In genere molti cristiani sono troppo distratti dalle vicende della
vita e vivono spesso nell'apatia del tran-tran quotidiano, per
essere scossi a nuovi slanci d'idee e a nuove passioni
intellettuali. Oppure alcuni, quando colpiti da una provocazione di
chi la pensa diversamente, preferiscono lanciare giudizi sommari e
frettolosi nel segreto o fra consenzienti, invece di confrontarsi
apertamente e chiaramente. Perciò, tutto ciò che smuove le acque
dell'apatia, sveglia gli animi sopiti e distratti, accende le menti
e le induce a un franco confronto, non può che essere benvenuto...
anche se al momento potrebbe produrre lavoro, pena e travaglio a chi
pone un problema e si esercita per un rinnovamento. Questo è ciò che
avviene per ogni «nascita» (naturale, spirituale, rinnovamento), sia
per chi produce «nuova vita» (il nuovo, il rinnovamento), sia per
chi coopera affinché tutto vada a buon fine.
Ecco qui di seguito alcuni miei spunti di riflessione.
■ Letargia cristiana:
«Sopporto più l'acceso confronto che la letargia altrui. Infatti uno dei più
grandi problemi di molti cristiani è attualmente l'apatia, non tanto l'acceso
dibattito. Molti, invece di funzionare completamente, preferiscono vivere in
fase "standby", anestetizzati chi da una devozione mistica e interiorista
e chi dal materialismo e dal consumismo. Poi, alcuni di loro, magari quando
escono dalla loro condizione di "ibernazione" momentanea e casualmente vengono
al corrente di qualcosa che li provoca del dibattito in corso, sparano
semplicemente a zero o condannano senz'appello, invece di conoscere prima
a fondo la questione e di confrontarsi poi
in modo serio, competente, rispettoso e razionale».
■
Dinamica del confronto: «Due cristiani “sfregandosi” possono produrre “calore
fraterno”».
■
Motto: «Non lamentarti che la fonte si esaurisca, se tu non
l'alimenti. Non
deplorare
il fuoco che diventa fioco, se
tu non l'attizzi».
■ Metafora: «Gli uomini possono essere paragonati a due laghi
della Palestina: il lago di Galilea (o di Gennezaret) e al mar Morto. Il
primo riceve le acque dal Giordano e le riversa nuovamente in esso. Il
secondo riceve solo le acque, ma non si riempie mai. Il primo è pieno di
vita ed è pescosissimo. Il secondo è salato e privo di vita. Così sono
anche gli uomini: alcuni ricevono, si arricchiscono e contribuiscono al
bene altrui; altri ricevono soltanto, ma rimangono improduttivi.Come
vuoi essere tu?».
■ Fair-play: «Posso dissentire dalla tua opinione, ma hai il diritto
di esporla... se permetterai a un altro di controbatterla. Il confronto
ci aiuterà a chiarirci e a maturare, anche laddove non saremo
d'accordo».
■ Rivelazione e luce: «Dio
ha rivelato se stesso e la verità nella storia e nella sua Parola. Non
tutti però abbiamo la stessa luce riguardo alla verità rivelata. A ciò
si aggiunga che non tutti abbiamo abbastanza luce su tutti gli aspetti
della verità rivelata. Su alcuni aspetti Dio ha preferito non
pronunciarsi e di lasciare ai suoi figli, guidati dallo Spirito Santo,
di trovare soluzioni compatibili con la sua rivelazione, col buon senso
e con la situazione culturale contingente, perché tutto ciò serva al
progresso dell'Evangelo, allo stabilimento della giustizia e al
benessere dei credenti. Le cose importanti sono evidenti e chiare, altre
cose no: per questo ci sono opinioni differenti su alcune cose. Per
questi motivi, il confronto delle idee è cosa importante e necessaria».
