Il primo contributo di questo tema di discussione mi ha indotto a
formulare questa introduzione. Ci sono voci, secondo cui il termine
«evangelico» come designazione abbia fatto il suo tempo. Ciò varrebbe
ancor di più per l’altra designazione «evangelicale». Secondo alcuni si
tratterebbe di etichette messe ormai su scatole che non contengono più
ciò che dichiarano. I responsabili vengono cercati in diversi ambiti, a
seconda dell’analisi personale. Gli uni danno la colpa ai Riformatori
che si sono allora fermati, dove la convenienza politica permetteva
loro. Altri puntano il dito contro i padri del Risveglio che lo hanno
soffocato col loro dottrinalismo, inducendo i loro seguaci a formare
casistiche e tradizioni. Altri additano le chiese storiche che sono
diventate col tempo sempre più simili alle chiese, che allora li
combatteva e contro cui si sono allora opposte con sacrificio. Altri
danno la colpa alla «teologia dell’esperienza» (e della poca esegesi)
dei movimenti pentecostali. Altri puntano il dito contro i predicatori
carismatici di turno, che ingrassano le loro casse e portano discredito
sull’Evangelo con la loro condotta. Altri danno la colpa al secolarismo,
al liberalismo e al materialismo dilagante. Non manca chi vede la causa
nel fatto che i cristiani si siano allontanati dalle radici ebraiche
della chiesa di Gerusalemme. E poi per gli uni la causa dei mali sono le
denominazioni, per gli altri l’ecumenismo. C’è quindi chi dà la colpa ad
ambigui politici cristiani come Clinton e Bush. Quo vadis… movimento evangelico? Quanto è esso
«evangelico», se misurato col metro dell’«Evangelo»? Certo ci si potrebbe chiedere quanto segue. Pietro
Valdo sputerebbe ora in faccia a molti Valdesi? Lutero come inveirebbe oggi sui
Luterani, e Calvino sui Calvinisti? I padri anabattisti disconoscerebbero la
maggior parte dei Battisti odierni? Il pietista Georg Müller, uno dei padri del
movimento dei Fratelli, si vergognerebbe di molti suoi odierni seguaci? Hus e
Wycliff piangerebbero amaramente per i loro pronipoti? Com’è quindi veramente il «panorama evangelico»
odierno? È il migliore o il peggiore «mondo evangelico» mai esistito? Esiste
realmente una situazione «fuori fase» e come è possibile uscirne? Come
conciliare le voci pessimistiche col fatto che non ci sono mai stati tanti
evangelici nel mondo come oggigiorno? Che cosa dev’essere in pratica un
«evangelico» oggi?
Che cosa ne pensate? Quali sono al riguardo le vostre
esperienze, idee e opinioni?
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1.
{Pino
Carella}
▲
Carissimo fratello Nicola, ho letto con attenzione sul tuo sito i pensieri di
vari credenti in merito al signor benny hinn (che appositamente e non
distrattamente cito in minuscolo). A tal proposito gradirei interagire anch’io
se mi è concesso. A me tutto questo non solo dà l’impressione ma ormai la
certezza che siamo di fronte a un serio problema, veramente pernicioso. Sembra un teatrino di vecchi pupazzi ai quali hanno
cambiato i nomi e i ruoli. Dove Arlecchino fa Biancaneve, Geppetto fa Pinocchio,
Pantalone fa sia il gatto che la volpe, ecc. ecc. È un manicomio che fagocita i
suoi ospiti e nello stesso tempo, uno ne divora e quattro ne partorisce! Ci stiamo piccando su un evento «mediatico» ma che io
definisco «mediocre», quando poi in realtà altro non è che il risultato di tutto
un sistema malato e schizoide. Ce la prendiamo con benny hinn come ce la siamo presa
con Marilyn Manson o con Charles Manson, quando in realtà questi mostri altro
non sono che il risultato d’una società malata e perversa. È il mondo evangelico che genera questi esseri, è la
società evangelica «americana» che produce in scala questi tele-mostri. I
tele-mostri di per sé sono dei poveretti!! Forse allora dobbiamo iniziare a fare
un po’ d’allenamento quanto all’auto-critica e chiederci se, questo
evangelicalismo mondiale e moderno non sia «fuori come un balcone!». La
storia è stata fatta da uomini, le nazioni sono composte da uomini, le case sono
abitate da uomini. Dunque se in una casa la famiglia non funziona, non è colpa
d’uno solo ma un po’ di tutti. Lo stesso vale in una città e in una nazione. Se
i movimenti evangelici producono tali mostri — come questo bambino sud americano
che va di moda adesso che, a soli nove anni sbraita e si sgola dai pulpiti,
predicando e inveendo contro il diavolo... e contro chi secondo lui gli è
antipatico, come Darwin (!)... — allora abbiamo l’obbligo, se non siamo
cerebrolesi, di porci delle domande. Forse qualcosa nel mondo evangelico non
funziona o forse, la banana è marcita. L’albero si riconosce dai frutti, parole
di Gesù Cristo e non mie. Se i frutti sono malvagi (gli uomini) allora l’albero
non è buono (i movimenti religiosi). Eh ma... siamo affezionati all’idea che
siamo «evangelici»... E non riusciamo a immaginare la nostra vita fuori dalle
chiese evangeliche.. .. E cosa è rimasto di veramente evangelico nelle chiese
evangeliche? A mio avviso molto poco, anzi, un bel niente. Considerata la grande
presenza d’idolatria umana!!! L’evangelicalismo è una cultura politico-religiosa
tipicamente ed esclusivamente yankee. Che gli americani abbiano da sempre
manie espansionistiche, è cosa risaputa. Che siano bombaroli, ormai non è più un
segreto. Che giustificano le aggressioni con «portare la democrazia», non fa più
notizia. Che allargano i loro confini esportando la loro cultura e la loro
religione, ormai è un dato di fatto. Gli americani conquistano tutto, in tutti i
modi, come gli piace e come gli viene, sia con le bombe, sia con le Bibbie!
