Un taglio netto alle convenzioni anti-bibliche e pseudo-bibliche, all'ignoranza e alle speculazioni — Ein klarer Schnitt zu den anti-biblischen und pseudo-biblischen Konventionen, zur Unwissenheit und den Spekulationen — A clean cut to the anti-biblical and pseudo-biblical conventions, to the ignorance and the speculations — Une coupe nette aux conventions anti-bibliques et pseudo-bibliques, à l'ignorance et aux spéculations — Un corte neto a las convenciones anti-bíblicas y pseudo-bíblicas, a la ignorancia y a las especulaciones

La fede che pensa — Accettare la sfida nel nostro tempo

«Glaube gegen den Strom»: Für das biblische Unterscheidungsvermögen — «Faith countercurrent»: For the biblical discernment — «Foi contre-courant»: Pour le discernement biblique — «Fe contracorriente»: Por el discernimiento bíblico

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Riflessioni fra cielo e terra: Aneddoti evangelici e non, e l’umorismo nella Bibbia.

  Ecco le rubriche principali:
■ Scenario biblico
■ Vita di comunità
■ Abbecedario riflessivo
■ Ad acta
■ Dietro il velo
■ Casella postale biblica
■ Variazione delle costanti
■ Puntigli e indovinelli
■ Sapienza da quattro soldi
■ Massime e minime
■ Col senno del poi.

 

È «psicoterapia biblica» in forma di umorismo.

 

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SPORT, COERENZA E TESTIMONIANZA

 

 di Irene Bitassi - Nicola Martella

 

Quando ho cercato un titolo per questo scritto, ho dovuto pensare come sottotitolo a Giacomo 2,18: «Mostrami la tua fede senza le tue opere, e io con le mie opere ti mostrerò la mia fede», facendo mentalmente una parafrasi che interpreti «opere» come «opere sportive». L’autrice di questo contributo intende dire la sua riguardo all’articolo «Calciatori e fede cristiana» e al tema connesso. La lunghezza dello scritto e la complessità dei temi affrontati ci hanno spinto a presentarlo a sé stante. Per le competenze sportive di Irene Bitassi rimandiamo ai temi di discussione «Arti marziali tra Oriente e Occidente 1» (7° contributo) e «Arti marziali tra Oriente e Occidente 2» (3° contributo).

     I primi quattro punti sono di Irene Bitassi, l’ultimo è del sottoscritto. {Nicola Martella}

 

 

1.  LA QUESTIONE DELLA CREDIBILITÀ: Non sono mai stata particolarmente interessata alle testimonianze dei calciatori cristiani, ma l’estate scorsa mi hanno regalato il primo libro di Nicola Legrottaglie («Ho fatto una promessa»). L’ho trovato abbastanza interessante: è il racconto di una conversione e di un cammino con il Signore. Intendiamoci, niente di eclatante: probabilmente qualunque nuovo nato potrebbe raccontare esperienze simili. Non c’è dentro fine teologia, né particolare approfondimento biblico. Lui ha voluto dare la sua testimonianza e, ovviamente, ha la possibilità di raggiungere molte persone. Cristiani che fanno mestieri meno sotto i riflettori si limitano a scriverla per i conoscenti o a pubblicarla in internet. In questo, non vedo niente di particolare, né in positivo, né in negativo.

     Tuttavia, un parente cattolico mi ha fatto involontariamente notare la funzione specifica che la testimonianza di un calciatore professionista può avere. Infatti, dopo aver letto il libro, questo parente lo ha liquidato come «la solita roba della vostra setta». Però, ha poi aggiunto di aver trovato apprezzabile che una persona giovane, famosa e ricca, all’apice della carriera, abbia sentito la mancanza di Dio.

     Allora ho capito: un calciatore di serie A probabilmente non avrà vocazione a essere un importante predicatore, né sarà la persona più adatta a insegnare la Scrittura, né magari a condurre una chiesa. Però, può testimoniare in maniera credibile qualcosa che nessun altro cristiano, che io conosca, può: cioè che i soldi e il successo non danno la vera felicità nella vita e che il vuoto esistenziale può essere riempito solo da Gesù.

