Un taglio netto alle convenzioni anti-bibliche e pseudo-bibliche, all'ignoranza e alle speculazioni — Ein klarer Schnitt zu den anti-biblischen und pseudo-biblischen Konventionen, zur Unwissenheit und den Spekulationen — A clean cut to the anti-biblical and pseudo-biblical conventions, to the ignorance and the speculations — Une coupe nette aux conventions anti-bibliques et pseudo-bibliques, à l'ignorance et aux spéculations — Un corte neto a las convenciones anti-bíblicas y pseudo-bíblicas, a la ignorancia y a las especulaciones

La fede che pensa — Accettare la sfida nel nostro tempo

«Glaube gegen den Strom»: Für das biblische Unterscheidungsvermögen — «Faith countercurrent»: For the biblical discernment — «Foi contre-courant»: Pour le discernement biblique — «Fe contracorriente»: Por el discernimiento bíblico

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Le diversità possono essere una risorsa oppure diventano un problema.

 

Ecco le parti principali:
■ Entriamo in tema (il problema)
■ Uniti nella verità
■ Le diversità quale risorsa
■ Le diversità e le divisioni
■ Aspetti connessi.

 

Il libro è adatto primariamente per conduttori di chiesa, per diaconi e per collaboratori attivi; si presta pure per il confronto fra leader e per la formazione dei collaboratori. È un libro utile per le «menti pensanti» che vogliano rinnovare la propria chiesa, mettendo a fuoco le cose essenziali dichiarate dal NT.

 

► Vedi al riguardo la recensione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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CONFRONTARSI PER MATURARE INSIEME

 

 a cura di Nicola Martella

 

In genere molti cristiani sono troppo distratti dalle vicende della vita e vivono spesso nell'apatia del tran-tran quotidiano, per essere scossi a nuovi slanci d'idee e a nuove passioni intellettuali. Oppure alcuni, quando colpiti da una provocazione di chi la pensa diversamente, preferiscono lanciare giudizi sommari e frettolosi nel segreto o fra consenzienti, invece di confrontarsi apertamente e chiaramente. Perciò, tutto ciò che smuove le acque dell'apatia, sveglia gli animi sopiti e distratti, accende le menti e le induce a un franco confronto, non può che essere benvenuto... anche se al momento potrebbe produrre lavoro, pena e travaglio a chi pone un problema e si esercita per un rinnovamento. Questo è ciò che avviene per ogni «nascita» (naturale, spirituale, rinnovamento), sia per chi produce «nuova vita» (il nuovo, il rinnovamento), sia per chi coopera affinché tutto vada a buon fine.
    Ecco qui di seguito alcuni miei spunti di riflessione.
     Letargia cristiana: «Sopporto più l'acceso confronto che la letargia altrui. Infatti uno dei più grandi problemi di molti cristiani è attualmente l'apatia, non tanto l'acceso dibattito. Molti, invece di funzionare completamente, preferiscono vivere in fase "standby", anestetizzati chi da una devozione mistica e interiorista  e chi dal materialismo e dal consumismo. Poi, alcuni di loro, magari quando escono dalla loro condizione di "ibernazione" momentanea e casualmente vengono al corrente di qualcosa che li provoca del dibattito in corso, sparano semplicemente a zero o condannano senz'appello, invece di conoscere prima a fondo la questione e di confrontarsi poi in modo serio, competente, rispettoso e razionale».

     Dinamica del confronto: «Due cristiani “sfregandosi” possono produrre “calore fraterno”».

     Motto: «Non lamentarti che la fonte si esaurisca, se tu non l'alimenti. Non deplorare il fuoco che diventa fioco, se tu non l'attizzi».

     Metafora: «Gli uomini possono essere paragonati a due laghi della Palestina: il lago di Galilea (o di Gennezaret) e al mar Morto. Il primo riceve le acque dal Giordano e le riversa nuovamente in esso. Il secondo riceve solo le acque, ma non si riempie mai. Il primo è pieno di vita ed è pescosissimo. Il secondo è salato e privo di vita. Così sono anche gli uomini: alcuni ricevono, si arricchiscono e contribuiscono al bene altrui; altri ricevono soltanto, ma rimangono improduttivi.Come vuoi essere tu?».