■ Costi: «Chi ambisce al
miele, non deve temere le api. A volte può succedere che proporre un
tema o una discussione equivale a mettere la mano in un vespaio. È
sempre un sintomo di povertà intellettuale, quando si iper-reagisce in
modo irrazionale e arrogante alle tesi di un altro, con cui non si è
d'accordo. È però un costo calcolato da chi vuol svegliare il "can che
dorme". È meglio sorbirsi una reazione spropositata, che permette poi di
chiarire il proprio pensiero, che assistere a tante "belle addormentate
nel bosco". L'apatia intellettuale e la mediocrità spirituale sono il
male peggiore».
Perché, quindi, confrontarsi è importante per maturare...
insieme? A voi la parola. Le vostre riflessioni potrebbero aiutare
altri cristiani a confrontarsi in modo sano, onesto, leale e sincero.
Che cosa ne pensate? Quali sono al riguardo le vostre
esperienze, idee e opinioni?
Partecipate alla discussione inviando i vostri contributi al Webmaster
(E-mail)
Attenzione! Non si accettano contributi anonimi o con nickname, ma solo
quelli firmati con nome e cognome! In casi particolari e delicati il
gestore del sito può dare uno pseudonimo, se richiesto.
I contributi sul tema▲ (I contributi
rispecchiano le opinioni personali degli autori. I contributi attivi
hanno uno
sfondo bianco)
Clicca sul lemma desiderato per raggiungere la rubrica sottostante
1.
{Argentino
Quintavalle} ▲
Forse rischio d’andare fuori ma, ma penso che la questione sollevata da Nicola
vada inquadrata in una più ampia: l’unità tra credenti. Uno dei problemi più
grandi nel corpo di Cristo è la mancanza d’unità. Il cristianesimo si è
frammentato in così tanti gruppi e denominazioni che l’efficacia della
testimonianza è in gran parte diminuita. Come possiamo pensare d’insegnare la
verità al mondo, quando la nostra «verità» fa in modo che dissentiamo gli uni
dagli altri? Troppi cristiani sono più preoccupati di dimostrare
d’avere ragione sui propri fratelli piuttosto che essere preoccupati
dell’espansione del corpo di Cristo e d’essere d’edificazione. I Calvinisti
attaccano quelli che non sono Calvinisti; i Battisti attaccano i Presbiteriani,
quelli che non parlano in lingue attaccano quelli che parlano in lingue (e
viceversa); i pre-tribolazionisti combattono i tribolazionisti, gli
amillenaristi sono contro i pre-millenaristi, ecc. Tutta la faccenda è ridicola.
Sicuramente, possiamo avere differenze d’opinione e questo è anche un bene
perché siamo degli esseri pensanti e quindi è giusto avere delle opinioni. Ma le
nostre differenze devono essere espresse con umiltà e con amore. Quando queste
differenze d’opinione diventano più importanti dell’unità nel corpo di Cristo,
allora significa che l’idolatria ha iniziato a strisciare non solo nella chiesa
ma anche nei nostri cuori. La Bibbia ci dice di conservare l’unità nel corpo.
Leggiamo con attenzione ciò che segue: «Io dunque, il carcerato nel Signore,
v’esorto a condurvi in modo degno della vocazione che vi è stata rivolta, con
ogni umiltà e mansuetudine, con longanimità, sopportandovi gli uni gli altri con
amore, studiandovi di conservare l’unità dello Spirito col vincolo della pace.
V’è un corpo unico e un unico Spirito, come pure siete stati chiamati a un’unica
speranza, quella della vostra vocazione. V’è un solo Signore, una sola fede, un
solo battesimo, un Dio unico e Padre di tutti, che è sopra tutti, fra tutti e in
tutti. Ma a ciascun di noi la grazia è stata data secondo la misura del dono
largito da Cristo… per il perfezionamento dei santi, per l’opera del ministero,
per la edificazione del corpo di Cristo, finché tutti siamo arrivati all’unità
della fede e della piena conoscenza del Figlio di Dio, allo stato d’uomini
fatti, all’altezza della statura perfetta di Cristo» (Ef 4,1–7.12s). Il comandamento riguarda l’unità. Naturalmente, l’unità
non è mai a discapito degli elementi essenziali. Gli elementi essenziali della
fede sono quelli che ci fanno essere cristiani: la natura divina di Cristo, il
suo sacrificio espiatorio, la sua risurrezione fisica e la salvezza per grazia.
