Un taglio netto alle convenzioni anti-bibliche e pseudo-bibliche, all'ignoranza e alle speculazioni — Ein klarer Schnitt zu den anti-biblischen und pseudo-biblischen Konventionen, zur Unwissenheit und den Spekulationen — A clean cut to the anti-biblical and pseudo-biblical conventions, to the ignorance and the speculations — Une coupe nette aux conventions anti-bibliques et pseudo-bibliques, à l'ignorance et aux spéculations — Un corte neto a las convenciones anti-bíblicas y pseudo-bíblicas, a la ignorancia y a las especulaciones

La fede che pensa — Accettare la sfida nel nostro tempo

«Glaube gegen den Strom»: Für das biblische Unterscheidungsvermögen — «Faith countercurrent»: For the biblical discernment — «Foi contre-courant»: Pour le discernement biblique — «Fe contracorriente»: Por el discernimiento bíblico

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Oltre alle parti introduttive (Bibbia, AT) e al Giochimpara finale, il libro contiene due parti distinte dell’AT: il «Pentateuco» e i «Libri Didattici».

 

◘ Ecco le parti principali del Pentateuco:
■ Il Pentateuco in generale
■ Genesi
■ Esodo
■ Levitico
■ Numeri
■ Deuteronomio.

 

◘ Ecco le parti principali dei Libri Didattici:
■ I Libri Didattici in generale
■ Giobbe
■ Salmi
■ Proverbi
■ Ecclesiaste
■ Cantico dei Cantici

 

► Vedi al riguardo la recensione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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QUALI SONO LE CAUSE DEL MALE?

 

 di Argentino Quintavalle

 

Nota redazionale: Questo articolo era nato come contributo del seguente tema di discussione « Malattie e loro cause». A causa della sua specificità (p.es. libro di Giobbe, teodicea, dottrina del contraccambio) e della sua lunghezza, abbiamo preferito metterlo a se stante.

 

Quali sono le cause del male?Quali sono le cause della sindrome di Down? [► Sindrome di Down e guarigione divina; ► Parlando della sindrome di Down] Si deve pregare per questo tipo di guarigione? Non nascondo un po’ di meraviglia sul fatto che ci s’interroghi se Dio voglia non voglia guarire una simile malattia. Se ho capito bene il problema non è se Dio può, ma se Dio vuole. Ma allora perché non interrogarsi anche (e quindi pregare) se Dio voglia risuscitare un nostro caro morto? Lazzaro fu risuscitato qualche giorno dopo la sua morte. Perché di fronte alla morte ci si rassegna e di fronte a una malattia genetica no? Eppure Dio può fare e l’uno e l’altro. Ma il centro del problema non è questo. Il problema è il male in generale; molte persone s’ammalano delle malattie più svariate, pregano per la guarigione ma non guariscono. Magari sono delle persone pie e devote, magari sono dei bambini innocenti. Quindi parlare della sindrome di Down, d’un tumore, d’un infarto, o d’una brutta malattia che colpisce un piccolo bambino, e non vederne la guarigione, è parlare della stessa cosa.

     Uno dei più significativi esempi di sofferenza (immeritata) è quello descritto nel libro di Giobbe. Nel giro di pochissimo tempo Giobbe, un uomo devoto, perse tutti i suoi beni, tutti i suoi figli e la sua salute. La sua era una sofferenza immeritata. La sofferenza è difficile da comprendere per chiunque, ma lo è ancora di più quando colpisce chi non la merita. Quando poi il dolore non sembra essere una punizione per il male commesso, lascia perplessi. Le risposte facili non sono sufficienti.