     Se io dico a un mio conoscente che Gesù mi soddisfa e quindi non m’interessa essere ricca, probabilmente penserà che «la religione è l’oppio dei popoli» e io m’illudo, per consolarmi del fatto che non sono ricca. Se, poi, a dire questo sarà un fratello con un servizio a tempo pieno, chi lo ascolta penserà che questo fratello ha tutto l’interesse a essere cristiano, visto che riceve uno «stipendio» da ciò.

     Un calciatore professionista, invece, ha soldi, donne, fama e gioventù. È una delle persone più «realizzate» per i parametri della nostra società. Quando testimonia che, nonostante ciò, queste cose non danno la felicità e ha bisogno di Gesù, è molto, ma molto, più credibile di tutti noi. In questo, mi sembra di poter ravvisare l’utilità di queste testimonianze.

 

 

2.  BERSAGLIATO CHI È IN VISTA: Per curiosità, dopo aver letto il libro, ho girato un po’ in internet, per vedere quale reazione il libro avesse suscitato in giro e non ho affatto trovato solo commenti favorevoli. Esponendosi con una testimonianza cristiana, un calciatore rischia di essere deriso dai non credenti, esattamente come qualsiasi altro fratello. Tra i commenti al testo, non c’erano solo i post entusiasti di alcuni credenti, che lo incoraggiavano a proseguire nel cammino, ma anche quelli di derisione, del tipo: «Figurati se Dio ha tempo da perdere con un calciatore, quando nel mondo ci sono milioni di bambini che hanno fame» (eh, già, perché notoriamente i calciatori non hanno un’anima da salvare!); «Questo qui la domenica pesta gli attaccanti e il lunedì fa il predicatore»; «Queste sette evangeliche ti aiutano, quando sei in crisi, ma poi ti fanno il lavaggio del cervello»; eccetera.

     È vero che un calciatore di serie A viene invitato nei salotti televisivi: su YouTube si possono visionare parecchi filmati. Ma non è detto che lo sia sempre per essere «innalzato». Nella «macchineria» della popolarità, esistono anche situazioni come queste, in cui il credente viene messo lì a bella posta per essere bersagliato da un giornalista navigato e preso in giro da un comico abile, mentre tenta di dire che abbiamo bisogno di Gesù... Beh, francamente, guardando il video, non ho invidiato neanche un po’ la possibilità di Legrottaglie di accedere a una trasmissione televisiva!

     Insomma, alla fine della mia perlustrazione, non sono poi così convinta che il dichiararsi cristiani permetta al calciatore di essere amato dal mondo di più di quanto non lo sia prima o se, invece, non incassi anche lui la sua buona dose di disprezzo.

     Per il resto, rimane sempre valido il principio che il Padrone giudica l’operato del suo servo, perciò, oltre alla semplice curiosità, non mi addentro.

 

 

3.  LA SCONFITTA È UNA CATASTROFE COSMICA?: Per quanto riguarda il partecipare a delle competizioni sportive, mi sembra francamente un po’ esagerata la posizione di chi vede in una sconfitta sportiva una catastrofe universale. [► Arti marziali tra Oriente e Occidente 1 (11° contributo)]

     Da sportiva dilettante con scarsissimi risultati, non mi sono mai sentita coperta di «disonore» dopo una delle tante sconfitte, non sono mai andata in giro a capo chino, non mi sono mai inasprita dentro di me per questo. L’orgoglio della propria prestazione (almeno rispetto alla realtà che conosco) non è tanto legato alla vittoria o alla sconfitta, ma quanto piuttosto al sapere di aver dato tutto ciò che era nelle proprie possibilità. Si può uscire a testa bassa da una vittoria, perché si ha la consapevolezza che si è vinto solo per un errore arbitrale. Si può uscire a testa alta da una sconfitta, nella consapevolezza di aver fatto il meglio rispetto ai propri limiti.

     Misurarli questi limiti non è una vergogna, è spesso un sano prendere atto della realtà delle cose. Avere paura della competizione può nascondere la paura di misurare i propri limiti.