È la nostra fede nell’opera di Cristo, Dio fattosi carne, che ci fa essere
cristiani, non se crediamo in maniera diversa sul rapimento, sulla
predestinazione, sui canti del culto, sulla tribolazione, ecc. Siccome siamo
salvati dallo stesso Signore Gesù, è a lui che dobbiamo guardare ricordando la
sua umiltà. Non possiamo essere uniti se eleviamo noi stessi e le nostre
dottrine non essenziali come se fossero essenziali per la comunione fraterna. Questo non significa tollerare l’errore nella chiesa.
Ma l’umiltà consiste guardare un altro e dirgli: «Quello che dici potrebbe anche
essere giusto, mettiamoci seduti e discutiamone». Oppure: «Io credo che stai
sbagliando, ma adesso ti dico perché». Le tenebre vengono scacciate dalla luce,
così l’errore si combatte con la verità, non con i dogmi o con l’isolamento di
chi la pensa diversamente. L’umiltà è quando consideriamo con rispetto il nostro
interlocutore. L’umiltà è quando ammettiamo che il Signore opera con un altro e
non solo attraverso di noi, e l’unità è per la gloria di Dio e a favore del suo
regno. Da qui le parole dell’apostolo Paolo: «Chi sei tu
che giudichi il domestico altrui? Se sta in piedi o se cade è cosa che riguarda
il suo padrone; ma egli sarà tenuto in piè, perché il Signore è potente da farlo
stare in piè. L’uno stima un giorno più d’un altro; l’altro stima tutti i giorni
uguali; sia ciascuno pienamente convinto nella propria mente. Chi ha riguardo al
giorno, lo fa per il Signore; e chi mangia di tutto, lo fa per il Signore,
poiché rende grazie a Dio; e chi non mangia di tutto fa così per il Signore, e
rende grazie a Dio» (Rm 14,4ss). Perché l’unità è così importante? Per due ragioni.
Primo, l’unità significa tenere un comportamento umile gli uni con gli altri, e
questo piace al Signore e gli dà gloria. Secondo, la gente va diritta incontro
alla condanna e ha bisogno dell’Evangelo. Corriamo il rischio d’essere talmente
preoccupati per le nostre dottrine non essenziali che distogliamo gli occhi
dall’evangelizzazione, la quale è impedita dai nostri bisticci e divisioni.
Dobbiamo permettere al nemico di seminare il disaccordo tra le nostre file in
modo di combatterci gli uni gli altri anziché combattere contro di lui? O
dovremmo raccogliere i nostri doni, i nostri talenti, le nostre capacità, le
nostre risorse e dirigerli per andare a raggiungere quelli che sono persi e per
edificare i nostri fratelli? Dopo tutto, sul trono di Dio non c’è né un
Battista, né un Calvinista, né un Pentecostale, né un Fratello, ecc., ma c’è
Gesù di Nazaret, il Messia giudeo. Possa il Signore avere clemenza di noi e possa far sì
che rivolgiamo il nostro sguardo verso di lui e gli chiediamo d’utilizzarci, con
umiltà, in modo che i nostri cuori sentano la necessità di predicare Cristo
innanzitutto, al di là delle nostre differenze confessionali, e lontani dalle
cose non essenziali. Al Signore sia la gloria!
