1. Santa
Ignoranza
Finalmente è
stato trovato un punto comune in tutte le denominazioni: la «santa
Ignoranza», protettrice dei «santi asinelli», una categoria che si trova
in ogni compagine religiosa del cristianesimo. Sono in molti a esserle devota.
Le
caratteristiche di tale devozione sono le seguenti: pigrizia intellettuale,
che fa rimanere spiritualmente infantili a vita; mancanza di studio biblico
personale, che fa cadere nella superficialità spirituale e morale; vivere in
settimana specialmente solo di ciò, che è stato predicato domenica;
approssimazione scritturale, che fa dire cose non verificate con la Bibbia;
atteggiamento anti-bereano, che sciattamente fa «bere» ogni cosa, senza andarla
a verificare nella Scrittura; spiritualizzazione indebita, accompagnata da falso
sillogismo; versettologia indebita, che fa creare strane credenze soggettive,
condendo tutto con allegorie e metafore; mancanza di convinzioni teologiche di
base, ma cammino ondivago, che fa seguire oggi questa corrente, domani quella; e
così via.
Tutto ciò fa
sì che la schiera dei «santi asinelli», gli speciali devoti a «santa
Ignoranza», è molto nutrita in tutte le denominazioni e compagini religiose. È
facile averla come patrona, visto che è una devozione, che non costa nulla.
Come si noterà
nella discussione, «santa Ignoranza» ha seguaci, oltre che fra i pigri mentali,
specialmente fra gli spiritualisti, fra i sostenitori della cosiddetta «dottrina
dell’esperienza» e fra i faziosi, che spesso sono seguaci di santoni
e abboccano alle loro «nuove» rivelazioni, spesso di contenuto esoterico
cristianizzato.
2. Santa
Polemica
In genere,
coloro che sono devoti a «santa Ignoranza», spesso praticano anche un altro tipi
di devozione: quella a «santa Polemica»! Essi cercano con tutte le loro
forze di trascinarti in tale loro «culto» privilegiato. Prima parlano di «amore»,
che va oltre i confini dell’erudizione umana. Poi affermano che rimanere «poveri
nello spirito» sia bello, poiché così si rimane i prediletti di Gesù!
Quindi, cercano di convincerti che la Bibbia incoraggi la «santa ignoranza», in
cui cullarsi, succhiando ancora il biberon spirituale. Infine, anche se
gli mostri scritturalmente che si dovrebbe diventare adulti quanto a
conoscenza, ti rinfacciano una presunta «cieca superbia di uomo erudito» e
spruzzano tutto il loro veleno su di te, non di rado anche minacciandoti
di questo o di quel giudizio divino! Parlo di casi ben concreti, ma evito di
fare nomi per buona creanza.
3. Aspetti
conclusivi
Anche nella
tua comunità o fra le tue conoscenze ci sono credenti, che curano il
campicello della «santa ignoranza»? Che esperienze hai al riguardo? Nella
tua assemblea che cosa fate per vaccinare i credenti affetti dal
virus della «beata ignoranza»?
Qui di seguito discutiamo gli articoli «Santa
ignoranza» ed «Evviva
la “santa ignoranza”?».
Che cosa ne pensate? Quali sono al riguardo le vostre esperienze, idee e
opinioni?
Partecipate alla discussione inviando i vostri contributi al Webmaster
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I contributi sul tema ▲ (I
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1.
{Vincenzo Ragusa}
▲
■
Contributo: Si vede che la tua cultura non
si abbassa a considerare che Dio scelse gli ignoranti per svergognare i
savi e gli intendenti. O sì santa ignoranza. Le chiavi del Regno dei cieli
furono lasciate a un ignorante. Santa ignoranza. Perché Dio agì così?
{11-11-2012}
▬ Nicola Martella: Si vede, da come rispondi,
che non ti sei neppure degnato di leggere l’articolo «Santa
ignoranza», ma hai «sparato» a zero solo leggendo il titolo, quindi anche senza
neppure accendere le sinapsi. È difficile ragionare con chi mostra così di avere
«l’encefalogramma piatto»; si vede che basta essere «ispirato» dal proprio
«padre Pio»
W.M. Branham, per rispondere. Chi risponde prima di ascoltare (qui leggere) tutto, come
lo definisce la Scrittura? «Chi risponde prima d’aver ascoltato, mostra la
sua follia, e rimane confuso» (Pr 18,13).
L’apostolo
Pietro disse: «Aggiungete… alla virtù la conoscenza» (2 Pt
1,3). Quindi, Pietro tanto ignorante non restò, per essere uno degli
insegnanti della chiesa. Agli esoteristi cristianizzati basta cercare, in
genere, la risposta negli scritti di Branham. Peccato che non hai citato nulla
su questo tema. ☹
■
Vincenzo Ragusa:
Eppure, un grande teologo moabita di nome Balaam, fu proprio corretto
da un asino. Percepì il filosofo Balaam le parole dell’asino? Assolutamente
no, anzi diede dei calci all’asino. La sua cultura di falso profeta e mercenario
non gli permise di capire che non era linguaggio d’asino, ma Dio che cercava di
correggerlo. {11-11-2012}
▬
Nicola Martella:
Balaam non era né teologo, né moabita, ma era un mago (Nu 24,1) di
Pethor presso l’Eufrate. «...salariarono a tuo danno Balaam, figliuolo di
Beor, da Pethor in Mesopotamia, per maledirti» (Dt 23,5). Dio gli
impedì di farlo. Inoltre, l’episodio di Balaam con l’asino in questo tema non
c’entra nulla.
Probabilmente Vincenzo Ragusa è appassionato dell’indovino Balaam,
proprio perché egli stesso ne segue uno, oramai defunto: W.M. Branham.
Questi affermò che Cristo sarebbe tornato ai suoi giorni, per instaurare il suo
regno politico, e che egli stesso era l’Elia, che ne doveva preparare la via.
Cristo non tornò e Branham morì, decenni fa, dimostrando d’essere un falso
profeta e anche un maldestro indovino. Balaam e Branham due indovini, che
furono accomunati da uno stesso risultato: fallirono!
2.
{Maurizio Marino}
▲
■
Contributo: Caro Nicola, il tema è molto interessante. So
quanto per te sia importante
la conoscenza biblica e tu sai quanto per me sia altrettanto importante.
Quindi, lungi da me dall’approvare chi si vanta di «santa ignoranza».
