Un taglio netto alle convenzioni anti-bibliche e pseudo-bibliche, all'ignoranza e alle speculazioni — Ein klarer Schnitt zu den anti-biblischen und pseudo-biblischen Konventionen, zur Unwissenheit und den Spekulationen — A clean cut to the anti-biblical and pseudo-biblical conventions, to the ignorance and the speculations — Une coupe nette aux conventions anti-bibliques et pseudo-bibliques, à l'ignorance et aux spéculations — Un corte neto a las convenciones anti-bíblicas y pseudo-bíblicas, a la ignorancia y a las especulaciones

La fede che pensa — Accettare la sfida nel nostro tempo

«Glaube gegen den Strom»: Für das biblische Unterscheidungsvermögen — «Faith countercurrent»: For the biblical discernment — «Foi contre-courant»: Pour le discernement biblique — «Fe contracorriente»: Por el discernimiento bíblico

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Il sabato, l’anno sabbatico e il giubileo.

 

Ecco le parti principali:
■ Il patto, l'etica e il pensiero sabbatico
■ Il sabato nell’Antico Testamento, nel giudaismo, nel Nuovo Testamento e relative questioni odierne
■ L’estensione del sabato: l’anno sabbatico e lo jôbel nella Torà e nella storia
■ L’ideale e le funzioni teologiche risultanti
■ Excursus: Storia del giubileo cattolico
■ Le feste principali in Israele.

 

► Vedi al riguardo la recensione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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IL DENARO NON PUZZA!?

 

 a cura di Nicola Martella

 

«Il denaro non puzza», ossia va bene qualunque sia la fonte, dicono gli uni. Secondo altri, sarebbe addirittura lo sterco del diavolo. Nonostante ciò, alcuni ci sguazzano bene dentro.

     La Bibbia è realista come al solito. Da una parte, afferma che la ricchezza sia un riparo (Ec 7,12), apre tante porte (Ec 10,19) ed è un soffice cuscino che fa dormire sonni tranquilli (cfr. Ec 5,19); si trova nella casa del giusto (Sal 112,3) e i padri la ereditano ai figli (Pr 19,14). Dall’altra, asserisce che le ricchezze acquisite con la frode non saranno una garanzia per l’empio nel giorno della resa dei conti (Pr 11,4). Sebbene le ricchezze possono essere utili, chi confida in esse fallirà nella vita (Pr 11,28; cfr. 23,5). Infine, essa afferma che l’amore per il denaro sia l’origine di ogni tipo di male (1 Tm 6,10).

     La Bibbia contiene anche molti saggi consigli su come comportarsi col denaro e la ricchezza (Pr 13,8.11) e molti preziosi avvertimenti e insegnamenti (Sal 62,10; Pr 13,22; 19,4; 22,22; 23,4s; 27,24; Ec 4,8; 5,10.13s; 5,19; 6,2).

 

Geoge Orwell, il famoso autore del libro apocalittico «1984», ha riscritto addirittura 1 Corinzi 13 («l’inno dell’amore»), facendone il canto della pecunia.

 

«Anche se io parlassi tutte le lingue degli uomini e degli angeli,

se non ho denaro divento un ramo risonante e un tintinnante cembalo.

E se anche avessi il dono di profezia e intendessi tutti i misteri e tutta la scienza,

e se avessi tutta la fede, tanto da poter smuovere le montagne,

se non ho denaro, non sono nulla.

E anche se spendessi nel nutrire i poveri tutte le mie facoltà e dessi il mio corpo a essere arso,

se non ho denaro, ciò niente mi giova.

Il denaro sa resistere a lungo ed è benigno;

il denaro non invidia,

non procede perversamente,

non si gonfia;

non opera disonestamente,

non cerca le cose sue proprie,

non s’inasprisce,

non sospetta il male;

queste tre cose durano al presente: fede, speranza e denaro, ma la maggiore di esse è il denaro».

 

(da Fiorità l’aspidistra [1936]; testo inviato da Argentino Quintavalle}

 

Un segno degli gli uomini alla fine dei tempi è che saranno tra altre cose «egoisti, amanti del denaro, vanagloriosi, superbi…» (2 Tm 3,2). Per i cristiani rimane la sfida di Gesù rivolta ai suoi discepoli: «Nessuno può servire a due padroni; perché o odierà l’uno ed amerà l’altro, o si atterrà all’uno e sprezzerà l’altro. Voi non potete servire a Dio ed a Mammona [la ricchezza personificata]» (Mt 6,24).

 

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I contributi sul tema

(I contributi rispecchiano le opinioni personali degli autori.

I contributi attivi hanno uno sfondo bianco)

 

1. Argentino Quintavalle

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Clicca sul lemma desiderato per raggiungere la rubrica sottostante

 

 

1. {Argentino Quintavalle}

 

Fin dall’antichità il denaro ha avuto un’importanza fondamentale nella società umana. Il denaro ha determinato, e determina tutt’oggi, classi sociali e rapporti interpersonali. In molti casi il potere economico coincide con il potere politico o almeno influenza la politica in maniera sostanziale. Il denaro poi, spesso divide poiché la sua stessa esistenza crea disparità tra gli individui.

