Un lettore, dopo aver terminato la lettura di «Carismosofia»,
ha voluto esprimere alcune sue considerazioni e mi ha chiesto delle
delucidazione su alcune questioni. Egli mi ha chiesto particolarmente
intorno alla glossolalia, alla sua origine,
alla sua natura e al suo valore oggigiorno. |
La questione del lettore
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Caro fratello Nicola, volevo domandarti la tua posizione sulle chiese
pentecostali. Ho letto alcuni libri al riguardo, tra cui «La Bibbia e il
movimento pentecostale» di T. Heinze, «Devo parlare in lingue?» di B.
Standridge, «I carismatici» di J. MacArthur, e «Carismosofia».
Poi ne ho letti altri dell’opinione opposta sul battesimo nello Spirito Santo.
In particolare quello dell’ADI-MEDIA.
Vorrei solo ben comprendere una cosa. Credi che l’odierna glossolalia e il
relativo dono d’interpretazione siano da Dio? Per essere più esplicito:
trovandoti in una comunità pentecostale composta da veri fratelli, nati di
nuovo, che hanno creduto in Cristo per mezzo della fede per ottenere per grazia
la vita eterna, nella quale uno parla in lingue e un altro interpreta, sarebbe
per te di scandalo o d’edificazione? Penseresti a un qualcosa proveniente da
Dio, dal diavolo o dalla psiche di quei fratelli? Potrebbe esser questo dono
utile, considerando ciò che il risveglio pentecostale ha portato come frutti?
Ti ringrazio in anticipo delle risposte, Dio ti benedica e ti protegga. {Christian
Tursi; 26-09-2008}
La risposta ▲
A primo acchito mi
verrebbe da chiedere al lettore: «Date le molte domande, vorresti che il nuovo
libro te lo scrivo subito o posso prendermi del tempo?». È evidente che tutte
queste domande richiederebbero una risposta talmente articolata, da riempire
moltissime pagine. Risponderò in modo succinto, indicando gli articoli di
approfondimento.
■ Per prima cosa bisogna fare doverose distinzioni. Una di esse è fra
pentecostali classici e carismaticisti, senza fare di loro di tutta l’erba un
fascio. Tale distinzione la fanno essi stessi. [►
Pentecostali e carismaticisti: distingui necessari; ►
Servi di Dio o di se stessi: Leader pentecostali e carismaticisti a
confronto]
In secondo luogo, bisogna resistere alla tentazione che alcuni sviluppano di
buttare via il bimbo con tutta l’acqua sporca; infatti ogni movimento ha
«peccati di gioventù» o può prendere qualche sbandata o deviazione durante il
percorso. [► ►
Neopentecostali e neocarismatici sono «fratelli»?] Dinanzi alle «profane ciance» e a «uomini
che si sono sviati dalla verità» (2 Tm 2,16ss), le due parti della stessa
medaglia sono le seguenti ed esse valgono per tutti: «Ma pure il solido
fondamento di Dio rimane fermo, portando questo sigillo: “Il Signore conosce
quelli che son suoi”; e: “Si ritragga dall’iniquità chiunque nomina il nome del
Signore”» (v. 19). Oltre a ciò, ecco l’ingiunzione morale a ognuno che vuol
servire Dio: «Studiati di presentare te stesso approvato dinanzi a Dio:
operaio che non abbia a esser confuso, che tagli rettamente la parola della
verità» (v. 15). Su questa base poniamo ora le seguenti riflessioni.
■ Già altrove ho espresso i seguenti pensieri; diverse di queste esperienze si
trovano descritte ampliamente in «Carismosofia».
Con la glossolalia io e altri abbiamo fatto esperienze diverse, ad
esempio le seguenti. In una chiesa delle ADI, mentre tutti pregavano
confusamente e alcuni anche in lingue, c’era un credente di un certo rilievo di
quella comunità che accanto a me recitava «centocinquanta la gallina canta…».
Tutti erano così dediti a se stessi, che stranamente nessuno se ne accorgeva. ●
Spesso ho sperimentato credenti che recitano una specie di «mantra», ossia una
breve frase continuamente ricorrente. ● Una donna, venuta nella cura pastorale,
cantava in altra lingua invocando, suo malgrado, il demonio in ebraico (lingua
che ho studiato), come risultò dalla trascrizione e dalla traduzione delle
parole. ● Una donna venne con una profonda depressione nella cura pastorale, a
causa di uno spirito di lingue (come poi abbiamo appurato; appena tale credente,
su mio suggerimento, chiese a Dio di togliere tale facoltà, se non fosse stata
da parte sua, non solo sparì all’istante la glossolalia, ma poi anche la
depressione.