     Fair-play: «Posso dissentire dalla tua opinione, ma hai il diritto di esporla... se permetterai a un altro di controbatterla. Il confronto ci aiuterà a chiarirci e a maturare, anche laddove non saremo d'accordo».

     Rivelazione e luce: «Dio ha rivelato se stesso e la verità nella storia e nella sua Parola. Non tutti però abbiamo la stessa luce riguardo alla verità rivelata. A ciò si aggiunga che non tutti abbiamo abbastanza luce su tutti gli aspetti della verità rivelata. Su alcuni aspetti Dio ha preferito non pronunciarsi e di lasciare ai suoi figli, guidati dallo Spirito Santo, di trovare soluzioni compatibili con la sua rivelazione, col buon senso e con la situazione culturale contingente, perché tutto ciò serva al progresso dell'Evangelo, allo stabilimento della giustizia e al benessere dei credenti. Le cose importanti sono evidenti e chiare, altre cose no: per questo ci sono opinioni differenti su alcune cose. Per questi motivi, il confronto delle idee è cosa importante e necessaria».

     Costi: «Chi ambisce al miele, non deve temere le api. A volte può succedere che proporre un tema o una discussione equivale a mettere la mano in un vespaio. È sempre un sintomo di povertà intellettuale, quando si iper-reagisce in modo irrazionale e arrogante alle tesi di un altro, con cui non si è d'accordo. È però un costo calcolato da chi vuol svegliare il "can che dorme". È meglio sorbirsi una reazione spropositata, che permette poi di chiarire il proprio pensiero, che assistere a tante "belle addormentate nel bosco". L'apatia intellettuale e la mediocrità spirituale sono il male peggiore».

    Perché, quindi, confrontarsi è importante per maturare... insieme? A voi la parola. Le vostre riflessioni potrebbero aiutare altri cristiani a confrontarsi in modo sano, onesto, leale e sincero.

 

     Che cosa ne pensate? Quali sono al riguardo le vostre esperienze, idee e opinioni?

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I contributi sul tema

(I contributi rispecchiano le opinioni personali degli autori.

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1. A. Quintavalle

2. Nicola Martella

3. Tonino Mele

4. Nicola Martella

5. Tonino Mele

6. Nicola Martella

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1. {Argentino Quintavalle} ▲

 

Forse rischio d’andare fuori ma, ma penso che la questione sollevata da Nicola vada inquadrata in una più ampia: l’unità tra credenti. Uno dei problemi più grandi nel corpo di Cristo è la mancanza d’unità. Il cristianesimo si è frammentato in così tanti gruppi e denominazioni che l’efficacia della testimonianza è in gran parte diminuita. Come possiamo pensare d’insegnare la verità al mondo, quando la nostra «verità» fa in modo che dissentiamo gli uni dagli altri?

     Troppi cristiani sono più preoccupati di dimostrare d’avere ragione sui propri fratelli piuttosto che essere preoccupati dell’espansione del corpo di Cristo e d’essere d’edificazione. I Calvinisti attaccano quelli che non sono Calvinisti; i Battisti attaccano i Presbiteriani, quelli che non parlano in lingue attaccano quelli che parlano in lingue (e viceversa); i pre-tribolazionisti combattono i tribolazionisti, gli amillenaristi sono contro i pre-millenaristi, ecc. Tutta la faccenda è ridicola. Sicuramente, possiamo avere differenze d’opinione e questo è anche un bene perché siamo degli esseri pensanti e quindi è giusto avere delle opinioni. Ma le nostre differenze devono essere espresse con umiltà e con amore. Quando queste differenze d’opinione diventano più importanti dell’unità nel corpo di Cristo, allora significa che l’idolatria ha iniziato a strisciare non solo nella chiesa ma anche nei nostri cuori.

