Sere fa mi sono attardato più del solito a vedere Ballarò, arena politica dove
ogni martedì, esponenti dei vari schieramenti si confrontano. Fra i vari
intervenuti (erano presenti Fini e Franceschini), a trasmissione inoltrata, F.
De Bortoli, ex direttore del Corriere della Sera e attuale direttore del Sole 24
ore, ha detto una cosa che, a mio avviso inquadra perfettamente il clima
politico di questo periodo. De Bortoli ha criticato il fatto che per buona parte
della trasmissione si è fatto gossip parlando soprattutto di Ciarrapico e
non si è parlato di programmi, al che è seguito un fragoroso applauso,
che non credo fosse solo d’una componente politica, ma di tutta la sala. Credo
anch’io che la gente, sia di destra che di sinistra, sia stanca d’assistere a un
clima politico arroventato, che non riesce ad affrancarsi dai soliti litigi,
fatti dei soliti steccati, ora alimentato da un certo uso del pettegolezzo,
quasi come se vinca chi riesce a spararla più lunga sui candidati dello
schieramento opposto. Questa è una strategia adpersonam che prende
di mira il candidato in quanto tale per mostrare quanto sia poco candido e poco
votabile e su tale base gettare ombre su tutto lo schieramento. Non credo che
tale strategia, sia essa portata avanti per azione o per reazione,
risulti vincente per qualcuno. Gli ideali e i programmi passano in seconda linea
e con essi il bene comune. Ma la cosa peggiore è che tutto ciò non fa altro che
alimentare l’idea che «la politica sia una cosa sporca» e allontanare sempre più
la gente dalla sua classe dirigente, come del resto già avviene. Credo che i nostri politici debbano fare un passo
indietro e iniziare seriamente a confrontarsi sui grandi ideali e sui programmi
che stanno alla base dell’essere di destra o di sinistra. Il livello del
confronto deve elevarsi verso tali vette perché solo così si può riscoprire il
valore della politica vera, quella che persegue «il bene della città», di tutta
la città, quella politica che è fatta di passione, emozione, abnegazione e
altruismo. La gente ha bisogno di vedere questo tipo di confronti per
innamorarsi nuovamente di qualcosa che, in fin dei conti la riguarda da vicino.
Politica è occuparsi attivamente del bene comune, con le risorse che sono di
tutti e dietro incarico della collettività. La gente deve essere posta davanti
agli ideali e ai programmi che si vogliono perseguire per realizzare questo bene
comune. La gente deve rendersi conto della differenza che passa tra l’assistere
a un dibattito politico e l’assistere a un reality qualsiasi. Pur usando
un termine che può apparire sospetto, credo che bisogna moralizzare la
politica a cominciare dal modo di parlarne e credo che noi cristiani dobbiamo
essere i primi a farlo. A mio avviso, non è sbagliato che cristiani parlino di
politica, ma può diventarlo il modo in cui ne parliamo. Non è sbagliato
appartenere a uno schieramento piuttosto che un altro, ma può esserlo se questo
si riduce a uno scimmiottare i nostri politici nelle cose che invece andrebbero
corretti. L’indipendenza di giudizio non va tenuta solo contro la
barricata avversaria, ma anche all’interno della propria barricata. Mi rendo conto tuttavia che non è facile far passare un
discorso bipartisan, ma forse è meglio dire «al di là delle parti» o anche da
«terzo includente», come direbbe Norberto Bobbio, quando si è parte d’una
barricata, perché tutto appare sospetto e le argomentazioni non vengono valutate
per quello che sono, ma vengono prima etichettate se sono di destra o di
sinistra e poi vengono valutate. Ma credo che così stiamo sacrificando qualcosa
di molto più importante della politica stessa: la nostra libertà e indipendenza
di giudizio. Credo che così facendo non facciamo altro che ripetere i vecchi
schemi e le vecchie contrapposizioni, sprecando energie in dibattiti sterili che
non approdano mai a nulla, ma hanno solo il risultato di dividere, sia la
società civile… ma anche noi cristiani. La politica ha invece bisogno di
cambiamento, ha bisogno di rinnovarsi, ha bisogno di tornare a essere attraente
e per far questo, deve conservare una profonda capacità di giudizio, di
lungimiranza che la porti in avanti, al di là delle parti, anche al di là del
proprio schieramento, nell’«al di là della politica», dove le cose assumono il
loro valore reale, per quello che sono e per quel che possono produrre e non per
quello che finora se ne è detto. Prima che cali il sospetto che occlude le menti, voglio
precisare che questo discorso non è di destra o di sinistra. Non a caso ho
citato Norberto Bobbio. Nel suo libro Destra o Sinistra del 1994, egli fa
un’analisi sufficientemente rigorosa e originale di cosa voglia dire oggi
essere di destra o di sinistra. La sua originalità m’attrae quanto la sua
rigorosità, perché richiama quell’indipendenza di giudizio di cui sto parlando.
