Qui di seguito discutiamo l’articolo «Déjà
vu - sensazione di cose già viste». Quali sono le
cause di tale singolare fenomeno? L’autore del primo contributo adduce
addirittura una «base genetica» a tale fenomeno. C’è una prova
scientifica al riguardo o è solo un’ipotesi? A ciò rispondo nel secondo
contributo.
È immancabile che tale contributo sposterà le questioni sul piano della
biologia cellulare e della genetica. Spero che non dimenticheremo che il
tema in questione è il singolare fenomeno del
dèjà vu.
Che cosa ne pensate? Quali sono al riguardo le vostre
esperienze, idee e opinioni?
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1.
{Gianni Siena}
▲ Il
dèjà vu
potrebbe avere anche una base genetica. Mi chiamo Gianni Siena e tutti
mi facevano notare, da piccolo, che il cognome era di origini toscane.
Mi soffermavo a immaginare la Toscana, a pensarla e, quando vi posi
piede la prima vota, avevo la sensazione d’esservi già stato.
Il lavorio mentale precedente spiega in parte queste sensazioni, ma che
dire di luoghi dove uno non è mai stato e riesce a orientarvisi
benissimo quasi di «istinto»? M’è successo più d’una volta ma, senza
scomodare la reincarnazione, che non credo comunque vera, potrebbe
essere che qualche mio antenato abbia camminato in quei luoghi.
Durante i primi esperimenti con animali, si scoprì che persino dei vermi
conservano traccia genica delle esperienze dei loro antenati, imparando
più in fretta dei loro congeneri che non hanno simile vantaggio. Forse,
ma ancora da dimostrare, quando trovo senza difficoltà luoghi, dove non
sono mai stato, devo «ringraziare» i miei antenati? La mia passione per
la geografia dipende da una traccia genica delle peripezie da loro
vissute? Mi risulta che viaggiavano molto, io sono un tipo tutto sommato
«stanziale», ma mi piace andare in giro anche in posti nuovi, mai visti.
{27 luglio 2009}
2.
{Nicola Martella}
▲ La natura
genetica dell’orientamento in certi luoghi, in cui non si è mai
stati personalmente (ma qualche avo sì), è affascinante. Tuttavia, di là
dalla suggestività della cosa, nulla di tutto ciò è stato mai
dimostrato. Una spiegazione molto banale di ciò è lo spiccato senso di
orientamento di una persona rispetto a un’altra; ad esempio i maschi lo
hanno molto più sviluppato delle femmine. È possibile che esista un gene
(o un’iterazione fra geni) deputato all’orientamento e che esso sia
sviluppato in modo più o meno accentuato in alcuni rispetto ad altri.
Tuttavia, parlare di una codificazione genetica di certi luoghi e un suo
tramandamento ai posteri, è affascinante, ma altresì privo di ogni
dimostrazione scientifica.
L’approssimazione è sempre incinta e partorisce continuamente luoghi
comuni e leggende metropolitane. Bisogna perciò dimostrare con i fatti
che «persino dei vermi conservano traccia genica delle esperienze
dei loro antenati»: Chi lo ha dimostrato? Come ha decodificato tale
«memoria» genetica? Che vi ha trovato? (magari un’enciclopedia degli usi
e costumi di migliaia di anni di storia della sua specie?). Se si rimane
realisti, bisogna ammettere che, se una tale tecnica esistesse
veramente, costituirebbe una scoperta scientifica senza precedenti e da
premio Nobel, oltre che un grande business!
È probabile che tale ricerca abbia semplicemente affermato che esseri
viventi che crescono insieme ai loro simili più adulti, ne assumano
usi e costumi tramandati, ad esempio, fra le scimmie: un certo modo
di aprire le noci con pietre, di rompere le uova rubate lasciandole
cadere (così anche certi uccelli), di tirare fuori i vermi dagli alberi.