     La Bibbia ci dice di conservare l’unità nel corpo. Leggiamo con attenzione ciò che segue: «Io dunque, il carcerato nel Signore, v’esorto a condurvi in modo degno della vocazione che vi è stata rivolta, con ogni umiltà e mansuetudine, con longanimità, sopportandovi gli uni gli altri con amore, studiandovi di conservare l’unità dello Spirito col vincolo della pace. V’è un corpo unico e un unico Spirito, come pure siete stati chiamati a un’unica speranza, quella della vostra vocazione. V’è un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo, un Dio unico e Padre di tutti, che è sopra tutti, fra tutti e in tutti. Ma a ciascun di noi la grazia è stata data secondo la misura del dono largito da Cristo… per il perfezionamento dei santi, per l’opera del ministero, per la edificazione del corpo di Cristo, finché tutti siamo arrivati all’unità della fede e della piena conoscenza del Figlio di Dio, allo stato d’uomini fatti, all’altezza della statura perfetta di Cristo» (Ef 4,1–7.12s).

     Il comandamento riguarda l’unità. Naturalmente, l’unità non è mai a discapito degli elementi essenziali. Gli elementi essenziali della fede sono quelli che ci fanno essere cristiani: la natura divina di Cristo, il suo sacrificio espiatorio, la sua risurrezione fisica e la salvezza per grazia. È la nostra fede nell’opera di Cristo, Dio fattosi carne, che ci fa essere cristiani, non se crediamo in maniera diversa sul rapimento, sulla predestinazione, sui canti del culto, sulla tribolazione, ecc. Siccome siamo salvati dallo stesso Signore Gesù, è a lui che dobbiamo guardare ricordando la sua umiltà. Non possiamo essere uniti se eleviamo noi stessi e le nostre dottrine non essenziali come se fossero essenziali per la comunione fraterna.

     Questo non significa tollerare l’errore nella chiesa. Ma l’umiltà consiste guardare un altro e dirgli: «Quello che dici potrebbe anche essere giusto, mettiamoci seduti e discutiamone». Oppure: «Io credo che stai sbagliando, ma adesso ti dico perché». Le tenebre vengono scacciate dalla luce, così l’errore si combatte con la verità, non con i dogmi o con l’isolamento di chi la pensa diversamente. L’umiltà è quando consideriamo con rispetto il nostro interlocutore. L’umiltà è quando ammettiamo che il Signore opera con un altro e non solo attraverso di noi, e l’unità è per la gloria di Dio e a favore del suo regno.

     Da qui le parole dell’apostolo Paolo: «Chi sei tu che giudichi il domestico altrui? Se sta in piedi o se cade è cosa che riguarda il suo padrone; ma egli sarà tenuto in piè, perché il Signore è potente da farlo stare in piè. L’uno stima un giorno più d’un altro; l’altro stima tutti i giorni uguali; sia ciascuno pienamente convinto nella propria mente. Chi ha riguardo al giorno, lo fa per il Signore; e chi mangia di tutto, lo fa per il Signore, poiché rende grazie a Dio; e chi non mangia di tutto fa così per il Signore, e rende grazie a Dio» (Rm 14,4ss).

     Perché l’unità è così importante? Per due ragioni. Primo, l’unità significa tenere un comportamento umile gli uni con gli altri, e questo piace al Signore e gli dà gloria. Secondo, la gente va diritta incontro alla condanna e ha bisogno dell’Evangelo. Corriamo il rischio d’essere talmente preoccupati per le nostre dottrine non essenziali che distogliamo gli occhi dall’evangelizzazione, la quale è impedita dai nostri bisticci e divisioni. Dobbiamo permettere al nemico di seminare il disaccordo tra le nostre file in modo di combatterci gli uni gli altri anziché combattere contro di lui? O dovremmo raccogliere i nostri doni, i nostri talenti, le nostre capacità, le nostre risorse e dirigerli per andare a raggiungere quelli che sono persi e per edificare i nostri fratelli? Dopo tutto, sul trono di Dio non c’è né un Battista, né un Calvinista, né un Pentecostale, né un Fratello, ecc., ma c’è Gesù di Nazaret, il Messia giudeo.

