Nota redazionale: Questo articolo era nato come contributo del seguente
tema di discussione «
Malattie e loro cause». A causa della sua
specificità (p.es. libro di Giobbe, teodicea, dottrina del
contraccambio) e della sua lunghezza, abbiamo preferito metterlo a
se stante. |
Quali sono le cause del male?Quali sono le cause della
sindrome di Down? [►
Sindrome di Down e guarigione divina;
►
Parlando della sindrome di Down] Si deve
pregare per questo tipo di guarigione? Non nascondo un po’ di meraviglia
sul fatto che ci s’interroghi se Dio voglia non voglia guarire una
simile malattia. Se ho capito bene il problema non è se Dio
può, ma se Dio vuole. Ma allora perché non interrogarsi
anche (e quindi pregare) se Dio voglia risuscitare un nostro caro morto?
Lazzaro fu risuscitato qualche giorno dopo la sua morte. Perché di
fronte alla morte ci si rassegna e di fronte a una malattia genetica no?
Eppure Dio può fare e l’uno e l’altro. Ma il centro del problema non è
questo. Il problema è il male in generale; molte persone s’ammalano
delle malattie più svariate, pregano per la guarigione ma non
guariscono. Magari sono delle persone pie e devote, magari sono dei
bambini innocenti. Quindi parlare della sindrome di Down, d’un tumore,
d’un infarto, o d’una brutta malattia che colpisce un piccolo bambino, e
non vederne la guarigione, è parlare della stessa cosa.
Uno dei più significativi esempi di sofferenza (immeritata) è quello
descritto nel libro di Giobbe. Nel giro di pochissimo tempo
Giobbe, un uomo devoto, perse tutti i suoi beni, tutti i suoi figli e la
sua salute. La sua era una sofferenza immeritata. La sofferenza è
difficile da comprendere per chiunque, ma lo è ancora di più quando
colpisce chi non la merita. Quando poi il dolore non sembra essere una
punizione per il male commesso, lascia perplessi. Le risposte facili non
sono sufficienti.
L’uomo non è in grado di trovare la
risposta: infatti essa è nascosta in Dio. Giobbe dimostra che la malattia
non è sempre una punizione per il male commesso. Come si reagisce
all’afflizione? L’esperienza di Giobbe dimostra che un credente, anche
in mezzo alle sofferenze più atroci, non deve rinnegare Dio. Fargli
domande, sì, ma non rinnegarlo. Come Giobbe, può sentire il bisogno
d’una spiegazione, ma se non riesce a comprendere la causa del suo male,
non deve accusare Dio. Giobbe maledisse il giorno della sua nascita; ma
la sua fede in Dio non ha mai vacillato. Egli richiese delle spiegazioni
a Dio, ma la sua protesta era sincera, non peccaminosa. Tutta la sua
afflizione lo spinse sempre più vicino a Dio.
Non è sbagliato domandarsi il
perché del male, ma è sbagliato pretendere, perché la pretesa
colloca l’uomo al di sopra di Dio ed è una sfida alla sua sovranità.
Dio determina le circostanze della nostra vita, ed è nostro dovere
sottometterci a Lui con ogni umiltà e ubbidienza, sia nel bene che nel
male. Anche se non comprendiamo per quali ragioni Egli fa certe scelte,
dobbiamo continuamente dargli gloria e confessare che Egli è giusto e
irreprensibile, senza mormorare o combattere contro di Lui. Sì, perché
in certe occasioni si può essere tentati di mettere in dubbio la
giustizia di Dio. Chi soffre, deve essere disposto a re-interpretare la
propria sofferenza e vederla come una via attraverso la quale sviluppare
la santificazione, e quando non riusciamo a vedere alcun motivo terreno
per essa, sappiamo che c’è una ragione divina.
Giobbe pose una
domanda: «Perché dar la luce all’infelice?» (3,20). Chi sa
rispondere a questa domanda? Giobbe soffre per gli scopi di Dio. A tal
proposito è bene considerare le seguenti parole: «E i suoi discepoli
lo interrogarono, dicendo: Maestro, chi ha peccato, lui o i suoi
genitori, perché sia nato cieco? Gesù rispose: Né lui né i suoi genitori
hanno peccato, ma ciò è accaduto, affinché siano manifestate in lui le
opere di Dio» (Gv 9,2s).
Quando ci troviamo di fronte al male che colpisce gli altri, corriamo il
rischio d’essere insipidi. Purtroppo, nella vita, la sofferenza non è
mai un argomento semplice, e chi non la conosce non può comprendere il
dolore di chi soffre. La caratteristica dei falsi consolatori è che essi
danno una risposta semplicistica alla maggior parte delle domande
dolorose della vita, ma Dio ha sotto controllo la vita e le circostanze
dei suoi eletti.
La
fede riposa sulla sicurezza che le risposte a certe domande le conosce
solo Dio. In questo caso, l’uomo giusto e timoroso di Dio, nei momenti
della prova vive per fede, o con le parole di Habacuk: «Il giusto
vivrà per la sua fede» (Hb 2,4).