Credo che dopo 14 anni la sua analisi sia ancora pertinente, anche se andrebbe
aggiornata. Tra le altre cose egli introduce il concetto di «terzo includente»
descrivendolo così: «Nel dibattito politico, il Terzo includente si presenta di
solito come un tentativo di Terza via, cioè d’una posizione che diversamente da
quella del centro non sta in mezzo alla destra e alla sinistra, ma pretende d’andare
al di là dell’una e dell’altra. Praticamente una politica di Terza via è una
politica di centro, ma idealmente essa si pone non come una forma di compromesso
tra due estremi, ma come un superamento contemporaneo dell’uno e dell’altro, e
quindi come una loro simultanea accettazione e soppressione» (p.39).
Personalmente credo che il tentativo in atto attualmente tra le forze politiche
vada soprattutto in questa direzione e credo che di ciò si debba dar merito a
Veltroni per aver preso l’iniziativa, ma credo anche che in questa linea si sta
inserendo lo schieramento opposto, dando così luogo, non tanto a una sintesi
monolitica, come mi pare paventasse Bobbio, ma a una doppia sintesi, orientata
verso il cambiamento e il rinnovamento. Ritengo però che siamo ancora ai nastri di partenza,
«ai proclami» direi. Credo che la metamorfosi sia iniziata, ma la farfalla, sia
di destra che di sinistra, fatica a uscire dal bozzolo. Le resistenze sono
forti. Lo schema mentale è quello del passato, però si è iniziato a prendere
coscienza delle sue incongruenze. Ci si è resi conto che la disaffezione per la
politica è generale, trasversale, sia di destra che di sinistra. Le tradizionali
contrapposizioni destra-sinistra non pagano più. Problemi più pressanti si sono
prepotentemente imposti e la gente vuole una classe dirigente che sappia dare
queste risposte, che sappia rinnovarsi e rinnovare il paese. Ma questo tentativo
di rinnovamento è schizofrenico: proclami di rinnovamento s’alternano a
una politica rissosa, che fa largo uso della violenza verbale e del
pettegolezzo. Elementi di novità vengono il giorno dopo attenuati da puntate
nostalgiche e quasi inconsce su posizioni dialettiche del passato. La domanda
cruciale è: Chi sarà veramente in grado di rinnovarsi e rinnovare il paese? Chi
sarà veramente in grado di sacrificare, anche le proprie posizioni,
tradizionalmente acquisite per realizzare una via nuova (non importa se la si
chiama «terza via» o «quarta via»), all’insegna del cambiamento e del
rinnovamento? Questa è la vera partita che si sta giocando e credo che il grande
pericolo sia che le buone intenzioni per il futuro vengano affossate dalle
cattive abitudini del passato. Ed è qui che come cittadini, ma anche come
cristiani, dobbiamo tirare fuori una capacità di giudizio, libero e
indipendente, che sappia cogliere la vera istanza di rinnovamento, da qualsiasi
parte provenga. Ed è qui che è pure importante vedere se il dibattito si riduce
al solito scontro dialettico, come un disco rotto, oppure, anche le abitudini
stanno cambiando in funzione delle rinnovate intenzioni. Voglio essere più concreto, pur sapendo così d’entrare
in un campo minato, dove è fin troppo facile liquidare le questioni, come di
destra o di sinistra, senza entrare nel merito delle stesse. Qui dovrò fare nomi
e cognomi, ma lo scopo è solo d’illustrare quanto detto finora e stimolare una
riflessione libera e indipendente. Mia intenzione non è giudicare le persone, ma
gli schemi mentali e le abitudini che pur transeunti, si tende quasi
inconsciamente a perpetuare, malgrado e a discapito (purtroppo) dei proclami di
rinnovamento. Partiamo dal caso che tiene banco questi giorni: il caso
Ciarrapico. Indubbiamente è una candidatura che si commenta da sola, che dà
la misura del tipo di politica che si vuol fare e che scontenta persino gli
alleati del PDL, sia a livello nazionale che internazionale. Qui è facile
etichettare le analisi di destra e di sinistra. Ma più interessante è fare un
esercizio di controanalisi, per verificare se stiamo ancora ragionando con i
vecchi schemi o stiamo sviluppando un giudizio nuovo, «al di la delle parti».