D’altro conto, riflettevo anche sulla
responsabilità di quelli che il Signore ha chiamato e fornito per «il
perfezionamento dei santi... fino a che tutti giungiamo all’unità della
fede e della piena conoscenza del Figlio di Dio, allo stato di
uomini fatti, all’altezza della statura perfetta di Cristo, affinché
non siamo più come bambini...» (Ef 4,11-14).
Quante volte si segue l’esempio di Paolo in 1 Corinzi 2,4-5? Anzi
spesso, specie su temi abbastanza «complicati», sembra che ci si trovi
di fronte più a filosofi che a predicatori! E il risultato è che
i credenti arrivano a pensare che quella determinata dottrina non sia
per le loro possibilità. E rimangono ignoranti.
Anche Pietro nella sua seconda epistola afferma che ci sono «cose
difficili a capirsi» e invita i credenti a stare in guardia, per non
cadere preda dell’errore. E questo vale sia per chi impara e sia
per chi insegna la Parola di Dio. {11-11-2012}
▬ Nicola Martella:
Tieni presente quanto segue:
■ In 1 Corinzi 2,4ss Paolo usando le locuzioni «discorsi persuasivi di
sapienza umana», «sapienza degli uomini» e «sapienza di
questo secolo» intendeva prendere le distanze specialmente dalla
retorica dei «super apostoli» giudaici di stampo esoterico, che
avevano preso il potere nella chiesa di Corinto e avevano incantato i
credenti con la loro ideologia spiritualista (carismaticista).
Paolo non rinunciò alla sapienza, tuttavia essa non era profana, ma
scritturale, e la espose fra i «maturi» nella fede (v. 6); ed
essa riguardava nella «sapienza di Dio misteriosa e
nascosta» nei secoli (v. 7), ossia quella che concerneva il «mistero
di Cristo» e il «mistero dei Gentili» associati in unità ai cristiani
giudei. Tali «cose di Dio» «a noi Dio le ha rivelate per mezzo
dello Spirito» (vv. 10s). Poiché, quindi, «conosciamo le cose,
che ci sono state donate
da Dio... noi ne parliamo non con parole insegnate dalla sapienza
umana, ma insegnate dallo Spirito, adattando parole
spirituali a cose spirituali» (vv. 12s). A tali realtà, avendo esse
un carattere «spirituale», non può accedere «l’uomo psichico»,
poiché «le cose dello Spirito di Dio... gli sono pazzia» (v. 14).
La soluzione è avere al riguardo la «mente di Cristo» (v. 16).
Quindi, Paolo non intendeva sminuire la sapienza, ma voleva mostrare la
natura pneumatica di quella biblica. Egli non pretendeva neppure che
tutti capissero ogni aspetto della dottrina, poiché ci sono cose, che
solo i «maturi» possono comprendere.
■ Quindi, le funzioni ministeriali, di cui Paolo parlò in Efesini
4,10ss, servivano appunto ad alzare il livello nella vita di
fede, di conoscenza e di maturità. Al riguardo non c’è più un alibi per
la «beata ignoranza».
■ Pietro stesso non insegnò ad accontentarsi
del proprio livello di conoscenza, ma ingiunse ad aggiungere
«alla virtù la conoscenza» (2 Pt 1,3). Anche in seguito raccomandò ai
credenti giudaici: «Paolo
vi ha scritto, secondo la sapienza, che gli è stata data... voi
crescete nella grazia e nella conoscenza del nostro Signore e
Salvatore Gesù Cristo» (2 Pt 3,15.18). Ciò vale sia per i credenti
in genere sia per i conduttori e predicatori.
■ Il problema principale è che i cosiddetti «predicatori» nella
chiese sono spesso «improvvisatori», che non si preparano
adeguatamente sui temi, di cui intendono parlare. Perciò, fanno
macedonie di versetti tolti dal contesto, li raccordano con
spiritualizzazioni
arbitrarie, allegorie soggettive e «belle parole». Alcuni, poi,
condiscono tutto ciò con qualche parolone o qualche termine
ebraico o greco, di cui magari non hanno neppure studiato lo spettro
semantico e il vero significato. Tuttavia, pensano di aver dato alla
chiesa un insegnamento «biblico» (con una o più «b»).
Nella mia esperienza c’è questo dato di fatto: chi si è ben preparato
mediante uno studio continuo e un’esegesi
contestuale, aderente il più possibile al testo originale (si può fare
anche con diverse traduzioni, se non si sanno le lingue originali),
approfondendo i termini chiave di un brano e rispecchiando il pensiero
dell’autore biblico, allora può spiegare tutto ciò ai suoi pari,
ma anche con «parole povere» a coloro, che necessitano ancora di
latte. Sono la mancanza di preparazione adeguata e l’improvvisazione
spiritualeggiante a creare una maggiore barriera alla comprensione
scritturale, poiché è difficile comunicare agli altri ciò, che non si è
capito veramente in modo personale. In tali casi ogni testo biblico
diventa soltanto un pretesto per le proprie convinzioni
dottrinali. Quando alcuni mancano di veri contenuti esegetici, allora sì
che devono usare la sapienza e la retorica del mondo!
3.
{Leonardo Bernardi}
▲
■
Contributo: Credo che hai sentito dire questo: «Studiare
la Bibbia
spegne lo Spirito». {11-11-2012}
▬ Nicola Martella:
Tale slogan, che tu hai riportato di altri, può venire soltanto da
coloro, che non conoscono la Bibbia veramente e che hanno spento la
mente. Infatti, Gesù e gli apostoli insistono continuamente su ciò,
che «sta scritto». Lo Spirito e la Parola (annunciata o letta)
sono uniti in modo indissolubile (cfr. 2 Sm 23,2; At 4,31; 10,44; 1 Cor
2,4; 12,8; 2 Cor 4,13; Ef 1,13; 1 Ts 1,6). «La spada dello Spirito...
