Un taglio netto alle convenzioni anti-bibliche e pseudo-bibliche, all'ignoranza e alle speculazioni — Ein klarer Schnitt zu den anti-biblischen und pseudo-biblischen Konventionen, zur Unwissenheit und den Spekulationen — A clean cut to the anti-biblical and pseudo-biblical conventions, to the ignorance and the speculations — Une coupe nette aux conventions anti-bibliques et pseudo-bibliques, à l'ignorance et aux spéculations — Un corte neto a las convenciones anti-bíblicas y pseudo-bíblicas, a la ignorancia y a las especulaciones

La fede che pensa — Accettare la sfida nel nostro tempo

«Glaube gegen den Strom»: Für das biblische Unterscheidungsvermögen — «Faith countercurrent»: For the biblical discernment — «Foi contre-courant»: Pour le discernement biblique — «Fe contracorriente»: Por el discernimiento bíblico

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Ecco le parti principali:
■ Il patto, l'etica e il pensiero sabbatico
■ Il sabato nell’Antico Testamento, nel giudaismo, nel Nuovo Testamento e relative questioni odierne
■ L’estensione del sabato: l’anno sabbatico e lo jôbel nella Torà e nella storia
■ L’ideale e le funzioni teologiche risultanti
■ Excursus: Storia del giubileo cattolico
■ Le feste principali in Israele.

 

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LA QUESTIONE DELLA «CULTURA BIBLICA»

ALLA LUCE DEL GIUDAISMO

 

 a cura di Nicola Martella

 

Questo tema di discussione prende spunto dagli articoli di Argentino Quintavalle dal titolo «Lezioni dalla storia»: (1 | 2 | 3). Ad essi ho fatto osservazioni e obiezioni negli articoli dal titolo «La questione della "cultura biblica" alla luce del giudaismo» (1 | 2 | 3). Qui riporto alcune ulteriori considerazioni e do voce, oltre che ad Argentino, anche a chi voglia intervenire al riguardo. Lo scopo è quello di continuare a dialogare nella ricerca della verità.

 

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1. Nicola Martella

2. A. Quintavalle

3. Nicola Martella

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1. {Nicola Martella} ▲

 

La questione della cultura

     Partiamo dalla concezione antropologica della cultura: essa è l’identità di un popolo o di un gruppo etnico e comprende il variegato insieme di lingua, storia, costumi, atteggiamenti, valori, ideali, stile di vita, abitudini, religiosità, credenze, eccetera. Queste loro peculiarità li permette di distinguersi da altri popoli, gruppi etnici o gruppi culturali.

     Nell’accezione antropologica ed etnografica la cultura (o la civiltà) è, secondo la definizione dell’antropologo inglese Edward Tylor, «quell’insieme complesso che include il sapere, le credenze, l’arte, la morale, il diritto, il costume, e ogni altra competenza e abitudine acquisita dall’uomo in quanto membro della società» (Cultura primitiva, 1871).

     Ad esempio, i Recabiti avevano delle peculiarità culturali che li distinguevano dal resto degli Israeliti al tempo del profeta Geremia (Gr 35). Gli stessi criteri permettevano di distinguere altri gruppi etnici o culturali. Lo stesso accade anche all’interno del cristianesimo stesso. Un cristiano hippy ha uno stile di vita e una cultura differente da un cristiano borghese; i cristiani gitani appartengono a una cultura diversa dai paesi che li ospitano. I discendenti dei cristiani tedeschi anabattisti, che secoli fa si recarono in Russia per sfuggire alle persecuzioni, rientrando in Germania fondano proprie chiese non identificandosi con la cultura delle chiese del loro stesso tipo. I cristiani romeni, emigrati in Italia in questi anni, fondano proprie chiese per poter vivere così la loro identità culturale ed ecclesiale.