L’analisi più immediata che viene fatta è: «Com’è possibile che un fascista
possa andare nuovamente al governo?». Ma è veramente questo il nodo cruciale di
questa candidatura? Pare che proprio Berlusconi e Veltroni dicano di no.
Berlusconi dice che Ciarrapico è «un candidato tra mille» e non è detto che esca
proprio lui. Veltroni dice che ciò che lo spaventa non sono i trascorsi fascisti
di Ciarrapico, ma la motivazione che ne è stata data: «Ci servono i suoi
giornali». Qual è dunque il nodo centrale? Ha ragione Veltroni nella sua
analisi? Fa egli un’analisi nuova, alternativa e in controtendenza? Ho paura di
no! Proviamo a fare una controanalisi. Perché Berlusconi ha dato una motivazione
di questo tipo, che quasi rasenta la spudoratezza, se non l’ingenuità? È così
sprovveduto? E perché Veltroni si stupisce d’una tal motivazione? Che non sappia
che i giornali hanno sempre fatto bene alla politica, soprattutto se schierati?
Che la sinistra non abbia mai fatto un suo uso e consumo dei media? Mi sembra
improbabile, visto che la sinistra ha avuto tradizionalmente una certa
ascendenza sulla cultura in generale e sui media in particolare. L’unica
differenza è che questo potere l’intellighenzia di sinistra se l’è conquistato
con la sua forza dialettica (onore al merito), mentre Berlusconi se l’è
comprato. Ma è inverosimile che l’uno o l’altro non abbiano fatto uso di questo
potere. Il conflitto d’interessi è un problema che va risolto, ma forse è bene
riconoscere che è un problema più vecchio di Berlusconi. Non è dunque questo il
vero problema del caso Ciarrapico e sbaglia la sinistra a fare quello che ha
sempre fatto in questi casi, perché non va al cuore dei problemi e cerca di
conquistare il nuovo con armi vecchie e consumate, a cui fa eco la spudoratezza
quasi provocatoria delle dichiarazioni di Berlusconi, che certamente è
tutt’altro che sprovveduto. Il vero dramma della vicenda Ciarrapico, che a mio
avviso getta un ombra funesta sullo schieramento di centrodestra non è la
candidatura in sé, e neppure la motivazione che ne ha dato il suo leader, ma il
modo in cui tale vicenda è stata gestita. A Ballarò, Fini e prima di lui La
Russa hanno affermato che sapevano di questa candidatura e che erano palesemente
contrari, però ne hanno semplicemente preso atto senza neppur dire niente a
Berlusconi, perché «è lui che decide in quanto è il leader». Tutto questo mi
sbalordisce alquanto. Stiamo parlando della candidatura d’un uomo che dai suoi
giornali spara bordate «al limite della querela» (parole di Fini) contro colui
che potrebbe ben definirsi il n° 2 dello schieramento di centrodestra e
Berlusconi prende una tal decisione senza che nessuno gli dica niente? Ecco il
vero punto debole dello schieramento di centrodestra: questo personalismo di
Berlusconi, questo suo eccesso di protagonismo, questo suo essere leader
«indiscusso» anche quando è palesemente discutibile. Questo prelude a un uso
poco collegiale, se non personalistico della cosa pubblica che poi sfocia in
perversioni del tipo delle «leggi ad personam». Credo che la
consapevolezza di ciò sia presente anche all’interno di questo schieramento, se
Martino è arrivato a dire: «Silvio è quello che è, però ce lo teniamo». Ma anche nel centrosinistra le cose non m’appaiono così
limpide come si potrebbe pensare. Veltroni che visita il Nord-est, che
non criminalizza le imprese, che parla d’un fisco amico, ecc. sono interessanti
novità per uno come lui. Ma Dalema che dice che ci sarà più in là ancora spazio
per accordi con la sinistra radicale cosa vuol dire? La scelta di correre da
soli è stata un grande atto di coraggio. Ma poi, perché l’accordo con i
radicali? Perché poi quella sorta di ripensamento su questo fatto, tanto che fa
tuttora dire a Pannella che bisogna mantenere i patti e la parola data? Non è
tutto questo indice d’una certa schizofrenia della politica attuale, dove
tendenze innovatrici si scontrano con tendenze restauratrici, dove, forse
l’anti-Dalema d’un tempo (Veltroni) ha trovato ora (o troverà più in la) il suo
anti-Veltroni (Dalema)? Ho sempre avuto stima di Veltroni come esponente