     Qualcuno deride lo sconfitto? Sì, capita. Farci una risata sopra aiuta a crescere (magari con l’orgoglio e la consapevolezza che in Cristo siamo più che vincitori in ben altre battaglie!). Un atleta cristiano ovviamente non deriderà l’avversario che ha sconfitto.

     La competizione spesso non è nemmeno il fulcro dello sport e lo «spirito agonistico» è prima di tutto il disciplinare il corpo per acquisire un’abilità specifica (correre, saltare, tirare calci a un pallone, ecc.). La gara è la verifica, il prendere le «misure» dei propri risultati. Infatti, in alcuni sport è possibile valutarsi in autonomia (sono in tanti, per esempio, che corrono tutti i giorni senza gareggiare, perché basta cronometrarsi per vedere i miglioramenti), in altri la competizione è indispensabile (per una squadra di calcio è indispensabile giocare contro un’altra). Ma anche dove è possibile auto-valutarsi, la presenza di altri spinge a fare meglio. Ad esempio, spesso anche chi non gareggia corre con un amico: uno sprona l’altro. Con questo spirito, l’agonismo non è «combattere un altro per umiliarlo», ma vedere dove posso arrivare al massimo del mio sforzo. Questo dovrebbe essere lo spirito.

     Con ciò non nego che le cose non siano sempre così. Non vivo sulla luna e so che, soprattutto a livello professionale, dove girano tanti soldi, gli interessi portino ad altro. Ma perché un cristiano non dovrebbe partecipare a una competizione sportiva, se ha le giuste motivazioni? Non riesco a vedere lo scandalo.

 

 

4.  PERDERE TEMPO?: Non mi sento neanche di dire che fare sport sia sempre perdere tempo. Probabilmente dipenderà dalla vocazione di ciascuno.

     Non mi riferisco solo al fatto che può capitare di testimoniare a compagni non credenti. In questo senso, sono d’accordo che probabilmente è molto più «efficiente» un banchetto di evangelizzazione: nei 90 minuti di una partita di calcio, si possono distribuire centinaia di opuscoli e intrattenere decine di colloqui. In questo senso, stiamo perdendo tempo, quando facciamo sport.

     Però non si rischia di avere una visione un po’ troppo efficientista della vita cristiana? Ci facciamo i resoconti orari dei tempi di servizio, come i testimoni di Geova? Misuriamo il tempo dedicato a Dio nella quantità di ore di missione, nella lunghezza della nostra lista di preghiera, nel numero di studi biblici letti o ascoltati, nel conteggio dei volantini distribuiti? O il tempo dedicato a Dio è quello che trascorriamo con Lui, in sottomissione a Lui, in ascolto di Lui?

     Quando sono in palestra, il mio corpo continua a essere presentato come sacrificio vivente a Dio? Se sì, è difficile dire che stia perdendo tempo. Quando sono a uno studio biblico sto presentando il mio corpo come sacrificio vivente a Dio? Se la risposta è no, forse sto perdendo tempo.

     Posso testimoniare che in un periodo molto difficile della mia vita cristiana, ho capito in palestra una delle cose fondamentali per superare la prova e ho ricevuto un grande insegnamento dal Signore. L’avevo già letto sulla Bibbia e sentito raccontare in tante prediche, ma non avevo mai vissuto praticamente quell’esperienza, che mi era indispensabile per comprendere davvero e interiorizzare il concetto.

     Intendiamoci, non disprezzo certo leggere la Bibbia, andare al culto, mettermi in preghiera, dedicarmi a un servizio e seguire degli studi biblici. Tutte queste cose sono fondamentali e bisogna trovare il tempo per farle, rinunciando, quando è necessario, a una gara sportiva o a un allenamento. Ma non mi sembra che la loro utilità sia misurabile in tempo e tutto il resto sia spreco.

 

 

5.  SPORT E MISSIONE(Nicola Martella): Che lo sport possa essere un campo di missione, è testimoniato da tanti atleti cristiani che lavorano in associazioni cristiane «sportivi per sportivi».

