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La fede che pensa — Accettare la sfida nel nostro tempo

«Glaube gegen den Strom»: Für das biblische Unterscheidungsvermögen — «Faith countercurrent»: For the biblical discernment — «Foi contre-courant»: Pour le discernement biblique — «Fe contracorriente»: Por el discernimiento bíblico

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   Ecco le singole parti principali:
01. La via che porta a Dio;
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03. La Sacra Scrittura
04. Dio
05. Creazione e caduta dell’uomo
06. Gesù Cristo
07. Lo Spirito Santo
08. La salvezza dell’uomo
09. Il cammino di fede
10. La chiesa biblica
11. Ordinamenti e radunamenti
12. L’opera della chiesa
13. Il diavolo
14. Le cose future
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CONSERVATORI FRA FUNDAMENTALS ED EVANGELICALI

 

 di Paolo Brancè e Luciano Leoni - Nicola Martella

 

1. Le tesi {Paolo Brancè e Luciano Leoni}

2. Osservazioni e obiezioni {Nicola Martella}

 

Qui di seguito parliamo dell'UBEIC, ma facciamo notare che, intanto, tale gruppo battista ha preso il nome di «CBI» (per i dettagli vedi UBEIC).

 

Il seguente confronto si basa su un articolo precedente di Nicola Martella: La «C» conservatrice in UBEIC e i fondamentalisti. Nel seguente articolo Paolo Brancè e Luciano Leoni rispondono a esso, e Nicola Martella fa alcune osservazioni nel merito. Si rimandano i lettori anche al sito dell’UBEIC per prendere visione della dichiarazione di fede, della posizione dottrinale e dei propositi futuri. Inutile dire che, di là dalla «C» conservatrice, ho molta simpatia per le posizioni scritturali e non liberali di questi fratelli. Il seguente confronto vuole serve per mettere a fuoco meglio le premesse

 

 

1. Le tesi {Paolo Brancè e Luciano Leoni}

 

Carissimo fratello Nicola, pace a te. Ti ringrazio per la tua interessante disamina sul nostro «manifesto», questo mostra, ancora una volta, che affronti quello che ti viene proposto con attenzione e spirito critico, e questo è sempre un bene perché un confronto sereno permette di vedere le cose sotto punti di vista che magari non s’erano valutati precedentemente. Quello che tu hai evidenziato è sicuramente un punto che richiede una spiegazione, soprattutto oggi che, specie in Italia, vige una certa confusione in ambito evangelico.

     Come premessa voglio dirti che ci troviamo perfettamente d’accordo, come credo ogni persona di buona volontà, che nessuna «etichetta» salva o rende di per sé migliori; non è dicendosi «biblico», «fondamentalista» o «conservatore» che si diventa cristiani. Quello che conta è vivere concretamente la fede; però, proprio lo stato d’enorme «confusione», che ho citato sopra, pretende che chi si «propone» all’attenzione del prossimo, possa dare a quest’ultimo tutti gli strumenti utili per potersi formare un’opinione corretta e completa.

     Facciamo un piccolo passo indietro e cerchiamo di spiegare, in senso storiografico, il termine «fondamentalismo» originario. I teologi conservatori americani redassero un documento durante una conferenza tenutasi nel 1895 a Niagara Falls nel quale presero posizione contro le nuove mode interpretative della Scrittura.[1] Essi ribadirono:

     ■ L’assoluta inerranza del testo sacro;

     ■ La riaffermazione della divinità di Cristo;

     ■ Il fatto che Cristo sia nato da una vergine;

     ■ La redenzione universale garantita dalla morte e risurrezione di Cristo;

     ■ La risurrezione della carne e la certezza della seconda venuta di Cristo.

 

Fra il 1909 e il 1915 le idee elaborate nella conferenza di Niagara Falls si diffusero capillarmente nelle chiese protestanti per mezzo di due pastori battisti che pubblicarono una serie di volumetti dal titolo «The Fundamentals» e fu poi questo titolo che qualificò come «fondamentalista» il movimento, di cui si parla.