Al contrario, esseri cresciuti in isolamento (singolarmente da soli o
magari anche in gruppo ma senza adulti) debbono scoprire tutto da sé
nella vita e sono perciò alquanto svantaggiati. Tutto ciò non ha però
nulla a che vedere con una codificazione genetica delle esperienze degli
avi, ma con la socializzazione, l’imitazione e l’apprendimento rispetto
ad adulti della stessa specie.
Una cosa è aver ereditato una tendenza per le arti, le le
scienze o per la tecnica, altra cosa è una codificazione genetica del
sapere degli avi. Un figlio di un musicista può avere, come si dice, la
musica nel sangue (mentre un altro figlio no), ma difficilmente
entrando nell'arena di Verona, dove il padre ha suonato da giovane, avrà
la sensazione di esserci già stato (tanto meno avrà scritto nei geni lo
spartito della toccata e fuga di Bach, con cui il padre si è diplomato
al conservatorio).
Che succederà allora se togliamo le radicia qualcuno fin
da dopo la nascita? Un essere umano preso dalla giungla appena dopo la
nascita e che, adottato da genitori occidentali, cresce nella società
high-tech, non avrà difficoltà a destreggiarsi in essa, sebbene i
suoi avi non abbiano mai visto un telefonino di nuova generazione o un
computer. Al contrario, un essere umano, figlio di occidentali sedentari
e adottato fin da neonato da una tribù nomade, abitante in un vasto
territorio di una qualunque parte del mondo, non avrà difficoltà a
imparare a orientarsi in quell’ambiente, spostandosi secondo i bisogni e
i ritmi delle stagioni e sapendo dove attingere le risorse necessarie a
tempo debito. Il primo non avrà mai un dèjà vu della giungla,
quando entrerà in un bosco. Il secondo non crederà mai di aver già
prelevato denaro da un bancomat, se mai succedesse nella sua vita di
trovarsi per caso in una città, passasse dinanzi a una banca e sapesse
intuitivamente che cosa sia un bancomat.
3.
{Nicola Berretta}
▲ Non esiste a
oggi alcuna evidenza scientifica che episodi specifici memorizzati da un
individuo possano trasferirsi a generazioni successive. Nella psicologia
sperimentale è stato dimostrato che alcune famiglie di topi, selezionati
geneticamente, sono più bravi d’altri nell’eseguire compiti
d’apprendimento che richiedono forme di memoria particolari (non entro
nello specifico, ma esistono vari tipi di «memoria»).
Questi esperimenti dimostrano certamente una base genetica delle
potenzialità mnemoniche d’un individuo rispetto a un altro, ma non
dicono nella maniera più assoluta che un animale che apprende un compito
specifico sia in grado di trasferire quella traccia mnemonica alle
generazioni successive.
Pur non potendolo escludere a priori, trovo del tutto improbabile
che in futuro si possa dimostrare una trasmissione genetica di singoli
episodi memorizzati. Affinché questo possa avvenire, occorrerebbe che la
memorizzazione di singoli episodi comporti modifiche non solo nella
circuiteria cerebrale del singolo individuo (cosa che effettivamente
avviene), ma anche nel DNA degli spermatozoi o delle cellule uovo
dell’individuo stesso. Questo però non è stato mai dimostrato e se un
domani lo fosse, sarebbe davvero una scoperta da Nobel! {28 luglio 2009}
Nota redazionale: Ricordo a chi non lo sapesse o non lo ricordasse,
che Nicola Berretta è biologo.
4.
{Gianni Siena}
▲ I discendenti
d’un verme, al quale avevano indotto determinati comportamenti, erano
molto più rapidi nell’apprendere lo stesso. Mentre i congeneri non
sottoposti al condizionamento impiegavano tempi paragonabili a quelli
del progenitore. Questa si chiama scienza e non suggestione. Inoltre
come s’ereditano determinate vulnerabilità a specifiche malattie, queste
possono rientrare, se chi n’è affetto si ricondiziona con una vita
diversa che va in senso contrario. Nel suo DNA specifico e preposto allo
scopo si modifica la codifica genetica relativa... Non si tratta
d’evoluzione metamorfica (da specie a specie diversa) ma d’una
variabilità che codifica (come predisposizione) un’istruzione favorente
l’insorgere di... (si tratta di vedere «cosa»). Per brevità non cito le
fonti ma sono autorevoli e informate.