2. {Nicola
Martella} ▲
Dio ha rivelato nella sua Parola alcune questioni in modo chiaro ed evidente. Al
riguardo c’è una grande sintonia di vedute tra i cristiani. Le opinioni possono
variare qui tutt’al più nei dettagli. Altre questioni sono invece meno evidenti e al riguardo
c’è una grande varietà di convinzioni. Alcuni vogliono essere anche qui rigorosi
e intransigenti, confondendo le proprie convinzioni con la verità stessa. Essi
vogliono che anche in tali cose ci sia una sola opinione: la propria o quella
del proprio gruppo di riferimento. Confrontandomi con altri, ho visto che i seguenti
aspetti sono controproducenti ai fini di un dialogo, basato sul rispetto
reciproco e sulla Parola di Dio. ■ Non bisogna usare argomentazioni generiche. Lo
fa chi presenta continuamente il suo pensiero, ma non dialoga veramente con i
suoi interlocutori. Perciò non mostra in che cosa gli argomenti altrui, che non
condivide, sono poco fondati, né fa obiezioni di merito ad essi. ■ Non bisogna pretendere l’autorità biblica per
le proprie tesi. Alcuni, invece di dimostrare ciò che affermano, argomentano
semplicemente reclamando per sé e le proprie tesi l’autorità della Bibbia o di
Dio. Ciò mostra solo la fragilità degli argomenti posseduti. La forza delle
proprie argomentazioni deve venire da una corretta esegesi e da dimostrazioni
pertinenti e stringenti. ■ Non bisogna usare argomentazioni massimaliste.
Usa questo modo di fare chi riduce il vasto spettro di un certo fenomeno o
problema a un solo aspetto, spesso estremizzato, escludendo a priori tutti gli
altri aspetti concomitanti e le varie gradazioni del fenomeno. ■ Non bisogna usare argomentazioni integraliste.
Si mette il rigore dottrinale o morale come principio assoluto e lo si fa
corrispondere alla propria tesi. Tutte le altre asserzioni della Scrittura su
tale fenomeno, tema o problema vengono assoggettate a tale convinzione e di
conseguenza relativizzate dialetticamente. Il motto è qui: «Ciò che non
dev’essere, non può essere». L’integralista invece di argomentare, predica; a
ciò si aggiunga che ripete in modo ciclico sempre lo stesso concetto. Chi non la
pensa come lui, è guardato con sospetto e, per quanto possibile, tenuto a
distanza. ■ Non bisogna usare argomentazioni esegeticamente
scorrette. Fare una lista di versi che corroborano la propria tesi, evitando
di menzionare e di discutere quei versi che affermano qualcosa di diverso, ma
che spesso si trovano nello stesso contesto, è scorretto. La «versettologia» —
un’argomentazione dottrinale basata su una lista di versi tolti dal loro
contesto storico, letterario e culturale — non può sostituire un’argomentazione
basata sull’esegesi. Neanche le esperienze possono sostituirsi a ciò. ■ Non bisogna usare argomentazioni con implicazioni
ingiuste dal punto di vista dottrinale, etico, culturale e pastorale. Non
bisogna mettere pesi sugli altri solo perché ciò corrisponde alla propria
sensibilità morale e culturale (cfr. At 15,1.5), né bisogna far corrispondere
quest’ultima semplicemente a ciò che è «biblico», se nella Bibbia non ci sono
asserzioni chiare e incontrovertibili richieste ai credenti del nuovo patto. Ad
esempio, la cultura occidentale dei cristiani non è semplicemente «biblica», né
sono semplicemente «biblici» la loro sensibilità morale e il loro approccio
dottrinale. Chi si ritiene «forte», guardi che con la sua intransigenza non
metta un inciampo dinanzi a chi è «debole» (Rm 14). Ciò che si afferma,
dev’essere praticabile, deve costituire un aiuto pastorale concreto e deve
servire a uscire dal problema. ■ Non bisogna usare argomentazioni teologiche di
parte. Chi invoca per le proprie tesi l’autorità della Scrittura, credendo
così di dare maggiore autorità alla proprie idee, mostra di avere
un’argomentazione debole. Sbaglia altresì chi argomenta affermando che «Dio gli
ha parlato» o che «lo Spirito Santo lo ha convinto». È pericoloso tirare
Dio dalla propria parte pur di stare nella «ragione»! «Tagliare rettamente la
Paroladella verità» (2 Tm 2,15) significa presentare tutti gli
aspetti di una questione, invece di semplificarla alla propria tesi, per la
quale ci si arroga di parlare da parte di Dio. Quando su un certo tema ci sono
posizioni differenti tra persone legate alla Bibbia e rispettosa di essa, ciò
mostra che le semplificazioni non sono opportune al riguardo, e chi semplifica
lo fa per ideologia. In tali casi si fa bene prima a mostrare tutti gli aspetti
del problema e poi ad argomentare per la propria tesi. ■ Non bisogna usare argomentazioni ideologiche.