     Alla diffusione contribuì un episodio che suscitò, a suo tempo, molto clamore e che assunse dimensioni sociali e politiche, cioè il cosiddetto processo della «scimmia» (Scope Trial). Il processo prese il nome da un professore di biologia accusato da un pastore battista fondamentalista d’insegnare a scuola le teorie evoluzioniste di Charles Darwin. Esso venne celebrato nel 1925 a Dayton nello stato del Tennessee. Nel 1919 i promotori del manifesto fondamentalista decisero di dare vita alla «World Christian Fundamentals Association», che aveva la funzione di riconquistare il mondo moderno secolarizzato e scristianizzato, ricorrendo ai linguaggi moderni della comunicazione di massa.

     Il fondamentalismo evangelico americano s’affermò in un arco di tempo ben preciso, fra il 1909 e il 1925. Tra il 1925 e il 1975 i movimenti fondamentalisti diventarono, negli Stati Uniti, sempre più incisivi nella sfera pubblica. Negli anni Settanta essi organizzarono campagne contro l’aborto, la pornografia, l’omosessualità, e in generale contro le nuove correnti culturali e politiche che s’erano affermate durante e dopo il 1968. L’obiettivo finale era lottare contro una concezione dello Stato neutrale in campo etico, lassista e tollerante nei confronti d’atteggiamenti e comportamenti giudicati in contrasto con la rivelazione biblica. L’ingresso alla Casa Bianca del Presidente Jimmy Carter e soprattutto, di Ronald Reagan, entrambi in sintonia con le idee e i propositi di restaurazione morale della nazione americana, costituì un elemento favorevole all’espansione dei movimenti fondamentalisti. Si formano due gruppi politico-religiosi: La «Moral Majority» e la «Christian Coalition». In quegli anni si creò nei movimenti una stretta relazione fra l’adesione acritica e letterale al testo biblico e l’impegno diretto nella società civile e politica, relazione che i primi teologi di Niagara Falls non avevano messo in conto nella loro agenda. Siamo di fronte alla politicizzazione dell’agire religioso del neofondamentalismo.

     Riteniamo interessante l’articolo di Leonardo De Chirico «Siamo Fondamentalisti?». In esso s’afferma che, leggendo il fenomeno «fondamentalista», si ha una «lettura compressa» di fatti distanti fra loro. Si tratta d’una lettura appiattita, astorica del fenomeno che mette insieme il fondamentalismo originario, i telepredicatori degli anni Ottanta e i «teocon», sostenitori dell’amministrazione Bush, come se fossero la stessa cosa. Dal punto di vista storiografico è plausibile sostenere che al fondamentalismo della serie di 12 volumetti dei «Fundamentals» (1909-1915), citati sopra, a partire dalla fine degli anni Venti, seguì un’altra fase, opportunamente definita «neofondamentalismo». Il prefisso «neo» sta a indicare l’emergenza di caratteristiche che, pur presenti in maniera marginale nel fondamentalismo, diventano successivamente preponderanti al punto di determinarne un mutamento sostanziale nell’identità e nella strategia. Sulla base dell’adesione alle «fondamenta» nel fondamentalismo avevano potuto riconoscersi evangelici riformati e arminiani, battisti e pedobattisti, presbiteriani, episcopaliani e indipendenti, pentecostali e cessazionisti. Nel neofondamentalismo si verifica, invece, una riduzione della piattaforma teologica e un restringimento della rappresentatività; emerge e s’impone infatti la tendenza del millenarismo dispensazionalista. Nel neofondamentalismo, accanto alle «fondamenta», assume sempre maggior peso l’idea della storia come fallimento e come generale apostasia, la sottolineatura d’Israele come il popolo terrestre di Dio totalmente distinto dalla chiesa, e la predilezione d’una lettura letteralista della Scrittura.

     Le conseguenze di questo mutamento non tardano ad affiorare in ambiti diversi: l’approccio irenico riguardo alla diversità evangelica del fondamentalismo si trasforma nella pratica separatista nei confronti di chi non adotta un’ottica dispensazionalista; la battaglia contro il liberalismo si cristallizza in un pregiudizio anti-intellettuale; la fedeltà all’Evangelo viene scambiata con l’assunzione d’un atteggiamento isolazionista dalla società e dalla cultura, che a partire dagli anni Settanta, si trasforma in un progetto di riconquistare l’America alle sue radici cristiane.