     Possa il Signore avere clemenza di noi e possa far sì che rivolgiamo il nostro sguardo verso di lui e gli chiediamo d’utilizzarci, con umiltà, in modo che i nostri cuori sentano la necessità di predicare Cristo innanzitutto, al di là delle nostre differenze confessionali, e lontani dalle cose non essenziali. Al Signore sia la gloria!

 

 

2. {Nicola Martella} 

 

Dio ha rivelato nella sua Parola alcune questioni in modo chiaro ed evidente. Al riguardo c’è una grande sintonia di vedute tra i cristiani. Le opinioni possono variare qui tutt’al più nei dettagli.

     Altre questioni sono invece meno evidenti e al riguardo c’è una grande varietà di convinzioni. Alcuni vogliono essere anche qui rigorosi e intransigenti, confondendo le proprie convinzioni con la verità stessa. Essi vogliono che anche in tali cose ci sia una sola opinione: la propria o quella del proprio gruppo di riferimento.

     Confrontandomi con altri, ho visto che i seguenti aspetti sono controproducenti ai fini di un dialogo, basato sul rispetto reciproco e sulla Parola di Dio.

     ■ Non bisogna usare argomentazioni generiche. Lo fa chi presenta continuamente il suo pensiero, ma non dialoga veramente con i suoi interlocutori. Perciò non mostra in che cosa gli argomenti altrui, che non condivide, sono poco fondati, né fa obiezioni di merito ad essi.

     ■ Non bisogna pretendere l’autorità biblica per le proprie tesi. Alcuni, invece di dimostrare ciò che affermano, argomentano semplicemente reclamando per sé e le proprie tesi l’autorità della Bibbia o di Dio. Ciò mostra solo la fragilità degli argomenti posseduti. La forza delle proprie argomentazioni deve venire da una corretta esegesi e da dimostrazioni pertinenti e stringenti.

     ■ Non bisogna usare argomentazioni massimaliste. Usa questo modo di fare chi riduce il vasto spettro di un certo fenomeno o problema a un solo aspetto, spesso estremizzato, escludendo a priori tutti gli altri aspetti concomitanti e le varie gradazioni del fenomeno.

     ■ Non bisogna usare argomentazioni integraliste. Si mette il rigore dottrinale o morale come principio assoluto e lo si fa corrispondere alla propria tesi. Tutte le altre asserzioni della Scrittura su tale fenomeno, tema o problema vengono assoggettate a tale convinzione e di conseguenza relativizzate dialetticamente. Il motto è qui: «Ciò che non dev’essere, non può essere». L’integralista invece di argomentare, predica; a ciò si aggiunga che ripete in modo ciclico sempre lo stesso concetto. Chi non la pensa come lui, è guardato con sospetto e, per quanto possibile, tenuto a distanza.

     ■ Non bisogna usare argomentazioni esegeticamente scorrette. Fare una lista di versi che corroborano la propria tesi, evitando di menzionare e di discutere quei versi che affermano qualcosa di diverso, ma che spesso si trovano nello stesso contesto, è scorretto. La «versettologia» — un’argomentazione dottrinale basata su una lista di versi tolti dal loro contesto storico, letterario e culturale — non può sostituire un’argomentazione basata sull’esegesi. Neanche le esperienze possono sostituirsi a ciò.

