Un taglio netto alle convenzioni anti-bibliche e pseudo-bibliche, all'ignoranza e alle speculazioni — Ein klarer Schnitt zu den anti-biblischen und pseudo-biblischen Konventionen, zur Unwissenheit und den Spekulationen — A clean cut to the anti-biblical and pseudo-biblical conventions, to the ignorance and the speculations — Une coupe nette aux conventions anti-bibliques et pseudo-bibliques, à l'ignorance et aux spéculations — Un corte neto a las convenciones anti-bíblicas y pseudo-bíblicas, a la ignorancia y a las especulaciones

La fede che pensa — Accettare la sfida nel nostro tempo

«Glaube gegen den Strom»: Für das biblische Unterscheidungsvermögen — «Faith countercurrent»: For the biblical discernment — «Foi contre-courant»: Pour le discernement biblique — «Fe contracorriente»: Por el discernimiento bíblico

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CHE RISPOSTA VOGLIONO GLI ATEI DA DIO?

 

 di Vincenzo Russillo

 

Il lettore prende qui posizione riguardo all’articolo «Ateo perché abbandonato da Dio?». Il seguente contributo avrebbe potuto trovare posto all’interno del tema di discussione «Ateo perché abbandonato da Dio? Parliamone», ma a causa della sua lunghezza e della sua specificità, abbiamo preferito metterlo extra.

 

Spesso abbiamo sentito, queste parole durante le predicazioni nelle nostre chiese: «Se ti comporterai bene e seguirai la Parola di Dio, non ti succederà niente…». La cosa che molti, credenti e non credenti, si chiedono è: «Perché accadono cose spiacevoli, cose brutte, cose dolorose come la guerra, la violenza, le molestie, le perversioni, l’odio?». Se noi crediamo in Dio, queste cose non ci dovrebbero capitare? È facile trarre conclusioni.

     Molti atei sfruttano, la questione della sofferenza come un’arma contro la fede cristiana. Ogni vera scienza e tutta la storia, rettamente comprese, sostengono la realtà di Dio. Le prove sono così forti che, come dichiara la Bibbia: «Lo stolto ha detto nel suo cuore: “Non c’è Dio”»(Salmo 14,1). La maggior parte degli atei, dunque, non avendo alcuna prova obiettiva su cui fondare la fede in «nessun Dio», deve in fin dei conti ricorrere a obiezioni d’ordine filosofico. E di queste, il problema della sofferenza è la più grande. Cioè, essi dicono: «Come è possibile che un Dio d’amore permetta nel suo mondo cose quali le guerre, le malattie, il dolore e la morte, soprattutto quando spesso le loro conseguenze sono sentite più direttamente da coloro che apparentemente sono innocenti? O non è un Dio d’amore, ma piuttosto è indifferente alle sofferenze umane, oppure non è un Dio onnipotente e quindi è incapace di farci qualcosa.

     La difficoltà è indubbiamente reale, ma l’ateismo non è certo la risposta, e nemmeno l’agnosticismo. Mentre ci sono molti mali nel mondo, c’è ancora una misura maggiore di cose buone. Ciò è dimostrato dal semplice fatto che normalmente la gente cerca d’aggrapparsi alla vita quanto più a lungo possibile. Inoltre tutti riconoscono istintivamente che «il bene» appartiene a un ordine di verità più alto del «male». Dobbiamo capire quale risposta vogliamo da Dio durante i momenti più difficili.