Siamo caduti in una buca piena di escrementi! E dentro ci abbiamo trovato un
predicatore che ci ha detto: «Sorridi, Gesù ti ama!». All’inizio, appena dopo lo
stupore ci abbiamo creduto, perché insieme con noi negli escrementi c’era uno
che invece d’arrabbiarsi come una bestia, sorrideva e c’invitava a sorridere.
Ma... dopo un po’ di tempo, per lo meno io, mi sono accorto che io ero immerso
fino alla bocca, mentre lui aveva una tuta e uno scafandro antigas... Così ho
iniziato a pensare e a considerare il fatto da un altro punto di vista. Io avevo
una dignità e non potevo sopportare di restare tutta la mia vita in una buca
piena di escrementi e continuare a sorridere, credendo che Gesù, pur amandomi,
mi potesse lasciare li imperituro! E così sono uscito dalla buca, con sdegno dei
miei vicini di buca che avrebbero preferito che restassi lì fino alla fine dei
miei giorni. Il problema non è benny hinn, canningham o qualche altro
poveraccio di turno che s’arricchisce alle nostre spalle, ma sta alla
radice, alla base e cioè l’evangelismo odierno, non è affatto evangelico.
Pertanto non è Chiesa!!! Non serve lamentarsi se nel barattolo della marmellata
scaduta ci troviamo uno scarafaggio. Non è lo scarafaggio il problema ma la
marmellata scaduta. Si prende e si butta via! Ma noi cristiani, in definitiva,
cosa vogliamo fare della nostra vita? Vogliamo essere «evangelici» o vogliamo
seguire il Cristo, quello scritto con l’inchiostro del suo sangue prezioso sulle
pagine di questo meraviglioso libro che è la Bibbia? Ma quando dico, quando la
smetteremo d’essere così vigliacchi e fifoni? Renderemo conto a Dio di tutto...
anche di questo: «Eh, ma sai Signore... io dovevo ubbidire al pastore» (pastore
scritto volutamente in minuscolo). Non penso che sarà molto simpatico sentirci
rispondere da Lui: «Andate via da me, operatori d’iniquità, non vi conobbi
giammai!». Se seguiamo il Signore, arriveremo alla vita eterna...
ma chi d’uomo ferisce, d’uomo perisce... {25-07-07}
2.
{Nicola Martella}
▲
Caro Pino, grazie del tuo contributo per il sito. Ho appianato un po’ il tuo
linguaggio «colorito» per risparmiarti le critiche dei lettori e perché essi si
concentrino sul contenuto e non sul tuo modo d’esprimerlo. Non ho capito fino in
fondo il senso del tuo contributo.
Cerco qui di seguito di interpretare ciò che i lettori penseranno, astenendomi
da miei obiezioni e giudizi. Mi pare che dapprima parli del trasformismo,
dove nomi e ruoli non hanno più senso, essendo tutto un «teatro» (il sistema),
per altro malato. Certo non si capisce se sia la società la responsabile,
perché «malata e perversa» (come dici prima), e come tale genera i «mostri» da
te citati; oppure se la colpa è del «mondo evangelico» che genera tali
«tele-mostri». Mi sembra che la sintesi la trovi nella «società evangelica
“americana”», che rendi responsabile di molti mali del mondo odierno e di molte
malattie degli «evangelici» nel mondo. È probabile che molti sociologi non
saranno d’accordo con te, mischiando tu capre e cavoli (società ed evangelici);
ti accuseranno di semplificare ingenuamente una problematica molto più
complessa. Lo stesso faranno molti teologi, specialmente gli ecclesiologi; ti
accuseranno di fare di tutta l’erba un fascio: buoni e cattivi, fedeli e
infedeli, ecc. Sociologi ed ecclesiologi ti faranno notare che Charles Manson
era agli antipodi di un evangelico; e altresì che Marilyn Manson (nome d’arte
composto da Marilyn Monroe e Charles Manson) è uno dei massimi esponenti del
satanismo. Qualcuno potrebbe anche farti notare che spalmare tutte
le colpe su tutti, è pressappochismo. Quando tu dici genericamente che «i
movimenti evangelici producono tali mostri», susciterà in loro la convinzione
che tu sei irresponsabile e che elevi il tuo arbitrio a oggettività. È probabile
che il tuo linguaggio, con cui parli sommariamente di tutto «mondo evangelico» (fuori
come un balcone… non funziona… è marcito [come una banana]), farà pensare
tutto ciò di te. I lettori si chiederanno: Possibile che
l’evangelicalismo si riduca agli
yankee, alla loro cultura politico-religiosa e alle loro «manie
espansionistiche» sia politiche sia religiose? Magari poi si ricorderanno di
conoscere tanti evangelicali che non rientrano in tali schemi e che non sono
neppure yankee. Poi sorgerà in loro il dubbio, se Pino voleva parlare
degli evangelici o degli Statunitensi. Può darsi che molti lettori non riterranno di essere
caduti «in una buca piena di escrementi», ma di immaginarsi che lì ci sia
infelice solo Pino, «immerso fino alla bocca». Può darsi che qualcuno attribuirà
il tuo linguaggio colorito a tale esperienza «fognaria». Qualcuno ti
rimprovererà che paragoni l’esperienza di milioni di cristiani col Signore a
tale immagine scurrile. Qualcuno si chiederà: «Pino dove sta, in effetti?». Ritenere che l’intero «evangelismo» mondiale sia
scaduto come una conserva che si butta via, farà nascere qualche irritazione. Il
sospetto nascerà nei lettori, laddove Pino vuol vedere una discrepanza fra
essere «evangelici» e «seguire il Cristo», tanto da doversi decidere fra due
alternative antipodiche, se non si vuole essere «vigliacchi e fifoni»! Qualche
lettore girerà la domanda e dirà: «Cosa vuole fare Pino della sua vita?».