Chi cita un verso per la propria tesi e non menzionare che nello stesso contesto
ci sono aspetti differenti da essa, fa ideologia. La fa anche chi cita solo uno
dei principi generali di una questione dottrinale o morale, ed evita di dire che
ci sono al riguardo eccezioni nei casi particolari (cfr. qui il divorzio). Chi
enuncia qualcosa e trascura il contesto, oltre a mostrare la sua incapacità di
un’analisi esegetica corretta, produce ideologia dottrinale di parte, che è uno
dei sintomi di ogni integralismo.
L’integralismo dottrinale ed etico ha anche delle conseguenze. Esso
parte dall’intransigenza, si rafforza con la «versettologia» e con una
lettura unilaterale della Scrittura (prescindendo da una corretta
esegesi), produce sempre sistemi rigidi e ingiusti (non distinguendo la
varietà delle asserzioni o i principi generali e le relative eccezioni)
e si mostra inadatto a risolvere veramente situazioni concrete. In
contesti integralisti, ad esempio, coloro che necessitano di aiuto
pastorale, perché vittime degli altrui soprusi (p.es. coniugi
fedifraghi, adulteri o violenti), sono spesso tenuti in un labirinto
ideologico-dottrinale da parte di chi, così insegnando, si appella al
riguardo alla «volontà di Dio». In molte situazioni, si costringe le
vittime a vivere nella disperazione, sebbene i loro carnefici (i loro
coniugi) non hanno nessuna intenzione di mutare mentalità e
comportamento. L’antidoto migliore contro ogni integralismo
dottrinale o etico è una corretta esegesi che rispetti il testo nel suo contesto
(linguistico, letterario, storico, culturale), lo sviluppo della rivelazione e
la varietà delle testimonianze bibliche su un dato argomento. Ciò significa,
partendo da una vasta e profonda conoscenza della Bibbia stessa, non considerare
il pensiero e le pratiche dei cristiani occidentali semplicemente come biblici e
normativi. Chi proietta nella Bibbia il proprio pensiero, le proprie
convinzioni, le proprie pratiche morali e i propri costumi ecclesiali, poi
pretenderà di ritrovarceli. La «versettologia» e la «teologia dell’esperienza»
sono al riguardo utili servitrici degli ideologi, ma pessime maestre di verità.
3.