 

La questione della cultura giudeo-cristiana

     Il modo di vivere della chiesa giudaica della Giudea rappresenta il modello di «cultura biblica» a cui i cristiani dovrebbero ispirarsi anche oggigiorno?

     Secondo alcuni cristiani amanti del giudaismo, dovrebbe essere così. Essi sono non solo i cosiddetti «Giudei messianici» (termine equivoco per indicare i «cristiani giudaici», visto che anche altri Giudei attendono il Messia e sono quindi «messianici»), ma anche cristiani gentili con una forte aspirazione verso l’AT, il giudaismo, la cultura e i riti ebraici; non bisogna neppure dimenticare i seguaci del «sionismo cristiano». Diversi di questi aspetti sono condivisi ad esempio da Argentino Quintavalle.

     Secondo altri cristiani, la cultura occidentale, derivata dal cristianesimo di stampo greco-romano, sarebbe la «cultura biblica» dei cristiani. Questo modello ha imperato per secoli in Occidente e i missionari cristiani lo hanno esportato in tutto il mondo come «modello biblico». Il pensiero dogmatico occidentale, la mentalità razionalistica, l’approccio filosofico-dogmatico alle Scritture, il modo di concepire la fede e la cultura, il modo di radunarsi, le concezioni ecclesiologiche, le abitudini ecclesiastiche e tanti altri aspetti sono stati considerati semplicemente come «pensiero biblico», proiettato poi nell’interpretazione della Scrittura. Né io né Argentino potremmo mai sottoscrivere una tale opinione.

     Secondo altri cristiani ancora, l’Evangelo è un messaggio semplice ma potente che vuole incarnarsi in ogni cultura che trova, trasformando le persone. Persone trasformate dall’Evangelo, trasformeranno in meglio e nobiliteranno le loro rispettive culture, combattendo perciò (per prima cosa nella propria vita) gli aspetti deleteri della cultura in cui sono inseriti. Se la cultura religiosa e morale dei cristiani giudaici di Gerusalemme fosse stata quella normativa, ossia la «cultura biblica», gli scrittori del NT avrebbero fatto grandi sforzi per descriverla per filo e per segno e per raccomandarla a tutti i cristiani; al contrario, Luca usò solo alcune «pennellate» essenziali. Come si sa, i brani descrittivi da soli non possono essere normativi e ingiuntivi, mentre lo sono quelli dottrinali. Nei brani dottrinali degli Atti al centro sta l’Evangelo e non la cultura dei cristiani giudaici; particolarmente in At 15, in cui c’è una decisione dottrinale storica, i cristiani giudei di Gerusalemme decidono da parte di Dio che la cultura dei cristiani giudei non poteva essere ingiunta come normativa ai cristiani gentili, e ciò riguardava non solo la cultura, ma anche il giogo della Legge mosaica. Gli scrittori del NT attribuivano all’Evangelo la potenza di trasformare in meglio ogni cultura in cui esso s’innestava nel cuore e nella vita degli uomini. Le parole di Gesù avrebbero poi aiutato a costruire uno stile di vita e di pensiero all’interno della cultura in cui il credente si trovava. Questi aspetti solo le costanti all’interno delle variabili delle singole culture. Questa «sana dottrina» e questo «buon deposito» non doveva livellare ogni cultura a una sola (giudaica per gli uni, occidentale per altri), ma rappresentare il patrimonio comune all’interno di una grande variabilità di usi, costumi, stili di vita, percezioni culturali e modi di vivere. Questa è la visione di cui la Scrittura, in primis il NT, mi convince.

 

 

2. {Argentino Quintavalle} 

 

Nota redazionale: Il seguente scritto di Argentino è precedente a quanto scritto sopra, perciò non risponde a esso, ma a «La questione della "cultura biblica" alla luce del giudaismo 1» .

 

Perseguire lo scopo di dialogare nella ricerca della verità è cosa buona e tale è il mio scopo. Non condanno le opinioni altrui per avallare le mie, dato che la verità è monopolio solo di Dio. Ci sono argomenti che condivido e altri che non condivido, ma la mia filosofia non è quella del «tu hai torto, io ho ragione».

