Spesso
abbiamo sentito, queste parole durante le predicazioni nelle nostre
chiese: «Se ti comporterai bene e seguirai la Parola di Dio, non ti
succederà niente…». La cosa che molti, credenti e non credenti, si
chiedono è: «Perché accadono cose spiacevoli, cose brutte, cose
dolorose come la guerra, la violenza, le molestie, le perversioni,
l’odio?». Se noi crediamo in Dio, queste cose non ci dovrebbero
capitare? È facile trarre conclusioni.
Molti atei sfruttano, la questione della sofferenza come un’arma
contro la fede cristiana. Ogni vera scienza e tutta la storia,
rettamente comprese, sostengono la realtà di Dio. Le prove sono così
forti che, come dichiara la Bibbia: «Lo stolto ha detto nel suo
cuore: “Non c’è Dio”»(Salmo 14,1). La maggior parte degli
atei, dunque, non avendo alcuna prova obiettiva su cui fondare la fede
in «nessun Dio», deve in fin dei conti ricorrere a obiezioni d’ordine
filosofico. E di queste, il problema della sofferenza è la più grande.
Cioè, essi dicono: «Come è possibile che un Dio d’amore permetta nel suo
mondo cose quali le guerre, le malattie, il dolore e la morte,
soprattutto quando spesso le loro conseguenze sono sentite più
direttamente da coloro che apparentemente sono innocenti? O non è un Dio
d’amore, ma piuttosto è indifferente alle sofferenze umane, oppure non è
un Dio onnipotente e quindi è incapace di farci qualcosa.
La difficoltà è indubbiamente reale, ma l’ateismo non è certo la
risposta, e nemmeno l’agnosticismo. Mentre ci sono molti mali nel
mondo, c’è ancora una misura maggiore di cose buone. Ciò è dimostrato
dal semplice fatto che normalmente la gente cerca d’aggrapparsi alla
vita quanto più a lungo possibile. Inoltre tutti riconoscono
istintivamente che «il bene» appartiene a un ordine di verità più alto
del «male». Dobbiamo capire quale risposta vogliamo da Dio durante i
momenti più difficili.
Esemplare è la vita di Giobbe. Egli era un uomo integro, retto,
timoroso di Dio e che fuggiva dal male (Giobbe 1,8). Ora però,
nonostante fosse un uomo di Dio, deve affrontare molte prove: muore
tutto il suo bestiame, i suoi raccolti vengono distrutti e muoiono le
sue figlie e i suoi figli. Giobbe confessa: «Il Signore ha dato; il
Signore ha tolto; benedetto il nome del Signore» (Giobbe 1,21). Alla
seconda ondata di sfortune la moglie replica: «Ancora stai saldo alla
tua integrità? Lascia stare Dio e muori!». Giobbe però pensa ancora
che se ha accettato il bene da Dio, perché non dovrebbe accettare anche
il male? Poi i suoi amici sentono dell’accaduto e partono dai lontani
paesi dove vivono, per venire in aiuto e confortare Giobbe: Elifaz,
Bildab e Zofar. Giobbe inizia a sentenziare: «Perché proprio a me
doveva capitare? Meglio non essere nato».
Poi si passa ai primi commenti degli amici. Questi lo rimproverano
d’aver peccato. Giobbe è amareggiato, e si chiede perché gli amici non
mostrano un po’ di pietà. Poi prosegue, rivolgendosi a Dio, e chiede che
se lui ha peccato lo perdoni e lo tolga dalle afflizioni. Ed è qui che
il secondo amico rincara la dose. Bildad
conferma a Giobbe che se lui ha peccato, pur cercando di scusarsi, la
retribuzione di Dio è inevitabile (Giobbe 8,4). Giobbe riconosce
che Dio è sovrano e creatore: chi è l’uomo che possa interpellare Dio?
Passa poi ad accusare Dio, dicendo che Lui distrugge allo stesso modo
l’uomo integro e l’uomo malvagio, e che Dio lo stia colpendo senza
motivo (Giobbe 9,22). Giobbe crede di non aver peccato davanti a Dio e
per questo sente che può alzare la testa e chiedergli una spiegazione.
Ecco che iniziano le parole di conforto del terzo amico Zofar: «Allontanati
dalla tua iniquità e vedrai che starai meglio». Ed è allora che
Giobbe
s’arrabbia coi suoi amici, dicendo che lui conosce la sovranità di Dio e
che non sta mettendola in discussione. È nel capitolo 13 che Giobbe
inizia a cambiare il suo tono di voce e vuole sapere solo una cosa: «Quante
sono le mie iniquità? Dio perché mi nascondi il tuo volto?».
Ancora una volta Elifaz si rivolge a Giobbe, dicendo che è un
malvagio e che per questo è tormentato. Giobbe insiste che le sue
mani con commisero mai violenza e la sua preghiera fu sempre pura. A Dio
si volgono i suoi occhi pieni di lacrime.