     L’errore di molte analisi è quello d’attribuire al fondamentalismo tout court ciò che è proprio del neofondamentalismo e di compiere quindi una operazione storiograficamente scorretta. Ad esempio, quando si dice che il fondamentalismo sostiene una concezione «meccanica» dell’ispirazione biblica (quasi che la rivelazione fosse avvenuta sotto «dettatura» dello Spirito Santo), si dice una autentica sciocchezza. Nei «Fundamentals» questa visione non c’è! Il fondamentalismo, nella sua primitiva accezione, rappresenta il cristianesimo storico in una fase di profonda revisione contro un’altra forma religiosa. Le dottrine dei «Fundamentals» sono quelle del cristianesimo storico. Il fondamentalismo è stato un vasto movimento apologetico trasversale, plurale e diversificato. Il fondamentalismo s’allinea con la linea classica della Riforma e dei Risvegli evangelici. Si può parlare del fondamentalismo come dell’ortodossia a confronto con la modernità liberale. Il fondamentalismo è un movimento trasversale che lotta contro le degenerazioni della fede, assumendo una connotazione apologetica.

     De Chirico continua nella sua disamina affermando che oggi la parola «evangelicale» sostituisce la definizione «fondamentalista», indicando con essa coloro che sono gli eredi del fondamentalismo dell’inizio del 20° secolo. Egli sostiene anche che la parola «fondamentalista» è strettamente collegata alla storia e alla cultura nordamericana per essere un aggettivo della cristianità evangelica contemporanea. Di più, De Chirico sostiene che l’evangelicalismo è quel tipo di protestantesimo che racchiude in sé termini come «evangelico», «conservatore», «biblico», «radicale». «Sul piano istituzionale», egli prosegue, «l’evangelicalismo taglia trasversalmente le famiglie confessionali e s’esprime in una pluralità di denominazioni. Esso è tra i soggetti più dinamici e in espansione della cristianità e si propone come un interprete vigoroso dell’identità protestante nell’odierno scenario ecumenico. La teologia evangelica riprende l’impronta conservatrice del fondamentalismo. L’Evangelicalismo è il vero erede delle istanze sane del fondamentalismo d’inizio del Novecento. Dal fondamentalismo ha ereditato l’importanza delle “fondamenta” bibliche della fede sulla base dell’autorità della Bibbia. L’Evangelicalismo deve vegliare contro le degenerazioni della fede, interne ed esterne al movimento evangelicale».

     Complessivamente, l’articolo di De Chirico mette in risalto termini intercambiabili come «fondamentalismo» (in contrapposizione al «neofondamentalismo»), «cristianesimo storico», «evangelicalismo», che racchiude categorie espressive come «conservatorismo», «radicalismo». Dobbiamo a questo punto dire che se è ottimo, in Inglese, il vocabolo «evangelical», questo diventa estremamente aspro e cacofonico, se tradotto in italiano con «evangelicalismo» per rendere l’idea di conservatorismo, come movimento evangelico trasversale che conserva e difende i principi costitutivi della fede apostolica fortemente riaffermati dalle «Riforme».

     Di conseguenza, il Battismo conservatore è una denominazione che s’inserisce nel movimento degli «evangelical», che sostiene lo statuto della fede apostolica, riscoperta e rielaborata dai Riformatori, con una accentuazione della peculiarità del battesimo dei credenti e d’una ecclesiologia che sottolinea un concetto di chiesa costituita da credenti, che volontariamente e responsabilmente accettano il messaggio evangelico, rigettando il concetto di chiesa di massa, la quale coincide con la popolazione d’una determinata nazione, che ha adottato la sua spiritualità. Non è per nascita ma per scelta che le chiese battiste sono nate e affermate. Tutto il movimento evangelico seguente la Riforma, che ha adottato il radicalismo ecclesiologico, può definirsi di prassi battista: così il Movimento dei Fratelli, il Movimento Pentecostale, le chiese del Nazareno, le Chiese di Cristo, le Chiese Libere, e le Chiese Cristiane Bibliche.