Ho cercato di mettermi nei panni dei lettori che leggeranno il
contributo di Pino. Mi astengo personalmente da ogni commento,
lasciandolo ai lettori. Devo ammettere che non ho capito del tutto il
discorso di Pino: Molte cose sono enigmatiche e poco chiare. Qualche
lettore potrebbe chiedersi quale sia in fondo la vera questione.
Cercherà, ma non troverà, neanche una proposta concreta di come
risolvere il problema che Pino pensa di vedere.
3.
{Nicola
Berretta}
▲
In effetti non è facile comprendere fino in fondo la lettera di Pino
Carella, anche perché non si conoscono le motivazioni di fondo che hanno
scatenato questa veemente reazione. A sua difesa, vorrei però dire che
forse, quando parla di «mostri» prodotti dai movimenti evangelici, non
fa riferimento a Marilyn Manson e Charles Manson, ma a persone come
Benny Hinn (o almeno lo voglio sperare).
Forse, quando Pino parla di chi porta l’Evangelo, descrivendolo come una
specie di palombaro, immerso in una buca piena d’escrementi, ma
provvisto d’un opportuno scafandro, parla di missionari stranieri che
vivono la loro missione senza immergersi davvero nella realtà del paese
in cui svolgono la loro opera, pronti dunque ad abbandonare il campo o
farsi prendere al volo da un’opportuna rete di salvataggio, quando le
cose si mettono male. Questo è un problema che riguarda però chiunque «senza
sterile rimpianto abbandona il patrio suol» (riecheggio un vecchio
canto dell’Innario delle Assemblee dei Fratelli). Quanto deve immergersi
nella realtà culturale del posto in cui si reca? Deve mantenere comunque
«reti di salvataggio»? Oppure deve diventare in tutto e per tutti membro
della comunità dove viene mandato (pur non partecipando a eventuali
peccati di quella comunità)? Lascio però ad altri affrontare la
questione, se magari hanno vissuto quest’esperienza più direttamente.
Pino però termina questa sua arringa dicendo: «Vogliamo essere
“evangelici” o vogliamo seguire il Cristo, quello scritto con
l’inchiostro del suo sangue prezioso sulle pagine di questo meraviglioso
libro che è la Bibbia?». Davvero delle bellissime parole! Da chi le
ha imparate? Dal palombaro di cui sopra? Se è così, allora
benedetto sia il Dio che ha mandato quel palombaro. Se non è
così, occorre comunque riconoscere che tante persone hanno conosciuto il
meraviglioso libro, a cui Pino fa riferimento, anche tramite
palombari di quel genere. Paolo, umilmente, di fronte a persone che
parlarono di Cristo senza essere motivati da uno spirito di servizio, ma
solo per arrecargli del male, lodava comunque il Signore affermando: «Che
importa? Comunque sia, con ipocrisia o con sincerità, Cristo è
annunziato; di questo mi rallegro, e mi rallegrerò ancora» (Fil
1,18).
Certamente intristisce osservare quanto l’Evangelo venga disonorato da
persone che lo annunciano solo per i propri interessi. Ne risponderanno
davanti a Dio. Da parte mia, ringrazio il Signore per le tante persone
che hanno ricevuto Cristo tramite (…e mi permetto d’aggiungere
malgrado !!!) persone come quelle.
Tornando però alla questione di partenza, sul bisogno o meno di sentirci
identificati nel termine «evangelico», occorre onestamente riconoscere
che tutto questo dilagare (soprattutto in rete) d’immagini associate al
mondo «evangelico» non può lasciare indifferente chi vede in quelle
immagini la negazione di ciò che Cristo stesso ha insegnato. Ho visto in
rete un video di questo bambino sudamericano tele-predicatore, a cui
Pino fa riferimento. È un video davvero sconcertante e intristisce
profondamente il solo pensare quanti navigatori della rete possano
associare il termine «evangelico» a immagini del genere.
I mass-media tendono ogni giorno di più ad associare il mondo evangelico
a fenomeni, nei cui riguardi noi stessi ci sentiamo di voler prendere
decisamente delle distanze. Questo non riguarda solo fenomeni mediatici
carismaticisti come Benny Hinn, ma anche altri apparentemente più
innocui, come il legame sempre più stretto tra la politica del governo
statunitense e il mondo evangelico di quel paese. Riporto qui sotto
degli stralci d’un articolo pubblicato qualche anno fa sul quotidiano
«Il Manifesto» (24
aprile 2003).