     ■ Non bisogna usare argomentazioni con implicazioni ingiuste dal punto di vista dottrinale, etico, culturale e pastorale. Non bisogna mettere pesi sugli altri solo perché ciò corrisponde alla propria sensibilità morale e culturale (cfr. At 15,1.5), né bisogna far corrispondere quest’ultima semplicemente a ciò che è «biblico», se nella Bibbia non ci sono asserzioni chiare e incontrovertibili richieste ai credenti del nuovo patto. Ad esempio, la cultura occidentale dei cristiani non è semplicemente «biblica», né sono semplicemente «biblici» la loro sensibilità morale e il loro approccio dottrinale. Chi si ritiene «forte», guardi che con la sua intransigenza non metta un inciampo dinanzi a chi è «debole» (Rm 14). Ciò che si afferma, dev’essere praticabile, deve costituire un aiuto pastorale concreto e deve servire a uscire dal problema.

     ■ Non bisogna usare argomentazioni teologiche di parte. Chi invoca per le proprie tesi l’autorità della Scrittura, credendo così di dare maggiore autorità alla proprie idee, mostra di avere un’argomentazione debole. Sbaglia altresì chi argomenta affermando che «Dio gli ha parlato» o che «lo Spirito Santo lo ha convinto». È pericoloso tirare Dio dalla propria parte pur di stare nella «ragione»! «Tagliare rettamente la Paroladella verità» (2 Tm 2,15) significa presentare tutti gli aspetti di una questione, invece di semplificarla alla propria tesi, per la quale ci si arroga di parlare da parte di Dio. Quando su un certo tema ci sono posizioni differenti tra persone legate alla Bibbia e rispettosa di essa, ciò mostra che le semplificazioni non sono opportune al riguardo, e chi semplifica lo fa per ideologia. In tali casi si fa bene prima a mostrare tutti gli aspetti del problema e poi ad argomentare per la propria tesi.

     ■ Non bisogna usare argomentazioni ideologiche. Chi cita un verso per la propria tesi e non menzionare che nello stesso contesto ci sono aspetti differenti da essa, fa ideologia. La fa anche chi cita solo uno dei principi generali di una questione dottrinale o morale, ed evita di dire che ci sono al riguardo eccezioni nei casi particolari (cfr. qui il divorzio). Chi enuncia qualcosa e trascura il contesto, oltre a mostrare la sua incapacità di un’analisi esegetica corretta, produce ideologia dottrinale di parte, che è uno dei sintomi di ogni integralismo.

 

L’integralismo dottrinale ed etico ha anche delle conseguenze. Esso parte dall’intransigenza, si rafforza con la «versettologia» e con una lettura unilaterale della Scrittura (prescindendo da una corretta esegesi), produce sempre sistemi rigidi e ingiusti (non distinguendo la varietà delle asserzioni o i principi generali e le relative eccezioni) e si mostra inadatto a risolvere veramente situazioni concrete. In contesti integralisti, ad esempio, coloro che necessitano di aiuto pastorale, perché vittime degli altrui soprusi (p.es. coniugi fedifraghi, adulteri o violenti), sono spesso tenuti in un labirinto ideologico-dottrinale da parte di chi, così insegnando, si appella al riguardo alla «volontà di Dio». In molte situazioni, si costringe le vittime a vivere nella disperazione, sebbene i loro carnefici (i loro coniugi) non hanno nessuna intenzione di mutare mentalità e comportamento.

     L’antidoto migliore contro ogni integralismo dottrinale o etico è una corretta esegesi che rispetti il testo nel suo contesto (linguistico, letterario, storico, culturale), lo sviluppo della rivelazione e la varietà delle testimonianze bibliche su un dato argomento. Ciò significa, partendo da una vasta e profonda conoscenza della Bibbia stessa, non considerare il pensiero e le pratiche dei cristiani occidentali semplicemente come biblici e normativi. Chi proietta nella Bibbia il proprio pensiero, le proprie convinzioni, le proprie pratiche morali e i propri costumi ecclesiali, poi pretenderà di ritrovarceli. La «versettologia» e la «teologia dell’esperienza» sono al riguardo utili servitrici degli ideologi, ma pessime maestre di verità.