è la Parola di Dio» (Ef 6,17). Per questo essa ha cambiato le
persone, che l’hanno letta, senza la presenza di altre persone. Infatti,
«la parola di Dio è vivente ed efficace, e più affilata di
qualunque spada a due tagli, e penetra fino alla divisione dell’anima e
dello spirito, delle giunture e delle midolle; e giudica i sentimenti e
i pensieri del cuore» (Eb 4,12). ■
Leonardo Bernardi: Non ho mai pensato di
condividere una asserzione come quella, che ho citato; anzi il pensare
in tutt’altra maniera, molto simile a te, mi ha portato molto spesso in
rotta di collisione con certe chiese. {11-11-2012}
▬ Nicola Martella:
Chiaramente non mi riferivo a te, ma a chi sostiene cose del genere! ■
Davide Rossetti: Forse è per questo che fino a un
centinaio di anni fa
leggere la Bibbia era considerata eresia? {11-11-2012}
▬ Nicola Martella:
La lettura personale della Bibbia è stata proibita ancora fino a
pochi decenni or sono. Quando i
chierici fanno ciò, temono di perdere la propria autorità sulla
massa e le proprie sicurezze, date loro dalla tradizione, che sorregge
il loro potere religioso. ■
Leonardo Bernardi:
Davide Rossetti, non parlo di cose di centinaia di anni fa, ma di
rimproveri che ho preso da pastori di chiese evangeliche qualche
anno fa. Sono stato rimproverato perché ho spiegato che, in base a
quello che vedevo nella Bibbia, quello che mi veniva detto era
sbagliato. Non c’é nulla di nuovo sotto il cielo {12-11-2012}
4.
{Maria Gioconda}
▲
La fede viene dal meditare le Scritture. Ancor prima d’insegnare,
bisogna studiare la Parola stessa, per non insegnare in modo
sbagliato. Ben venga la fede, ma la cultura è un’altra cosa. Ne ho
sentite e lette di sciocchezze, che non vengono dalle Scritture
(e non parlo solo di grammatica). L’altro giorno leggevo che «Gesù è
stato messo a
morte per le sue bestemmie e per mano sua»; non sapevo se ridere, ma poi
mi è venuto da piangere per una tale affermazione. Se quel tipo avesse
solo letto bene le Scritture, avrebbe capito che Gesù non ha mai
bestemmiato e non si è mai suicidato; o forse avrebbe
spiegato tutto in senso giusto. Gli scribi credevano che Egli
bestemmiasse, ma Gesù diceva la verità. Ho riportato questo evento, solo
per fare un esempio. Molte polemiche, infatti, ci sono proprio
per mancanza di conoscenza. Anche Dio si lamenta: «Il mio popolo
perisce per mancanza di conoscenza». Perciò studiamo tutti di
più (e io per prima). {20-03-2014}
5.
{Pietro Calenzo}
▲
■ Contributo: Il Signore ama la gente semplice, non
in modo particolare i credenti non edotti o che ignorano talune discipline dello scibile, anche
perché Dio non fa preferenza alla qualità delle persone. È anche vero
che Paolo afferma che tra i credenti di quel tempo non vi erano molti
acculturati, ma tale situazione era autentica o similare per
tutti i popoli del primo secolo. In riferimento al popolo di Dio,
non bisogna confondere la semplicità con l’ignoranza delle
discipline secolari. Un fratello, che conosca il greco o l’ebraico, ad
esempio, è senza dubbio avvantaggiato in una più retta comprensione
della Parola di Dio.
Se andiamo a scrutare gli scrittori del Nuovo Testamento, Luca
era medico, Marco era «l’interprete di Pietro», Paolo era molto colto,
Matteo era un funzionario dello Stato, Giovanni conosceva il greco.
Certo, i fratelli che non conoscono molto delle altre discipline, non
devono essere svantaggiati, ma è anche vero che chi sa annunciare la
Parola di Dio, è bene che sappia didatticamente essere incisivo e chiaro nella
sua esposizione. Scritturalmente, ciò è possibile anche per i fratelli
non acculturati, ma nel campo dell’insegnamento o della
confutazione dei falsi apostoli o dei falsi credenti, senza dubbio la conoscenza di
alcune materie linguistiche, storiche, di conoscenza di religioni o di
culti extra-biblici, può essere in molteplici casi una chiara situazione
positiva, per servire ancor meglio il Signore. È basilare che ogni
figlio di Dio, abbia come fondamento la sapienza che viene dall’alto,
ma che sempre deve essere coltivata e ampliata secondo il cuore di Dio. {20-03-2014}
▬ Nicola
Martella:
Concordando con la maggior parte delle cose, faccio notare che Paolo non
parlò di «molti acculturati», ma di «molti sapienti secondo
la carne, né molti potenti, né molti nobili» (1 Cor 1,16), il
che è una cosa differente.
Anche che «tale situazione era autentica o similare per tutti i
popoli del primo secolo», è solo parzialmente vera, poiché gli
Ebrei, avendo per priorità la passione per le Scritture, imparavano a
leggere, per poter essere un membro della sinagoga, che indirizzasse
alla comunità delle esortazioni. Al singolo Ebreo era comandato di
scriversi delle parole di Dio in casa, per leggerle, ricordarsene e
insegnarle ai figli (Dt 11,18ss). Ad esempio, era scontato che
all’ospite ebraico della sinagoga si desse la parola, perché leggesse e
commentasse la porzione di lettura, che capitava quel giorno. Ciò
accadde a Gesù, che seppe ben leggere e interpretare: «…alzatosi
per leggere, gli fu dato il libro del profeta Isaia; e aperto il libro
trovò quel passo dov’era scritto… Ed egli prese a dir loro…»
(Lc 4,16-21). Similmente accadde anche a
Paolo e ai suoi compagni, che si recarono nella sinagoga di Antiochia di
Pisidia: «E dopo la lettura della legge e dei profeti,
i capi della sinagoga mandarono a dir loro: “Fratelli, se avete qualche
parola di esortazione
da rivolgere al popolo, ditela”. Allora Paolo, alzatosi, e fatto cenno
con la mano, disse…» (At 13,13-16). Si
veda anche il prossimo contributo.
6.
{Leonardo Bernardi}
▲ Caro
Nicola, ancora una volta ti devi misurare con l’apologia
dell’ignoranza sostenuta da alcuni movimenti di tipo carismatico,
che in realtà cercano di coprire la loro pigrizia nel meditare la
Parola di Dio (cosa insegnata dalla Bibbia), con la pretesa
dell’assistenza dello Spirito Santo, scambiando appunto
l’assistenza e la guida per possesso. In virtù di questa posizione
riescono a sostenere le cose più strampalate, compreso
l’affermazione con sicumera di storie, che sarebbero raccontate dalla
Scrittura, o dottrine che sono loro opinioni, ma spacciate per
insegnamenti scritturali.
Vorrei in questa occasione dare un piccolo contributo, non tanto
dottrinale, ma storico. Occorre finirla di affermare che gli
apostoli, Pietro compreso, fossero degli analfabeti, facendo
riferimento magari al termine greco
agrámmatos
[= illetterato, cfr. At 4,13, N.d.R.]. Per Paolo il
problema non si pone; ma anche gli altri apostoli erano pur sempre
ebrei, e come tali non erano assolutamente analfabeti, quanto meno
sapevano leggere, in un mondo dove il saper leggere era limitato a
un 10% al massimo e nella classe media, e dove lo scrivere era
appannaggio di non oltre il 3%. In questo mondo però gli
ebrei fanno eccezione.