     Come poteva la prima e seconda rivolta giudaica avere influenza sulla chiesa primitiva? L’ho spiegato nell’articolo «Lezioni dalla storia 1», e lo chiarisco poi ancora di più in «Lezioni dalla storia 2». Poi, chi vuol dissentire dissentirà, chi vuol concordare concorderà.

     Esiste una cultura biblica? L’argomento portato per dire di no, è proprio quello che invece la conferma, semmai ce ne fosse bisogno. Voglio tralasciare il Vecchio Testamento, dove sarebbe fin troppo facile dimostrare che chi voleva entrare a far parte del popolo del patto doveva conformarsi alle leggi d’Israele. Parlando dunque soltanto del Nuovo, in Atti 15 vediamo che i cristiani gentili devono incominciare a cambiare le loro abitudini «culturali»:

     ■ 1) Prima di At 15 potevano mangiare di tutto, ora invece devono astenersi dalle cose contaminate nei sacrifici agl’idoli. Significava estraniarsi a buona parte della vita sociale di quei tempi. Questo non significa acquisire una cultura biblica?

      ■ 2) Dopo At 15 dovevano astenersi dalla fornicazione. Considerando l’ambiente di quei tempi, non significa forse acquisire una cultura biblica?

     ■ 3) Dopo At 15 dovevano astenersi dalle cose soffocate e dal sangue. Senza approfondire troppo l’argomento, questo significava cambiare le proprie abitudini riguardo al cibo, o almeno porre attenzione a come gli animali venivano macellati. Questo significava lasciare la propria cultura e acquisire quella giudaica, cioè quella biblica!

     ■ 4) Paolo in 1 Cor 11 parla dell’usanza di mettere il velo (le donne). I cristiani gentili, dovevano cambiare la propria mentalità/cultura e acquisire quella giudaica/biblica.

     ■ 5) Un pagano che diventa cristiano, cioè crede che il giudeo Gesù di Nazareth, il Messia, è il suo Salvatore, e che per questo incomincia a leggere la parola ispirata di Dio, facendone regola di fede e comportamento per la vita, per me sta cambiando la propria cultura.

 

Se poi, per «cultura» vogliamo intendere soltanto l’insieme delle tradizioni, il sapere scientifico, letterario e artistico d’un determinato popolo, sono più che mai d’accordo che l’Evangelo non vuole snaturare queste cose, a condizione che esse non siano in conflitto con la verità biblica. Infatti abbiamo scritto un articolo, Nicola e io, dove eravamo concordi nel dire che una cultura sbagliata può influenzare, non solo l’interpretazione biblica, ma anche la traduzione stessa della Bibbia.

     È un grande errore vedere nel cristianesimo di Gerusalemme un modello di cultura biblica dato che durò solo pochi decenni? Faccio presente che bastano pochissimi anni (non decenni) per creare dei modelli; e quello che si è sviluppato a Gerusalemme, fino a prova contraria, lo ritengo essere stato il nonplusultra del modello biblico di chiesa.

     La fede in Gesù è un’eredità giudaica? Sì, lo è, dato che «la loro caduta è la ricchezza del mondo e la loro diminuzione la ricchezza dei Gentili». Se poi se ne sganciò, rimando al mio prossimo articolo «Lezioni dalla storia 2», per vedere la caduta libera in cui è andato incontro il cristianesimo dal suo orgoglioso sganciamento.

     Prendo nota dell’osservazione: «Quello che rimase fu una concettualità generale che in genere non fu espressa neppure in ebraico ma in greco (il NT è stato scritto in greco e non esiste neppure un solo frammento in ebraico!)». Ho già scritto due articoli in questo sito sull’argomento: «Che lingua parlava Gesù?». Probabilmente non sono stati sufficienti a far capire che cosa c’è dietro il testo greco del Nuovo Testamento e in particolare degli Evangeli sinottici. Non è facile abbattere le mura, ma siccome non m’arrendo, ora rimando alla serie di articoli dal titolo: «La lingua degli Ebrei».