«Le chiese evangeliche sono diventate colonne portanti della Casa
Bianca. Gruppi religiosi conservatori e politicamente fondamentalisti si
sono innestati nella tradizione protestante del «vangelo sociale»
americano del XIX secolo. Poi l’esplosione dei predicatori (prima Jerry
Falwell, quindi Pat Robertson e ora Ralph Reed) ha fatto sì che la
cristianità diventasse il punto di forza delle campagne elettorali
repubblicane. E oggi l’evangelismo può diventare il nuovo ordine morale
del paese. Grazie al suo vero leader: George W. Bush… Chi è oggi il vero
leader degli evangelici? È George Bush jr in persona, che è stato scelto
proprio perché si è impegnato a soddisfare i loro interessi… il
presidente ha adottato una serie di politiche per demolire tutte le
strutture di tutela sindacale e le conquiste civili ottenute a partire
dagli anni Trenta… Bush ha annullato molte garanzie sociali… per
garantirsi la possibilità… di dare un po’ di soldi alle chiese locali
evangeliche…». Si tratta della traduzione d’un articolo di Ralph Della
Cava, un teologo sudamericano.
Non posso escludere che quest’articolo sia viziato da preconcetti
antiamericani (vista anche la matrice ideologica del giornale su cui è
pubblicato). L’ho però conservato, perché ritengo che sia indicativo di
quella che è l’odierna percezione del termine «evangelico» da parte
della società interno a noi. Sempre di più, le persone attorno a noi
associano questo termine a persone politicamente schierate su un certo
fronte conservatore filo-americano. Forse a qualcuno potrebbe anche far
piacere, ma ad altri quest’identificazione potrebbe invece andare un po’
stretta. Molte delle nostre chiese hanno all’entrata una grande scritta:
«Chiesa Cristiana Evangelica……». Cosa suscita in noi il pensiero che
molti, passeggiando di fronte a quel locale, possano pensare che si
tratti d’un luogo d’incontro di persone politicamente schierate a favore
di qualcuno (fosse anche un politico che appoggiamo)?
Dovremmo dunque toglierci di dosso questo termine oramai abusato? Non lo
so. Vorrei però far notare che storicamente, nella maggior parte dei
casi, il nome d’un certo movimento è stato dato dagli
altri, e non dalle persone che avevano dato origine a quel
movimento. Persino i cristiani d’Antiochia non si dettero da soli
quel nome (Atti 11,26), ma gli venne appioppato forse a scopo
denigratorio. La stessa cosa è avvenuta per i puritani, i
metodisti, i Fratelli, i
quaccheri gli anabattisti… e presumo anche per gli
evangelici. Sono stati gli altri, la società stessa in cui
hanno avuto un impatto, a identificare quelle persone sulla base di
tratti significativi del loro comportamento o della loro dottrina. Non
credo che dovremmo essere noi a preoccuparci del nome con cui vorremmo
sentirci identificati, se non il nome di Cristo Gesù. Preoccupiamoci
piuttosto d’esercitare un impatto nella società intorno a noi, con la
nostra vita, la nostra coerenza, il nostro amore pratico per chi ci
circonda. Poi saranno loro a darci un nome. E possiamo essere
certi che quel nome, fosse anche denigratorio, descriverà perfettamente
ciò che siamo davvero.
4.
{Martella
- Carella}
▲
■ Caro Pino, grazie di avermi risposto. Mi dispiace che non possiamo
dialogare con un po’ di calma e meno aggressività. A me interessa capire
sinceramente ciò che hai da dire. Purtroppo non posso pubblicare sul
sito il tuo nuovo contributo poiché ripete punto per punto il mio testo.
Ti chiederei di formularne uno in cui riassumi le tue tesi. Fa capire a
me e agli altri lettori che cosa intendi (la problematica), perché (e
come) arrivi alle tue conclusioni e come secondo te si possa uscire dal
problema che tu vedi. Io sono una persona semplice e ho bisogno di
seguire un discorso lineare e chiaro. Spero che mi aiuterai. {Nicola
Martella}
■ Caro Fratello Nicola, non sono aggressivo, sono io che son fatto così,
sono sanguigno di carattere e il colore del mio sangue è rosso «vivo».
In tutta sincerità meglio di così non so esprimermi. Non saprei da dove
partire per esprimere i miei concetti in modo ancora più semplice.
Riesco a stupirmi per il fatto che non mi capiate. Eppure mi pare tanto
semplice. Anche l’altro fratello che ha risposto... non ha capito la
metà del nulla.
O io sono un pazzo visionario che vede buche di escrementi.... o in
tutta modestia e umiltà vedo avanti... o vedo dentro... o gli altri
camminano col naso all’aria e poi cadono nelle buche, o guardano i loro
piedi quando camminano... oppure sono indietro... al medioevo. A questo
punto dico solo: boh? va bene così. Ognuno scampi l’anima sua e si
procuri l’olio per la propria lampada finché è in tempo. {Pino Carella;
28-07-07}
5.