 

 

3. {Tonino Mele} 

 

Riguardo al «confrontarsi per maturare» credo che Argentino abbia fatto bene a mettere in evidenza il quadro di riferimento di questa tematica, visto gli abusi a cui può portare. È fin troppo facile scadere in un ipercriticismo lesivo e poco edificante. Bisogna chiarire le finalità positive del confronto e cercare di perseguirle, soprattutto quando le cose ci stanno sfuggendo di mano. Del resto, il tema è stato presentato come un confronto che abbia in se il parametro della «maturazione». E visto il carattere intellettuale che, tra l’altro, Nicola ha dato a questo tema, quando parla di «nuovi slanci d’idee» e di «nuove passioni intellettuali» credo che non siamo molto lontani dal concetto di «dialettica», dove una tesi e un antitesi si confrontano per raggiungere una sintesi. Lo scopo non è quello di creare infinite tesi e antitesi, e quindi una discordia infinita, ma l’obiettivo è quello d’arrivare a una sintesi, dove le tesi contrapposte si fondono. Il confronto crea l’unità, però bisogna capire bene di che tipo di «confronto» stiamo parlando. Jacques e Claire Poujol fanno bene a distinguere la dialettica dal conflitto. Essi dicono: «La dialettica è una intellettualizzazione delle contraddizioni, una visione dello spirito… in un conflitto, le contraddizioni, lungi dall’essere risolte in una sintesi, creano e suscitano nuovi disaccordi e così all’infinito» (J. e C. Poujol, I conflitti [GBU, Roma 1998], p. 22). Il conflitto poi, si tinge molto spesso d’atteggiamenti irrazionali, dettati più dalle passioni e dai sentimenti che dalla ragione. Il rigore logico cede il campo ai «calci di rigore» e tutto assume il sapore della rivalsa. Viceversa, il vero confronto, non mira alla disgregazione, ma all’unità.

     Personalmente ho sempre cercato di rispettare la seguente etica del confronto.

     ■ Non fare delle tue ragioni un motivo per prevalere sull’altro: «Tieniti attaccato alla tua idea, se sei sicuro che sia giusta, ma senza cavalcarla fino alla morte. Sii un dissenziente allegro ed esprimi il tuo disaccordo cordialmente e caritatevolmente». «Se poi, sei disposto a morire per la tua idea, non uccidere nessuno per essa». «Se infine, nessuno t’ascolta, non morirne, ma vivi per la tua idea».

     ■ Non avere la presunzione di possedere tutta la verità: «Quando si vuol correggere utilmente qualcuno e mostrargli che sbaglia, conviene prima osservare da quale lato egli consideri la cosa, perché di solito da quel lato è vera e riconoscergliene la verità, ma in pari tempo mostrargli per quale aspetto essa è falsa» (Pascal).

     ■ Mira sempre a un dialogo costruttivo e personale: «Il vero dialogo è inevitabilmente l’affrontarsi di due personalità diverse, che hanno entrambe il loro passato, la loro educazione, le loro concezioni di vita, i loro pregiudizi, le loro manie e i loro difetti» (Paul Tournier). «Nell’istante del vero dialogo, della comunione intima e personale, è ineluttabile una presa di posizione, in un gesto autentico e responsabile in cui la personalità si svela» (Paul Tournier).

 

Comunque, non solo il confronto, ma anche il concetto d’unità ha bisogno d’un quadro di riferimento, che è la verità (Ef 4,15). E la verità ha bisogno anche del confronto per essere messa in luce. Esiste poi un aspetto dinamico dell’unità che lascia ampio margine al confronto sereno e costruttivo. Proprio il testo d’Ef 4,1-16 lascia intendere che l’unità non è solo un dato statico, un pacchetto regalo che va conservato intatto nel tempo, ma è anche una meta, un punto d’arrivo, un qualcosa che è di là da venire. Paolo parla d’unità dello Spirito che va conservata (v. 3), ma poi parla anche d’unità della fede a cui tutti dobbiamo giungere (v. 13). Ed è in quest’aspetto dinamico che s’inseriscono le altre metafore dell’edificio che s’edifica (vv. 12.16) e del corpo che si sviluppa (v. 16). La costruzione d’un edificio e la maturazione d’un corpo richiamano, tra l’altro, alla mente anche la fatica, le contraddizioni e la sofferenza tipica del cambiamento e dello sviluppo. Anche per questo, il confronto vero, non solo intellettuale, ma pure spirituale, può avere un suo efficace ruolo. Infine, fa parte di questo processo, la varietà dei doni spirituali (vv. 7-11), che, appunto per la loro diversità possono generare quel confronto salutare di cui stiamo parlando.