Due sono i motivi più evidenti che spingono gli amici di Giobbe ad
accusarlo con tanta insistenza: la paura e l’invidia. Quando una
disgrazia colpisce un amico, siamo presi automaticamente da paura: «Se
lui è come me — ragioniamo — allora potrebbe succedere anche a me».
Disse Giobbe ai tre amici: «Vedete il mio sgomento e avete paura»
(6,21). Naturalmente il timore è ancora più grande, se pensiamo che chi
è investito da disgrazia non solo è come noi, ma è addirittura
spiritualmente più avanti.
Per sfuggire al panico, il modo apparentemente migliore è convincersi
che, se Dio gli ha fatto cadere addosso tante prove, significa che ha
commesso qualche grave colpa. In questo modo, pensiamo, noi che siamo
delle brave persone, possiamo starcene tranquille, protette dalla
benedizione che Dio dà sempre ai suoi fedeli.
Se poi dentro di noi covava un po’ d’invidia verso chi primeggiava fra
tutti (come Giobbe) e abbiamo accumulato un desiderio di rivalsa, allora
il pensare che il fratello in difficoltà si è meritato ciò che gli è
successo, ci permette di raggiungere contemporaneamente due obiettivi:
tornare a pensare che a noi ci andrà sempre e tutto bene ed elevarci
finalmente sopra a chi, precedentemente, era più stimato di noi.
Questi atteggiamenti verso un amico sono vergognosi, perciò tendiamo a
mascherarli (anche a noi stessi) e andare alla ricerca affannosa di
pecche nel comportamento del malcapitato, che ci rassicurino che se l’è
meritato.
Ci sono delle domande alquanto difficili da rispondere. Qual è la
causa del male? Perché Dio ascolta le parole di Satana e gli
permette di far del male a Giobbe? Satana, tutto quello che fa, lo fa
con l’approvazione di Dio! Uno potrebbe rispondere che alla fine di
tutto egli è stato fortificato e ha ricevuto abbondanza di beni. Ma
Giobbe ha pur sempre sofferto e perso dieci figli. Come può questa
situazione conciliarsi con la giustizia divina? Se Dio conosce tutto e
in particolare il fatto che Giobbe è giusto e fedele, perché permette di
mettere alla prova la fedeltà di Giobbe in questa maniera? Perché entra
in una scommessa con Satana?
Il rapporto che Dio ha stabilito con l’uomo non si basa sul
contraccambio, ma sulla grazia e sulla
sovranità. In altre parole, l’uomo pensa che Dio benedice quelli che gli
ubbidiscono e maledice quelli che non gli ubbidiscono; ossia, se l’uomo
si comporta bene, Dio lo ricompenserà, ma se si comporta male, Egli lo
punirà. Sebbene questo sia il modo normale con cui Dio tratta con gli
uomini, Giobbe insegna che non è comunque il suo esclusivo metodo. Di
conseguenza deve esserci un principio più profondo che governa i
rapporti di Dio con l’essere umano, perché la giustizia di Dio va oltre
il sistema giuridico umano. Ciò che risulta è che Dio è sovrano, cioè
libero di benedire o non benedire chi Egli vuole.
La base dei rapporti di Dio con l’umanità è dunque la sua sovranità. Ma
come governa Dio sovranamente? Se la base non è il contraccambio,
benedizione-punizione, qual è questa base? È la grazia! Questo significa
che invece di rispondere alle nostre buone azioni con benedizioni, o
alle nostre cattive azioni con maledizioni, Dio ci mostra il suo favore
senza che noi ce lo meritiamo. Infatti Giobbe, dopo aver confessato la
sua presunzione (42,6) è ritornato a essere l’oggetto delle benedizioni
di Dio, nonostante Dio non abbia risposto alle sue domande. È nella
grazia di Dio che Giobbe si è dovuto rallegrare, e non nei suoi meriti,
per altro invidiabili.
Non possiamo obbligare Dio a benedirci per le nostre buone opere, perché
ciò significherebbe che Dio ci deve qualcosa; né possiamo comandare a
Dio come Egli dovrebbe benedirci. Certo è che il criterio per
determinare se la gente è retta non è la salute fisica, ma la qualità
morale della loro vita.
Ma Dio è interessato a noi; interessato fino al punto di sottoporre la
nostra lealtà a delle prove che possono essere più o meno dure.
Quali sono le cause del male? Non possiamo conoscere la risposta, ma
sappiamo d’una ricompensa di Dio nel regno futuro. Se siamo
salvati, questa vita è solo un’ombra nella luce dell’eternità, e in
quest’ombra, la sofferenza approfondisce e rafforza la fede in Dio.
Se ci riteniamo dei falliti, siamo ancora abbastanza buoni per vivere da
santi! Se siamo malati, poveri, o soli, siamo ancora abbastanza buoni
per vivere da santi. Per il resto non bisogna togliere la speranza a
nessuno. Non bisogna mai stancarsi di pregare e di sperare, ma con animo
sereno, senza pretendere.
► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_Cul/A2-Male_cause_R12.htm
16-10-2007; Aggiornamento: |