     Esemplare è la vita di Giobbe. Egli era un uomo integro, retto, timoroso di Dio e che fuggiva dal male (Giobbe 1,8). Ora però, nonostante fosse un uomo di Dio, deve affrontare molte prove: muore tutto il suo bestiame, i suoi raccolti vengono distrutti e muoiono le sue figlie e i suoi figli. Giobbe confessa: «Il Signore ha dato; il Signore ha tolto; benedetto il nome del Signore» (Giobbe 1,21). Alla seconda ondata di sfortune la moglie replica: «Ancora stai saldo alla tua integrità? Lascia stare Dio e muori!». Giobbe però pensa ancora che se ha accettato il bene da Dio, perché non dovrebbe accettare anche il male? Poi i suoi amici sentono dell’accaduto e partono dai lontani paesi dove vivono, per venire in aiuto e confortare Giobbe: Elifaz, Bildab e Zofar. Giobbe inizia a sentenziare: «Perché proprio a me doveva capitare? Meglio non essere nato».

     Poi si passa ai primi commenti degli amici. Questi lo rimproverano d’aver peccato. Giobbe è amareggiato, e si chiede perché gli amici non mostrano un po’ di pietà. Poi prosegue, rivolgendosi a Dio, e chiede che se lui ha peccato lo perdoni e lo tolga dalle afflizioni. Ed è qui che il secondo amico rincara la dose. Bildad conferma a Giobbe che se lui ha peccato, pur cercando di scusarsi, la retribuzione di Dio è inevitabile (Giobbe 8,4). Giobbe riconosce che Dio è sovrano e creatore: chi è l’uomo che possa interpellare Dio? Passa poi ad accusare Dio, dicendo che Lui distrugge allo stesso modo l’uomo integro e l’uomo malvagio, e che Dio lo stia colpendo senza motivo (Giobbe 9,22). Giobbe crede di non aver peccato davanti a Dio e per questo sente che può alzare la testa e chiedergli una spiegazione.

     Ecco che iniziano le parole di conforto del terzo amico Zofar: «Allontanati dalla tua iniquità e vedrai che starai meglio». Ed è allora che Giobbe s’arrabbia coi suoi amici, dicendo che lui conosce la sovranità di Dio e che non sta mettendola in discussione. È nel capitolo 13 che Giobbe inizia a cambiare il suo tono di voce e vuole sapere solo una cosa: «Quante sono le mie iniquità? Dio perché mi nascondi il tuo volto?».

     Ancora una volta Elifaz si rivolge a Giobbe, dicendo che è un malvagio e che per questo è tormentato. Giobbe insiste che le sue mani con commisero mai violenza e la sua preghiera fu sempre pura. A Dio si volgono i suoi occhi pieni di lacrime.

     E ancora, amico dopo amico, gli ricordano che forse è meglio per lui confessare i propri peccati, perché di certo cose brutte non accadono ai retti e ai giusti. Come ultima cosa, Giobbe ricorda tutte le cose giuste in suo favore, credendo ancora che in lui non c’è nulla di malvagio. Allora entra in scena Eliu che chiama Giobbe stolto e dice che il dolore gli annebbia la mente. Invita Giobbe ad aspettare Dio e a credere che la sua causa è davanti a Dio, e lo invita a lodare l’Onnipotente per le sue opere (Giobbe 35,14).

     È proprio qui che Dio stesso appare all’improvviso dal mezzo d’una tempesta e invita Giobbe a dare risposte alle sue domande (Giobbe 38,3). Le domande che Dio porge a Giobbe non sono altro che esposizioni della sua magnificenza, del suo amore, della sua giustizia e del suo interesse nella creazione. Dio interroga Giobbe: «Il censore dell’Onnipotente vuole ancora contendere con lui?» (Giobbe 40,2). Dopo il balbettio di Giobbe, Dio riprende dicendo: «Vuoi tu sostituirti a me? Vuoi che io applichi la tua giustizia invece della mia?».

     Ora però, doveva aveva sbagliato Giobbe poiché, sebbene fosse un uomo integro e timorato di Dio, era pur sempre un uomo. Dobbiamo allora pensare che Dio si diverte a tormentarci, perché possiamo conoscere Lui in modo più profondo? O dobbiamo pensare che non fa distinzione fra coloro che lo temono e coloro che non s’interessano di Lui? Non è così, questi sono proprio i pensieri di cui Giobbe si è dovuto pentire. Qual è stata però la benedizione di Giobbe? È stata quella di conoscere Dio e d’avere da Lui un sostegno.