{Nicola
Martella}
▲
Ringrazio Nicola Berretta per il suo intervento. Per quello che ho
capito, negli interventi mandati da Pino Carella al sito, egli fa
coincidere il mondo evangelico soprattutto con la società americani (gli
yankee) e considera Benny Hinn, Marilyn Manson, Charles Manson e
altri «(tele-)mostri» effettivamente come prodotto di tale «mondo
evangelico».
Per quanto ho capito, non ce l’ha solo con i missionari stranieri, ma
anche con i nostrani «pastori», come mostra la fine del suo contributo.
Quando si parla della questione evangelica, non si può «fare di tutta
l’erba un fascio» né pretender di «buttare via il bambino con tutta
l’acqua sporca». Non ci sono solo i liberali, i carismaticisti e i
seguaci di casistiche religiose fra i «cristiani evangelici». Di
«evangelici» ci sono anche oggigiorno che rischiano quotidianamente la
vita per testimoniare dell’Evangelo; e sarebbe ingiusto vedere anche
loro negli escrementi (termine moralmente e spiritualmente negativo,
anche nel linguaggio molto più colorito di Pino). Ingiusto sarebbe pure
giudicare col proprio metro i milizia di credenti che sono fedeli
seguaci del loro Signore, pur non essendo in pericolo di vita per la
testimonianza.
In questo sito è stato già scritto sulla situazione americana, sia
statunitense [►
Il «modello americano»; ►
Clinton e Gates: due «americani qualunque»] sia sudamericana. [►
Potenzialità dell’America Latina] Non sarò certamente io a simpatizzare con la politica statunitense,
viste le mie dichiarate riserve. Ma non so se si può concordare del
tutto col teorema di Ralph Della Cava: G.W. Bush avrebbe demolito tutte
le strutture di tutela sindacale, le garanzie sociali e le conquiste
civili per «dare un po’ di soldi alle chiese locali evangeliche».
È una tesi semplificatrice e massimalista.
Non basta neppure cambiare etichetta
per designare i «cristiani buoni», quelli «risvegliati» o quelli legati
ai «riformatori di turno», poiché qualunque designazione si sceglierà,
prima o poi sarà inflazionata pur essa. Tutte le volte che nella storia
si è voluto identificare «quelli buoni», si è semplicemente creato
un’etichetta nuova. Penso che sia un gran vantaggio identificarsi
semplicemente come «cristiani evangelici» o addirittura come
«cristiani».
Il pericolo di essere associati a fenomeni gnostici, politici, di
folclore e d’altro genere, lo ha avuto Gesù di Nazareth stesso e anche
gli apostoli. A Gesù fu attribuito d’essere addirittura in combutta col
diavolo (Mt 12,24.27). A Paolo fu chiesto dalle autorità romane: «Non
sei tu dunque quell’Egiziano che tempo fa sollevò e menò nel deserto
quei quattromila briganti?» (At 21,38; cfr. anche At 5,36s). Ne
Gesù, né Paolo, né gli apostoli hanno risolto il problema cambiano
etichetta per distinguersi, ma hanno spiegato la loro posizione.
L’apostolo Pietro diede questo consiglio, scrivendo ai credenti
dell’Asia Minore, che passavano dei momenti cattivi: «E non vi
sgomenti la paura che incutono e non vi conturbate; 15anzi
abbiate nei vostri cuori un santo timore di Cristo il Signore,
pronti sempre a rispondere a vostra difesa a chiunque vi domanda
ragione della speranza che è in voi, ma con dolcezza e rispetto;
avendo una buona coscienza; 16affinché laddove sparlano di
voi, siano svergognati quelli che calunniano la vostra buona condotta in
Cristo» (1 Pt 3,14ss).
Comunque si sia arrivati alla designazione «cristiani evangelici» —
ossia per auto-identificazione o etero-definizione — la trovo corretta
per designare la mia e la nostra fede. È più grande di ognuno di noi,
delle nostre comunità, dei nostri gruppi di chiese e dei movimenti
d’appartenenza. Questa o qualunque altra definizione (NT: cristiano,
discepolo, quelli della via, la nuova via, i nazareni, ecc.) bisognerà
pur sempre spiegarla, quando servirà. La cosa principale sono sempre i
contenuti, non le etichette. Per me «cristiano evangelico» significa:
seguace di Cristo in conformità con l’Evangelo (quest’ultimo è la
massima dottrina del nuovo patto e quindi del NT). Per chi vive in
modo significativo Cristo, come definirci o come ci definiranno gli
altri è secondario. Spero che potrà dirsi di noi: «…
riconoscevano che erano stati con Gesù» (At 4,13).
6.