     L’uomo non è in grado di trovare la risposta: infatti essa è nascosta in Dio. Giobbe dimostra che la malattia non è sempre una punizione per il male commesso. Come si reagisce all’afflizione? L’esperienza di Giobbe dimostra che un credente, anche in mezzo alle sofferenze più atroci, non deve rinnegare Dio. Fargli domande, sì, ma non rinnegarlo. Come Giobbe, può sentire il bisogno d’una spiegazione, ma se non riesce a comprendere la causa del suo male, non deve accusare Dio. Giobbe maledisse il giorno della sua nascita; ma la sua fede in Dio non ha mai vacillato. Egli richiese delle spiegazioni a Dio, ma la sua protesta era sincera, non peccaminosa. Tutta la sua afflizione lo spinse sempre più vicino a Dio.

     Non è sbagliato domandarsi il perché del male, ma è sbagliato pretendere, perché la pretesa colloca l’uomo al di sopra di Dio ed è una sfida alla sua sovranità.

     Dio determina le circostanze della nostra vita, ed è nostro dovere sottometterci a Lui con ogni umiltà e ubbidienza, sia nel bene che nel male. Anche se non comprendiamo per quali ragioni Egli fa certe scelte, dobbiamo continuamente dargli gloria e confessare che Egli è giusto e irreprensibile, senza mormorare o combattere contro di Lui. Sì, perché in certe occasioni si può essere tentati di mettere in dubbio la giustizia di Dio. Chi soffre, deve essere disposto a re-interpretare la propria sofferenza e vederla come una via attraverso la quale sviluppare la santificazione, e quando non riusciamo a vedere alcun motivo terreno per essa, sappiamo che c’è una ragione divina.

     Giobbe pose una domanda: «Perché dar la luce all’infelice?» (3,20). Chi sa rispondere a questa domanda? Giobbe soffre per gli scopi di Dio. A tal proposito è bene considerare le seguenti parole: «E i suoi discepoli lo interrogarono, dicendo: Maestro, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco? Gesù rispose: Né lui né i suoi genitori hanno peccato, ma ciò è accaduto, affinché siano manifestate in lui le opere di Dio» (Gv 9,2s).

     Quando ci troviamo di fronte al male che colpisce gli altri, corriamo il rischio d’essere insipidi. Purtroppo, nella vita, la sofferenza non è mai un argomento semplice, e chi non la conosce non può comprendere il dolore di chi soffre. La caratteristica dei falsi consolatori è che essi danno una risposta semplicistica alla maggior parte delle domande dolorose della vita, ma Dio ha sotto controllo la vita e le circostanze dei suoi eletti.

     La fede riposa sulla sicurezza che le risposte a certe domande le conosce solo Dio. In questo caso, l’uomo giusto e timoroso di Dio, nei momenti della prova vive per fede, o con le parole di Habacuk: «Il giusto vivrà per la sua fede» (Hb 2,4).

     Due sono i motivi più evidenti che spingono gli amici di Giobbe ad accusarlo con tanta insistenza: la paura e l’invidia. Quando una disgrazia colpisce un amico, siamo presi automaticamente da paura: «Se lui è come me — ragioniamo — allora potrebbe succedere anche a me». Disse Giobbe ai tre amici: «Vedete il mio sgomento e avete paura» (6,21). Naturalmente il timore è ancora più grande, se pensiamo che chi è investito da disgrazia non solo è come noi, ma è addirittura spiritualmente più avanti.

     Per sfuggire al panico, il modo apparentemente migliore è convincersi che, se Dio gli ha fatto cadere addosso tante prove, significa che ha commesso qualche grave colpa. In questo modo, pensiamo, noi che siamo delle brave persone, possiamo starcene tranquille, protette dalla benedizione che Dio dà sempre ai suoi fedeli.

     Se poi dentro di noi covava un po’ d’invidia verso chi primeggiava fra tutti (come Giobbe) e abbiamo accumulato un desiderio di rivalsa, allora il pensare che il fratello in difficoltà si è meritato ciò che gli è successo, ci permette di raggiungere contemporaneamente due obiettivi: tornare a pensare che a noi ci andrà sempre e tutto bene ed elevarci finalmente sopra a chi, precedentemente, era più stimato di noi.

