Un taglio netto alle convenzioni anti-bibliche e pseudo-bibliche, all'ignoranza e alle speculazioni — Ein klarer Schnitt zu den anti-biblischen und pseudo-biblischen Konventionen, zur Unwissenheit und den Spekulationen — A clean cut to the anti-biblical and pseudo-biblical conventions, to the ignorance and the speculations — Une coupe nette aux conventions anti-bibliques et pseudo-bibliques, à l'ignorance et aux spéculations — Un corte neto a las convenciones anti-bíblicas y pseudo-bíblicas, a la ignorancia y a las especulaciones

La fede che pensa — Accettare la sfida nel nostro tempo

«Glaube gegen den Strom»: Für das biblische Unterscheidungsvermögen — «Faith countercurrent»: For the biblical discernment — «Foi contre-courant»: Pour le discernement biblique — «Fe contracorriente»: Por el discernimiento bíblico

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Il sabato, l’anno sabbatico e il giubileo.

 

Ecco le parti principali:
■ Il patto, l'etica e il pensiero sabbatico
■ Il sabato nell’Antico Testamento, nel giudaismo, nel Nuovo Testamento e relative questioni odierne
■ L’estensione del sabato: l’anno sabbatico e lo jôbel nella Torà e nella storia
■ L’ideale e le funzioni teologiche risultanti
■ Excursus: Storia del giubileo cattolico
■ Le feste principali in Israele.

 

► Vedi al riguardo la recensione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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ATENE O GERUSALEMME? 1: LA TESI GERUSALEMITA

 

 di Argentino Quintavalle

 

Qual è il mondo interiore del pensiero biblico? Qual è il pensiero culturale degli autori della Sacra Scrittura? Dobbiamo capire la Bibbia principalmente attraverso gli occhi dell’ellenismo (pensiero e cultura greci) o attraverso gli occhi del giudaismo (pensiero e cultura ebraici)? Ovviamente, la domanda riguarda soltanto il Nuovo Testamento. La maggior parte degli studiosi sono oggi costretti a riconoscere un forte retroterra ebraico per quanto riguarda gli Evangeli. Ma si discute ancora ampiamente riguardo il retroterra degli scritti di Paolo, l’«apostolo dei Gentili» (Rom 11,13).

     Alcuni sottolineano l’importanza dell’ellenismo per comprendere il pensiero di Paolo. Altri, pur riconoscendo degli elementi ellenistici in Paolo, esaminano l’apostolo in maniera diversa. Per esempio, s’argomenta che Paolo deve essere capito come un uomo appartenente al tradizionale giudaismo rabbinico del primo secolo e che egli è stato essenzialmente condizionato sia nella vita che nel pensiero dai concetti farisaici. Altri, invece, interpretano Paolo in maniera completamente diversa. Fanno una radicale distinzione tra il suo giudaismo e il suo cristianesimo, e considerano quest’ultimo come una religione distinta in opposizione al giudaismo. In altre parole, Paolo «si è convertito» al cristianesimo dal giudaismo.

     Altri ancora credono che sia una cosa discutibile, se non addirittura rischiosa, fare una distinzione tra il punto di vista greco della vita e quell’ebraico.

     Quest’ultima posizione è forse la più sofisticata, ma anche molto pericolosa. È sostenuta da James Barr (The semantics of biblical language), il quale dà l’impressione che si può tradurre una lingua in un’altra senza alcuna perdita sostanziale. Questo non mi trova d’accordo perché le parole possono avere un particolare sviluppo culturale e storico all’interno della propria lingua. Per esempio, mentre è normale attendersi che l’idea ebraica che sta dietro la parola greca nòmos «legge», verrebbe comunicata prontamente alla mente dei lettori giudei (cioè essi gli darebbero il significato di torah, «insegnamento»); la stessa parola (nomos) può essere capita in maniera diversa (cioè nel suo abituale significato ellenistico) dai lettori greci.