{Tonino
Mele}
▲
Vedo che ogni tanto riaffiora il dubbio se il termine «evangelico» esprima più
la nostra identità. E puntualmente si fa riferimento agli esempi negativi che
hanno pesato e pesano su questo nome. Personalmente non credo però che questo
sia un motivo sufficiente per abbandonare un termine che esprime bene la nostra
identità. Anche nel nome di Dio e di Cristo sono stati compiuti dei misfatti,
eppure continuiamo a invocare quel «nome». Non cessiamo di chiamarci italiani
semplicemente perché in Italia c’è la mafia, l’anonima sequestri o le brigate
rosse. Un tedesco continua a chiamarsi tale anche dopo Hitler e il nazismo. La
Sardegna non è un orecchio grondante di sangue (come la dipinse una volta
Forattini e di cui poi chiese scusa ai sardi), semplicemente perché un sardo
sequestrò un bambino e gli mozzò un lembo del suo orecchio. Anche se il «nome»
esprime l’identità, c’è una differenza sostanziale tra l’uno e l’altro. Qui vale
molto la variabile ad personam. Il nome non è solo il modo in cui gli altri ci
chiamano, ma è anche il modo in cui noi amiamo chiamarci. Io amo chiamarmi
evangelico e ne sono orgoglioso, perché esprime un’identità sia biblica che
storica, che è un grande punto di riferimento per la mia fede. Chi si è
fregiato impropriamente e indegnamente di questo nome, e continua a farlo, non
mi tocca: questo è solo un «infiltrato» (Gd 4), un impostore e un
traditore. Cambiare il nome a causa sua non serve a molto: questi impostori ci
saranno sempre e non faranno fatica ad assumere un altro nome, perché fa parte
della loro camaleontica natura, nonché di colui che è maestro nel «travestirsi
da angelo di luce
(2 Cor 11,14)». Nella mia esperienza ho potuto osservare anche qualche
tratto ambiguo che tende ad assumere questa polemica intorno al nome
«evangelico». Da un lato si cerca di minimizzare il valore di questo termine,
sostenendo che non è poi la fine del mondo se lo si dovesse cambiare; «non
bisogna esserne attaccati come le altre religioni al loro», si dice. D’altro
canto però, pare che sia la fine del mondo se non si cambia questo nome;
molto viene fatto dipendere da questo nome (pregiudizi, malintesi, confusione)
allo scopo di volerlo cambiare. Ed è qui che io ravviso un vizio di fondo di
tutta la questione: Si da troppo peso al nome «evangelico», allo scopo di
poterlo cambiare. Questo mi pare sospetto e non a caso, ho potuto osservare,
sempre nella mia esperienza, che alcuni paladini del cambiamento, in realtà non
avevano ben chiari i tratti distintivi del «vero evangelico», o forse non
piaceva l’aspetto distintivo e quindi esclusivo e vincolante di questa
«etichetta», tant’è vero che poi, alcuni di questi hanno finito per fare
compromessi col cattolicesimo. Ma non voglio assolutamente fare di tutta l’erba un
fascio. Mi rendo conto che in alcuni casi, le intenzioni di chi vuol cambiare il
nome d’evangelico siano sacrosante. Ma io starei attento ad additare il nome di
«evangelico». Non perché sono un nostalgico, o perché gli dia troppa importanza.
Anzi, è proprio chi punta molto sul cambiamento del nome che rischia di
sopravvalutarlo, perché s’aspetta troppo da questo cambiamento. Le ragioni
addotte per mandare in pensione il termine «evangelico» hanno a che fare più con
l’identità di chi se ne fregia indegnamente, che con la plausibilità
storico-linguistica di questo nome nei confronti della realtà che esso esprime.
A me pare che questa plausibilità storico-linguistica ci sia tutta e il
cambiamento debba toccare solo l’identità di chi se ne fregia indegnamente. Più
che cambiare questo nome, dobbiamo precisarlo presso chi è tentato di
fraintenderlo. Dobbiamo dare corpo alla realtà che esso esprime, e mostrare al
mondo chi sia un vero «evangelico». Del resto, il termine «evangelico» è un nome che
esprime un’identità, ma non è l’identità, e non è neppure l’unico modo per
esprimere quest’identità e neppure il più importante. Al suo «da questo
conosceranno tutti che siete miei discepoli (Gv 13,35)», Gesù ha fatto
seguire, un comportamento (l’amore) anziché un nome. Quindi, se non è dal «nome»
che ci «conosceranno», ma dal comportamento indicato da Gesù (l’amore),
non facciamo dipendere troppo dal tenere o cambiare l’appellativo di
«evangelico». Per conto mio, me lo tengo, perché non vedo ragioni per doverlo
cambiare, ma ne vedo di molto più importanti per doverlo tenere.
7.
{Stefano
Frascaro}
▲
Interessante la risposta di Tonino. Penso comunque che una seria analisi sul
movimento evangelico americano debba essere fatta. Ho visto un film su «Cult»
che trattava proprio della campagna evangelica pro Bush e devo dire che non
bisogna arrivare a Benny Hinn per vedere strumentalizzata la Parola di Dio.
Bambini a cui venivano consegnati riproduzioni di feti dicendo: «Questo verrà
ucciso, se Bush non verrà rieletto»; o volantinaggi fatti sempre da bambini per
la campagna di Bush mi ha fatto veramente riflettere. La Parola di Dio è stata e verrà sempre
strumentalizzata per addomesticarla ai fini senza scrupoli di falsi messia, ma
Egli sa difendersi. Il nostro compito è vegliare.
8.
{Pino
Carella}
▲
Nota redazionale: Per capire quanto Pino scrive, il lettore deve sapere che avevo iscritto
a Pino, tra altre cose, quanto segue: «Una caratteristica
particolare di ogni riformatore del passato (Lutero, Zwingli,
Calvino, ecc.) era quella di trasmettere le sue idee in modo chiaro
e comprensibili (sebbene con vigore) a tutti gli strati sociali e a
tutti i tipi di persone, dagli intellettuali agli analfabeti».