     Questi atteggiamenti verso un amico sono vergognosi, perciò tendiamo a mascherarli (anche a noi stessi) e andare alla ricerca affannosa di pecche nel comportamento del malcapitato, che ci rassicurino che se l’è meritato.

     Ci sono delle domande alquanto difficili da rispondere. Qual è la causa del male? Perché Dio ascolta le parole di Satana e gli permette di far del male a Giobbe? Satana, tutto quello che fa, lo fa con l’approvazione di Dio! Uno potrebbe rispondere che alla fine di tutto egli è stato fortificato e ha ricevuto abbondanza di beni. Ma Giobbe ha pur sempre sofferto e perso dieci figli. Come può questa situazione conciliarsi con la giustizia divina? Se Dio conosce tutto e in particolare il fatto che Giobbe è giusto e fedele, perché permette di mettere alla prova la fedeltà di Giobbe in questa maniera? Perché entra in una scommessa con Satana?

     Il rapporto che Dio ha stabilito con l’uomo non si basa sul contraccambio, ma sulla grazia e sulla sovranità. In altre parole, l’uomo pensa che Dio benedice quelli che gli ubbidiscono e maledice quelli che non gli ubbidiscono; ossia, se l’uomo si comporta bene, Dio lo ricompenserà, ma se si comporta male, Egli lo punirà. Sebbene questo sia il modo normale con cui Dio tratta con gli uomini, Giobbe insegna che non è comunque il suo esclusivo metodo. Di conseguenza deve esserci un principio più profondo che governa i rapporti di Dio con l’essere umano, perché la giustizia di Dio va oltre il sistema giuridico umano. Ciò che risulta è che Dio è sovrano, cioè libero di benedire o non benedire chi Egli vuole.

     La base dei rapporti di Dio con l’umanità è dunque la sua sovranità. Ma come governa Dio sovranamente? Se la base non è il contraccambio, benedizione-punizione, qual è questa base? È la grazia! Questo significa che invece di rispondere alle nostre buone azioni con benedizioni, o alle nostre cattive azioni con maledizioni, Dio ci mostra il suo favore senza che noi ce lo meritiamo. Infatti Giobbe, dopo aver confessato la sua presunzione (42,6) è ritornato a essere l’oggetto delle benedizioni di Dio, nonostante Dio non abbia risposto alle sue domande. È nella grazia di Dio che Giobbe si è dovuto rallegrare, e non nei suoi meriti, per altro invidiabili.

     Non possiamo obbligare Dio a benedirci per le nostre buone opere, perché ciò significherebbe che Dio ci deve qualcosa; né possiamo comandare a Dio come Egli dovrebbe benedirci. Certo è che il criterio per determinare se la gente è retta non è la salute fisica, ma la qualità morale della loro vita.

     Ma Dio è interessato a noi; interessato fino al punto di sottoporre la nostra lealtà a delle prove che possono essere più o meno dure.

     Quali sono le cause del male? Non possiamo conoscere la risposta, ma sappiamo d’una ricompensa di Dio nel regno futuro. Se siamo salvati, questa vita è solo un’ombra nella luce dell’eternità, e in quest’ombra, la sofferenza approfondisce e rafforza la fede in Dio.

     Se ci riteniamo dei falliti, siamo ancora abbastanza buoni per vivere da santi! Se siamo malati, poveri, o soli, siamo ancora abbastanza buoni per vivere da santi. Per il resto non bisogna togliere la speranza a nessuno. Non bisogna mai stancarsi di pregare e di sperare, ma con animo sereno, senza pretendere.

 

Per l’approfondimento cfr. Nicola Martella, «Giobbe», Radici 1-2 (Punto°A°Croce, Roma 1994), pp. 79-87. Nicola Martella, «Onnipotente in Giobbe», Manuale Teologico dell’Antico Testamento (Punto°A°Croce, Roma 2002), pp. 246ss.

 

► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_Cul/A2-Male_cause_R12.htm

16-10-2007; Aggiornamento:

 

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