     Brevemente: Se i cristiani hanno partecipato alle rivolte giudaiche ne parlo in « «Lezioni dalla storia 2».

     Noto che spesso si parla dei cristiani giudaici come di «poche migliaia». Mettere però l’accento sull’aggettivo indefinito «poche» è fuorviante, perché ogni volta che la Bibbia ne parla vuole sempre indicare una grande quantità e non una piccola quantità; quindi erano molte le migliaia di Giudei che s’erano convertiti a Cristo. Contrariamente, non si parla mai del numero dei cristiani gentili. Forse anche per questo ci sarà un motivo. Le molte migliaia di Giudei convertiti a Cristo, sono proporzionalmente di più dei Gentili convertiti a Cristo, se dovessimo rapportarli alle rispettive popolazioni.

     «Sono quindi convinto che ritenere la cultura ebraica (anche quella del paleo-cristianesimo di Gerusalemme) come “cultura biblica” e “modello culturale” per i cristiani d’oggi sia un abbaglio». Personalmente, ma naturalmente è solo la mia opinione, sono del parere che la cultura ebraica è quella biblica. Ci sono cose della Bibbia che sono praticamente impossibili da interpretare senza conoscere la cultura ebraica. Paolo, in Rm 11 esorta i credenti gentili a non avere un giudizio superiore sui Giudei ma a rimanere umilmente consapevoli che i Giudei sono i rami naturali, cioè la crescita naturale dell’albero. Comunque in «Lezioni dalla storia 3», cercherò di far apprezzare la bellezza della cultura greco-romana di cui 99 cristiani su 100 sono abbagliati.

 

 

3. {Nicola Martella} 

 

Già prima che arrivasse il cristianesimo, c’erano diversi atteggiamenti fra i Gentili che cercavano il Dio vivente: 1) Alcuni si convertivano al giudaismo, accettando il giogo della legge mosaica e delle tradizioni giudaiche; 2) Altri diventavano simpatizzanti o timorati, accettando la fede in Dio e alcune regole morali della Legge, ma non seguivano né i riti né le tradizioni giudaici. C’erano forse anche altre sfaccettature ibride del problema.

     Il giudeo-cristiano Pietro entrò nella casa di Cornelio, solo dopo qualche distinguo: «Voi sapete come non sia lecito ad un Giudeo di aver relazioni con uno straniero o d’entrare da lui» (At 10,28). Infatti, per i Giudei ogni Gentile era un «uomo immondo o contaminato». E questo Pietro lo disse, sebbene Cornelio fosse «pio e temente Dio con tutta la sua casa» (v. 1), sì «uomo giusto e temente Dio e del quale rende buona testimonianza tutta la nazione dei Giudei» (v. 22). Dopo la manifestazione dello Spirito Santo e il battesimo dei convertiti, non si legge che il giudeo-cristiano Pietro avesse imposto loro la cultura giudeo-cristiana. A dire il vero, fu Pietro ad avere difficoltà, una volta tornato a Gerusalemme (At 11,1ss). Pietro spiegò i fatti come erano avvenuti e parlò della manifestazione dello Spirito Santo (vv. 15ss). Essi conclusero: «Dio dunque ha dato il ravvedimento anche ai Gentili affinché abbiano vita» (v. 18). Anche qui non si pose il problema di imporre la cultura giudeo-cristiana ai cristiani gentili.