Nel caso nostro si tratta d’una sensazione d’aver «già visto», esservi
stato», «avervi vissuto»; oppure di trovare luoghi che i nostri antenati
hanno calcato. Non credo che uno abbia nella testa quei luoghi, sarebbe
bello ma non è così a quanto pare, si tratta d’una «traccia» nel DNA
indotta dall’esperienza precedente che ne agevola il ritrovamento
(orientamento).
La mia è un’ipotesi, dato che non sono uno studioso con tanto di
specializzazione, ma esempi simili ed esperimenti confermanti ciò ve ne
sono. Nessuno possiede una completa conoscenza del fenomeno, e il
dèjà vù potrebbe essere una banale sensazione d’apparente
precognizione indotta anche dall’interazione d’uno o più geni. Siamo
«carne», tutto è possibile, eccetto che non si tratti d’un anomalo
funzionamento della psiche dovuto a possessione diabolica: questo spiega
la «reincarnazione» e la conoscenza di fatti vissuti in una vita
«precedente»... del demone possedente! {28 luglio 2009}
Nota redazionale: Non aggiungo altro, ritenendo sufficiente la mia
risposta precedente; ritengo comunque che il condizionamento di un
essere vivente e l’eventuale trasmissione di predisposizioni non abbiano
molto a che fare col fenomeno del dèjà vù. Inoltre risponde bene
a ciò anche il contributo di Nicola Berretta, sebbene egli non
conoscesse ancora quest’ultimo di Gianni Siena. Lascio al nostro amico
biologo, se occorresse, di aggiungere quanto serve al chiarimento.
5.
{Nicola Berretta}
▲ Non so bene a
quali esperimenti scientifici su vermi Giovanni Siena fa riferimento.
L’ideale sarebbe avere quantomeno un lavoro scientifico pubblicato, in
cui si descrivono con precisione le procedure sperimentali eseguite. In
rete purtroppo si diffondono un sacco di notizie aneddotiche, che poi
divengono «verità». Tanto per curiosità, mi sono imbattuto in un
articolo in inglese, in cui si afferma che questi esperimenti
sui vermi sarebbero stati in seguito spiegati come il risultato d’un
diverso detergente usato nella pulizia delle gabbiette, dove i vermi
venivano studiati. È dunque, ripeto, importante conoscere i dettagli
metodologici sperimentali del lavoro che descrive un determinato
risultato.
Comunque, al di là della veridicità si questi esperimenti, qui credo che
stiamo confondendo le cose. Una cosa infatti è ritenere che una certa
capacità d’apprendimento possa essere trasmessa alle generazioni
successive, altra cosa è dire che un determinato episodio sia trasmesso
da genitore a figlio. Ad esempio, io non avrei nessun problema ad
affermare che la capacità d’orientamento spaziale sia più sviluppata in
alcuni individui rispetto ad altri, e che questa possa anche
riscontrarsi nelle generazioni che precedono o seguono un certo
individuo. Altra cosa invece è dire che la capacità d’orientarsi in un
luogo specifico si trasferisca ai miei figli, i quali sarebbero in grado
d’orientarsi perfettamente in quel luogo specifico, pur non essendoci
mai stati.
I famosi esperimenti sui vermi, sempre ammesso che siano credibili,
tutt’al più dimostrano la possibilità di trasmissione di capacità
nell’ambito d’una modalità d’apprendimento, ma non di trasmissione
dell’episodio in sé. {29 luglio 2009}
6.
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► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_Cul/T1-Deja-vu_parla_Mds.htm
28-07-2009; Aggiornamento: 30-07-2009 |