{Tonino Mele} ▲
Riguardo al «confrontarsi per maturare» credo che Argentino abbia fatto bene a
mettere in evidenza il quadro di riferimento di questa tematica, visto gli abusi
a cui può portare. È fin troppo facile scadere in un ipercriticismo lesivo e
poco edificante. Bisogna chiarire le finalità positive del confronto e cercare
di perseguirle, soprattutto quando le cose ci stanno sfuggendo di mano. Del
resto, il tema è stato presentato come un confronto che abbia in se il parametro
della «maturazione». E visto il carattere intellettuale che, tra l’altro, Nicola
ha dato a questo tema, quando parla di «nuovi slanci d’idee» e di «nuove
passioni intellettuali» credo che non siamo molto lontani dal concetto di
«dialettica», dove una tesi e un antitesi si confrontano per raggiungere una
sintesi. Lo scopo non è quello di creare infinite tesi e antitesi, e quindi una
discordia infinita, ma l’obiettivo è quello d’arrivare a una sintesi, dove le
tesi contrapposte si fondono. Il confronto crea l’unità, però bisogna
capire bene di che tipo di «confronto» stiamo parlando. Jacques e Claire Poujol
fanno bene a distinguere la dialettica dal conflitto. Essi dicono: «La
dialettica è una intellettualizzazione delle contraddizioni, una visione dello
spirito… in un conflitto, le contraddizioni, lungi dall’essere risolte in una
sintesi, creano e suscitano nuovi disaccordi e così all’infinito» (J. e C.
Poujol, I conflitti [GBU, Roma 1998], p. 22). Il conflitto poi, si tinge
molto spesso d’atteggiamenti irrazionali, dettati più dalle passioni e dai
sentimenti che dalla ragione. Il rigore logico cede il campo ai «calci di
rigore» e tutto assume il sapore della rivalsa. Viceversa, il vero confronto,
non mira alla disgregazione, ma all’unità. Personalmente ho sempre cercato di rispettare la
seguente etica del confronto. ■ Non fare delle tue ragioni un motivo per prevalere
sull’altro: «Tieniti attaccato alla tua idea, se sei sicuro che sia giusta,
ma senza cavalcarla fino alla morte. Sii un dissenziente allegro ed esprimi il
tuo disaccordo cordialmente e caritatevolmente». «Se poi, sei disposto a morire
per la tua idea, non uccidere nessuno per essa». «Se infine, nessuno t’ascolta,
non morirne, ma vivi per la tua idea». ■ Non avere la presunzione di possedere tutta la
verità: «Quando si vuol correggere utilmente qualcuno e mostrargli che
sbaglia, conviene prima osservare da quale lato egli consideri la cosa, perché
di solito da quel lato è vera e riconoscergliene la verità, ma in pari tempo
mostrargli per quale aspetto essa è falsa» (Pascal). ■ Mira sempre a un dialogo costruttivo e personale:
«Il vero dialogo è inevitabilmente l’affrontarsi di due personalità diverse, che
hanno entrambe il loro passato, la loro educazione, le loro concezioni di vita,
i loro pregiudizi, le loro manie e i loro difetti» (Paul Tournier).
«Nell’istante del vero dialogo, della comunione intima e personale, è
ineluttabile una presa di posizione, in un gesto autentico e responsabile in cui
la personalità si svela» (Paul Tournier).
Comunque, non solo il confronto, ma anche il concetto d’unità ha bisogno d’un
quadro di riferimento, che è la verità (Ef 4,15). E la verità ha bisogno anche
del confronto per essere messa in luce. Esiste poi un aspetto dinamico
dell’unità che lascia ampio margine al confronto sereno e costruttivo.
Proprio il testo d’Ef 4,1-16 lascia intendere che l’unità non è solo un dato
statico, un pacchetto regalo che va conservato intatto nel tempo, ma è anche
una meta, un punto d’arrivo, un qualcosa che è di là da venire. Paolo parla d’unità
dello Spirito che va
conservata (v. 3), ma poi parla anche d’unità della fede a cui
tutti dobbiamo giungere (v. 13). Ed è in quest’aspetto dinamico che
s’inseriscono le altre metafore dell’edificio che s’edifica (vv. 12.16) e
del corpo che si sviluppa (v. 16). La costruzione d’un edificio e la
maturazione d’un corpo richiamano, tra l’altro, alla mente anche la fatica, le
contraddizioni e la sofferenza tipica del cambiamento e dello sviluppo. Anche
per questo, il confronto vero, non solo intellettuale, ma pure spirituale, può
avere un suo efficace ruolo. Infine, fa parte di questo processo, la varietà dei
doni spirituali (vv. 7-11), che, appunto per la loro diversità possono
generare quel confronto salutare di cui stiamo parlando. Ben venga dunque un confronto sereno e costruttivo, che
metta in campo doni e sensibilità diverse, se il punto d’approdo è la
maturazione del corpo di Cristo.