     La questione si pose solo tempo dopo, quando dei cristiani di stampo farisaico facevano dipendere la salvezza dei cristiani gentili dalla circoncisione (At 15,1) e quindi pretendevano che essi osservassero la legge di Mosè (v. 5). Durante il concilio di Gerusalemme, Pietro fece dipendere invece la questione dalla manifestazione dello Spirito Santo, che purifica «i cuori loro mediante la fede» (vv. 8s), rilevando che tutti Giudei e Gentili sono «salvati per la grazia del Signor Gesù» (v. 11).

     Pietro ritenne che l’intento dei Farisei cristiani costituisse un modo di tentare Dio e ammise che così facendo, si stava «mettendo sul collo dei discepoli un giogo che né i padri nostri né noi abbiamo potuto portare» (v. 10). La cultura derivante dalla Legge era quindi tale giogo pesante e insopportabile (per questo Gesù parlò del suo insegnamento come di un «giogo leggero»). Le quattro cose suggerite da Giacomo — ribadendo che «non si dia molestia a quelli dei Gentili che si convertono a Dio» (v. 19) — servivano a evitare localmente un’occasione di divisione con i Giudei: «Poiché Mosè fin dalle antiche generazioni ha chi lo predica in ogni città, essendo letto nelle sinagoghe ogni sabato» (v. 21). Questo non significava assoggettare i cristiani gentili alla cultura giudeo-cristiana di Gerusalemme, ma intendeva creare un minimo comune denominatore che permettesse ai due gruppi di avere comunione.

     In Rm 14 Paolo evidenziò la legittimità di due stili di vita diversi, accomunati dalla fede nello stesso Signore. I cristiani giudei si attenevano alle prescrizioni alimentari della Legge e osservavano il «giorno» (lo šabbat), i cristiani gentili non avevano questo costume. Paolo non cercò di convincere i cristiani romani, che si incontravano nelle numerose «chiese in casa» (cfr. Rm 16), che la cultura dei cristiani giudaici fosse quella originale e migliore e quindi ingiuntiva per tutti i cristiani. Non cercò neppure di convincere che fosse sbagliatolo stile di vita che ognuno conduceva a casa propria («Tu, la convinzione che hai, serbala per te stesso dinanzi a Dio. Beato colui che non condanna se stesso in quello che approva»; v. 22). La questione si ingenerava quando i due tipi di gruppi con le loro differenti culture avevano comunione e facevano cose comuni; in tale caso, era bene che la parte forte (i cristiani gentili che mangiavano di tutto), avesse riguardo alla parte debole (i cristiani giudei), non ponendo intoppi alla coscienza altrui (vv. 21.23).

     Un tal caso si presenta oggigiorno, ad esempio, laddove credenti italiani hanno comunione con quelli statunitensi. Per questi ultimi bere vino o alcool è peccato. Per riguardo verso tali cristiani astemi non bisogna rinunciare a bere vino a casa propria, ma è bene non farlo quando si mangia insieme a loro.

     I cristiani giudei (e quelli avventisti) osservano il sabato. Altri osservano per tradizione la domenica. Secondo me nel NT non viene comandato un giorno da osservare e non accetto prescrizioni ingiuntive al riguardo. Non ho però difficoltà a concedere agli altri la loro convinzione e a incontrarmi con gli uni o con gli altri nel giorno che essi preferiscono, visto che io stimo «tutti i giorni uguali» (Rm 14,5). L’Evangelo è uno, la «sana dottrina» è una e uno è il «deposito della fede», le culture in cui ciò si innesta possono essere differenti. Nessuna di loro ha la patente della superiorità. «Sia ciascuno pienamente convinto nella propria mente» (Rm 15,5) e lo faccia «per il Signore» (v. 6), senza giudicare disprezzare il suo fratello per la sua diversità culturale (v. 10), senza «porre pietra d’inciampo sulla via del fratello, né essergli occasione di caduta» (v. 13), senza far valere i propri privilegi culturali (v. 16).

 

     Ritornando ad alcune cose dette da Argentino, si noti quanto segue.