La popolazione dell’impero romano ai tempi di Gesù era intorno ai
200.000.000, in cui gli
ebrei erano il 10%, ossia circa 2.000.000, ovviamente compreso la
diaspora. Bart D. Hermann, docente di critica testuale alla Università
del North Carolina, contesta l’autenticità della maggior parte dei libri
del NT, basandosi sul
preteso analfabetismo degli apostoli. Per sostenere la sua tesi si
basa su studi dei professori William Harris, storico della Columbia
University, e Caterin Herzer. Entrambi questi studiosi d’indubbio valore
fanno però un
errore di fondo, equiparando gli ebrei al resto dell’ambiente
dell’impero romano. In quest’ultimo stranamente gli ebrei, come già
avevano fatto Giuseppe in Egitto e altri, occupavano gran parte dei
posti della pubblica amministrazione, della finanza e del
commercio, proprio perché in «terra dei ciechi» erano un poco più
veggenti degli altri. Infatti, ogni ebreo, per avere il proprio bar
mitzwa, ossia il riconoscimento della propria «personalità
giuridica» di ebreo, ossia per essere considerato un membro del popolo,
doveva almeno dimostrare di saper leggere la Tanakh [= le sacre
Scritture ebraiche, N.d.R].
La pubblicazione di una recente accurata ricerca sull’alfabetizzazione
del popolo ebraico, effettuata su dati obiettivi, come l’esame degli
ostraca
[= frammenti di ceramica usati come schede elettorali, N.d.R.] riferiti
alla vita quotidiana, condotta dalla ricercatrice Maristella Botticini,
dell’Università Bocconi, in collaborazione con Zvi Eckestein
dell’università di Tel Avv, hanno accertato che l’istruzione
universale è stata sempre l’essenza dell’ebraismo. E come poteva
essere diversamente se il primo dovere dell’ebreo era quello di
conoscere la Torà? I risultati di tale ricerca, che sovvertono
totalmente le conclusioni degli studiosi americani basate su deduzione e
su non esami obiettivi su oggetti dell’epoca, sono pubblicati in Italia
dall’Università Bocconi nel 2012. È vero che si riferiscono a un periodo
dal 70 al 1492, ma è impensabile che di punto in bianco un popolo cambi
le sue abitudini e da analfabeta diventi alfabetizzato. Tanto più che la
Bibbia stessa parla di ebrei immessi nel potere, per la loro
preparazione, e che da sempre primo dovere di ogni ebreo era imparare
la Torà.
Purtroppo Bart D. Hermann è un tipico caso di «pentecostale», che
naufraga sul mancato riscontro del letteralismo scritturale, e,
soprattutto un tipico esempio della ricerca americana, sempre
sovvenzionata o indirizzata a un business, che deve produrre
necessariamente risultati nuovi e sconvolgenti.
Credo che sia opportuno accettare che, certamente Pietro non era un
letterato, tanto che doveva servirsi di un redattore per i
suoi scritti, ma come gli altri apostoli era un ebreo e molto meno
ignorante di quanto lo si vuol dare, tenuto specialmente conto del
livello di alfabetizzazione dell’epoca nell’impero romano. {20-03-2014}
7.
{Fabrizio Martin}
▲
■ Contributi: 1. C’è un episodio negli Atti degli Apostoli, al cap. 8, dove si narra di
un eunuco che non capiva il senso di un passo del profeta Isaia.
Al funzionario della regina di Etiopia, Candace, accorre in aiuto il
diacono Filippo, pronto a spiegare all’ignorante eunuco
il senso della Scrittura. I maestri sono indispensabili, restare
nell’ignoranza è causa di errori; inoltre evitare di approfondire le
Sacre Scritture, è una colpa a cui dovremmo rendere conto a Dio.
Il quesito che pongo è questo: Quali maestri
scegliere? Nel campo degli studiosi ci sono tante scuole di pensiero,
la Bibbia viene interpretata in tanti modi, quale scegliere? Perché ci
sono
diversi approcci alla Scrittura? Qual è quello più indicato? Come
muoversi nel districato mondo dell’esegesi? Perché cattolici e
protestanti si dividono, se le Scritture sono le stesse per
entrambi? {20-03-2014}
2. Ma Abramo rispose: «Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino
loro». Abramo disse queste parole al ricco epulone, il quale cercava
di mediare per i propri fratelli al fine di convertirli. Con la
lettura e lo studio delle Sacre Scritture noi abbiamo tutto
ciò, che ci serve per il nostro cammino. Ripeto con Girolamo che
l’ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo; è dovere del
cristiano conoscere la Bibbia, e studiarla per quanto possibile.
{20-03-2014}
▬ Nicola Martella:
Faccio notare che Filippo non era un «diacono», termine che non
ricorre in Atti 6, ma un collaboratore degli apostoli e futuri anziani
della chiesa di Gerusalemme.
Inoltre, tale eunuco era un Giudeo; egli come gli altri Ebrei si
recava almeno una volta nella vita a Gerusalemme, dove comprò anche una
copia del libro del profeta Isaia e forse anche altri sacri scritti. Per
essere funzionario della regina di Etiopia, non era ignorante nel
senso di analfabeta, tanto più che stava leggendo, ma aveva difficoltà
di comprensione. Egli aveva un problema nell’interpretare correttamente
un brano così difficile (Is 53).
Sebbene le domande di Fabrizio Martin siano qui fuori tema,
capendo la sua particolare situazione di cattolico risvegliato in
cerca della verità biblica, le rispondo lo stesso, facendogli presente
quanto segue.
■ Nell’interpretare la Bibbia, è meglio non scegliere alcuna scuola
di pensiero (alcune sono nate da filosofi cristianizzati!), ma di
usare semplicemente il metodo letterario: ▪ 1. Spiegare il testo
nel suo contesto; ▪ 2. La Bibbia s’interpreta con la Bibbia; ▪ 3. La
rivelazione è progressiva (antico e nuovo patto); ▪ 4. I brani evidenti
devono essere usati per interpretare quelli più oscuri, non viceversa.
■ I diversi approcci alla Scrittura dipendono dalle filosofie
umane, dalle idee religiose e dalle concezioni dogmatiche, con cui la
gente pretende d’interpretare la Scrittura. Tali filtri impediscono
di comprendere la Bibbia per quello che è, poiché le mettono le briglie.