     Dunque, riteniamo che sia storicamente ed eticamente corretto che i Battisti Conservatori assumano questa peculiare definizione. Essi, assumendo valenza apostolica o fondante il cristianesimo storico, s’allontanano da ogni forma di degenerazione evangelica, laddove le chiese «fondamentaliste» (o neofondamentaliste) assumano nel loro credo, riti e credenze ininfluenti per la salvezza e per la crescita spirituale. Riteniamo altresì che le etichette, di cui si parla, non devono essere sottovalutate perché il cristianesimo si muove anche sul piano rigorosamente storico, ed è rilevante che un cristiano si muova all’interno d’una propria convinta identità ecclesiale, senza per questo rinunciare a incontrare il fratello della porta accanto, all’interno d’una esperienza di comunione fraterna, al di là della barriera denominazionale. Tutto questo concorre a un arricchimento spirituale e umano senza sminuire le proprie convinzioni personali, ma evitando d’ingigantirle conferendo a esse la stessa statura dogmatica del dettato costitutivo della fede evangelica. Per i Battisti conservatori... {26-11-2009}

 

 

2. Osservazioni e obiezioni {Nicola Martella}

 

Osservazioni e obiezioni

     Leggendo questo dotto e illuminante trattato, mi sono venute in mente alcune cose. Chiaramente esse sono basate su una dialettica del confronto che è rispettosa dei suoi interlocutori e che interroga criticamente, facendo osservazioni e obiezioni, col fine di aiutare a chiarire le cose.

     ■ Più del 70% dello scritto illustra bene come i «Fundamentals» e il fondamentalismo originario siano da distinguere dalle fasi successive e specialmente dal neofondamentalismo. È onesto distinguere tale sviluppo e non fare, come giustamente afferma De Chirico, una «lettura compressa» di fatti distanti fra loro; in caso contrario si fa qui, come per altri movimenti e fenomeni storici, culturali e religiosi un’operazione storiograficamente scorretta.

 

     ■ Il 20% circa dello scritto si occupa di «evangelicalismo». Chiaramente lo scritto di De Chirico mostra dapprima che il neofondamentalismo col suo iper-letteralismo (quindi non con un’esegesi contestuale), il suo dispensazionalismo spinto e il suo separatismo si sia allontanato dalle basi dei «Fundamentals» e del fondamentalismo originario, che era un movimento trasversale. Poi presenta e pretende come normale che gli «evangelicali» siano gli eredi naturali dei primi fondamentalisti. Certamente egli potrebbe suggerire, in modo sottile, la proposta secondo l’amillenarismo e la teologia riformata, rivisti e aggiornati, siano parti importanti di tale «evangelicalismo». Non sto qui a elencare dubbi e perplessità dei critici di tale «evangelicalismo», specialmente nella sua fattispecie di «neoevangelicalismo» (sì, c’è già questo!). Come si vede, «etichette» si aggiungono a «etichette», che oggigiorno hanno una validità sempre più ridotta e una scadenza abbastanza ravvicinata.

 

     ■ Il 10% circa dello scritto si occupa della critica al termine «evangelical» e della difesa del termine «conservatorismo» (solo gli ultimi due paragrafi!). Devo ammettere di essere rimasto abbastanza deluso, per motivi sia statistici, sia logici, sia nel merito. Se De Chirico ribadiva l’intercambiabilità di «fondamentalismo», «evangelicalismo» e «conservatorismo», i miei interlocutori iniziano il penultimo paragrafo con un «Di conseguenza, il Battismo conservatore è…». Le conseguenze si traggono da un’analisi storica e teologica nel merito (è buona quella dello sviluppo del fondamentalismo), che però non trovo nello scritto riguardo al conservatorismo! Ammetto le mie perplessità riguardo a un tale modo di agire.

 

     ■ Fare un’analisi così particolareggiata del fondamentalismo, per poi ascrivere il «Battismo conservatore» semplicemente nel movimento degli «evangelical», per accreditarlo, senza mostrare l’origine e lo sviluppo (perlopiù politico) del termine «conservatore», mostra grossolane smagliature di natura logica e ideologica. Ciò mostra che, in fondo, si vuol riempire la locuzione «Battismo conservatore» con contenuti dottrinali ed etici, chiaramente condivisibili, ma che non hanno peculiarità specifiche a tale «etichetta» né hanno molto a che fare col concetto originario di conservatorismo (in quanto perlopiù termine politico, sebbene anche con accenti religiosi).