     Ben venga dunque un confronto sereno e costruttivo, che metta in campo doni e sensibilità diverse, se il punto d’approdo è la maturazione del corpo di Cristo.

 

 

4. {Nicola Martella} 

 

Apprezzo il saggio contributo di Tonino Mele. Posso sottoscrivere pressoché tutto. È evidente che egli non aveva ancora letto il mio ultimo contributo, quando scrisse il suo, non facendovi per nulla riferimento. Faccio presente che non posso riconoscermi nella seguente frase: «E visto il carattere intellettuale che, tra l’altro, Nicola ha dato a questo tema, quando parla di "nuovi slanci d’idee" e di "nuove passioni intellettuali" credo che non siamo molto lontani dal concetto di "dialettica", dove una tesi e un antitesi si confrontano per raggiungere una sintesi».

    Rileggiamo l'intera frase: «In genere molti cristiani sono troppo distratti dalle vicende della vita e vivono spesso nell'apatia del tran-tran quotidiano, per essere scossi a nuovi slanci d'idee e a nuove passioni intellettuali». Essa è la frase d'esordio del tema e quindi non è di per sé una tesi. Non intende esprimere una «(infinita) dialettica senza verità», ma solo in modo introduttivo una constatazione di uno stato di cose generale (apatia del tran-tran quotidiano) che impedisce spesso di volare alto (nuovi slanci d'idee, nuove passioni intellettuali). Attribuire a tale frase di più mi pare dubbio, se non capzioso. Per uscire da tale specie di «letargo» spirituale e intellettuale, c'è spesso bisogno di una buona dose di provocazione, ossia di uno stimolo forte che faccia scuotere e richiami alla propria vocazione di sentinella.

    Il confronto delle idee è necessario alla maturazione di tutti i partecipanti e comunque utile. Le «barricate», dietro cui trincerarsi, e le «torri d'avorio», in cui rifugiarsi solitario, non hanno mai giovato alla ricerca della verità. Lo scopo è appunto la ricerca della verità e non un conflitto perenne né una dialettica che relativizzi tutto.

    Il fine del dialogo non è arrivare a un'artificiosa «sintesi», che chiamerei «omologazione delle idee» (o addirittura «yogurtizzazione delle opinioni»), ma «l'unità»: essa è possibile da raggiungere solo laddove si comprende e si accetta la diversità dell'altro (cfr. Rm 14).

    Per il resto Tonino dice cose sagge e sottoscrivibili.

 

 

5. {Tonino Mele} 

 

Capisco la precisazione di Nicola e, come direbbe Pascal, «dal lato in cui egli considera la cosa, essa è vera». Ha ragione nel prendere le distanze da una «dialettica che relativizza tutto», da una «sintesi artificiosa», che «omologa le idee» e «yogurtizza le opinioni». Comunque, non liquiderei troppo in fretta il «metodo dialettico». Mi rendo conto delle sovrastrutture ideologiche che sono state costruite su questo metodo (hegelismo, razionalismo, marxismo). Credo però che bisogna distinguere il metodo dal sistema ideologico. I «sistemi dialettici» hanno portato a «visioni del mondo» che hanno relativizzato la verità e dato troppa importanza alla ragione. Non possiamo certo accettare un sistema che relativizza ogni assoluto ed estromette Dio dalla realtà (razionalismo) e dalla storia (marxismo). Il metodo dialettico è invece un modo di ragionare che nel nostro caso può tornare utile proprio alla ricerca della verità.