     ■ I punti ingiunti ai cristiani gentili avevano come fine la comunione coi i cristiani giudei ed erano solo e soltanto quattro (cfr. At 21,25). È un grave errore partire da una prassi di macellazione per arrivare a dire: «Questo significava lasciare la propria cultura e acquisire quella giudaica, cioè quella biblica!». La cultura di un popolo non si riduce all’astensione da cose soffocate e dal sangue. È altresì sbagliato proiettare in ciò tutta la legge rituale del giudaismo. In At 15 il concilio non richiese ai Gentili di abbandonare «la propria cultura e acquisire quella giudaica», né definì quest’ultima «quella biblica», come invece volevano i cristiani di provenienza giudeo-farisaica (vv. 1.5). Pietro definì tutto ciò, come detto, un «giogo insopportabile» e «tentare Dio» (v. 10).

     ■ Quanto al velo di 1 Cor 11 mi è nuovo che al riguardo i «cristiani gentili, dovevano cambiare la propria mentalità/cultura e acquisire quella giudaica/biblica». Nel giudaismo erano (e sono) i maschi a velarsi il capo. Come molti commentatori dicono di 1 Cor 11, in Corinto c’era il problema delle prostitute. Mai nell’AT e nel NT si parla della velatura delle donne in ambito giudaico. Questo connubio «giudaico/biblico» è ideologico e preoccupante, poiché formulando così le cose si abbandona il terreno dell’oggettività e dell’imparzialità.

     ■ Che lingua parlava Gesù? Con gli Ebrei parlava presumibilmente ebraico, con i Samaritani e Fenici presumibilmente parlava aramaico e con i Greci parlava greco (cfr. Gv 12,20s; la maggior parte dei Giudei viveva nella diaspora e parlava greco; cfr. At 11,20; 14,1; 18,4). Non si sa in che lingua avesse parlato con Pilato, probabilmente greco.

     Che lingua parlavano i credenti della Palestina? Anche nella chiesa di Gerusalemme c’erano Ellenisti ed Ebrei (At 6,1), i primi erano di lingua e cultura greca, i secondi di lingua ebraica e di cultura medio-orientale; ciò rispecchiava il giudaismo etnico di Gerusalemme (At 6,9; 9,29), città allora cosmopolita e multilingue. Pietro non avrà avuto difficoltà a parlare in Cesarea (colonia greco-romana) al romano Cornelio e alla gente di casa sua in greco (At 10,24).

     ■ Argentino ripete continuamente che «la cultura ebraica è quella biblica». E aggiunge che «Ci sono cose della Bibbia che sono praticamente impossibili da interpretare senza conoscere la cultura ebraica». Ho insegnato l’AT per più di vent’anni e penso che ci sia una differenza fra «conoscere la cultura ebraica» e ritenere che quest’ultima sia quella biblica; è un sillogismo incredibile. È poi così impossibile interpretare il NT senza conoscere la cultura ebraica? Se le cose stessero così, Dio avrebbe aggiunto al NT un supplemento di «cultura giudaica» quale chiave ermeneutica.

     E poi quale «cultura ebraica»? Quella rivoluzionaria degli Zeloti? Quella monacale degli Esseni? Quella filo ellenista dei Sadducei? Quella dualista del giudaismo babilonese o quella ellenista di Alessandria d’Egitto? Quella medioevale del Talmud? Quella mistico-esoterica della cabala, dell’alchimia e dello Zoar? Quella sionista? Quella ultraortodossa o quella liberale? Anche la «cultura ebraica» nei secoli è stata sempre variopinta, come lo è attualmente, tanto che si dovrebbe parlare delle «culture giudaiche». Come qualcuno ha scritto il pluralismo religioso, politico e culturale è stato una caratteristica del giudaismo. Ci fermiamo qui, perché il discorso ci porterebbe molto lontano.

 

 

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► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_Cul/T1-Cultura_biblica_giudaismo_Sh.htm

16-02-2007; Aggiornamento: 30-06-2010

 

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