 

Un esempio a me vicino

     Ad esempio, sebbene un mio collega missionario, Fausto Gaeta, non abbia una tale associazione a Tivoli, egli è inserito in una normale associazione sportiva e con essa corre in varie competizioni. Oltre all’interesse per la corsa, il suo obiettivo è di spandere il buon profumo di Cristo in tale ambiente. Ultimamente mi diceva che alcuni altri sportivi lo esortano di pregare prima di mangiare insieme, rimproverando quelli che già avevano iniziato. In occasioni particolari lo invitano a dare un pensiero biblico. Ultimamente succede che non c’è gara, in cui i giovani atleti non gli chiedano di pregare insieme prima della corsa. Chiaramente ciò non renderà tali atleti dei cristiani, ma Dio che conosce i cuori, può chiamare anche da tale ambito particolare coloro che lo temono e lo cercano con sincerità di cuore. Si veda pure il seguente articolo di Fausto Gaeta: «Che cosa pensa un atleta quando gareggia».

 

Giuste ambizioni tra massimalismi e trionfalismi

     Consiglio quindi di non buttare il bambino con tutta l’acqua sporca. L’apostolo Paolo aveva «l’ambizione di predicare l’Evangelo là dove Cristo non fosse già stato nominato» (Rm 15,20). Bisogna portare la luce non solo in altri Paesi, ma anche in particolari ambiti della nostra società, quindi anche nello sport.

     Come cristiani siamo dei sorvegliati speciali da parte degli altri, nel bene e nel male. Sebbene non esistano sport cristiani, esistono sport che si possono praticare da cristiani.

     Il credente che pratica sport, lo faccia con sentimento e atteggiamento di cristiano; ciò significa, ad esempio, distinguersi, praticando questa ingiunzione: «Non partecipate alle opere infruttuose delle tenebre; anzi, piuttosto riprendetele» (Ef 5,11). Oltre a ciò, nutra nel suo piccolo la stessa grande ambizione di Paolo. Non bisogna essere sempre dei grandi predicatori, ma senz’altro testimoni della verità e «segni e presagi» o segnali indicatori verso la salvezza. Chi ha una passione sportiva può sviluppare pure una passione per le anime e una vocazione missionaria proprio nell’ambito, in cui opera.

 

Usa le tue risorse, senza sopravvalutarti né minimizzarti

     Una ragazza ebrea, che si trovava in Siria come serva, quando si presentò l’occasione, a modo suo indicò alla sua padrona semplicemente la soluzione al problema del suo padrone lebbroso: «Oh, se il mio signore potesse presentarsi al profeta che è a Samaria! Questi lo libererebbe dalla sua lebbra!» (2 Re 5,3). Tale funzione indicativa può averla oggigiorno ogni cristiano biblico, quindi anche un atleta nell’ambito sportivo.

     Nella crisi storica del giudaismo del tempo, Mardocheo fece presente alla regina ebrea Ester, che lei era la persona giusta nel luogo giusto e nel momento giusto, e che quindi doveva prendersi le sue responsabilità, sebbene ciò avesse un prezzo (Est 4,13ss). Tale funzione chiave durante particolari situazioni possono averla persone particolari; nessuno può dire chi Dio abbia scelto in una specifica situazione, ma quando ciò diventa evidente, bisogna assumersi le proprie responsabilità. Ciò vale in campo civile, lavorativo e politico, ma anche nell’ambito sportivo.

     Dopo che Filippo, un uomo semplice, fu invitato da Gesù a seguirlo, trovò Natanaele, un conoscitore delle Scritture, e gli disse: «Abbiamo trovato colui, del quale hanno scritto Mosè nella legge e i profeti: Gesù figlio di Giuseppe, da Nazaret» (Gv 1,43ss). Nonostante le obiezioni dottrinali iniziali di Natanaele, ciò gli permise di incontrare Gesù in modo personale e di riconoscerlo come Messia (vv. 46ss). Non tutti abbiamo una chiamata e le facoltà di argomentare teologicamente per convincere gli altri, ma tutti possiamo indicare verso la fonte e aiutare a incontrare personalmente Gesù. Ciò vale per tutti i campi, quindi anche per l’ambito sportivo e agonistico.

 

Sport, coerenza e testimonianza? Parliamone {Nicola Martella} (T)

 

► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_Cul/A1-Sport_coeren_testim_Mds.htm

23-07-2010; Aggiornamento: 17-08-2010

 

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