Pino mi ha risposto quanto segue, conscio come sempre che il suo intervento sarà pubblicato come al
solito sul sito. |
In tutta onestà io non ho l’impressione di essere ermetico o difficile
da capire. Se son difficile da capire io, allora il Tonino Mele che è
intervenuto? Non ci ho capito niente, anzi... la metà di niente! A volte
ho l’impressione di parlare con persone che o fanno finta di non capire,
o non capiscono. Meglio di come mi sono espresso penso sia impossibile
esprimersi. Ad esempio: ho forse accennato mai che è mia intenzione
cambiare il nome di «evangelico»? ....no!! Non è il nome qui il
problema, non sono cosi asino! Il problema è la sostanza e non
l’etichetta sulla scatola. Eppure Tonino Mele, punta sul nome e spara a
raffica. Ma la gente legge quello che scrivo o no? A questo punto penso
che leggano 3 righe e poi scrivono loro, perché muoiono dalla voglia di
dire la loro. Lo dimostra il fatto che, non ho detto mai di voler
cambiare il nome di evangelico, però il signor Mele ha capito questo.
Cosa avrà letto? non si sa. {03-08-07}
9.
{Nicola
Martella}
▲
Sia io che altri lettori abbiamo capito e altresì apprezzato, quanto detto da
Tonino Mele. Per chi lo conosce come me, sa che è un tipo cauto, metodico,
rispettoso di suoi interlocutori e scrupoloso nelle sue risposte. Prima di
rispondere, legge a fondo i contributi degli altri (come per altro faccio io e
altri che intervengono). Ciò che Pino gli attribuisce, è alquanto ingiusto. Non
bisognerebbe giudicare così un fratello che non si conosce di persona né bisogna
attribuirgli cose indebite. Purtroppo finora a risultare oscuro è stato proprio Pino Carella.
Certamente egli avrà chiaro in mente il suo pensiero su una «Riforma» che egli
intende portare avanti, purtroppo finora io per primo non ho capito in che cosa
essa consista concretamente. Gli avevo chiesto per iscritto, tra altre cose, quanto segue:
«Se tu ritieni d’essere "Il Riformatore" (con articolo e sostantivo al
maiuscolo), qual è il tuo mandato riformatore, qual è la "Riforma" che secondo
te sarebbe necessaria, che cosa la distinguerebbe dalle altre precedenti e come
sarebbe da attuare».
Pino mi ha risposto quanto segue: «Se lo scrivo maiuscolo è solo per mettere in
risalto l’opera di un riformatore e non per dare importanza a me stesso. La
riforma necessaria è una riforma dello stato di coscienza, di consapevolezza, di
conoscenza e di amore. Cioè una rivoluzione interiore ed estetica di se stessi,
in relazione con la fede in Cristo e col mondo esterno. Non tanto una revisione
di dottrine, anche se sì, per certe cose ma, sopratutto una riforma del proprio
modo di essere e di pensare. Sul riassunto della mia riforma ci sono scritti i
punti basilari ma, evidentemente non hai avuto tempo di leggerla». Purtroppo non ho mai ricevuto lo scritto di Pino (altrove
nella sua lettera lo chiama «Riforma della coscienza cristiana»)
e perciò non posso giudicare al riguardo. In merito a ciò che scrive nel brano
sopra, devo ammettere che oltre a queste buone intenzioni, non c'è nulla di
particolare che lo distingue da migliaia di altri credenti che stanno servendo
il Signore proprio così, sebbene non si firmino «Il Riformatore». Per me, che ho
una certa conoscenza del mondo mistico-gnostico (cfr. New Age, carismaticismo,
occultismo), ho sempre una certa ipersensibilità (allergia, allarmismo) verso
termini come
«stato di coscienza», «stato di consapevolezza», «stato di conoscenza», «stato
di amore», «rivoluzione interiore ed estetica» e simili. Certamente non posso
dire che le due cose siano coincidenti (può trattarsi di una mera coincidenza
terminologica) e finché non avrò capito a pieno la «riforma» propugnata da Pino,
mi astengo da ogni giudizio. Certo una via mistico-gnostica mi allarmerebbe
alquanto, ma è probabile che Pino intenda qualcos'altro con tali termini. Quindi io e altri aspettiamo di capire meglio tale
«riforma» e tale «rivoluzione», e cioè nei particolari e più concretamente,
visto che finora siamo alle mere intenzioni. Intanto, tutti i veri credenti che
camminano in novità di vita e nel rinnovamento dello Spirito Santo, attaccati
alla Parola di verità e ubbidienti a essa, stanno già vivendo quella che Pino
chiama «una riforma del proprio modo di essere e di pensare». Quella da lui
propugnata che cosa avrà mai di così speciale?
10.