     Forse è sbagliato mettere troppa enfasi sull’opposizione tra Atene e Gerusalemme, in particolare riguardo gli scritti di Paolo, i quali mostrano una forte continuità con il giudaismo, ma anche una discontinuità. Ma dobbiamo fare attenzione a cosa s’intende per discontinuità. Dobbiamo certamente riconoscere che Paolo ha utilizzato il greco per aiutare la comunicazione (per esempio il suo uso della Septuaginta, la traduzione greca del Vecchio Testamento) e ha impiegato certe forme e frasi retoriche greche, in modo tale che il suo materiale potesse essere presentato a un pubblico più vasto. Ma alcuni affermano che la discontinuità s’estende fino alle radici del pensiero religioso di Paolo. C’è anche chi ha sostenuto che gli scritti di Paolo portano i segni caratteristici del platonismo.

     Ma la realtà è che Paolo ha mantenuto tutta l’essenza della tradizione giudaica della torah. Infatti, Paolo ha inteso la vita cristiana come un modellamento del giudaismo: il cristianesimo non era in antitesi col giudaismo, ma era la sua normale evoluzione. Questo significava per Paolo, da giudeo della diaspora qual egli era, mantenne profondamente le sue radici nelle Scritture ebraiche e nel pensiero rabbinico. Paolo era orgoglioso d’essere un Ebreo (2 Cor 11,22), e lo espresse nelle sue parole, «Ebreo d’Ebrei… fariseo» (Fil 3,5). Così le sue parole erano pensate da una mente ebraica, anche se sono state scritte in greco.

     Paolo ha scritto in greco, la lingua franca dei suoi tempi (come lo è l’inglese oggi). Ma il mondo interiore del suo spirito riflette la sua eredità ebraica, la cui fonte fluiva da Gerusalemme e non da Atene. Così la teologia di Paolo era essenzialmente ebraica, anche se le sue lettere sono state scritte in greco. Questo era il mondo interiore dello studioso giudeo di Tarso. Dice bene il famoso teologo giudeo Abramo Heschel: «Geograficamente e storicamente Gerusalemme e Atene, l’età dei profeti e l’età di Pericle, non sono molto lontane tra di loro, ma spiritualmente sono due mondi separati» (Abraham J.Heschel, God in search of man, p. 15).

     Ritorno quindi alla questione di partenza, «Atene o Gerusalemme?». Non solo per gli scritti di Paolo, ma per tutte le Scritture, il contesto culturale principale è quello del mondo semitico del popolo ebraico. Di conseguenza, gli autori della Parola di Dio — ognuno di loro era ebreo — avevano una profonda prospettiva ebraica della vita e del mondo. Se vogliamo interpretare la Bibbia correttamente, dobbiamo armonizzarci a questa impostazione ebraica. Non dobbiamo guardare a Atene ma a Gerusalemme per capire il punto di vista biblico della realtà. Per questo la Bibbia è, senza il minimo dubbio, un libro ebraico sia nella composizione che nell’orientamento. In maniera succinta, il Vecchio Testamento costituisce le fondamenta del Nuovo. Il messaggio del Nuovo Testamento è secondo la tradizione ebraica e contro la tradizione greca. I nostri tutori in Cristo sono Mosè, i profeti e gli apostoli, e non Platone e gli accademici greci.

     Le implicazioni di tutto questo per lo sviluppo d’una mente cristiana sono troppo grandi per essere sottovalutate. Dobbiamo renderci conto che il vocabolario teologico e gli idiomi linguistici che stanno dietro alla maggior parte del Nuovo Testamento greco sono ebraici al cento per cento. Paolo dichiara che «i Gentili sono coeredi dello stesso corpo» (Ef 3,6). Perciò i Gentili hanno una nuova storia — la storia d’Israele è ora la loro storia. Ai Gentili di Corinto Paolo dichiara che gli Israeliti erano gli antenati dei Corinzi: «Fratelli, non voglio che ignoriate che i nostri padri furono tutti sotto la nuvola e tutti passarono attraverso il mare» (1 Cor 10,1). Nella chiesa iniziale, quindi, Giudei e Gentili avevano una stirpe spirituale comune con gli Ebrei dell’antichità.

 

Una presa di posizione riguardo a questo articolo si trova qui: Atene o Gerusalemme? 2: La tesi equidistante {Nicola Martella}.

 

► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_Cul/A2-Atene_Gerusalemme1_Sh.htm

10-03-2007; Aggiornamento: 30-06-2010

 

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