La stragrande maggioranza di coloro, che esercitano la glossolalia, non parla
una vera lingua, come fu a Pentecoste, ma recita di una specie di
«mantra», che tecnicamente dipende da un «engramma psichico», ricevuto al
momento di un'esperienza mistica, impropriamente etichettata come «battesimo di
Spirito». Esso rappresenta la registrazione mentale di una serie specifica di
fonemi che uno ripete continuamente; stranamente però chi «traduce» fa invece
«romanzi», attribuendoli a una delle persone della Trinità! Nelle religioni
orientali e nella spiritualità esoterica occidentale si riceve tale «engramma
psichico» nel momento del cosiddetto «illuminamento»; nel carismaticismo ciò
succede durante l’analoga esperienza, detta impropriamente «battesimo di
Spirito». [►
Glossolalia, lingue ed engramma psichico]
■ Come ho già spiegato altrove, anche in «Carismosofia»,
il testo greco di 1 Cor 13,8, avendo una forma verbale media (e non una
attiva), è da tradurre così: «Quanto alle lingue, esse cesseranno di per sé»;
pausontai come futuro medio significa «si attenueranno di per sé o da sé
(ossia un poco alla volta)». Così avvenne nei primi secoli. [►
Glossolalia e padri della chiesa] Quello delle
lingue era un problema specialmente dei Corinzi (così pure miracoli e
guarigioni: questo era dovuto ai falsi apostoli ebrei che avevano occupato
funzioni di rilievo nella chiesa; 1 Cor 1,22; 2 Cor 11,4s.13ss.22). Nelle sue
due lettere ai Corinzi Paolo fece del tutto per contenere il fenomeno: mise le
lingue all’ultimo posto (1 Cor 12,28ss) — stranamente sono state fatte diventare
il segno maggiore del cosiddetto «battesimo di Spirito» — e le minimizzò a
favore della «profezia» (1 Cor 14), ossia la proclamazione ispirata basata sulla
partecipazione attiva alla lettura e alla spiegazione dell’AT secondo l’analogia
di Cristo e della fede del nuovo patto. Nella lettera circolare detta «agli
Efesini», la glossolalia non compare neppure tra le funzioni ministeriali
importanti e necessari per l'edificazione del corpo di Cristo (come neppure
miracoli e guarigioni; Ef 4,11ss).
■ Personalmente sono sempre turbato quando persone pregano o parlano in lingue
confusamente insieme, ossia senza decoro e ordine (1 Cor 14,40), quindi
senza seguire le indicazioni apostoliche: «Se c’è chi parla in altra lingua,
siano due o tre al più a farlo; e
l’uno dopo l’altro; e uno
interpreti; e se non v’è chi interpreti,
si tacciano nella chiesa e parlino a se stessi e a Dio» (1 Cor 14,27s); «si
tacciano nella chiesa» significa non esercitare la glossolalia in alcun modo
nella chiesa, se non c’è chi interpreta (così anche per le donne, a cui non era
permesso di commentare pubblicamente le «proclamazioni ispirate»; vv. 29.34); «parlino
a se stessi e a Dio» non significa creare un sottofondo di bisbigli e
sussurri. Paolo ribadì che le lingue non hanno un carattere di edificazione
reciproca (vv. 14ss), quindi neppure per me, poiché «servono di segno… per i
non credenti» (v. 22); così fu a Pentecoste, quando gli apostoli parlarono
nelle lingue altrui (i Giudei della diaspora), per trasmettere loro
l’Evangelo.
■ Come detto, nella stragrande maggioranza dei casi odierni di glossolalia
dipende da un «engramma psichico», ossia dalla registrazione mentale di una
sequenza di fonemi circoscritti, di cui c’è poco da interpretare, essendo sempre
uguali. Se le singole comunità pentecostali mettessero rigorosamente in
pratica 1 Cor 14,27s, il fenomeno psichico verrebbe alquanto contenuto e
sparirebbe in un tempo relativamente breve. Rimarrebbero pochissimi casi di una
vera glossolalia, di cui bisognerebbe comunque accertare, di caso in caso,
l’origine divina o diabolica.
[►
Glossolalia e demonizzazione?]
■ Quanto al
risveglio pentecostale, bisogna distinguere il grano dalla pula; ciò vale
anche per ogni riforma e risveglio di qualsiasi movimento. Il
«frutto dello Spirito» (Gal 5,22) è legato all’ubbidienza dei credenti, i quali
«hanno crocifisso la carne con le sue passioni e le sue concupiscenze» e
camminano per lo Spirito, ossia vivono col nuovo stile di vita (vv. 24s). Esso
non è mai connesso ai «carismi dello Spirito» (Eb 2,4). Paolo, contrapponendo la
«profezia» alla glossolalia e sminuendo quest’ultima, la relegò ai fenomeni
dell’infanzia della chiesa (specialmente di Corinto): «Fratelli, non siate
fanciulli per senno; siate pur bambini quanto a malizia, ma quanto a senno,
siate uomini fatti» (1 Cor 14,20; cfr. vv. 21s); su «uomini fatti»
contrapposti ai bambini nella fede si veda Efesini 4,13s (cfr. vv. 11s funzioni
ministeriali); Ebrei 5,12 (latte e cibo sodo; discernere il bene e il male).
Carismi e opere potenti non sono di per sé un segno di genuinità
cristiana e di appartenenza a Cristo (Mt 7,22s; 13,41). Certamente il «frutto
dello Spirito» è un tale segno di genuinità cristiana e di appartenenza a
Cristo, poiché mostra un cambiamento rispetto a ciò che sono le «opere della
carne» (Gal 5,19s) e di chi è passato dalle tenebre alla luce.
In tutti
i fenomeni storici delle chiese, bisogna perciò sempre distinguere il grano
dalla paglia.
Si veda la seguente testimonianza di Gaetano Nunnari, un ex carismaticista:
«Pentecostalismo
e glossolalia», oltre al suo «Cammino
dall’arbitrio neocarismatico all’ubbidienza della Parola». Si veda inoltre la testimonianza di
Marion Zanini, ex carismaticista, nell'articolo «Dalle
visioni all’ubbidienza alla Bibbia».
► URL:
http://puntoacroce.altervista.org/_Den/A1-Carismosofia_glossolalia_MeG.htm
03-10-2008; Aggiornamento: 25-11-2009
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