     Nel lodevole tentativo di creare una società equa, basata sulla parità dei singoli, il problema della disparità economica si è rivelato come uno dei più ardui da affrontare. Molte religioni hanno ritenuto opportuno limitare l’importanza del denaro: basti pensare all’aspirazione alla povertà della dottrina cattolica o alla vita ascetica dei monaci buddisti.

     Eppure è strano che la Bibbia non predichi affatto la povertà.

     La vita di ogni cristiano, per quanto egli sia spirituale e devoto, si svolge in questo mondo materiale, anche se ovviamente la materia è un mezzo da usare, non il fine della vita.

     La Legge del Vecchio Testamento sanciva un sistema sociale che garantiva una società egalitaria in cui il rispetto per l’uomo veniva davanti a tutto. Questo era il senso dell’anno sabbatico e del giubileo. Nel primo sarebbe dovuto avvenire una sorta di condono sulle operazioni commerciali, mentre nel secondo anche la terra, che era stata venduta, sarebbe dovuta tornare al proprietario originale, mantenendo quella situazione di parità che era stata stabilita all’ingresso nel paese. La terra, simbolo primo della ricchezza per un popolo di pastori, è concessa in usufrutto all’uomo ma la sua proprietà rimane di Dio. Dio disse ad Israele: «E voi mi sarete come tesoro tra i popoli poiché è mia tutta la terra». Il riconoscere la proprietà divina della Terra è quindi una cosa fondamentale.

     I beni materiali sono dunque un mezzo e vanno amministrati nella giusta maniera. Solo chi riduce volontariamente la propria ricchezza afferma che essa non gli appartiene ma gli è concessa in usufrutto. Non può mancare in questa chiave una riflessione sulla povertà.

     «Se vi sarà qualche tuo fratello bisognoso in mezzo a te, in alcuna delle tue città nel paese che l’Eterno, il tuo Dio, ti dà, non indurirai il tuo cuore e non chiuderai la tua mano davanti al tuo fratello bisognoso; ma gli aprirai generosamente la tua mano e gli presterai quanto gli occorre per venire incontro al bisogno in cui si trova. Bada che non vi sia alcun cattivo pensiero nel tuo cuore, che ti faccia dire: il settimo anno, l’anno di remissione, è vicino, e il tuo occhio sia cattivo verso il tuo fratello bisognoso e tu non gli dia nulla; egli griderebbe contro di te all’Eterno e ci sarebbe del peccato in te. Dagli generosamente, e il tuo cuore non si rattristi quanto gli dai, perché proprio per questo, l’Eterno, il tuo Dio, ti benedirà in ogni tuo lavoro e in ogni cosa a cui porrai mano. Poiché i bisognosi non mancheranno mai nel paese, perciò io ti do questo comandamento e ti dico: Apri generosamente la tua mano a tuo fratello, al tuo povero e al tuo bisognoso nel tuo paese» (Dt 15,7-11)

     Parole del genere non necessitano di molti commenti: dobbiamo entrare in un ordine di idee molto distante dall’etica corrente.

     Spetta a colui, che è stato benedetto con la ricchezza, di testimoniare che questa viene da Dio, dando al povero o a chi si trova momentaneamente in difficoltà economica. La parola «carità» in ebraico non esiste. Dare denaro a un povero è zedakà «giustizia». Chi presta a un povero, presta a Dio. Chi dona a un povero, riconosce che ciò che ha non gli appartiene. Non può limitarsi a dare pochi spiccioli. Ha il dovere di dare al povero o a chi è in difficoltà, tutto ciò di cui egli ha bisogno, e questo ce lo insegna Gesù Cristo nella parabola del buon samaritano. Certo non ci si deve impoverire per sostenere gli altri, ma non deve commettere l’errore di sentirsi il padrone del denaro che ha. La materia appartiene a Dio.

     È inutile frugarsi le tasche. Sappiamo perfettamente dove abbiamo i soldi. Ma quando diamo al povero, vogliamo soddisfare la nostra esigenza di sentirci in pace con la coscienza o vogliamo veramente aiutare una persona in difficoltà?

     Il miglior modo di praticare la zedakà è di dare a una persona che non conosciamo, facendo in modo che egli non sappia chi sia colui che dà. È il rispetto verso il prossimo, la dignità del misero che deve prevalere. È la mano destra che non sa quello che fa la sinistra, come disse Gesù.

     Da questo punto di vista sarebbe colui che dà a dover dire grazie al povero perché in questo caso il povero consente a chi è più benestante di poter testimoniare della sovranità di Dio sul creato. Gesù disse: «Più felice cosa è il dare che il ricevere».

     Essere in condizione di dare a chi ne ha bisogno è un dono che Dio fa a noi che abbiamo avuto bisogno di essere perdonati.

 

Per l’approfondimento dei sabati, dell’anno sabbatico e del giubileo ebraico, della legislazione in merito e della loro applicazione o meno nel corso della storia, si veda Nicola Martella, Šabbât (Punto°A°Croce, Roma 1999).

 

 

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► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_Cul/T1-Denaro_puzza_Sh.htm

24-04-2007; Aggiornamento: 30-06-2010

 

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