4.
{Nicola
Martella} ▲
Apprezzo il saggio contributo di Tonino Mele. Posso sottoscrivere pressoché
tutto. È evidente che egli non aveva ancora letto il mio ultimo contributo,
quando scrisse il suo, non facendovi per nulla riferimento. Faccio presente che
non posso riconoscermi nella seguente frase: «E visto il carattere
intellettuale che, tra l’altro, Nicola ha dato a questo tema, quando parla di
"nuovi slanci d’idee" e di "nuove passioni intellettuali" credo che non siamo
molto lontani dal concetto di "dialettica", dove una tesi e un antitesi si
confrontano per raggiungere una sintesi». Rileggiamo l'intera frase:
«In genere molti
cristiani sono troppo distratti dalle vicende della vita e vivono spesso
nell'apatia del tran-tran quotidiano, per essere scossi a nuovi slanci d'idee e
a nuove passioni intellettuali». Essa è la frase d'esordio del tema e quindi non
è di per sé una tesi. Non intende esprimere una «(infinita) dialettica senza
verità», ma solo in modo introduttivo una constatazione di uno stato di cose
generale (apatia del tran-tran quotidiano) che impedisce spesso di volare alto
(nuovi slanci d'idee, nuove passioni intellettuali). Attribuire a tale frase di
più mi pare dubbio, se non capzioso. Per uscire da tale specie di «letargo»
spirituale e intellettuale, c'è spesso bisogno di una buona dose di provocazione,
ossia di uno stimolo forte che faccia scuotere e richiami alla propria vocazione
di sentinella.
Il confronto delle idee è necessario alla maturazione di
tutti i partecipanti e comunque utile. Le «barricate», dietro cui trincerarsi, e
le «torri d'avorio», in cui rifugiarsi solitario, non hanno mai giovato alla
ricerca della verità. Lo scopo è appunto la ricerca della verità e non un
conflitto perenne né una dialettica che relativizzi tutto. Il fine del dialogo non è arrivare a un'artificiosa
«sintesi», che chiamerei «omologazione delle idee» (o addirittura
«yogurtizzazione delle opinioni»), ma «l'unità»: essa è possibile da raggiungere
solo laddove si comprende e si accetta la diversità dell'altro (cfr. Rm 14). Per il resto Tonino dice cose sagge e sottoscrivibili.
5.
{Tonino Mele} ▲
Capisco la precisazione di Nicola e, come direbbe Pascal, «dal lato in cui egli
considera la cosa, essa è vera». Ha ragione nel prendere le distanze da una
«dialettica che relativizza tutto», da una «sintesi artificiosa», che «omologa
le idee» e «yogurtizza le opinioni». Comunque, non liquiderei troppo in fretta
il «metodo dialettico». Mi rendo conto delle sovrastrutture ideologiche che sono
state costruite su questo metodo (hegelismo, razionalismo, marxismo). Credo però
che bisogna distinguere il metodo
dal sistema ideologico. I «sistemi dialettici» hanno portato a «visioni
del mondo» che hanno relativizzato la verità e dato troppa importanza alla
ragione. Non possiamo certo accettare un sistema che relativizza ogni assoluto
ed estromette Dio dalla realtà (razionalismo) e dalla storia (marxismo). Il
metodo dialettico è invece un modo di ragionare che nel nostro caso può tornare
utile proprio alla ricerca della verità. Ricordiamo da dove siamo partiti. Non stiamo parlando
di verità assolute, chiare ed evidenti dalla Rivelazione, ma di verità in
chiaroscuro, verità da mettere in luce, rappresentazioni della verità, opinioni
intorno alla verità, che tendono a dividere e frammentare il corpo di Cristo.