 

     ■ Ogni movimento odierno di rinnovamento per l’espansione del regno di Dio sulla base della «sola Scrittura», è benvenuto, e questo di là dall’etichetta che porta. Associare però vari movimenti, nati in seguito al Risveglio dell’Ottocento, a una definizione di «prassi battista», conviene a una filosofia espansiva di un «Battismo conservatore», ma non convince nessuno studioso di Teologia Biblica (esegesi) e di Teologia Storica (denominazioni, dottrine e loro sviluppo). In fondo, viene il sospetto che si vuole credere che sia così, per portare avanti un progetto denominazionale che, in fondo, avrebbe potuto chiamarsi anche diversamente.

 

     ■ Si afferma poi in modo conclusivo: «Dunque, riteniamo che sia storicamente ed eticamente corretto che i Battisti Conservatori assumano questa peculiare definizione». Ciò presume che ci sia stata una disamina storica ed etica, che poi culmina in tale conclusione. Si rimane delusi, se si cerca tale analisi preliminare. In tal modo le conclusioni, quantunque possano essere legittime, si basano su pilastri che non esistono nella trattazione.

 

     ■ Rimane sibillina anche la frase, secondo cui i «Battisti Conservatori» intendano assumere «valenza apostolica o fondante il cristianesimo storico». Se non conoscessi gli autori di questo scritto e le loro buone intenzioni, sarei rimasto non solo perplesso, ma addirittura allibito.

 

     ■ Prendo atto della fase ancora reattiva di questo progetto. Infatti si afferma ciò che non si vorrebbe essere, denunciandolo (vedi accanimento contro il fondamentalismo), ma non si hanno molte idee chiare su ciò che si debba effettivamente essere, per costituire una proposta credibile. Inoltre i critici del (neo)conservatorismo e del (neo)evangelicalismo potrebbero rinfacciare loro proprio ciò, che qui si ascrive alle «chiese «fondamentaliste» (o neofondamentaliste)»; anche a loro si potrebbe rimproverare di assumere «nel loro credo, riti e credenze ininfluenti per la salvezza e per la crescita spirituale». A me pare che i promotori del nostrano «battismo conservatore» si trovino ancora in una fase reattiva, dalle cui «fasce» dovrebbero ancora uscire per essere una proposta genuina e un progetto credibile e coinvolgente. Il timore è che tale «reazionarismo» rimanga come costitutivo e che ciò porterà tale ben pensata riforma a esaurirsi in una battaglia ideologica o farà sì che la montagna partorisca un topolino, un’altra «etichetta», l’ennesima denominazionuncola. Una «propria convinta identità ecclesiale» non necessita per forza di un nuovo, impegnativo e singolare acronimo denominazionale.

 

     ■ Chi ha studiato la «storia delle chiese», ha imparato che i leader di movimenti nati come veemente reazione a uno status quo di lassismo morale e liberalismo dottrinale sanno spesso che cosa combattere, ma non sempre che cosa proporre in modo equilibrato e salutare, e spesso formulano le loro tesi in modo reattivo secondo un’idea di conservatorismo o di rivoluzione religiosa. Può succedere che tali leader siano accomunati proprio da tale reattività al sistema e non tanto da convinzioni comuni sulle cose da attuare. Perciò, dopo aver iniziato la riforma o come si voglia chiamarla, spesso tali leader si contrappongono fra loro al punto da spaccare il movimento o da portarlo alla tomba.

     Non vorrei essere un profeta, ma se tale progetto non è pensato con calma, se viene visto come punto di partenza e non come importante tappa di un certo sviluppo già esistete e abbastanza consolidato, se gli attuali leader non si chiariscono a fondo sul modo di procedere e su come affrontare le eventuali future disparità di pensiero (visti anche i due caratteri dissimili), se non fanno decantare abbastanza il progetto per la fretta d’attuarlo, se non escono dalla fase reattiva a quella propositiva, se e se e se… il loro progetto ambizioso, non avendo profonde radici, finirà come quello di tanti altri che intendevano essere «chiesa della restaurazione» del cristianesimo in Italia.

