Un taglio netto alle convenzioni anti-bibliche e pseudo-bibliche, all'ignoranza e alle speculazioni — Ein klarer Schnitt zu den anti-biblischen und pseudo-biblischen Konventionen, zur Unwissenheit und den Spekulationen — A clean cut to the anti-biblical and pseudo-biblical conventions, to the ignorance and the speculations — Une coupe nette aux conventions anti-bibliques et pseudo-bibliques, à l'ignorance et aux spéculations — Un corte neto a las convenciones anti-bíblicas y pseudo-bíblicas, a la ignorancia y a las especulaciones

La fede che pensa — Accettare la sfida nel nostro tempo

«Glaube gegen den Strom»: Für das biblische Unterscheidungsvermögen — «Faith countercurrent»: For the biblical discernment — «Foi contre-courant»: Pour le discernement biblique — «Fe contracorriente»: Por el discernimiento bíblico

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Riflessioni fra cielo e terra: Aneddoti evangelici e non, e l’umorismo nella Bibbia.

  Ecco le rubriche principali:
■ Scenario biblico
■ Vita di comunità
■ Abbecedario riflessivo
■ Ad acta
■ Dietro il velo
■ Casella postale biblica
■ Variazione delle costanti
■ Puntigli e indovinelli
■ Sapienza da quattro soldi
■ Massime e minime
■ Col senno del poi.

 

È «psicoterapia biblica» in forma di umorismo.

 

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DÉJÀ VU? PARLIAMONE

 

 a cura di Nicola Martella

 

Qui di seguito discutiamo l’articolo «Déjà vu - sensazione di cose già viste». Quali sono le cause di tale singolare fenomeno? L’autore del primo contributo adduce addirittura una «base genetica» a tale fenomeno. C’è una prova scientifica al riguardo o è solo un’ipotesi? A ciò rispondo nel secondo contributo.

  È immancabile che tale contributo sposterà le questioni sul piano della biologia cellulare e della genetica. Spero che non dimenticheremo che il tema in questione è il singolare fenomeno del dèjà vu.

 

     Che cosa ne pensate? Quali sono al riguardo le vostre esperienze, idee e opinioni?

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I contributi sul tema

(I contributi rispecchiano le opinioni personali degli autori.

I contributi attivi hanno uno sfondo bianco)

 

1. Gianni Siena

2. Nicola Martella

3. Nicola Berretta

4. Gianni Siena

5. Nicola Berretta

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Clicca sul lemma desiderato per raggiungere la rubrica sottostante

 

 

1. {Gianni Siena}

 

Il dèjà vu potrebbe avere anche una base genetica. Mi chiamo Gianni Siena e tutti mi facevano notare, da piccolo, che il cognome era di origini toscane. Mi soffermavo a immaginare la Toscana, a pensarla e, quando vi posi piede la prima vota, avevo la sensazione d’esservi già stato.

     Il lavorio mentale precedente spiega in parte queste sensazioni, ma che dire di luoghi dove uno non è mai stato e riesce a orientarvisi benissimo quasi di «istinto»? M’è successo più d’una volta ma, senza scomodare la reincarnazione, che non credo comunque vera, potrebbe essere che qualche mio antenato abbia camminato in quei luoghi.

     Durante i primi esperimenti con animali, si scoprì che persino dei vermi conservano traccia genica delle esperienze dei loro antenati, imparando più in fretta dei loro congeneri che non hanno simile vantaggio. Forse, ma ancora da dimostrare, quando trovo senza difficoltà luoghi, dove non sono mai stato, devo «ringraziare» i miei antenati? La mia passione per la geografia dipende da una traccia genica delle peripezie da loro vissute? Mi risulta che viaggiavano molto, io sono un tipo tutto sommato «stanziale», ma mi piace andare in giro anche in posti nuovi, mai visti. {27 luglio 2009}

 

 

2. {Nicola Martella}

 

La natura genetica dell’orientamento in certi luoghi, in cui non si è mai stati personalmente (ma qualche avo sì), è affascinante. Tuttavia, di là dalla suggestività della cosa, nulla di tutto ciò è stato mai dimostrato. Una spiegazione molto banale di ciò è lo spiccato senso di orientamento di una persona rispetto a un’altra; ad esempio i maschi lo hanno molto più sviluppato delle femmine. È possibile che esista un gene (o un’iterazione fra geni) deputato all’orientamento e che esso sia sviluppato in modo più o meno accentuato in alcuni rispetto ad altri. Tuttavia, parlare di una codificazione genetica di certi luoghi e un suo tramandamento ai posteri, è affascinante, ma altresì privo di ogni dimostrazione scientifica.