■ Chi si appressa alla sacra Scrittura, deve essere
disposto a farsi cambiare da essa, invece di pretendere di
cambiarla, proiettandoci dentro le proprie convinzioni.
■ Chi aggiunge dottrine a quelle esplicitamente dichiarate nella
Bibbia, chiaramente non troverà il consenso di coloro, che vogliono
attenersi strettamente a ciò, che «sta scritto» e che la chiesa
del primo secolo credeva e praticava. Si vedano alcune dottrine, che
separano: la mariologia e mariolatria, il polisantismo, l’idolatria
cristianizzata, la gerarchia religiosa, il clericalismo, il
sacramentalismo, la salvezza per opere, e così via.
8.
{Ivaldo Indomiti}
▲
Ho letto le tue considerazioni, Nicola. Devo dire che l’accostamento
alla Scrittura è certamente come iniziare a scavare
in una cava a cielo aperto, per poi proseguire e scavare addentro
la Scrittura con la guida dello Spirito Santo, e scovare gemme preziose
nelle profondità (miniera). Ci sono fratelli, che si sono
accontentati di ciò, che la cava ha loro offerto; altri, come a
scuola, hanno proseguito nello studio andando all’interno della
miniera (la Parola di Dio). Penso ci siano fratelli, ai quali è chiesto
di dare il 30%, ad altri il 60% e ad altri il 100%; ciò dipende da
fattori caratteriali, fattori locali e altre cose limitanti.
L’importante è che ognuno non trovi in ogni posizione culturale biblica
un aspetto prioritario per annichilire il suo interlocutore,
qualunque cosa dica a prescindere. Grazie delle riflessioni, Nicola.
{20-03-2014}
9.
{Davide Forte}
▲
■
Contributo: Martella Nicola, benché i riferimenti erano
mirati a me, non ti rispondo come avrei fatto prima che mi convertissi
al Vangelo. A Bari si dice: «Lascia cucinare il polipo nell’acqua sua».
EVVIVA LA SANTA IGNORANZA, E ABBASSO I SANTI DOTTI.
«Certo, io sono più ignorante di ogni altro, e non ho
l’intelligenza di un uomo» (Proverbi 30,2). Se Agur ti avesse
conosciuto, avrebbe scritto: «e non ho l’intelligenza di Nicola».
Nicola, cerco di confondere il tuo
risentimento nei miei confronti, per quello che ti ho scritto, con un
commento burlesco, e smettila di farmi discorsi denigranti
affibbiandoli a me, perché, non sempre mi puoi trovare umoristicamente allegro.
«Non abbiate altro debito con nessuno, se non di amarvi gli uni gli altri;
perché chi ama il prossimo ha adempiuto la legge» (Romani 13,8). Pace,
fratello Nicola. {20-03-2014}
▬ Nicola Martella: Ti
faccio presente che non ho risentimento nei tuoi confronti, né ci
tengo a fare presunti
discorsi denigranti. Ho semplicemente risposto alle tue
affermazioni, scritte da te oltre più fuori tema in un altro contesto;
poi, hai messo tutto in burla.
Detto questo, ti faccio presente che non esiste un «Agur», ma
solo un Salomone, autore dei Proverbi. Nella Settanta Proverbi
30,1 recita così: «Temi queste mie parole, o figlio, e ricevendole
cambia senno: queste cose dice l’uomo ai credenti in Dio e desisto»
(Τοὺς ἐμοὺς λόγους, υἱέ, φοβήθητι καὶ δεξάμενος αὐτοὺς μετανόει: τάδε
λέγει ὁ ἀνὴρ τοῖς πιστεύουσιν θεῷ, καὶ παύομαι). E similmente doveva
recitare il testo ebraico al tempo, in cui la Settanta fu redatta
(3° sec. a.C.).
Quindi, lo stesso Salomone, che qui, dinanzi alla sapienza di Dio
si umilia, fu quello che poi ebbe in dono da Lui la «sapienza di Dio»
(1 Re 3,28). Infatti, l’inizio della sapienza è il timor dell’Eterno
(Pr 9,10a). Salomone non si cullò in una «santa ignoranza», ma si
umiliò dinanzi alla sapienza di Dio, per ottenerla. Così consigliò pure
di acquistare la verità, senza venderla, di acquisire sapienza,
istruzione e intelligenza (Pr 23,23).
Quindi, il libro dei Proverbi non conosce una «santa ignoranza», ma mostra che «conoscere
il Santo è il discernimento» (Pr 9,10b). Inoltre, nel libro, che
chiamiamo Ecclesiaste, Salomone è un grande ricercatore della verità e
della conoscenza. La sua sapienza, ricevuta da Dio, era così vasta, che
vennero da lontano ad ascoltarlo e a metterlo alla prova. Quindi, niente
alibi.
10.
{Rita Fabi}
▲
Direi che ormai di sante cose carnali ve ne sono tante: abbiamo la «santa
risata» e ora anche la «santa ignoranza». Eppure, tu hai
scritto bene qua: «Come ci ammaestra Giacomo, la scelta è altresì fra
due sapienze differenti: fra una che è “terrestre, psichica,
demoniaca” (lett. Gcm 3,15) e un’altra, che “è da Alto” (= da
Dio) e che è “prima è pura; poi pacifica, mite, arrendevole, piena di
misericordia e di buoni frutti, senza parzialità, senza ipocrisia”
(v. 17). Il problema non è, quindi, la sapienza, ma il tipo di sapienza
e la fonte, da cui essa è attinta. È fuori dubbio che dobbiamo
acquisire sapienza, quella fondata sul timore di Dio e sulla conoscenza
biblica (Pr 1,7; 9,10). “Sì, a costo di quanto possiedi, acquista
sapienza, acquista discernimento” (Pr 4,5ss), più delle ricchezze
(Pr 16,16). “Acquista verità e non la vendere, acquista sapienza,
disciplina e discernimento” (Pr 23,23)» (fonte).
Alle tue parole mi viene da aggiungere una cosa, che ha scritto
Spurgeon in un suo sermone, che sto traducendo. Egli si stava
rivolgendo alle persone, che fino a quel momento erano state solo un
gruppo eterogeneo, che andava alle sue prediche ogni tanto, ma che da
quel giorno sarebbero stati presi in consegna da lui come loro pastore.