     Ricordiamo da dove siamo partiti. Non stiamo parlando di verità assolute, chiare ed evidenti dalla Rivelazione, ma di verità in chiaroscuro, verità da mettere in luce, rappresentazioni della verità, opinioni intorno alla verità, che tendono a dividere e frammentare il corpo di Cristo. Mentre per le verità evidenti s’addice più la categoria della non contraddizione, dove una tesi non può essere vera allo stesso modo e allo stesso tempo della sua tesi contraria, per le verità meno evidenti, dove non è certo il limite tra la loro essenza e la nostra rappresentazione d’essa, per queste «verità», credo che s’addica più la categoria della contraddizione, dove, tesi contrapposte (tesi e antitesi) si fronteggiano, per arrivare alla verità (sintesi).

     Per quest’ultimo caso, vale il metodo del confronto, in quanto, la verità non è possesso esclusivo di nessuno, ma va ricercata. Per il primo caso, invece, dovrebbe valere soprattutto il metodo dell’annuncio, in quanto, la verità è data e va solo comunicata. Qui è giusto predicare, essere autorevoli e se vogliamo, integralisti. Nell’ambito del confronto, invece bisogna fare un passo indietro, non arrogarci un’autorità che non ci è data, ma argomentare umilmente e serenamente la nostra tesi ed esser in pari tempo propensi ad ascoltare le ragioni altrui. «Con stima e rispetto» uso dire io. Un vero confronto non produrrà mai una «sintesi artificiosa», ma una verità, che tiene conto dei suoi vari aspetti (spesso contrapposti) e infine l’unità. Non una verità di ripiego, una verità sacrificata sull’altare dell’unità (quale poi non si sa), ma una verità per intero, senza compromessi e infingimenti. Del resto, un altro modo per definire la sintesi è quello di «unità degli opposti», dove questi, anziché omologarsi, non cessano d’essere tali, ma trovano il modo di stare insieme. Tra l’altro, mi pare che sia questo il modo di maturare insieme, lasciandosi alle spalle ogni atteggiamento di parte.

     Per il resto, mi riconosco in quanto Nicola dice sulla correttezza del confronto. Non bisogna bluffare ne sotto l’aspetto esegetico, ne in altro modo. Questo modo di fare, non solo ci allontana dalla verità, ma non giova a nessuno, perché non porta a nessuna maturazione, radicalizza le posizioni e acuisce la disgregazione del corpo di Cristo.

 

 

6. {Nicola Martella} 

 

Di là dalle divergenze d'opinione su questo o quel filone tematico, quando i cristiani discutono, hanno tanto in comune. Spesso si confrontano su un particolare e dimenticano il vasto orizzonte; si concentrano su qualche «osso duro», su cui si consumano i denti, e trascurano la «polpa»! In ogni modo, penso che il fatto di poter discutere anche con veemenza d'argomenti, ma pur sempre con rispetto, sia un fatto molto positivo per chi discute e per chi ci legge. Poi nelle discussioni dei cristiani non ci devono essere per forza vincitori e vinti, ma libertà di porre i propri convincimenti sulla base della Bibbia, di discuterli con l'altro, di confrontarsi e, se necessario, di modificare alcune cose. Quando si discute accesamente, si pensa che l'altro sia agli antipodi rispetto alle proprie opinioni, ma spesso non è così. Le cose in comune sono maggiori di quelle in cui divergono; non bisogna mai dimenticare le proporzioni né invertire la piramide. Si può avere un'altra opinione o un altro convincimento, ma non sempre si è agli antipodi rispetto all'altro. Anzi, discutendo insieme si "rischia" di assomigliare sempre più all'altro.

 

 

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► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_Cul/T1-Confrontarsi_maturare_UnV.htm

02-03-07; Aggiornamento: 23-06-07

 

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