Mentre per le verità evidenti s’addice più la categoria della non
contraddizione, dove una tesi non può essere vera allo stesso modo e allo
stesso tempo della sua tesi contraria, per le verità meno evidenti, dove non è
certo il limite tra la loro essenza e la nostra rappresentazione d’essa, per
queste «verità», credo che s’addica più la categoria della contraddizione,
dove, tesi contrapposte (tesi e antitesi) si fronteggiano, per arrivare alla
verità (sintesi). Per quest’ultimo caso, vale il metodo del confronto,
in quanto, la verità non è possesso esclusivo di nessuno, ma va ricercata. Per
il primo caso, invece, dovrebbe valere soprattutto il metodo dell’annuncio,
in quanto, la verità è data e va solo comunicata. Qui è giusto predicare, essere
autorevoli e se vogliamo, integralisti. Nell’ambito del confronto, invece
bisogna fare un passo indietro, non arrogarci un’autorità che non ci è data, ma
argomentare umilmente e serenamente la nostra tesi ed esser in pari tempo
propensi ad ascoltare le ragioni altrui. «Con stima e rispetto» uso dire io. Un
vero confronto non produrrà mai una «sintesi artificiosa», ma una verità,
che tiene conto dei suoi vari aspetti (spesso contrapposti) e infine l’unità.
Non una verità di ripiego, una verità sacrificata sull’altare dell’unità (quale
poi non si sa), ma una verità per intero, senza compromessi e infingimenti. Del
resto, un altro modo per definire la sintesi è quello di «unità degli opposti»,
dove questi, anziché omologarsi, non cessano d’essere tali, ma trovano il modo
di stare insieme. Tra l’altro, mi pare che sia questo il modo di maturare
insieme, lasciandosi alle spalle ogni atteggiamento di parte. Per il resto, mi riconosco in quanto Nicola dice sulla
correttezza del confronto. Non bisogna bluffare ne sotto l’aspetto esegetico, ne
in altro modo. Questo modo di fare, non solo ci allontana dalla verità, ma non
giova a nessuno, perché non porta a nessuna maturazione, radicalizza le
posizioni e acuisce la disgregazione del corpo di Cristo.
6.
{Nicola
Martella} ▲
Di là dalle divergenze d'opinione su questo o quel filone tematico, quando i
cristiani discutono, hanno tanto in comune. Spesso si confrontano su un
particolare e dimenticano il vasto orizzonte; si concentrano su qualche «osso
duro», su cui si consumano i denti, e trascurano la «polpa»! In ogni modo, penso
che il fatto di poter discutere anche con veemenza d'argomenti, ma pur sempre
con rispetto, sia un fatto molto positivo per chi discute e per chi ci legge.
Poi nelle discussioni dei cristiani non ci devono essere per forza vincitori e
vinti, ma libertà di porre i propri convincimenti sulla base della Bibbia, di
discuterli con l'altro, di confrontarsi e, se necessario, di modificare alcune
cose. Quando si discute accesamente, si pensa che l'altro sia agli antipodi
rispetto alle proprie opinioni, ma spesso non è così. Le cose in comune sono
maggiori di quelle in cui divergono; non bisogna mai dimenticare le proporzioni
né invertire la piramide. Si può avere un'altra opinione o un altro
convincimento, ma non sempre si è agli antipodi rispetto all'altro. Anzi,
discutendo insieme si "rischia" di assomigliare sempre più all'altro.
7. {}
▲
8. {}
▲
9. {}
▲
10. {}
▲
11. {}
▲
12. {}
▲
► URL:
http://puntoacroce.altervista.org/_Cul/T1-Confrontarsi_maturare_UnV.htm
02-03-07; Aggiornamento: 23-06-07 |