moderato di sinistra, ma la domanda è avrà il coraggio di portare la via
intrapresa fino in fondo? E fino a che punto lo potrà fare? Fino a che punto la
sua tendenza rinnovatrice è anche un disegno politico d’una sinistra che si è
ritrovata in un momento obiettivamente difficile, che pur essendo al governo si
è vista impossibilitata a governare perché presa in ostaggio dalla coalizione
che s’era scelta? Una sinistra diventata impopolare anche per il popolo stesso
della sinistra che, per uscire da tale empasse, ha dato via libera a un moderato
quale Veltroni e ai suoi ideali di «terza via»? Questo non toglie niente alla
validità e alla legittimità della battaglia che Veltroni sta combattendo, ma
saprà resistere alle tendenze restauratrici, quando queste si ripresenteranno? Se l’analisi fatta fin qui è plausibile, vorrei prima
di concludere, mostrare come tutto questo possa gettare una luce nuova sul modo
di trattare le
questioni etiche di rilevanza politica. E la domanda che pongo è questa:
È possibile trattare tali questioni senza alimentare il sospetto che si stia
strumentalizzando il problema per decurtare i voti dello schieramento opposto,
ma per il valore e la legittimità che tali temi hanno per se stessi? È possibile
sviluppare una «terza via» delle questioni etiche, dove esse vengano trattate in
modo nuovo, senza erigere i vecchi steccati, tipo la laicità dello Stato, la
libertà di coscienza, l’accusa d’essere dei moralizzatori ecc.? È possibile
andare oltre le posizioni tradizionalmente acquisite sulle questioni etiche,
sviluppando un nuovo modo d’affrontarle, pur continuando a far parte d’uno
schieramento di centrodestra o di centrosinistra? Io credo di sì e credo di non
essere il solo. Sfatiamo anzitutto un mito: non è vero che è solo la destra che
tradizionalmente s’appella alla questione morale. Anzi, uno dei grandi promotori
della «questione morale» è stato proprio Enrico Berlinguer, anche se
indubbiamente lui si riferiva alla morale nell’amministrare la cosa pubblica,
mentre oggi se ne parla a tutto campo, compresa la morale sessuale. E se
veramente non vogliamo fare «due pesi e due misure» si deve riconoscere che
sempre di morale si tratta e ciò che vale in un caso, vale anche nell’altro.
Cioè a dire, se non era un moralizzatore Berlinguer, perché dovrebbe
necessariamente esserlo chi oggi solleva l’istanza morale? Se si ritenne allora
necessario parlare della cosiddetta «questione morale», perché si dovrebbe ora
chiamare in causa la libertà di coscienza, la «non discutibilità dei principi
etici», ecc. Questo è stato il rimprovero che, nel 2006, Umberto Eco ha fatto a
Fassino e Franceschini: «Chiamate sempre in causa la non discutibilità dei
principi etici, ma al momento del voto in aula questo significa che il
sanfedista e il mangiapreti diventeranno franco tiratore ogni volta che la linea
del Pd non è la sua». Perché pensare che solo a destra si strumentalizza la
questione morale, quando che la sinistra ha fatto parte della sua fortuna
politica additando la corruzione in odore di mafia dei governi della destra?
Perché tutelare i diritti d’un gay nell’essere tale e non i diritti d’un ladro
nell’essere tale? Se si vuole essere veramente coerenti col discorso dei «due
pesi e due misure», perché non permettere anche ai ladri di manifestare
liberamente e ostentare il loro stile di vita? Perché pensare che strumentalizza
la religione solo chi storce il naso davanti alle candidature gay e non la
strumentalizza anche chi queste candidature le pone in essere, facendo leva su
tutto il valore di sfida che esse hanno? Ma non è il caso di continuare queste contrapposizioni
che rendono sempre più schizofrenica la politica, lacerata tra buone intenzioni
e cattive abitudini. Bisogna puntare al nuovo, a un modo di pensare che vada
oltre le posizioni tradizionalmente acquisite senza avere la paura di perdere la
propria identità politica. Bisogna pensare che esistono questioni che
attraversano la politica in modo trasversale. Già nel 1994, Norberto Bobbio
indicava il movimento dei verdi e la questione ecologica come una di queste. E
se questo è vero per l’ecologia, perché non dovrebbe essere vero per l’etica?