     L’approssimazione è sempre incinta e partorisce continuamente luoghi comuni e leggende metropolitane. Bisogna perciò dimostrare con i fatti che «persino dei vermi conservano traccia genica delle esperienze dei loro antenati»: Chi lo ha dimostrato? Come ha decodificato tale «memoria» genetica? Che vi ha trovato? (magari un’enciclopedia degli usi e costumi di migliaia di anni di storia della sua specie?). Se si rimane realisti, bisogna ammettere che, se una tale tecnica esistesse veramente, costituirebbe una scoperta scientifica senza precedenti e da premio Nobel, oltre che un grande business!

     È probabile che tale ricerca abbia semplicemente affermato che esseri viventi che crescono insieme ai loro simili più adulti, ne assumano usi e costumi tramandati, ad esempio, fra le scimmie: un certo modo di aprire le noci con pietre, di rompere le uova rubate lasciandole cadere (così anche certi uccelli), di tirare fuori i vermi dagli alberi. Al contrario, esseri cresciuti in isolamento (singolarmente da soli o magari anche in gruppo ma senza adulti) debbono scoprire tutto da sé nella vita e sono perciò alquanto svantaggiati. Tutto ciò non ha però nulla a che vedere con una codificazione genetica delle esperienze degli avi, ma con la socializzazione, l’imitazione e l’apprendimento rispetto ad adulti della stessa specie.

     Una cosa è aver ereditato una tendenza per le arti, le le scienze o per la tecnica, altra cosa è una codificazione genetica del sapere degli avi. Un figlio di un musicista può avere, come si dice, la musica nel sangue (mentre un altro figlio no), ma difficilmente entrando nell'arena di Verona, dove il padre ha suonato da giovane, avrà la sensazione di esserci già stato (tanto meno avrà scritto nei geni lo spartito della toccata e fuga di Bach, con cui il padre si è diplomato al conservatorio).

    Che succederà allora se togliamo le radicia qualcuno fin da dopo la nascita? Un essere umano preso dalla giungla appena dopo la nascita e che, adottato da genitori occidentali, cresce nella società high-tech, non avrà difficoltà a destreggiarsi in essa, sebbene i suoi avi non abbiano mai visto un telefonino di nuova generazione o un computer. Al contrario, un essere umano, figlio di occidentali sedentari e adottato fin da neonato da una tribù nomade, abitante in un vasto territorio di una qualunque parte del mondo, non avrà difficoltà a imparare a orientarsi in quell’ambiente, spostandosi secondo i bisogni e i ritmi delle stagioni e sapendo dove attingere le risorse necessarie a tempo debito. Il primo non avrà mai un dèjà vu della giungla, quando entrerà in un bosco. Il secondo non crederà mai di aver già prelevato denaro da un bancomat, se mai succedesse nella sua vita di trovarsi per caso in una città, passasse dinanzi a una banca e sapesse intuitivamente che cosa sia un bancomat.

 

 

3. {Nicola Berretta}

 

Non esiste a oggi alcuna evidenza scientifica che episodi specifici memorizzati da un individuo possano trasferirsi a generazioni successive. Nella psicologia sperimentale è stato dimostrato che alcune famiglie di topi, selezionati geneticamente, sono più bravi d’altri nell’eseguire compiti d’apprendimento che richiedono forme di memoria particolari (non entro nello specifico, ma esistono vari tipi di «memoria»). Questi esperimenti dimostrano certamente una base genetica delle potenzialità mnemoniche d’un individuo rispetto a un altro, ma non dicono nella maniera più assoluta che un animale che apprende un compito specifico sia in grado di trasferire quella traccia mnemonica alle generazioni successive.

     Pur non potendolo escludere a priori, trovo del tutto improbabile che in futuro si possa dimostrare una trasmissione genetica di singoli episodi memorizzati. Affinché questo possa avvenire, occorrerebbe che la memorizzazione di singoli episodi comporti modifiche non solo nella circuiteria cerebrale del singolo individuo (cosa che effettivamente avviene), ma anche nel DNA degli spermatozoi o delle cellule uovo dell’individuo stesso. Questo però non è stato mai dimostrato e se un domani lo fosse, sarebbe davvero una scoperta da Nobel! {28 luglio 2009}

 

Nota redazionale: Ricordo a chi non lo sapesse o non lo ricordasse, che Nicola Berretta è biologo.