E ancora,
amico dopo amico, gli ricordano che forse è meglio per lui
confessare i propri peccati, perché di certo cose brutte non accadono ai
retti e ai giusti. Come ultima cosa, Giobbe ricorda tutte le cose
giuste in suo favore, credendo ancora che in lui non c’è nulla di
malvagio. Allora entra in scena
Eliu che chiama Giobbe stolto e dice che il dolore gli annebbia la
mente. Invita Giobbe ad aspettare Dio e a credere che la sua causa è
davanti a Dio, e lo invita a lodare l’Onnipotente per le sue opere
(Giobbe 35,14).
È proprio qui che Dio stesso appare all’improvviso dal mezzo
d’una tempesta e invita Giobbe a dare risposte alle sue domande (Giobbe
38,3). Le domande che Dio porge a Giobbe non sono altro che esposizioni
della sua magnificenza, del suo amore, della sua giustizia e del suo
interesse nella creazione. Dio interroga Giobbe: «Il censore
dell’Onnipotente vuole ancora contendere con lui?» (Giobbe 40,2).
Dopo il balbettio di Giobbe, Dio riprende dicendo: «Vuoi
tu sostituirti a me? Vuoi che io applichi la tua giustizia invece
della mia?».
Ora però, doveva aveva sbagliato Giobbe poiché, sebbene fosse un
uomo integro e timorato di Dio, era pur sempre un uomo. Dobbiamo allora
pensare che Dio si diverte a tormentarci, perché possiamo conoscere Lui
in modo più profondo? O dobbiamo pensare che non fa distinzione fra
coloro che lo temono e coloro che non s’interessano di Lui? Non è così,
questi sono proprio i pensieri di cui Giobbe si è dovuto pentire. Qual è
stata però la benedizione di Giobbe? È stata quella di conoscere Dio e
d’avere da Lui un sostegno.
Noi sappiamo qualcosa in più di Giobbe; infatti il nostro Signore ci
ha promesso: «Asciugherà ogni lacrima dai loro occhi e non ci sarà
più la morte, né cordoglio, né grido, né dolore, perché le cose di prima
sono passate»(Apocalisse 21,4). Nel frattempo Dio ci concede
talvolta un anticipo di questa redenzione finale, esaudendo le nostre
preghiere e liberandoci da dolori, malattie e altre sofferenze.
Il Signore
Gesù Cristo, l’unico uomo veramente «innocente» e «giusto» di tutta
la storia, ciò nonostante soffrì più di chiunque altro nella storia
dell’universo. E lo fece per noi! «Cristo morì per i nostri peccati»
(1 Corinzi 15,3). Egli soffrì e morì per poter redimere alla fine tutto
il mondo dalla maledizione, e fin d’ora Egli può redimere dal peccato e
dalle sue conseguenze chiunque lo riceverà per fede come il proprio
Signore e Salvatore.
Riponendo tutta la nostra fiducia nella bontà di Dio e nella
redenzione operata da Cristo, possiamo riconoscere che le nostre
sofferenze presenti possono risultare alla sua gloria e al nostro bene.
Dio è dunque sempre amorevole e misericordioso, anche quando Egli
permette «per ora» che ci siano prove e sofferenze nella nostra vita. «Del
resto, noi sappiamo che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio,
che sono stati chiamati secondo il suo disegno» (Romani 8,28).
Queste prove servono ai non credenti per essere illuminati
tramite lo Spirito Santo, cosicché si rivolgano a Cristo, si pentano e
si ravvedano. Invece le sofferenze dei cristiani devono sempre
diventare uno strumento per sviluppare una maggiore dipendenza da Dio e
un carattere più simile a quello di Cristo. Ricordo una massima di Anne
Bradstreet che recitava così: «Se non ci fosse l’inverno, la primavera
non sarebbe così piacevole. Se non assaggiassimo mai l’avversità, la
prosperità non sarebbe così gradita».
Spero che chi afferma di essere stato abbandonato da Dio,
rifletta e non sia troppo precipitoso nelle sue conclusioni; ognuno di
noi si è dovuto confrontare con il dolore. Ma bisogna ascoltare anche
dal silenzio la voce di Dio, perché non ci lascia mai soli e soprattutto
bisogna trovare nella Bibbia la risposta a ogni nostro dubbio.
Concludo con questo invito: si legga la Bibbia e si farà
conoscenza delle migliori persone che hanno mai vissuto. Ci si troverà
accanto a Mosè e s’imparerà qualcosa della sua dolcezza; accanto a
Giobbe s’imparerà qualcosa della sua pazienza; accanto a Abramo
s’imparerà qualcosa della sua fede; accanto a Daniele s’imparerà il
coraggio di fare il bene; accanto a Isaia s’imparerà la fiera
indignazione contro chi fa il male; accanto a Paolo si sarà contagiati
dal suo entusiasmo; accanto a Gesù Cristo si sentirà il suo amore.
Per l’approfondimento di Giobbe si veda la seguente letteratura:
■ Nicola Martella, «Giobbe»,
Radici 1-2 (Punto°A°Croce, Roma 1994), pp.
79-87.
■ Nicola Martella, «Onnipotente:
in Giobbe»,
Manuale Teologico dell’Antico Testamento
(Punto°A°Croce, Roma 2002), pp. 246ss. |
► URL:
http://puntoacroce.altervista.org/_Cul/A2-Risposta_atei_Dio_EnB.htm
06-10-2008; Aggiornamento: |