Perché, un cristiano di sinistra dovrebbe aver paura di parlare chiaramente
delle sue convinzioni etiche, o doversi puntualmente nascondere dietro il
paravento della «non discutibilità dei problemi etici» o la laicità dello Stato
pur di non parlarne, o ancora, guardare con sospetto chi ne parla, tacciandolo
di moralismo e di strumentalizzazione destroide? Perché saltare subito alla
conclusione che Veltroni è un «filo-clericale» perché non ha istituito il
registro delle coppie di fatto a Roma, quando si potrebbe pensare che si è
semplicemente avvalso di questo criterio trasversale della questione, ben
sapendo di non perdere così la sua identità politica? In alcune questioni legate
alla politica estera non abbiamo assistito a scelte trasversali dei due
schieramenti? Dice Bobbio: «Questa distinzione fra lassisti e rigoristi male
s’adatta a essere confrontata con quella fra destra e sinistra. Il lassismo è di
destra o di sinistra? Il rigorismo è di sinistra o di destra? Di fatto esiste
una sinistra rigorista e una destra lassista, e viceversa» (op. cit., p.
43). E se è così perché non dovremmo, soprattutto noi cristiani affermare che
l’etica non ha un colore politico, ma è così trasversale che nessuna posizione
politica acquisita ci deve impedire di far risaltare ciò che è giusto? Soluzioni nuove possono dare una nuova visione a
problematiche vecchie. Bobbio cita il problema dell’aborto e dice: «Generalmente
il rifiuto dell’aborto fa parte dei programmi della destra. La sinistra è
prevalentemente abortista. Mi è stato fatto notare che questo atteggiamento
sembra in contrasto con una delle definizioni più comuni della sinistra, per cui
essere di sinistra significa mettersi dalla parte dei più deboli. Nel rapporto
fra la madre e il nascituro, chi è il più debole? Non è forse il secondo?» (p.
43). Da questo ne deduco che non necessariamente il modo di porsi che la
sinistra ha tradizionalmente assunto verso la questione dell’aborto è di
sinistra. Pare che nel modo di vedere tale questione abbia invece prevalso
qualcos’altro che onestamente rasenta una sorta di strumentalizzazione. Continua
Bobbio dicendo: «Si risponde che questo (il nascituro) è certamente più debole
rispetto alla madre, ma che la donna è più debole rispetto al maschio che l’ha
costretta, almeno nella maggior parte dei casi, a restare incinta. Non è un caso
che la tendenza abortistica abbia avuto enorme incremento dal diffondersi delle
rivendicazioni dei movimenti femministi, che sono stati favoriti dai partiti
della sinistra» (p. 43). Ora io mi chiedo, senza voler fare polemica spicciola,
se un chiaro principio di sinistra può essere applicato in un senso o in un
altro, ma poi si è dato tradizionalmente un indirizzo d’un certo tipo, per
motivazioni che m’appaiono perlomeno discutibili (il maschio che costringe la
donna a restare incinta), e per favorire un elemento della società (il movimento
femminista) anziché un altro (i nascituri), non è possibile avere anche oggi un
visione nuova delle questioni etiche, senza compromettere la propria identità
politica? Io ho la viva impressione che in tutta la vicenda dei gay, la sinistra
stia facendo il calcolo politico di sempre: favorire un elemento sociale anziché
un altro, in questo caso, il movimento gay, che liberamente può manifestare e
ostentare il proprio stile di vita, a discapito delle nuove generazioni, che
sono il soggetto più debole e non hanno gli strumenti di giudizio che abbiamo
noi grandi per valutare le questioni. O loro non hanno diritti che meritano
d’essere tutelati? O la società viene defraudata solo dei suoi soldi e non anche
dei suoi principi morali? Questo è il discorso d’un moralista, o d’un semplice
padre di famiglia, che può benissimo essere di destra o di sinistra? Che su
certe questioni non si lascia anestetizzare dai discorsi di «non discutibilità
dei principi etici», ecc.? Io spero che i cristiani, intellettuali di sinistra
sappiano cogliere questo momento cruciale della politica per far sì che questa
schizofrenia passi, e le nuove intenzioni camminino con gambe (le abitudini
politiche) veramente nuove.
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► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_Cul/A2-Politica_schizofrenia_Mds.htm
15-03-2008; Aggiornamento: 18-03-2008 |