 

 

4. {Gianni Siena}

 

I discendenti d’un verme, al quale avevano indotto determinati comportamenti, erano molto più rapidi nell’apprendere lo stesso. Mentre i congeneri non sottoposti al condizionamento impiegavano tempi paragonabili a quelli del progenitore. Questa si chiama scienza e non suggestione. Inoltre come s’ereditano determinate vulnerabilità a specifiche malattie, queste possono rientrare, se chi n’è affetto si ricondiziona con una vita diversa che va in senso contrario. Nel suo DNA specifico e preposto allo scopo si modifica la codifica genetica relativa... Non si tratta d’evoluzione metamorfica (da specie a specie diversa) ma d’una variabilità che codifica (come predisposizione) un’istruzione favorente l’insorgere di... (si tratta di vedere «cosa»). Per brevità non cito le fonti ma sono autorevoli e informate.

     Nel caso nostro si tratta d’una sensazione d’aver «già visto», esservi stato», «avervi vissuto»; oppure di trovare luoghi che i nostri antenati hanno calcato. Non credo che uno abbia nella testa quei luoghi, sarebbe bello ma non è così a quanto pare, si tratta d’una «traccia» nel DNA indotta dall’esperienza precedente che ne agevola il ritrovamento (orientamento).

     La mia è un’ipotesi, dato che non sono uno studioso con tanto di specializzazione, ma esempi simili ed esperimenti confermanti ciò ve ne sono. Nessuno possiede una completa conoscenza del fenomeno, e il dèjà vù potrebbe essere una banale sensazione d’apparente precognizione indotta anche dall’interazione d’uno o più geni. Siamo «carne», tutto è possibile, eccetto che non si tratti d’un anomalo funzionamento della psiche dovuto a possessione diabolica: questo spiega la «reincarnazione» e la conoscenza di fatti vissuti in una vita «precedente»... del demone possedente! {28 luglio 2009}

 

Nota redazionale: Non aggiungo altro, ritenendo sufficiente la mia risposta precedente; ritengo comunque che il condizionamento di un essere vivente e l’eventuale trasmissione di predisposizioni non abbiano molto a che fare col fenomeno del dèjà vù. Inoltre risponde bene a ciò anche il contributo di Nicola Berretta, sebbene egli non conoscesse ancora quest’ultimo di Gianni Siena. Lascio al nostro amico biologo, se occorresse, di aggiungere quanto serve al chiarimento.

 

 

5. {Nicola Berretta}

 

Non so bene a quali esperimenti scientifici su vermi Giovanni Siena fa riferimento. L’ideale sarebbe avere quantomeno un lavoro scientifico pubblicato, in cui si descrivono con precisione le procedure sperimentali eseguite. In rete purtroppo si diffondono un sacco di notizie aneddotiche, che poi divengono «verità». Tanto per curiosità, mi sono imbattuto in un articolo in inglese, in cui si afferma che questi esperimenti sui vermi sarebbero stati in seguito spiegati come il risultato d’un diverso detergente usato nella pulizia delle gabbiette, dove i vermi venivano studiati. È dunque, ripeto, importante conoscere i dettagli metodologici sperimentali del lavoro che descrive un determinato risultato.

     Comunque, al di là della veridicità si questi esperimenti, qui credo che stiamo confondendo le cose. Una cosa infatti è ritenere che una certa capacità d’apprendimento possa essere trasmessa alle generazioni successive, altra cosa è dire che un determinato episodio sia trasmesso da genitore a figlio. Ad esempio, io non avrei nessun problema ad affermare che la capacità d’orientamento spaziale sia più sviluppata in alcuni individui rispetto ad altri, e che questa possa anche riscontrarsi nelle generazioni che precedono o seguono un certo individuo. Altra cosa invece è dire che la capacità d’orientarsi in un luogo specifico si trasferisca ai miei figli, i quali sarebbero in grado d’orientarsi perfettamente in quel luogo specifico, pur non essendoci mai stati.

     I famosi esperimenti sui vermi, sempre ammesso che siano credibili, tutt’al più dimostrano la possibilità di trasmissione di capacità nell’ambito d’una modalità d’apprendimento, ma non di trasmissione dell’episodio in sé. {29 luglio 2009}

 

 

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► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_Cul/T1-Deja-vu_parla_Mds.htm

28-07-2009; Aggiornamento: 30-07-2009

 

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