{Tonino
Mele}
▲
Caro Pino, credo che tu sia così polarizzato nella tua idea, che fai una
questione personale di ciò che non dovresti e quando qualcuno prova a estendere
il discorso, per mostrare altri aspetti della questione, eccoti sentenziare:
«Anche l’altro fratello che ha risposto... non ha capito la metà del nulla»,
oppure, «…il Tonino Mele che è intervenuto? Non ci ho capito niente, anzi...
la metà di niente!». Vedo che ci tieni così tanto a ripetere questa frase
(«la metà di niente»), che mi chiedo se essa abbia per te un senso logico, o
semplicemente affettivo. Se essa ha per te un valore logico, e veramente non hai
«capito niente», allora credo che non dovresti sentenziare, perché rischi di
essere un pessimo «giudice». Ma in realtà, io credo che tu hai capito bene, solo
che non accetti che si sposti la discussione dal punto in cui tu l’hai voluta
collocare. Ogni spostamento da quel punto a te risulta «incomprensibile». Sei
così trincerato in esso, che non riesci a vedere poche spanne più in là. Pensi
che ogni cosa che si muove, siano «raffiche» rivolte contro di te. Ma mi spiace
deluderti: mentre scrivevo il mio intervento non eri proprio in cima ai miei
pensieri. Penso che Nicola Martella e Nicola Beretta abbiano risposto
sufficientemente alle tue opinioni. Per conto mio ho voluto concentrarmi su un
aspetto del discorso che Nicola Beretta ha lasciato in sospeso con queste sue
parole: «Dovremmo dunque toglierci di dosso questo termine («evangelico») oramai
abusato? Non lo so. Vorrei però far notare che storicamente, nella maggior parte
dei casi, il nome d’un certo movimento è stato dato dagli altri, e non
dalle persone che avevano dato origine a quel movimento». Dici bene quando
scrivi: «Tonino Mele, punta sul nome». Qui dimostri di aver capito bene il mio
discorso, ecco perché penso che talvolta tu usi le parole più per un valore
affettivo che esse hanno per te, che per un significato logico che tu vuoi
comunicare con esse. Veramente io ho voluto puntare sul nome di
«evangelico», ma non per rispondere direttamente a te, e neppure a Nicola
Beretta (persona che stimo, pur non conoscendola direttamente), ma perché questa
questione del nome rientrava sin dall’inizio nella tematica fissata dal gestore
del sito. Cito dalla sua introduzione: «Ci sono voci, secondo cui il termine
“evangelico»” come designazione abbia fatto il suo tempo. Ciò varrebbe ancor di
più per l’altra designazione “evangelicale”. Secondo alcuni si tratterebbe di
etichette messe ormai su scatole che non contengono più ciò che dichiarano». E
siccome, tutto questo mi ha ricordato alcune mie esperienze passate, ho voluto
far sentire la mia voce, nella speranza di essere di aiuto a qualcuno.
Certamente, la questione principale è l’identità, ma è pur vero che essa si
riflette sul nome: ecco perché il mio intervento. E se tu non partissi dai
preconcetti tipici dell’uomo «in trincea», forse avresti anche notato che, per
certi versi, il mio contributo è complementare a quanto dici nel tuo primo
intervento, anche se non condivido certe analisi e certi giudizi sommari che tu
fai. Così, caro Pino, ti saluto nel nome del Signore,
sperando di non ridiventare per te uno dei chisciottiani mulini a vento.
11.
{Gaetano
Nunnari}
▲
La cosa che ho capito veramente con chiarezza e che Pino è arrabbiato
nero con tutto e con tutti. Il resto l’ho trovato un mix di vari proclami di cui
alcuni non pertinenti al tema. Ma altri hanno già risposto in merito. Qui il problema è che i gruppi carismaticisti di
tipo gnostico (i seguaci della «terza ondata», Benny Hinn e suoi accoliti, tanto
per intenderci) si sono arrogati il nome di «evangelici», aggiungendo poi il
termine «carismatici» oppure «neopentecostali». I veri evangelici, ossia le chiese che vogliono seguire
la Bibbia e non ogni vento di dottrina, non hanno saputo prendere adeguatamente
le distanze da questi lupi travestiti da agnelli. Questa mia affermazione è
generale, e non specifica a qualcuno in particolare. Non si è riusciti in
generale a far sentire ben chiaramente la propria voce contraria. Purtroppo poi
molte chiese evangeliche si sono messe anche a collaborare con questi movimenti
pseudo-cristiani. Non dobbiamo rinunciare al termine «evangelico», ma avere un
po’ più di coraggio e definire tali movimenti per quello che sono, ossia gruppi
neo-gnostici. I veri evangelici non hanno niente a che fare (o almeno non
dovrebbero) con questi personaggi. Il nostro problema è che non riusciamo a seguire il
consiglio di Paolo: «Non vi mettete con gli infedeli sotto un giogo che non è
per voi; infatti che rapporto c’è tra la giustizia e l’iniquità? O quale
comunione tra la luce e le tenebre?» (2 Cor 6,14). Purtroppo come già detto
alcuni evangelici vanno a braccetto o tollerano i seguaci di questi showman. In
ogni modo che queste cose debbano avvenire, noi evangelici biblici lo dovremmo
sapere bene. Gesù è stato chiaro, Paolo idem. E quindi non dovremmo
meravigliarci, ma reagire adeguatamente con la verità biblica, turando così la
bocca a questi impostori, che si sono appropriati del termine di «evangelici». Per concludere vorrei aggiungere che tutto ciò è
successo perché doveva succedere, visto che la Parola lo ha predetto, e poi non
è stato il mondo evangelico biblico a produrre tali mostri, ma è stata la
conseguente evoluzione di un’altra sottile eresia biblica, cominciata all’inizio
del secolo scorso, e che via via prendendo piede si è trasformata nell’attuale
«terza ondata» carismaticista. Quindi non vergogniamoci di chiamarci
«evangelici», ma svergogniamo coloro che abusano di questo nome.
12.
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► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_Cul/T1-Evangelici_odierni_UnV.htm
26-04-2007; Aggiornamento: 30-06-2010 |