«Una volta eravate un gruppo eterogeneo assemblato per
ascoltarmi, ma ora noi siamo uniti insieme da legami di amore, e tramite
l’associazione abbiamo imparato ad amarci e rispettarci l’un l’altro,
siete divenuti il gregge del mio pascolo, membri delle mie pecore, e ora
ho il privilegio di assumere la posizione del pastore in questo
luogo, oltre che nella cappella dove lavoro la sera. Penso, quindi, che
colpirà il giudizio di ogni persona, dato che sia la congregazione che
l’ufficio sono ormai
cambiati, che l’insegnamento stesso debba subire una differenza.
È stata mia abitudine di rivolgermi a voi attraverso delle semplici
verità
del Vangelo; molto raramente, in questo luogo, ho tentato d’immergervi
nelle
cose profonde di Dio. Un testo, che ho pensato adatto per la mia
comunità, la sera, non avrebbe dovuto costituire oggetto di discussione
in questo luogo la mattina. Ci sono molte dottrine alte e misteriose, da
cui spesso ho preso l’occasione per movimentare un discorso in casa mia,
ma che non mi sono mai preso permesso d’introdurre qui, in quanto
eravate una comunità di persone
casualmente riunite insieme per ascoltare la Parola. Ma ora, dal
momento, che le circostanze sono cambiate, anche l’insegnamento verrà
cambiato. Io non sarò ora semplice, non mi limiterò alla dottrina
della fede, o all’insegnamento del battesimo del credente, io non
resterò sulla superficie delle questioni, ma mi avventurerò, come Dio mi
guiderà, per entrare in quelle cose, che sono alla base della religione,
che teniamo così cara».
Una persona che si pone nella condizione di nutrire gli altri solo a
latte, risponderà a Dio dell’ignoranza in cui lascia le proprie
pecore. «Il corallo e il cristallo non meritano neppure di essere
nominati; il valore della sapienza val più delle perle»
(Giobbe 28,18). {20-03-2014}
11.
{Roberta Sbodio}
▲
■
Contributo: Posso essere
provocatoria? Ma questi argomenti non rischiano di annoiare le
persone a morte? La gente ha problemi immensi, famiglie distrutte... e
penso che interessi a pochi che tipo di
carattere usiamo, quanto l’efficacia del messaggio che diamo. Comunque
userei il maiuscolo per tutti gli aggettivi su Dio. {21-03-2014} ■
Rita Fabi: Posso essere provocatoria anche io, cara
Roberta, forse a Qualcuno interessa molto come predichiamo; e
forse l’unico errore di Nicola è quello di voler cercare di dare le
perle ai porci... Anche nelle prove più grosse l’unico desiderio del
cristiano deve essere quello di conoscere sempre di più del suo
Dio. Se non esiste questa sete, che nell’amore si prova e che non può
essere mai colmata, allora o non vi è vero amore, oppure la salvezza, di
cui si crede di essere stati fatti oggetto, è solo una mera illusione.
Io come Davide chiederò sempre a Dio questo: «Insegnami giusto
discernimento e conoscenza, perché credo nei tuoi comandamenti»
(Salmo 119,66). {21-03-2014} ■
Roberta Sbodio: Ciao, Rita, sì però conoscere per
esperienza va oltre la grammatica. Potrei rinunciare anche a
quella, se servisse a qualcosa. Quello che volevo dire, è che mi pare
che spesso negli ambienti, perdiamo tempo a parlare di cose che
servono a poco e intanto là fuori la gente resta perduta, perché i
nostri argomenti sono spesso così noiosi che ci addormentiamo
anche noi. {21-03-2014} ■
Rita Fabi: Cara Roberta, se qualcuno ti annoia, non
sei obbligata a sentirlo, e poi se tu senti più pressante il desiderio
di predicare per le strade, vai e fallo; a ognuno di noi Dio mette nel
cuore un compito da portare avanti. «Ed egli stesso ha dato
alcuni
come apostoli, altri come profeti, altri come evangelisti e altri come
pastori e dottori, per il perfezionamento dei santi, per l’opera del
ministero e per l’edificazione del corpo di Cristo, finché giungiamo
tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio a un
uomo maturo, alla misura della statura della pienezza di Cristo
affinché non siamo più bambini sballottati
e trasportati da ogni vento di dottrina, per la frode degli uomini, per
la loro astuzia, mediante gli inganni dell’errore, ma dicendo la verità
con amore, cresciamo in ogni cosa verso colui che è il capo, cioè Cristo»
(Efesini 4,11-15). {21-03-2014}
▬ Nicola Martella:
Roberta Sbodio, qui il tema non è più la grammatica, ma la difesa
inopportuna da parte di alcuni della cosiddetta «santa ignoranza»,
secondo cui «ignorante è bello», «chi è ignorante piace a Dio» e
cose del genere.
Quindi, avendo tu sbagliato tema, leggi l’intero confronto
(«Evviva la «santa ignoranza»?») e rispondi nel merito. Secondo te, il
Signore vuole che rimaniamo bambini quanto al senno (biblicamente
ignoranti) o che nella conoscenza arriviamo a maturità? {21-03-2014}
■
Roberta Sbodio: Ciao, Nicola, scusa vittima dei
social network, ho superficialmente visto i post. Ignorante non
è bello. Ci è stato dato un cervello e penso dobbiamo usarlo
al meglio; la conoscenza libera. Intellettualismo inscatola forse
quanto
l’ignoranza, preda della mente da una parte, dall’altra preda delle
sensazioni. Il bello è che la verità tocca il cuore, trasforma la
mente; e così l’equilibrio è perfetto, penso, no? Dio non sbaglia mai.
{21-03-2014}
▬ Nicola Martella:
Così va meglio. Ora sei in tema. Gli estremisti (cervellotici,
ignoranti) sono sempre un male per la verità. L’accertamento della
verità biblica mediante l’esegesi contestuale è salutare. La verità
rende liberi: parola di Gesù!
12. {Maurizio
Ruffino}
▲
■
Contributo:
1. Infatti, è scritto: «Perciò,
carissimi, aspettando queste cose, fate in modo di essere trovati da lui
immacolati e irreprensibili nella pace; 15 e considerate che la pazienza
del nostro Signore è per la vostra salvezza, come anche il nostro caro
fratello
Paolo vi ha scritto, secondo la sapienza che gli è stata
data; 16 e questo egli fa in tutte le sue lettere, in cui tratta
di questi argomenti. In esse ci sono alcune cose difficili a
capirsi, che gli uomini ignoranti e instabili travisano a
loro perdizione come anche le altre Scritture. 17 Voi dunque, carissimi,
sapendo già queste cose, state in guardia per non essere trascinati
dall’errore degli scellerati e scadere così dalla vostra fermezza; 18 ma
crescete nella grazia e nella
conoscenza del nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo» (2 Pt
3,14-18). Amen. {11-11-2012}
2. Caro Nicola, tu scrivi di «santa ignoranza», e io non
voglio difenderla, anche se la capisco e, in alcuni aspetti,
mi ci ritrovo. Il fatto è che, io, per esempio, invece di accrescere
le mie competenze bibliche, con il passare del tempo e l’impegno di
studio
in argomenti «laici», mi ritrovo a perderle ogni giorno di più.