     È comunque positivo che abbiano accettato di esporsi alle mie osservazioni. Spero che continueranno così e lo faranno con equilibrio e raziocinio anche per le obiezioni di altri.

 

Aspetti conclusivi

     Analizzare tale scritto mi è costato chiaramente tempo e forze. Il mio intento è di critica costruttiva nel rispetto delle convinzioni altrui. Tanto più che prima o poi, forse a breve tempo, si vorrà arrivare a formalizzare i contenuti, gli scopi e gli obiettivi del «battismo conservatore» per essere un’entità visibile. Chiaramente per me — che mi baso su una Teologia Esegetica e a cui stanno strette etichette come «(neo)fondamentalista», «(neo)conservatore», «(neo)evangelicale», «(neo)dispensazionalista», «(neo)amillenarista» e tanti altri «nei» ideologico-dottrinari — sta stretta anche l’etichetta di «battismo conservatore» (tanto più che «conservatore» è un termine prettamente politico) e preferirei che «conservatore» cadesse del tutto e fosse relegato alle «conserve» della storia passata. Se «battista» dev’essere, ridurrei l’acronimo a «UBI» e basta, visto che non esistono «battisti non evangelici».

     Adottare vecchie e ambigue etichette, porterà con sé fraintendimenti, incomprensioni, accese reazioni e quant’altro; oppure si verrà del tutto ignorati e snobbati. Ciò che io ho espresso con franchezza e lealtà, altri lo penseranno e lo diranno in giro e tanti di loro non avranno molto garbo ma, essendo teologicamente e umanamente più sprovveduti, penseranno di reagire veementemente come dinanzi a una presunta e immane minaccia ideologica.

     Infine vorrei portare alcune riflessioni di carattere scritturale. Mi sono venuti in mente i seguenti versi riguardo al «campo nuovo». «Dissodatevi un campo nuovo e non seminate fra le spine!» (Gr 4,3). Vecchie etichette possono essere proprio una campo spinoso, anzi minato. Sulla sala della nostra comunità di Tivoli si legge da tempo semplicemente «Chiesa cristiana» — senz’altro; riteniamo che sono i contenuti a doverci distinguere, non le etichette. Il «campo nuovo» è un ritorno ideale alle origini del cristianesimo, calato nella nostra realtà concreta. Il «campo nuovo» è tagliare i ponti con le pratiche passate dell’iniquità (Os 10,13), a cui è abbinata questa ingiunzione: «Seminate secondo la giustizia, mietete secondo la misericordia, dissodatevi un campo nuovo! Poiché è tempo di cercare l’Eterno, finché egli non venga, e non spanda su voi la pioggia della giustizia» (v. 12).

     No, etichette vecchie e nuove non ci salveranno. Ciò che conta è una sequela convinta, impegnata, militante e a «caro prezzo». Alle proposte del tipo «Ti seguiterò, Signore, ma…», Gesù rispose: «Nessuno che abbia messo la mano all’aratro e poi riguardi indietro, è adatto al regno di Dio» (Lc 9,57-62). È chiaro che Gesù non pensava qui a un «progetto (neo)conservatore», ma a una «rivoluzione» tale, che richiedeva il pieno coinvolgimento dei seguaci. Io sono per tale «rivoluzione» controcorrente. Mettere il «vino nuovo» in «otri vecchi» porta sempre a grandi perdite, ma «il vino nuovo si mette in otri nuovi, e l’uno e gli altri si conservano» (Mt 9,17; v. 16 toppa di stoffa nuova sopra un vestito vecchio).

 

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[1]. Le tendenze liberali e moderniste si fecero strada nell’Ottocento anche fra i teologi cattolici. Nel 1907 il modernismo venne, infatti, condannato da Pio X nell’enciclica «Pascendi».

 

La «C» conservatrice in UBEIC e i fondamentalisti {Nicola Martella} (A)

Fra conservatori e fondamentalisti {UBEIC - Martella} (A)

 

► URL:

http://puntoacroce.altervista.org/_Den/A1-Conservat_vs_fondamental2_EdF.htm

27-11-2009; Aggiornamento: 02-07-2010

 

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