proprio una campo spinoso, anzi minato. Sulla sala della nostra comunità di
Tivoli si legge da tempo semplicemente «Chiesa cristiana» — senz’altro;
riteniamo che sono i contenuti a doverci distinguere, non le etichette. Il
«campo nuovo» è un ritorno ideale alle origini del cristianesimo, calato nella
nostra realtà concreta. Il «campo nuovo» è tagliare i ponti con le pratiche
passate dell’iniquità (Os 10,13), a cui è abbinata questa ingiunzione: «Seminate
secondo la giustizia, mietete secondo la misericordia, dissodatevi un
campo nuovo! Poiché è tempo di
cercare l’Eterno, finché egli non venga, e non spanda su voi la pioggia della
giustizia» (v. 12).
No, etichette vecchie e nuove non ci salveranno. Ciò che conta è una
sequela convinta, impegnata, militante e a «caro prezzo». Alle proposte del
tipo «Ti seguiterò, Signore, ma…», Gesù rispose: «Nessuno che abbia
messo la mano all’aratro e poi riguardi indietro, è adatto al regno di
Dio» (Lc 9,57-62). È chiaro che Gesù non pensava qui a un «progetto
(neo)conservatore», ma a una «rivoluzione» tale, che richiedeva il pieno
coinvolgimento dei seguaci. Io sono per tale «rivoluzione» controcorrente.
Mettere il «vino nuovo» in «otri vecchi» porta sempre a grandi perdite,
ma «il vino nuovo si mette in otri nuovi, e l’uno e gli altri si conservano»
(Mt 9,17; v. 16 toppa di stoffa nuova sopra un vestito vecchio).
---------------------------------------
. Le tendenze liberali e moderniste si fecero strada
nell’Ottocento anche fra i teologi cattolici. Nel 1907 il modernismo venne,
infatti, condannato da Pio X nell’enciclica «Pascendi».
►
La «C» conservatrice in UBEIC e i fondamentalisti
{Nicola Martella} (A)
►
Fra conservatori e fondamentalisti {UBEIC
- Martella} (A)
► URL:
http://puntoacroce.altervista.org/_Den/A1-Conservat_vs_fondamental2_EdF.htm
27-11-2009; Aggiornamento:
02-07-2010 |