Fortunatamente penso di essere immune da quelli, che descrivi come culti
privilegiati, ma capisco quei poveretti che, anche per mancanza di
tempo, non riescono a trovare uno spazio di approfondimento
personale sulla Parola di Dio e sugli stessi capisaldi della propria
fede. La questione, che poni, quindi, più che un’accusa mi sembra un
problema di non facile risoluzione e che necessiterebbe, proprio per
ciò, approfondimenti e tentativi di risoluzione utili a tutti.
{24-03-2014}
▬ Nicola Martella:
Caro Maurizio Ruffino, se hai letto l’articolo col confronto, da cui
tutto è partito, ti renderai conto che qui non si tratta di coloro,
che non hanno buoni maestri, per essere discepolati e ammaestrati (è un
limite dei conduttori!) e per essere introdotti all’autonomia nello
studio biblico personale (tutti possono accedervi, ognuno a modo suo).
Quanto alla mancanza di tempo per lo studio biblico personale,
ognuno ha il tempo, che si prende, per le cose che gli stanno a cuore
(cfr. Mt 6,21; cfr. Sal 119,23s.47s). Qui abbiamo trattato una certa
categoria di cristiani, che fanno l’apologia della «santa ignoranza»,
diffondendo il pensiero che rimanere biblicamente ignoranti non sia
grave, ma anzi preferibile, avendo maggiori attenzioni da parte del
Signore. L’alternativa a ciò è spesso la cosiddetta «filosofia
dell’esperienza», che per gli uni sfocia nel misticismo e nella
ricerca di nuove rivelazioni, per gli altri nell’umanesimo
cristianizzato (psicologia cristianizzata, pensiero positivo, ecc.), e
per altri ancora nell’evangelo sociale. Purtroppo, diversi difensori
della «santa ignoranza» li trovi poi in Internet a fare da maestri,
mischiando pere con mele, dopo aver capito fischi per fiaschi. Non di
rado, poi, sono devoti anche alla «santa polemica», in cui
trascinano gli altri. Infine, venerando pure la «santa ostinazione»,
gettano volentieri fango e calunnie sugli altri, pur di difendere ciò,
che pretendono di sapere alla scuola della loro «santa ignoranza».
Comprendi ora? ■
Maurizio Ruffino: Si, l’avevo capito, e hai
ragione, ma ne capisco i meccanismi psicologici sottostanti, e
vorrei che ci fosse un modo per prevenire tali eccessi della
debolezza umana, che, purtroppo, non danneggiano solo se se stessi, ma
anche i fratelli. {24-03-2014}
13. {Edoardo
Piacentini}
▲ ■
Contributo:
1. Amen! Facciamo nostra l’esortazione dell’apostolo Pietro: «Voi
dunque, carissimi, sapendo già queste cose, state in guardia per non
essere trascinati dall’errore degli scellerati e scadere così
dalla vostra fermezza; ma crescete nella grazia e nella
conoscenza del nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo. A Lui sia la
gloria, ora e in eterno. Amen» (2 Pietro 3,17-18). {11-11-2012}
2. Sono d’accordo, le Scritture vanno studiate e meditate ogni
giorno, sono il nutrimento spirituale del credente. Gesù lo disse
chiaramente a Satana nel deserto: «Sta scritto: L’uomo non vive di
solo
pane, ma di ogni parola che procede dalla bocca di Dio» (Matteo
4,4). E l’AT continuamente ci esorta a leggere e meditare le Scritture,
perché la Parola di Dio «è una lampada al mio piede e una luce
sul mio sentiero» (Salmo 119,105). Ecco solo due brani, tra i tanti:
«Questo libro della legge non si diparta mai dalla tua bocca, ma
meditalo giorno e notte, cercando di agire secondo tutto ciò che vi
è scritto, perché allora riuscirai nelle tue imprese, allora
prospererai» (Giosuè 1,8); e ancora: «Beato l’uomo che non
cammina nel consiglio degli empi, non si ferma nella via dei peccatori e
non si siede in compagnia degli schernitori, ma il cui diletto è nella
legge dell’Eterno, e sulla sua legge medita giorno e notte. Egli
sarà come un albero piantato lungo i rivi d’acqua, che dà il suo frutto
nella sua stagione e le cui foglie non appassiscono; e tutto quello che
fa prospererà» (Salmo 1,1-3).
Ora, Ma accanto alla «santa Ignoranza», di cui alcuni sono devoti, ci
sono anche quelli che venerano la «santa Ostinazione» e giungono
persino a torcere le Scritture, pur di dimostrare alcune loro
convinzioni. […] La Bibbia va
studiata del continuo, ma bisogna avere un giusto approccio, non da
saccenti, che ritengono di non aver bisogno di alcuna rivelazione,
pensando che possono comprendere tutta la verità biblica attraverso le
proprie conoscenze scolastiche, ma da «poveri di spirito»;
infatti, è a essi il Signore rivela le cose inerenti il regno dei cieli.
Bisogna essere come l’apostolo Paolo che considerava tutti i
privilegi, di cui godeva essendo ebreo e tutta la conoscenza della
legge, che egli aveva acquisito alla scuola di Gamaliele, «essere una
perdita di fronte all’eccellenza della conoscenza di Cristo Gesù mio
Signore, per il quale ho perso tutte queste cose e le ritengo come tanta
spazzatura per guadagnare Cristo». {24-03-2014}
▬ Nicola Martella:
Edoardo Piacentini, il tuo contributo comincia molto bene. Poi, con la
«Santa Ostinazione», hai scelto proprio un esempio, che divide,
facendo l’apologia del carismaticismo. Avresti potuto scegliere un
esempio più neutrale e non controverso, saresti stato apprezzato da
tutti e avresti edificato.