     Noi sappiamo qualcosa in più di Giobbe; infatti il nostro Signore ci ha promesso: «Asciugherà ogni lacrima dai loro occhi e non ci sarà più la morte, né cordoglio, né grido, né dolore, perché le cose di prima sono passate»(Apocalisse 21,4). Nel frattempo Dio ci concede talvolta un anticipo di questa redenzione finale, esaudendo le nostre preghiere e liberandoci da dolori, malattie e altre sofferenze.

     Il Signore Gesù Cristo, l’unico uomo veramente «innocente» e «giusto» di tutta la storia, ciò nonostante soffrì più di chiunque altro nella storia dell’universo. E lo fece per noi! «Cristo morì per i nostri peccati» (1 Corinzi 15,3). Egli soffrì e morì per poter redimere alla fine tutto il mondo dalla maledizione, e fin d’ora Egli può redimere dal peccato e dalle sue conseguenze chiunque lo riceverà per fede come il proprio Signore e Salvatore.[1]

     Riponendo tutta la nostra fiducia nella bontà di Dio e nella redenzione operata da Cristo, possiamo riconoscere che le nostre sofferenze presenti possono risultare alla sua gloria e al nostro bene. Dio è dunque sempre amorevole e misericordioso, anche quando Egli permette «per ora» che ci siano prove e sofferenze nella nostra vita. «Del resto, noi sappiamo che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio, che sono stati chiamati secondo il suo disegno» (Romani 8,28).

     Queste prove servono ai non credenti per essere illuminati tramite lo Spirito Santo, cosicché si rivolgano a Cristo, si pentano e si ravvedano. Invece le sofferenze dei cristiani devono sempre diventare uno strumento per sviluppare una maggiore dipendenza da Dio e un carattere più simile a quello di Cristo. Ricordo una massima di Anne Bradstreet che recitava così: «Se non ci fosse l’inverno, la primavera non sarebbe così piacevole. Se non assaggiassimo mai l’avversità, la prosperità non sarebbe così gradita».

     Spero che chi afferma di essere stato abbandonato da Dio, rifletta e non sia troppo precipitoso nelle sue conclusioni; ognuno di noi si è dovuto confrontare con il dolore. Ma bisogna ascoltare anche dal silenzio la voce di Dio, perché non ci lascia mai soli e soprattutto bisogna trovare nella Bibbia la risposta a ogni nostro dubbio.

     Concludo con questo invito: si legga la Bibbia e si farà conoscenza delle migliori persone che hanno mai vissuto. Ci si troverà accanto a Mosè e s’imparerà qualcosa della sua dolcezza; accanto a Giobbe s’imparerà qualcosa della sua pazienza; accanto a Abramo s’imparerà qualcosa della sua fede; accanto a Daniele s’imparerà il coraggio di fare il bene; accanto a Isaia s’imparerà la fiera indignazione contro chi fa il male; accanto a Paolo si sarà contagiati dal suo entusiasmo; accanto a Gesù Cristo si sentirà il suo amore.

 

 

Per l’approfondimento di Giobbe si veda la seguente letteratura:

Nicola Martella, «Giobbe», Radici 1-2 (Punto°A°Croce, Roma 1994), pp. 79-87.

Nicola Martella, «Onnipotente: in Giobbe», Manuale Teologico dell’Antico Testamento (Punto°A°Croce, Roma 2002), pp. 246ss.

 

 

[1]. Questa grande redenzione dal potere del peccato che è innato in tutti noi, oltre che dalla pena dei peccati che abbiamo commessi, con ogni probabilità assicura anche la salvezza di quanti sono morti prima d’arrivare all’età di poter scegliere coscientemente tra il bene e il male.

 

► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_Cul/A2-Risposta_atei_Dio_EnB.htm

06-10-2008; Aggiornamento:

 

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