Perciò, per mantenere la
validità del tuo contributo, ho tolto una piccola parte del contributo,
perché decisamente fuori tema e perché avrebbe
solo suscitato polemiche. Confido nella tua comprensione e maturità. Inoltre, ti
faccio presente che Paolo mise tra la «sapienza della carne» ogni
conoscenza, che non si genera da Cristo e non porta a Lui, quindi anche
quella del giudaismo. Anche arrivò a contrapporre alla «legge del
peccato e della morte» (= legge mosaica) la «legge di Cristo» o
«legge dello Spirito della vita in Cristo». Questa è quella che vale
ora, che «sta scritto», che porta a «guadagnare Cristo» e che bisogna
accertare con l’esegesi contestuale. Qui non parliamo della conoscenza
antecedente alla conversione, ma della «santa ignoranza», che
alcuni credenti curano anche dopo la conversione. Non proponiamo neppure
una mera conoscenza scolastica, ma il discernimento che proviene
dalla sapienza di Dio mediante la conoscenza scritturale
(cfr. 2 Tm 3,15; 2 Pt 1,5; 3,18).
14.
{Donatella Nancy Festa}
▲
Ho letto gli articoli e le risposte con calma, notando che qualche animo
s’infervorava. Eppure, a leggere il
primo articolo, ho pensato: «Oh, un argomento leggero... maiuscole, minuscole!».
Leggendolo, non mi era passato per la testa, neppure per un attimo, che
lo scopo degli articoli fosse quello di offendere quei fratelli che,
nella loro vita, non hanno potuto approfondire gli studi. Mi pare
evidente che si parla d’ignoranza delle Scritture (del resto,
sappiamo che perfino lo zelo senza la conoscenza è un danno).
Quanto al
secondo articolo, il punto della questione è che nessuna chiesa dovrebbe incoraggiare la
santa ignoranza: tutti i cristiani sono chiamati a progredire
sempre più nella fede e nella conoscenza (anche quelli che, come me, si
dimenticano sempre «le coordinate» dei versetti citati!). Riflettendo,
vorrei veramente dare questo mio contributo: I tempi sono difficili, le
eresie avanzano, l’opera dell’anticristo non mi sembra tanto ipotetica;
conseguentemente, sarebbe bene che ognuno di noi si applicasse
all’approfondita conoscenza delle Scritture. Conduciamoci, dunque, come
figli di luce, esaminando cosa è gradito al Signore. (Ef.
5,9-10). Un saluto a tutti i fratelli e le sorelle! {25-03-2014}
15.
{Guerino De Masi}
▲
Ho letto tutto quanto con interesse. Mentre leggevo, mi tornava alla
mente Luca, di cui stiamo settimanalmente discutendo tra di noi il
venerdì sera. Luca 8,18 ci ha fatto riflettere: «Attenti dunque a
come ascoltate; perché a chi ha, sarà dato; ma a chi non ha,
anche quello che pensa di avere gli sarà tolto» Ci siamo convinti
che la partenza per evitare «la santa ignoranza» sta nel sapere
ascoltare e
ascoltare la Parola di Dio. Accostando l’esortazione di Giacomo
1,23, è necessario mirarci frontalmente nella Parola e non tener
lo specchio inclinato, da far riflettere gli altri! E per non uscire dal
tema, mi pare che una grande responsabilità è sulle spalle di chi
si auto investe di autorità, per insegnare, e non si attiene alla
Scrittura «tagliando rettamente la Parola». 1 Corinzi 3,12 illustra tale
modo di edificare. Magari vengono usate strutture artistiche di
legno intarsiato, ma non hanno valore e non supereranno il giudizio
divino. Purtroppo, la santa ignoranza non è solo tra coloro, che
pretendono di avere «l’esperienza» a scapito dell’insegnamento della
Scrittura, ma anche tra coloro che sfoggiano argomenti ed espressioni
altisonanti di una cultura e sapienza, che non hanno. Qualcuno si
spinge addirittura a scrivere libri. Avere una giusta misura di se
stessi, dovrebbe essere caratteristica peculiare del cristiano.
Purtroppo, non è sempre così. {06-04-2014}
16. {Autori
vari}
▲
■
Fortuna Fico:
Eh sì, quanti credenti ci sono, che
si compiacciono della propria ignoranza, sfoggiando i versi da te citati,
e per di più ergendosi a
giudici di coloro, che non si limitano a gustare la superficie della
Parola, ma vogliono esplorarne il fondo, per scoprire le meraviglie, che
la Parola può darci nell’approfondimento di essa! Quindi, per molti,
dire credente significa dire ignorante! {12-11-2012}
■
Andrea Angeloni:
Bisogna guardarsi dall’essere nell’ignoranza e
a promuoverla come una virtù. Dio
aborrisce l’ignoranza
ma, al contrario, vuole che noi figli agiamo ricercando un cammino
spirituale di crescita, possibile tramite la Parola e i suoi
tanti insegnamenti. Senza lo studio non è possibile crescere.
Senza investigare in profondità non sarà possibile avere tutte le
armi affilate per combattere l’avversario. {20-03-2014}
■
Fortuna Fico:
Oh, sì certo che ci sono. Alcuni, quando inizi a parlare di esegetica ed
ermeneutica, si strappano le vesti, sfoderando il versetto:
il Signore si rivela ai semplici. Come a dire che i credenti debbano
essere
tutti ignoranti, per piacere al Signore. Voglio davvero complimentarmi
con te per questo articolo, hai centrato il problema e affrontato in
modo perfetto, come sempre. Dio ti benedica. {24-03-2014}
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Ester Colangelo:
È un tasto dolente . {11-11-2012}
■
Matteo Armillotta:
L’ignoranza non è mai santa {11-11-2012}
■
Antonio Selce:
Caro Nicola, la tua risposta a Davide Forte è una «santa verità».
{22-03-2014}
■
Giovanni Brandi:
Un’analisi spietata, ma molto realistica, purtroppo... {24-03-2014}
■
Paolo Cardenia:
Il mio popolo perisce per mancanza di conoscenza. {24-03-2014}
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Gianni Siena:
Non commento, esistono argomenti più «pregni» per la fede. {21-03-2014}
▬
Nicola Martella:
Gianni Siena, permettimi una battuta: se a ogni tema, che discutiamo, te
ne esci con «esistono argomenti più “pregni” per la fede», fra
poco dovremo chiederti la tua lista canonica con imprimatur.
J Non resta che ricordarti un proverbio,
menzionato da Gesù: «Vi abbiamo suonato il flauto e non avete
ballato; abbiamo cantato dei lamenti e non avete pianto» (Mt 11,17).
► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_Cul/T1-Sant_ignora_UnV.htm
23-03-2014; Aggiornamento: 06-04-2014 |